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paroleecose

Sul nuovo spirito del capitalismo

di Enrico Donaggio

[E’ uscita da poco la traduzione italiana di un libro importante, Le nouvel esprit du capitalisme di Luc Boltanski e Ève Chiapello (Il nuovo spirito del capitalismo, Mimesis 2014). Ne abbiamo parlato qui. Questa è l’introduzione di Enrico Donaggio].

Untitled -Septembe 1811789bLe grandi narrazioni dentro a cui Marx e Weber incastonano le loro genealogie e diagnosi del capitalismo come forma di vita hanno fornito la matrice e la trama, dichiarata o segreta, di tutta la critica novecentesca in materia. Nell’ultimo anno di quel secolo feroce – 1999 – esce a Parigi il libro di Luc Boltanski ed Ève Chiapello. Peripezie editoriali di varia natura lo mettono solo oggi a disposizione del pubblico italiano di non specialisti. Paragonabile per mole, qualità e ambizione a opere che hanno marcato in quel periodo il dibattito filosofico, sociologico e politico della nostra come di altre province (quelle di Rawls e Habermas, per citare soltanto i dioscuri del mainstream accademico), questo volume ha rappresentato nel nostro paese un oscuro oggetto del desiderio per gli insoddisfatti e i perplessi del pensiero unico fin de siècle, dentro e fuori i dipartimenti universitari. Era questo, all’epoca della sua stesura, l’auspicio degli autori. I tempi della traduzione italiana ci offrono un testo, che si voleva di rottura e avanguardia, consacrato a classico mondiale. Il capitalismo e lo spirito di cui trattano queste pagine non stanno più infatti davanti, ma intorno e dentro di noi.

Per Boltanski e Chiapello «spirito del capitalismo» è il concetto che afferra nel modo più illuminante ed efficace la resilienza di cui questa forma di vita ha dato prova, sconcertando perfino i suoi apologeti. Collocata in una terra di mezzo tra Weber e Marx, la formula viene a indicare per loro l’«ideologia che giustifica il coinvolgimento nel capitalismo».

Il discorso «dominante … che ha la capacità di penetrare l’insieme delle rappresentazioni mentali tipiche di un’epoca, di infiltrare i discorsi politici e sindacali, di fornire rappresentazioni legittime e schemi di pensiero ai giornalisti e ai ricercatori, così che la sua presenza è nel contempo diffusa e generalizzata».

Una forma volontaria e consapevole di ideologia, dunque, il ricettacolo e il volano indispensabile per motivare l’engagement dei soggetti nei riguardi di un sistema che non può mantenersi in vita ricorrendo esclusivamente alla mancanza di alternative, al ricatto della necessità economica. Ma che, per sua intima logica, mira costantemente a rendere superflua questa istanza «mobilizzatrice»; a distruggerla, imponendosi soltanto nel suo aspetto di anonimo e automatico processo di valorizzazione. Tra i molti che hanno colto questa antinomia e lo strutturale double bind che stringe la vita al tempo del capitale, gli autori citano Cornelius Castoriadis. A suo avviso, infatti, «l’organizzazione capitalistica della società è contraddittoria nel senso rigoroso in cui lo è un individuo nevrotico: non può cercare di realizzare le proprie intenzioni se non mediante degli atti che le contraddicono costantemente».

Fondamentale nell’approccio di Boltanski e Chiapello al problema – tratto distintivo cruciale rispetto al mainstream in materia evocato sopra – è dunque il fatto che il riconoscimento dell’ineliminabile componente normativa che connota l’adesione e l’impegno degli attori sociali non trascura deliberatamente la specifica violenza che permea la nostra forma di vita:

Il concetto di spirito del capitalismo, così come lo definiamo, ci permette di superare l’opposizione, che ha dominato buona parte della sociologia e della filosofia degli ultimi trent’anni – almeno per quanto riguarda i lavori che si collocano all’intersezione tra sfera sociale e sfera politica – tra le teorie, spesso di ispirazione nietzschiano-marxista, che hanno visto nella società solo violenza, rapporti di forza, sfruttamento, dominio e scontri di interessi e, sul fronte opposto, le teorie ispirate soprattutto alle filosofie politiche contrattualiste, che hanno posto l’accento sulle forme del dibattito democratico e sulle condizioni della giustizia sociale. Nei testi che fanno capo alla prima corrente, la descrizione del mondo appare troppo negativa per essere reale. In un mondo del genere non si potrebbe vivere a lungo. Mentre la realtà sociale descritta dai testi della seconda corrente è innegabilmente troppo rosea per essere credibile.

Nella rivisitazione del concetto di spirito del capitalismo, Boltanski codifica uno stile intellettuale e politico alternativo rispetto a quello messo a punto dal suo maestro Pierre Bourdieu. Una polemica frontale contro il «fantasma del sociologo onnipotente» – il frutto avvelenato del modello canonico di critica dell’ideologia d’ascendenza marxiana – attraversa infatti da un capo all’altro le pagine di questo volume. Sulla linea argomentativa sviluppata da autori come Louis Dumont, Karl Polanyi e Albert Hirschman (a cui il libro è dedicato), si rifiuta il postulato, o il pregiudizio, secondo cui soltanto lo scienziato o il critico sociale disporrebbero dell’accesso a una verità dalla quale gli individui ordinari, ineluttabilmente condannati all’autoinganno, risulterebbero esclusi. Proprio un atteggiamento di questo tipo – primo articolo di fede di ogni radicalismo dentro e fuori il giardino incantato dei campus – consolida il fatalismo sociale che vorrebbe infrangere. Riduce infatti le motivazioni e le ragioni a cui i soggetti si affidano per legittimare la propria adesione o il proprio dissenso rispetto alla società in cui vivono a meri epifenomeni, a variabili dipendenti di un sistema soverchiante.

Questo involontario sostegno a una visione del capitalismo come seconda natura da parte di uno stile di pensiero che lo vorrebbe rivoluzionare ignora – a detta degli autori – la «forza della critica», la sua capacità di mettere in questione e in crisi – sulla base di elementi normativi che sono appannaggio di ogni attore – aspetti decisivi di quella forma di vita. Il trionfo apparentemente irresistibile del capitalismo contemporaneo, nella prospettiva che ispira la grande narrazione che si dipana in queste pagine, sarebbe infatti l’esito di un «silenzio» e, al contempo, di un perverso successo della critica. Il luogo in cui questa diagnosi dovrebbe trovare la sua più convincente conferma è proprio lo «spirito del capitalismo», inteso quale fulcro e punto elastico della dinamica evolutiva di questo modo di produrre ed esistere.

Secondo Boltanski e Chiapello, infatti, lo spirito del capitalismo è una sorta di formazione di compromesso tra le istanze, eminentemente propulsive, del capitalismo e quelle, eminentemente reattive, della critica – sia essa «sociale» o «d’artista»; orientata cioè alla giustizia e all’uguaglianza, come nella tradizione del movimento operaio; o all’autonomia e all’autenticità, come nel caso di soggettività più eccentriche rispetto al way of life borghese. In questa prospettiva il capitalismo non muta soltanto per ragioni di ordine endogeno, legate a un soddisfacimento più redditizio dell’imperativo della produzione fine a se stessa. Ciò accade soltanto nei periodi in cui una critica in disarmo lascia campo libero agli spiriti animali di questa forma di vita. Sono queste le fasi storiche in cui le «inesorabili leggi dell’economia» dettano il ritmo e il senso alla vita degli individui; rendendo però al contempo il capitalismo troppo vulnerabile, perché eccessivamente esposto a forme radicali e giustificate di dissenso. Una critica combattiva e fantasiosa impone invece al capitalismo trasformazioni parziali, sempre compatibili con la sua logica di riproduzione, ma tali comunque da modificarne in modo effettivo la fisionomia.

Non potendo fare affidamento sulla mera forza della necessità economica, pena la messa a repentaglio della propria stabilità (un teorema, questo, che in Boltanski e Chiapello slitta spesso verso l’indecidibilità del circolo ermeneutico o dell’opzione di valore), il capitalismo deve costantemente sollevare e mantenere, almeno nei riguardi del suo destinatario privilegiato – la borghesia e i suoi figli, la classe che, in linea teorica, può disertare con maggior facilità – una triplice promessa di felicità e liberazione: quella di una vita «eccitante», «sicura» e ispirata al «bene comune». Il libro non si concentra sui primi due contenuti. In un caso, forse, perché si tratta di un tema apparentemente scontato per una forma di vita che si propaga all’insegna della «distruzione creatrice»; relativamente all’altro ammette invece la necessità di creare «santuari» in un globale contesto di insicurezza materiale e simbolica: aree protette «al centro del sistema-mondo», dove i figli della borghesia «possano formarsi, crescere e vivere sicuri». Si dilunga invece sulla terza componente dello spirito del capitalismo, che conferisce a questa categoria uno spettro assai ampio. Il riferimento a un «bene comune», incarnato nelle diverse «città» descritte nelle pagine più faticose del testo, poggia infatti su un sistema di pretese di validità e legittimazione del giudizio critico – messo a punto da Boltanski sin dai tempi di De la justification – che, per astruseria e articolazione, surclassa quello di Habermas e dei suoi epigoni.

Questa gamma di speranze deve dunque venire soddisfatta. Sempre, tuttavia, in una forma parziale e – soprattutto – compatibile con la logica in cui è racchiuso l’arcano delle straordinarie capacità assimilatorie e resilienti palesate da questa forma di vita: la «mercificazione è il processo più semplice attraverso il quale il capitalismo può riconoscere la validità di una critica e farla propria integrandola ai dispositivi che gli sono specifici». Un meccanismo di assorbimento ed «endogenizzazione» del dissenso che non incrina la fede di Boltanski e Chiapello nel fatto che un capitalismo vitale non possa mai fare a meno di uno «spirito». Costantemente rinnovato non da becchini o apologeti, bensì dai propri critici. E scaturisce da qui il compito che questo classico d’avanguardia lascia al lettore: inventare modi della critica che siano efficaci e credibili, dunque non mercificabili ed effettivamente radicali, per affrontare gli spiriti e gli spettri del capitale del ventunesimo secolo.

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