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alfabeta

Creditocrazia

Andrew Ross

Claire Fontaine Change2Anticipiamo un estratto da Creditocrazia e il rifiuto del debito illegittimo (ombre corte, 2015) in libreria da mercoledì 18 marzo. In questo lavoro di inchiesta e di denuncia, Andrew Ross analizza nei dettagli il funzionamento della schiavitù del debito, il ruolo delle banche, la subalternità della politica. Spiega i motivi per cui possiamo parlare di una vera e propria “creditocrazia”, di un sistema cioè in cui i governi rispondono esclusivamente al mondo della finanza, mentre i cittadini sono costretti a indebitarsi per soddisfare i propri bisogni primari.

 

Quando spingono per l’adozione di politiche di austerità, i falchi del deficit invocano spesso una giustizia intergenerazionale: è ingiusto trasmettere ai nostri figli e nipoti enormi debiti pubblici. Ma i debiti pubblici sono ben lungi dall’essere quella minaccia o quel peso oneroso così come ci vengono dipinti dai sostenitori dell’austerità. Probabilmente, sarebbe più ingiusto tramandare alla prossima generazione una democrazia gravemente compromessa, in cui ogni attività domestica è un mercato aperto ai creditori per estrarre rendita.

Quando una società converte i suoi bisogni sociali fondamentali in una fonte di rendite economiche per gli affaristi, rifiutare i debiti contratti in questo processo non è solo legittimo, come ho già affermato, ma anche il solo modo per garantire che il futuro dei nostri figli sarà diverso. Il prestito è sempre un atto di rinuncia al futuro, soprattutto quando i tassi di interesse composto ne assorbono grandi pezzi. I prestiti sono impegni anticipati del nostro tempo e del nostro lavoro. A che punto l’insieme di tutte queste promesse soffoca la possibiltà di un futuro diverso? Quando il costo di un debito eccede il valore del bene sottostante, siamo in una condizione di patrimonio netto negativo, per usare il linguaggio della finanza. Qual è l’equivalente per una società liberale? Quando la democrazia stessa fa default?

Durante la Guerra fredda, le democrazie occidentali hanno cercato di consegnare un futuro progressivamente migliore alla maggioranza della popolazione. Questa promessa si fondava sulla garanzia di un’assistenza sanitaria universale, e così la maggior parte di questi paesi ha istituito un sistema nazionale di prestazioni mediche. Le prime forme di assicurazioni sociali, in Gran Bretagna e in Germania, sono state istituite per allontanare lo spettro del socialismo, comprando il consenso politico dei lavoratori o arginando l’avanzata dei loro sindacati.

Negli Stati Uniti del dopoguerra, gli sforzi dell’amministrazione Truman per promuovere l’assistenza sanitaria nazionale sono stati efficacemente sommersi dalla sloganistica anti-comunista da parte dell’industria medica e dei suoi alleati parlamentari. I sindacati erano anche preoccupati di perdere la loro apprezzata capacità di conquistare protezioni sociali per i propri aderenti. Tuttavia, in assenza di un programma governativo universale, prosperavano le prestazioni di assistenza medica negoziate dal sindacato, che proteggevano i lavoratori dall’effettiva incidenza dei costi dell’assistenza sanitaria e che sono diventate una componente assolutamente centrale del contratto sociale del dopoguerra. Per competere in un’epoca di relativa piena occupazione, i datori di lavoro, in luoghi non sindacalizzati, erano anche costretti a offrire una serie di protezioni sempre maggiori, indipendentemente dal debito. In questo modo, il salario sindacale diventatva anche un salario sociale per una parte molto più ampia di popolazione. Per molti destinatari, i diritti per la salute dei lavoratori sono stati più apprezzati di una busta paga più consistente: l’assicurazione sanitaria è stata spesso un buon motivo per conservare un lavoro monotono.

Per quanto possa essere stata tenuta a galla dal credito al consumo, la creazione di un ceto medio relativamente stabile con aspettative crescenti e con qualche promessa di sicurezza fisica e mentale per la vecchiaia è stata il punto più alto delle conquiste del secolo americano. Ma questa realizzazione è stata costantemente erosa negli ultimi quarant’anni. I costi della sanità sono cresciuti tanto velocemente quanto i costi dell’istruzione universitaria, mentre l’aumento del debito medico, anche per coloro che hanno coperture assicurative private, sembra inarrestabile. Se giudicati secondo i parametri della assistenza sanitaria pubblica, gli Stati Uniti spendono molto di più nel trattamento medico, e con meno risultati, di ogni altra nazione industrializzata. Nel 2011 questi costi hanno rappresentato quasi il 18 per cento del Pil (l’Olanda era il paese ricco che più si avvicinava, con il 12 per cento) e, secondo le stime del governo, consumeranno un quinto dell’economia entro il 2021. Tra il 1950 e il 2011, il Pil reale pro capite negli Stati Uniti è cresciuto a una media del 2 per cento l’anno, mentre la spesa nazionale pro capite per l’assistenza sanitaria è cresciuta del 4,4 per cento l’anno19. Il divario tra i due tassi di crescita è insostenibile. Né vi è alcuna ragione di credere che i costi complessivi (e i debiti) saranno frenati dalle riforme sanitarie approvate dall’amministrazione Obama nel 2010, dal momento che i cambiamenti stimoleranno quasi certamente una crescita della spesa. Il sistema sanitario nazionale dovrebbe invece tagliare i costi, aumentare i risultati della cura sanitaria e sopprimere il peso schiacciante del debito medico (quasi inesistente nel resto del mondo industrializzato) distribuendo il rischio in modo appropriato.

L’“Obamacare” quasi certamente ridurrà i debiti per molte delle persone precedentemente non coperte da un’assicurazione. Ma i suoi mandati possono anche contribuire ad allargare la rete del debito ingrossando le file dei “sotto-assicurati”, che includeranno ora quelli che scelgono i “piani di bronzo”, con premi più bassi, coprendo solo il 60 per cento dei costi dei sottoscrittori. Questi ultimi possono anche richiedere più trattamenti rispetto a prima di essere assicurati, ma saranno incapaci di pagare per intero i loro conti ospedalieri e i costi delle medicine perché i “valori attuariali” stimati dagli assicuratori li condannano preventivamente a un sistema di prestito per coprire la differenza. Per il settore privato, l’Obamacare garantisce che questi profitti continueranno a essere suntuosi, non solo per l’industria medica, ma anche per le istituzioni finanziarie che riscuotono i debiti dei pazienti, fissano i rating di credito per gli ospedali e forniscono i prestiti per mantenere il complesso apparato guidato dal mercato nel mondo degli affari. Poiché il numero delle persone prive di assicurazione diminuisce, verrà meno anche la possibilità di una cura caritatevole del paziente, relativamente libera dal debito; gli ospedali pubblici e di comunità sono già stati spinti fuori dal mercato, mentre i giganti privati, e sempre più monopolisti, consolidano il loro dominio.

Uno dei segnali di vivere in una creditocrazia è che il futuro sembra essere stato confiscato. Non più accarezzato come un tempo in cui avremo conquistato il diritto a essere più liberi, il futuro è sempre più prefigurato come un periodo molto prolungato, che ora arriva fino alla vecchiaia, quando sarà duro affrontare i nostri debiti. Da qualche tempo, il settore finanziario è stato impostato sulla privatizzazione dell’assistenza sanitaria e della sicurezza sociale, i soli pilastri delle garanzie sociali rimasti in piedi dalla Guerra fredda. Nel 1980, il 40 per cento della forza lavoro americana godeva delle tradizionali pensioni a prestazioni definite. Più di metà di queste sono state convertite nei rischiosi piani 401(k), alimentando direttamente i profitti di Wall Street. Poiché spostano il rischio lontano dal datore di lavoro e lo scaricano sull’individuo, le aziende erodono il più velocemente possibile i vantaggi derivanti dai contratti di lavoro. Prendendo spunto dal settore privato, i politici e i dirigenti statali stanno sempre più spingendo affinché si operino profondi tagli negli oneri pensionistici relativi agli impiegati pubblici.

Lo stesso modello di declino si applica all’assicurazione sanitaria fornita dal datore di lavoro; coloro che ancora ne godono stanno pagando molto di più per i premi, ottenendone in cambio una copertura sempre minore. Uno dei risultati è il costante aumento della percentuale di bancarotte personali determinate dal debito medico: solo l’8 per cento nel 1981, sono salite al 50 per cento nel 2001 e hanno superato il 62 per cento nel 2007. La ricerca su questo modello condotta da Elizabeth Warren e altri colleghi di Harvard, ha scoperto che nel 2007 il 78 per cento aveva l’assicurazione sanitaria all’inizio della malattia, tra cui il 60,3 per cento aveva una copertura privata. Non ci sono prove che possano far pensare che l’Obamacare ridurrà le bancarotte dovute alla spese mediche: anzi, non vi è stata un’apprezzabile diminuzione quando lo stesso tipo di programma di assistenza sanitaria è stato introdotto in Massachusetts sotto il governatore Mitt Romney.

Altrettanto rilevante è il numero degli attualmente occupati costretti a prelevare degli anticipi sui loro fondi pensionistici per pagare i debiti medici, anche quando tale azione comporta notevoli sanzioni. Ciò equivale all’auto-cannibalizzazione per coloro la cui capacità di tenere insieme corpo e anima nel presente è stata decimata dalla sanità for-profit. Dare in pegno salari futuri è una parte implicita di qualunque formale contratto debitorio, ma in questo caso conservare la salute fisica nel presente implica il cedere i mezzi per farlo negli anni a venire. Garantire che gli anziani possano sopravvivere dopo aver perso la loro capacità di guadagnare un salario di sussistenza è un principio fondamentale di una società umana, ed è molto più importante, come prova della giustizia generazionale, del tenere sotto controllo i debiti pubblici. Quando siamo costretti a rinunciare alle garanzie a lungo termine al fine di sopavvivere nel breve periodo, allora il diritto alla vita, per non parlare di quello alla libertà, è in pericolo.

Ecco perché David Blacker include l’assistenza sanitaria, accanto al debito per l’istruzione, nella sua definizione di “debito esistenziale”,“un tipo di debito da cui è impossibile separare la propria stessa esistenza”. Sostiene che i debiti esistenziali, “che si sono accumulati contro il proprio vero essere, sono ipso facto intollerabili per ogni tipo di società giusta e democratica, perché, muovendosi attraverso la vita, annettono completamente gli individui, esercitando su di loro un controllo esorbitante”. Nel caso dei debiti studenteschi e medici, i beni proprietari – e quelli contro cui questi debiti si trovano cartolarizzati – sono autentiche componenti di noi stessi, non merci esterne come macchine e case. Infatti, è perché sono così intrinseci al mantenimento della vita e delle sue opzioni che questi modernissimi debiti americani sono spesso paragonati alle condizioni della servitù feudale e del peonaggio, dove i legami sono vincolanti per tutta la vita, inevitabili e determinanti per la sopravvivenza fisica. Riconoscere tali debiti come illegittimi non dovrebbe essere semplicemente un preludio alla contrattazione individuale sulle condizioni di rimborso. Il loro ripudio e, in ultima analisi, la loro abolizione, sono sicuramente una questione urgente per ogni società che valorizza la libertà umana.

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