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orizzonte48

Liberismo e liberalismo

La libertà non è un bene in sè, ma la insindacabile razionalità del mercato

di Quarantotto

liberalismo liberismo1 300x3001. Ritengo utile riprodurre, affichè non sia disperso e anzi abbia una sua sede espositiva "organica", l'approfondimento che Arturo e Bazaar hanno compiuto circa l'universo ideologico, potremmo dire la "visione del mondo", di Hayek, in quanto depositaria della radice (anzitutto) psicologica e della stessa struttura logica del pensiero liberista

E oltretutto, - cosa alquanto interessante agli italici fini-, in quanto portatrice di quella ambigua distinzione tra liberismo e presunto autonomo "liberalismo" (cfr; intervento di Arturo cit. nel finale), che tanto utile si riserva per tacitare le coscienze dei vari "liberali", assolvendoli dall'onere di comprendere, a un livello minimo attendibile, come funzioni il modello economico che si trovano, per lo più  inconsapevolmente, a propugnare (cioè ignorandone i veri effetti materiali e le reali conseguenze sociali).

 

2. Abbiamo visto come sia stato lo stesso Roepke a respingere l'idea (tutta "crociana" e confinata in Italia) del potersi distinguere tra liberismo e liberalismo. Come abbiamo più estesamente visto qui:

"Röpke non condivide l'idea che si possa distinguere tra liberalismo, che disegna l'ambito politico e culturale, e liberismo, che delinea i confini dell'economico.

Né tanto meno condivide l'idea che possa resistere a lungo un sistema che non coniughi la libera economia di mercato con istituzioni politiche liberali."

Per l'appunto, la "comoda" autodefinizione come "liberale", permette di non doversi assumere l'onere di comprendere il senso scientifico-economico e l'inscindibilità del "liberismo" (dal liberalismo), evitando così la prospettiva del fronteggiare la responsabilità, morale e culturale, di tutte le varie forme di autoritarismo, anche gravi e recenti, nonchè di fallimento sociale e politico, legate al liberismo-liberalismo.

La comoda autodefinizione in questione, dunque, è una forma di autolegittimazione di ordine psicologico, spesso alimentata da un confuso (quanto appagante) idealismo circa il concetto prioritario di libertà, concetto sbandierato come sinonimo dell'agire del "mercato", senza però conoscere il senso di questo "accoppiamento" piuttosto automatico.

 

3. Su questo punto ci illumina subito Bazaar con questa sintesi sarcastica ma tragicamente esatta delle "conseguenze" sociopolitiche di Hayek:

"Hayek semplicemente constata che la democrazia (intesa come "ordo") è un particolare ordinamento per cui, chi non passa la legge darwiniana (non è abbastanza blatta o ratto), non viene pinochettanamente lanciato giù da un aereo, ma viene "educato" dagli strumenti di propaganda di chi - al riparo del processo democratico - confeziona l'opinione pubblica.

Quando l'élite blatera di libertà (o meglio di liberalismo), anche se solo per bocca dei suoi "intellettuali" di riferimento come il mostro di Friburgo, parla di libertà dal "processo democratico", libertà dagli interessi collettivi.

Freedom from... freedom.

Tradotto: Power of the market free from... power of the people".

 

4. E ci siamo: perveniamo alla democrazia idraulica, espressamente teorizzata da Hayek e assunta oggi, con un indiscusso riflesso pavloviano, come concetto dominante di democrazia "conforme" alla attuale civiltà della comunicazione dell'immagine

E dunque contano i mezzi di comunicazione e formazione della pubblica opinione e, più ancora, ovviamente, il loro controllo e orientamento

Per quanto più volte citato, non è mai sufficiente ripetere questo concetto hayekiano:

«Il controllo economico non è il semplice controllo di un settore della vita umana che possa essere separato dal resto; è il controllo dei mezzi per tutti i nostri fini. E chiunque abbia il controllo dei mezzi deve anche determinare quali fini debbano essere alimentati, quali valori vadano stimati […] in breve, ciò che gli uomini debbano credere e ciò per cui debbano affannarsi». (F. von Hayek da "Verso la schiavitù", 1944).

Così lo stesso Bazaar, ci approfondisce il quadro del fenomeno:

"La democrazia per Hayek è essenziale dunque come metodo, non come fine. 

Rifacendosi a Tocqueville, egli sottolinea infatti che la democrazia è l'unico strumento efficace per educare la maggioranza, in quanto la democrazia è soprattutto un processo di formazione dell'opinione pubblica. Il suo maggior vantaggio sta quindi non nella sua immediata capacità di scelta dei governanti, ma nel far partecipare attivamente alla formazione dell'opinione pubblica la maggior parte della popolazione, e quindi nel permettere la scelta fra una vasta gamma di individui. 

Ma, una volta accolta la democrazia all'interno del liberalismo, Hayek non si stanca di ripetere che il modo in cui il liberale concepisce il funzionamento della democrazia è del tutto peculiare. [ndr, ora vai di supercazzola!] 

L'idea, infatti, che il governo debba essere guidato dall'opinione della maggioranza ha senso solo se quell'opinione è realmente indipendente dal governo stesso, poiché l'ideale liberale di democrazia è basato sul convincimento che l'indirizzo politico che sarà seguito dal governo debba emergere da un processo spontaneo e non manipolato.  

L'ideale liberale di democrazia presuppone, quindi, l'esistenza di vaste sfere indipendenti dal controllo della maggioranza, entro le quali si formano le opinioni individuali

Questa è la ragione, dice Hayek, per cui la causa della democrazia e la causa della libertà di parola e di stampa sono inseparabili. Da ciò discende che l'idea ultrademocratica che gli sforzi di tutti debbano essere guidati incondizionatamente dall'opinione della maggioranza o che la società sia tanto migliore quanto più si conforma ai principi comunemente accettati dalla maggioranza, è un vero e proprio capovolgimento del principio attraverso il quale si è sviluppata la civiltà (Enciclopedia del Novecento, 3° vol., 1978, p. 990)".

 

5. Si può dire (risposta a Bazaar) che "...questa è la versione per cui processo elettorale e opinione pubblica sono due cose distinte, o meglio, il controllo esercitato sulla seconda costituisce la pre-condizione di ammissibilità del primo.

Coloro che soprassiedono saldamente alla conformazione dell'opinione pubblica, però, devono inderogabilmente essere espressione di quella Tradizione, (per la verità molto recente...), che estrinseca e autentica ciò che può legittimamente costituire la Legge, ma avendo la sua origine nel mondo pre-istituzionale e superiore al processo elettorale

Questa predeterminazione a priori della Legge, da parte di una oligarchia insita nell'ordine naturale delle cose, fa in modo che la "legislazione" (cioè il prodotto istituzionale dei governi-parlamenti designati elettoralmente) sia sempre perfettamente conforme alla Legge a gli interessi della stessa oligarchia "naturale".

Questo processo di affermazione ininterrotto della Legge, implica un circuito che definiremmo costituzionale-materiale: i produttori-proprietari, cioè gli operatori economici, titolari degli interessi (unici) che incarnano la Legge, e gli operatori culturali (accademia, giornalisti, esponenti della letteratura e dell'arte) che la esplicitano, e la rendono adeguata agli svolgimenti storico-politici, nel formare l'opinione pubblica."

 

6. Il sottinteso (cioè, tale da non dover essere manifestato espressamente ai soggetti che lo subiscono) presupposto elitario di esercizio del potere politico-istituzionale, come appare evidente, rende il processo elettorale (solo) un metodo di rafforzamento del potere di condizionamento dell'opinione pubblica. Cioè l'esito del processo elettorale deve essere costantemente una sua mera conseguenza.

Al punto che permette di elaborare un ulteriore camuffamento della vera titolarità del potere supremo di decisione politica: il concetto di mercato, impersonale e svincolato dall'individuazione di una qualsiasi categoria sociale di essere umani.

L'oligarchia-elite, detentrice del potere di fissare la Legge al di sopra di ogni istituzione sociale (elettiva o meno che sia), trasforma in una meta-necessità incontestabile (come le trasformazioni climatiche o gli eventi meteorologici o terremoti e cicloni), il "governo dei mercati"

 

7. Questo legame tra "libertà", Legge e "ordine del mercato", nell'ambito del liberismo, (che poi è il liberalismo: come abbiamo visto, inutile distinguerli ai fini fenomenologici), ci viene ben illustrato da Arturo:

"L'autonomia (dell'opinione pubblica dal governo, in quanto espressione della "tirannica" maggioranza, ndr.) che intende difendere Hayek non va intesa come un spazio "processuale" democratico nell'ambito del quale possono essere elaborate le più diverse soluzioni e proposte politiche. 

Tale autonomia risulta meritevole di difesa solo in quanto il nostro ritiene che certi gruppi, che naturalmente si premura di individuare lui, siano depositari di una propensione al mantenimento dell'ordine spontaneo fondato su regole di pura condotta: una sorta di Volksgeist liberista, che dev'essere preservato dall'influenza culturale "costruttivista" (cioè dai processi normativi e di intervento pubblico, oggi, basati sulle Costituzioni democratiche, ndr.).

Ripeto però che questo comporta una nettissima clausola limitativa, in quanto l'ordine del mercato non può essere né progettato né discusso razionalmente, perché è esso stesso a produrre la ragione, salvo che questa decida "abusivamente" di allontanarsene. 

Ovvero l'autonomia di cui parla Hayek rappresenta semplicemente l'insieme delle strategie sociali e politiche (la famosa "demarchia") con cui intende portare avanti la sua agenda politica.

Di cui la denazionalizzazione della moneta è un elemento fondamentale, a cui una federazione europea interstatale può, nella sua stessa interpretazione (The Economic Conditions of Interstate Federalism), assolvere egregiamente. 

D'altra parte gli stessi libertari italiani erano, fino a non tanto tempo fa, disponibilissimi nei confronti dell'euro proprio per i suoi effetti di smantellamento dello stato sociale (vedi più estesamente De Soto, con ricche citazioni di Hayek e Mises); ora, con altrettanto pragmatismo (tira una certa arietta...), lo (ri)mandano "...al diavolo".

 

8. E dopo questa anamnesi, impietosa, ma nondimeno (almeno ai miei occhi) ben capace di fare chiarezza sul vero senso politico di tutto lo spaghetti-strepitio su "libertà&(convenienza delle) elites economiche", lo stesso Arturo ci propone  una diagnosi che prefigura una parte della terapia:

"Una delle (tante) obiezioni che è stata rivolta ad Hayek è l'implausibilità sul piano storico-sociologico della qualifica di "spontaneo" all'ordine del mercato. Perché mai sarebbero spontanei l'imposizione delle norme del code civile in materia di rapporti di lavoro o il regime di proprietà realizzato dalle enclosures, ma non forme di controllo pubblico del credito? 

Ovvero come si fa a separare storicamente "costruttivismo" e "spontaneità", pubblico e privato, se non sapendo già fin dall'inizio che cosa si intende trovare?

E' interessante notare che questa obiezione è stata formulata sia da difensori della democrazia interventista sia da suoi acerrimi nemici, come Rothbard, che riteneva appunto storicamente implausibile, e quindi politicamente debole, il criterio proposto da Hayek."

 

9. Sempre da Arturo, cercando di selezionare tra le cose, sempre significative, che ci propone, possiamo infine meglio comprendere, ormai, alcune conclusioni riassuntive dell'intero quadro finora tratteggiato:

"...Hayek, poverino, ci aveva anche provato a contrapporsi alle teorie keynesiane negli anni Trenta: il risultato fu che si coprì di ridicolo (c'è un celebre passo della biografia di Ebenstein che è molto divertente) e perse alcuni dei suoi più brillanti allievi, come Lerner e Kaldor...

Dopodiché, da quell'intellettuale tout politicien che è, fu molto cauto a calibrare i suoi attacchi, paludandoli con un armamentario filosofico che gli consentiva la libertà di manovra di cui aveva bisogno (la lettura in sequenza delle sue successive prefazioni alla Via verso la schiavitù è veramente illuminante a questo proposito). 

Fu purtroppo molto efficace sul piano politico-ideologico ed è per questo che qui ce ne occupiamo, mentre i veri e propri anarco capitalisti - con tutto il rispetto - almeno in Italia si possono tranquillamente ignorare (se non per le munizioni che possono fornire contro gli stessi Hayek e co.).

In ogni caso, su quelli che erano i suoi obiettivi ultimi, credo sia molto istruttiva la lettura di questo articolo di Corey Robin

"The distinction that Hayek draws between mass and elite has not received much attention from his critics or his defenders, bewildered or beguiled as they are by his repeated invocations of liberty.

Yet a careful reading of Hayek’s argument reveals that liberty for him is neither the highest good nor an intrinsic good. It is a contingent and instrumental good (a consequence of our ignorance and the condition of our progress), the purpose of which is to make possible the emergence of a heroic legislator of value." 

Il che consente di chiarire ulteriormente, casomai ce ne fosse bisogno, il significato e il valore che Hayek poteva attribuire all'indipendenza dei più."

 

Traduco il brano citato in inglese per la miglior comprensione di tutti, dato che l'intuizione di Corey Robin ci pare particolarmente attagliarsi per spiegare l'ostinato equivoco su "libertà&libertari" che accompagna l'impoverito e riduzionistico dibattito politico dell'odierna Italietta, filo-europea senza aver neppure imparato a riconoscerne, veramente, le ricadute e i costi (economici e democratici):

"La distinzione che Hayek istituisce tra massa e elite non ha ricevuto una grande attenzione dai suoi critici e dai suoi (stessi) sostenitori, sconcertati o sedotti dal suo continuo invocare la libertà.

Tuttavia un'attenta lettura del ragionamento di Hayek rivela che per lui la libertà non è nè il bene supremo nè un bene in sè. E' un bene contingente e strumentale (una conseguenza della nostra ignoranza e la condizione del nostro progresso), il cui fine ultimo è rendere possibile l'emergere di un legislatore eroico del "valore". Cioè l'ordine del mercato, fondamento della stessa razionalità che, apparentemente impersonale, è invece, molto personalisticamente, quella della convenienza della elite...

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