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coniarerivolta

Dalla Grecia alla Spagna: non alzare la testa, non alzare i salari

di coniarerivolta

morganPuntuale come le sciagure, cieca e premonitrice come Tiresia, è arrivata l’ammonizione della Banca Centrale Spagnola al neo insediato governo progressista di Spagna. Il nuovo esecutivo una settimana fa, circa, ha varato l’aumento del salario minimo e si appresta, nelle intenzioni, a modificare almeno in parte le contro-misure del lavoro varate dai precedenti governi dopo la drammatica crisi che ha coinvolto la Spagna e l’Europa intera. Noi stessi abbiamo appena fatto in tempo a sottolineare l’ostilità istituzionale nel quale l’esecutivo rosso-viola si sarebbe trovato ad agire, che la prima intimidazione è giunta.

Preservare innanzitutto la competitività delle merci nazionali, dice il governatore del Banco de España, che tradotto significa tenere i salari bassi. Se già l’approvazione dell’aumento del salario minimo avrebbe già rischiato di far scattare la molla dell’inflazione, è la messa in discussione delle riforme liberiste del mercato del lavoro che preoccupa il Governatore Pablo Hernández de Cos. Egli ha così voluto mettere in guardia l’esecutivo dal tornare a una contrattazione centralizzata e di settore, abbandonando la contrattazione aziendale introdotta dal precedente governo di centro destra. C’era da aspettarselo, ma crediamo sia giusto spiegare la logica di questo intervento, perché esso rivela quale sia il modello di crescita che ispira tutte le politiche europee e, in generale, quale sia il modello di “cooperazione” tra gli Stati e di relazioni sociali al loro interno. E questa logica ha almeno due facce che meritano di essere indagate: quella che guarda alla strategia di crescita e quella che guarda all’idea di distribuzione del reddito. Proviamo a muoverci in un circuito in cui, partendo dai rilievi della Banca Centrale Spagnola, passeremo per la crescita dell’economia, la distribuzione del reddito e torneremo alle parole del Gobernador.

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coniarerivolta

Ichino, Boeri e il paese della cuccagna

di coniarerivolta

ichboDa ormai un decennio viviamo i postumi di una massacrante crisi economica e finanziaria che ha lasciato strascichi incommensurabili. Il nostro paese, come l’intera periferia europea (e ormai anche le aree più ricche del continente), è investito da una crisi di portata storica: disoccupazione a due cifre, salari da fame, precarietà del lavoro, carenza di servizi pubblici e di adeguati ammortizzatori sociali. In questo scenario drammatico, tuttavia, emergono delle disparità territoriali che mostrano tutte le contraddizioni del sistema economico in cui viviamo. Nel caso dell’Italia, ad esempio, la disoccupazione al Sud si attesta al 18%, coinvolgendo circa 1 milione e mezzo di persone. Niente di comparabile a ciò che accade al Centro e al Nord dove, sebbene sostenuta, la disoccupazione si ‘ferma’ rispettivamente al 9 e al 7 percento. Stesso discorso qualora facessimo riferimento al reddito pro-capite: è infatti rilevante la forbice che esiste tra i circa 18mila euro medi della Calabria (la regione più povera) e i 38mila della Lombardia. Questo lo spaccato di un paese in cui la crisi e le successive politiche di austerità in ossequio ai vincoli europei hanno ampliato i differenziali tra individui residenti in diverse regioni, e, da Siracusa a Bolzano, fatto impennare disuguaglianza e disoccupazione.

Un paese diviso in due, quindi, che a qualcuno ha ricordato la storica divisione tra Germania Est e Ovest. Stiamo parlando di Pietro Ichino e Tito Boeri, due personaggi che hanno spesso fatto capolino tra le pagine del nostro blog, mai per prendersi complimenti.

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La crisi di sistema italiana, tra Falsari e realtà

di Claudio Conti

BV N .ZK . BJDVJSDNCMSDL’ultimo weekend dell’anno, tradizionalmente, vede i giornali proporci ponderosi articoli di “bilancio” dei dodici mesi appena trascorsi, con qualche tentativo di azzardare “soluzioni” alla perenne crisi italiana.

Ogni tradizione è tutt’altro che innocente e quindi abbiamo scelto di proporvi due articoli completamente opposti, pur provenendo da due testate che sono parte integrante della “buona borghesia” nazionale. La quale non deve attraversare un periodo facile, se è oscillante tra due visioni – e interessi – così lontane.

La diversità è anche nel tipo di testata, oltre che nell’Autore. La prima è un antico e noto – ma non “prestigioso” – quotidiano italico, che affida “l’articolessa” a un notissimo protagonista della politica nazionale con riconosciute competenze economiche. L’altra è un quotidiano “di nicchia”, specializzato sui temi economici e dunque letto da “addetti ai lavori” (imprenditori e operatori finanziari), che si affida invece a un analista dalla penna feroce, piuttosto incline a guardare le cose in faccia, per come sono. Che è poi quello che chiede il “lettore tipo” di quel giornale (gente che deve investire o gestire cifre importanti e dunque ha bisogno di informazioni vere, non di “narrazioni”).

Date queste premesse, avrete già capito che il primo editoriale è scritto da un Falsario in servizio permanente effettivo, il secondo ci aiuta a districarci nella nebbia. Ma è bene conoscerli entrambi, perché per combattere i luoghi comuni (ideologia pura, ossia “falsa coscienza”) del primo occorre conoscere, se non padroneggiare, le informazioni e la logica del secondo.

Anche il Falsario, comunque, deve partire a un fatto vero per dare l’impressione della serietà al suo argomentare. Sarà l’unica cosa vera del suo articolo e quindi citiamola:

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Non solo Popolare di Bari

Intervento dello Stato e moneta pubblica per rilanciare l’economia

di Enrico Grazzini

pop.bariLa brutta storia della Banca Popolare di Bari dice chiaramente che le banche sono “troppo importanti per essere lasciate in mano ai banchieri”. Le indagini giudiziarie sono in corso, ma lo stato è ancora una volta dovuto intervenire per salvare i risparmiatori. Lo stato però non dovrebbe essere costretto a salvare d’urgenza le banche in pericolo con improvvisi decreti notturni spendendo i soldi dei contribuenti: dovrebbe innanzitutto avere una sua autonoma potestà monetaria, un potere monetario almeno pari a quello degli istituti privati di credito. Il caso della banca di Bari è tutto meno che isolato: la crisi riguarda e ha riguardato anche il Monte dei Paschi di Siena, la Banca Carige, o nel recente passato, la Banca del Veneto, o quella di Vicenza, ecc, ecc, ecc. Il problema non è solo che la Banca d’Italia di Ignazio Visco forse ha commesso qualche errore e qualche distrazione di troppo! O che le regole dell’Unione Bancaria e dell’Unione Europea – a favore del bail in e contro l’intervento pubblico, considerato aiuto di stato che distorce la competizione - hanno aggravato pesantemente la crisi bancaria italiana invece di risolverla. Il problema strutturale è che, se lo stato non ha nessun potere monetario, allora il bilancio statale, l’economia italiana e gli investimenti pubblici sono bloccati, e che tutta l’economia nazionale – non solo le banche, ma anche le industrie, vedi i casi Ilva, Alitalia, Whirpool, AST, ecc. – è ferma ed è sempre sull’orlo del collasso. La questione è strutturale: lo stato dovrebbe potere intervenire sia in campo bancario che più in generale nell’economia con le sue banche pubbliche e con una sua (quasi)moneta per sviluppare l’economia italiana, svoltare e finalmente portarla fuori dalla crisi.

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coniarerivolta

Autonomia differenziata, sfruttamento generalizzato

di coniarerivolta

rpCon la fine del Governo giallo-verde, sembrava essere caduta nel dimenticatoio la riforma leghista per eccellenza: l’autonomia differenziata. A ben vedere, tuttavia, essa sembra soltanto rinviata. Se, come pare probabile, il prossimo sarà un governo di centrodestra a trazione leghista, si può scommettere che il regionalismo differenziato sarà uno dei primi punti all’ordine del giorno. E non è neanche detto che si debba aspettare il prossimo esecutivo. Nel disperato (e, probabilmente, illusorio) tentativo di conquistare il consenso dell’imprenditoria settentrionale, potrebbe essere lo stesso governo giallo-rosè ad anticipare i tempi di questa sciagurata riforma. D’altro canto, le recenti dichiarazioni del Ministro degli Affari regionali, Francesco Boccia, in base alle quali la bozza di una fantomatica “legge quadro” sarebbe quasi pronta, appaiono come dei tristi presagi.

Tuttavia, al di là di qualche fumosa dichiarazione, ad oggi dell’autonomia differenziata si sa forse meno di prima. All’epoca della trattativa tra il Conte-I e le Regioni, interessate all’attuazione dell’articolo 116 della Costituzione, circolavano soltanto delle bozze di accordo, che non avevano mai trovato una forma definitiva. Trarre conclusioni su come, concretamente, avverrebbe il trasferimento di competenze e quindi di risorse dallo Stato alle Regioni è dunque pressoché impossibile. Logica vuole, tuttavia, che tale trasferimento comporti necessariamente un disimpegno da parte dello Stato, nel finanziamento delle competenze in questione, e un aumento delle risorse che le Regioni vorranno trattenere per adempiere ai nuovi compiti.

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coniarerivolta

Per quest’anno non cambiare, stesso fisco padronale

di coniarerivolta

lottatassecontinuaAl tempo dell’esecutivo giallo-verde vari esponenti della galassia del centro-sinistra, da Leu al PD, criticarono aspramente il governo per aver portato avanti una riforma fiscale che andava a ridurre la progressività del sistema tributario italiano facendo pagare meno imposte ai più ricchi. Verità indiscutibile, ma a ben vedere del tutto superficiale e strumentale, sia per il pulpito da cui veniva la predica sia per la ristrettezza di giudizio in merito alle caratteristiche complessive del sistema fiscale italiano.

La pessima riforma fiscale Lega-5stelle che allargava il regime forfettario alle partite IVA fino a 65.000 euro e poi, in previsione, con un secondo scaglione al 20% fino a 100.000, era infatti la punta di un iceberg enorme costruito in decenni di stravolgimento delle imposte italiane e annichilimento del loro grado di progressività. Un processo portato a compimento con dovizia da tutte le parti politiche che oggi siedono in parlamento, molto prima e molto oltre gli effetti del pur inaccettabile sistema forfettario per le piccole partite IVA, che ha visto sottrarre alla progressività dell’imposta enormi quote di redditi da capitale tramite numerosi espedienti.

Prova ultima della totale inconsistenza e strumentalità di quelle critiche di PD, Leu e anime varie del centro-sinistra, è proprio la piena continuità con le linee precedenti di politica tributaria seguita dall’attuale governo. Al margine della non approvazione del secondo scaglione della flat tax al 20% per i redditi oltre i 65.000 euro annui e fino a 100.000, motivata peraltro più che da motivi equitativi dal consueto richiamo ai vincoli di bilancio, la linea di politica fiscale del Governo non rappresenta in alcun modo un cambiamento di passo rispetto alla consolidata tendenza pluridecennale.

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coniarerivolta

La trappola delle clausole di salvaguardia

L’austerità si fa ma non si dice

di coniarerivolta

trapLa stagione della manovra ha un linguaggio tutto suo. Puntualmente, verso l’inizio di ottobre, si inizia a parlare di obiettivi di deficit e debito, di “manovre da tot miliardi”, di “sterilizzazione delle clausole IVA”. Un cittadino interessato potrebbe trovarsi disorientato dalla massa di informazioni che viene riversata sulle pagine internet e amplificata dagli studi televisivi, ma soprattutto dal lessico degli “addetti ai lavori”, che spesso nasconde vere e proprie trappole, volte a nascondere l’essenza, ormai stabilmente recessiva e antipopolare, delle diverse manovre che si succedono nel tempo. Cerchiamo, dunque, di fare ordine e di capire il significato che si nasconde dietro il gergo, per nulla innocente, degli amministratori dell’austerità.

Partiamo dal principio. Di cosa parliamo quando discutiamo la manovra economica? La Legge di stabilità – la nuova denominazione che nel 2009 fu attribuita alla legge finanziaria – era la legge ordinaria che regolava la politica economica nazionale per il triennio successivo, coerentemente con gli obiettivi programmatici fissati nel Documento di Economia e Finanza (DEF). Insieme alla legge di bilancio, la legge di stabilità costituiva il principale strumento dell’intervento pubblico nell’economia. Parliamo al passato perché dal 2016 queste due componenti – la legge di stabilità e la legge di bilancio – sono confluite in un unico testo legislativo, la nuova legge di bilancio (!). Tanto per rendere le cose più semplici ai non addetti ai lavori, ancora oggi questo documento unico viene semplicemente chiamato finanziaria o manovra economica.

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coniarerivolta

Redistribuire: i soldi ci sono, basta andare a prenderli

di coniarerivolta

Potere al Popolo! ha lanciato una mobilitazione sul tema della redistribuzione della ricchezza, con iniziative di sensibilizzazione che avranno luogo in tutta Italia nella giornata di sabato 16 novembre. Di seguito il nostro contributo all’iniziativa

wolfIn una delle scene cult di Pulp Fiction, la nota coppia di gangster si ritrova davanti ad un increscioso problema: sui sedili posteriori della loro auto un ragazzo ha appena ricevuto un colpo di pistola alla testa, c’è sangue dappertutto e la macchina è zeppa di brandelli di materia grigia. I due malviventi devono assolutamente ripulire l’auto e liberarsi quanto prima di ciò che resta di quel corpo. Presi dal panico, si rivolgono ad un famigerato problem solveril signor Wolf, che si presenta sul luogo del misfatto e aiuta i due criminali ad uscire da quella situazione complicata.

L’esplosione delle disuguaglianze che si sta verificando nei principali paesi avanzati ricorda molto questa scena di Tarantino. Ma la sempre maggiore concentrazione della ricchezza in poche mani rappresenta un increscioso problema solo per lavoratori e disoccupati, perché non siamo tutti sulla stessa barca e, quando le disuguaglianze si allargano, i lavoratori perdono reddito in favore di profitti e rendite. Solo una parte della società, dunque, avrebbe davvero bisogno dell’intervento di un Mr. Wolf.

In Italia i lavoratori riescono ad appropriarsi oggi del 65% del prodotto sociale, mentre negli anni Settanta i salari si aggiudicavano circa il 75% della torta. Abbiamo così assistito ad una redistribuzione del reddito dai salari ai profitti di 10 punti percentuali che si spiega solo in base ad un progressivo spostamento dei rapporti di forza in favore del capitale: indebolimento del sindacato, costante riduzione dello stato sociale, flessibilizzazione del mercato del lavoro con annessa proliferazione dei contratti precari e dei part-time involontari e, non ultimo, disoccupazione di massa hanno messo in ginocchio i lavoratori, consentendo al capitale di riprendersi quelle quote di reddito che una lunga e durissima stagione di lotte aveva assicurato ai salari.

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economiaepolitica

Chi assiste chi? Il meridione paga le pensioni del nord Italia

di Vincenzo Alfano*, Lorenzo Cicatiello**, Pietro Maffettone***

Pensioni 2020: La "questione meridionale" ed il tema del "dualismo e delle due velocità del nostro Paese"

welfare 2020 640x427La cosiddetta questione meridionale, ed il tema del dualismo e delle due velocità del nostro Paese, hanno storia molto antica: basti pensare che a leggere Nitti, politico e studioso del tema di classe 1868, pare di trovarsi di fronte un moderno editoriale su di un giornale italiano.

Si ripete una retorica che vede nei, pur ampi, divari di capacità fiscale nel nostro paese, due diversi ed opposti poli. Questi sarebbero un Meridione stantio, che beneficia di una redistribuzione a cui contribuiscono in maniera netta le viceversa avanzate e prospere regioni del Nord, talvolta raffigurate come stanche di far la carità ad un Mezzogiorno borbonico, cronicamente arretrato, spendaccione ed incapace di auto-sostentarsi. I livelli di spesa primaria per i cittadini italiani sarebbero dunque garantiti come (all’incirca) omogenei solo grazie a questo trasferimento fiscale lungo la direttrice Nord-Sud, una vera e propria autostrada di trasferimenti di risorse pubbliche. L’efficacia di questo tipo di narrativa è sotto gli occhi di tutti. Senza voler addentrarci troppo a fondo in argomentazioni politologiche di carattere tecnico sul populismo e la retorica secessionista, non sembra peregrino pensare che l’ascesa della Lega di Bossi (e poi di Maroni, ed in parte anche l’ultima di Salvini) e del tema del federalismo fiscale (declinato in vari modi nel corso degli ultimi trent’anni), abbiano come comune punto di appoggio intellettuale una tale visione.

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coniarerivolta

Abolire Quota 100: la guerra alle briciole per le briciole

di coniare rivolta

pensionatiChe ‘Quota 100’ fosse una misura limitatissima e di corto respiro rispetto alle gravissime falle e inadeguatezze sociali del sistema pensionistico italiano, era chiaro sin dall’introduzione della misura. Il provvedimento, lo ricordiamo, consente in via sperimentale, per il triennio 2019-2021, agli iscritti all’INPS, di conseguire il diritto alla pensione anticipata non appena venga raggiunta un’età anagrafica di almeno 62 anni e un’età contributiva di almeno 38 anni. Una misura che non risolve in alcun modo il problema delle esigue pensioni attese dai lavoratori per via del combinato disposto di sistema contributivo e carriere lavorative precarie e che, proprio nella logica perversa del contributivo, offre ai lavoratori una triste alternativa tra anticipo del diritto alla pensione ed entità della pensione stessa. Insomma, un mero lenitivo che, per soli tre anni, ha reso meno rigido il sistema di accesso anagrafico e da anzianità contributiva alla pensione, consentendo a molti la possibilità di godersi qualche anno in più di meritato riposo a spese di un minor reddito pensionistico. Tutte queste caratteristiche hanno mostrato, con grande evidenza, la linea velleitaria e del tutto subordinata alla politica economica patrocinata dalle classi dominanti e dalla regìa europea dei pochissimi e striminziti provvedimenti sociali del precedente governo giallo-verde.

Eppure, nel dibattito riguardante la predisposizione, ancora in corso, del disegno di legge di bilancio del nuovo Governo, si è giunti ad un’evoluzione che supera la stessa immaginazione, con punte di apparente masochismo politico.

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micromega

Ricchi, brutti e cattivi: il capitalismo, il Nobel, il “pensiero unico”

di Carlo Clericetti

mario monti emiliano brancaccio nobel economia 2019L'economista Emiliano Brancaccio scrive un libro sul Nobel che va (quasi) sempre ai liberisti e in Svezia, di tutta risposta, decidono quest’anno di far vincere tre studiosi della povertà: “L'avevamo previsto”, replica. Di economia e potere – ma anche di Italia e di Europa – hanno discusso all'università Roma Tre con l’autore un Mario Monti in versione progressista e un Giorgio La Malfa keynesiano di ferro: un dibattito frizzante tra due liberali e un marxista.

Qualche ora dopo che la Banca di Svezia aveva comunicato i nomi dei vincitori del Nobel per l’economia di quest’anno, il 14 settembre, ad Economia di Roma 3 si è svolto un dibattito di alto livello sul libro di Emiliano Brancaccio e Giacomo Bracci “Il discorso del potere. Il premio Nobel per l’economia tra scienza, ideologia e politica”. Il libro esamina a chi e perché sia stato conferito il riconoscimento: ne emerge che sono stati scelti quasi soltanto studiosi di orientamento neoclassico, quelli comunemente definiti neoliberisti. Persino Jo Stiglitz e Paul Krugman, che oggi avversano quelle dottrine, sono stati premiati per studi precedenti assai più allineati alle teorie dominanti. L’economia, dice Brancaccio, crea “il discorso del potere”, quello che serve per giustificare determinate decisioni, e dunque spesso dal potere è influenzata.

Quest’anno però sono stati premiati studiosi che si occupano di come combattere la povertà, che non sembrerebbero allineati con le posizioni dei potenti. Ma forse la spiegazione è nelle parole di Mario Monti, che ha detto di aver saputo di “un certo nervosismo” a Stoccolma quando si è saputo del libro in preparazione: la scelta può essere stata una risposta indiretta alla critica di Brancaccio e Bracci, un tentativo di dimostrare che non è vero che per vincere il Nobel bisogna essere seguaci del “pensiero unico”.

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micromega

L’attesa di tempi migliori

di Guglielmo Forges Davanzati

Il documento di Economia e Finanza e l’assenza di misure per la crescita

nadef green new deal 320x234Sembra di trovarsi in una condizione macroeconomica per molti aspetti simile a quella che Hegel definiva “la notte delle vacche nere”. Sebbene l’insediamento del Governo Conte 2 abbia coinciso con la riduzione dello spread e, dunque, con minori interessi monetari da pagare ai creditori dello Stato italiano, non si rilevano apprezzabili cambiamenti soprattutto per quanto attiene alla prosecuzione delle misure di moderazione salariale e della conseguente deflazione. Sia chiaro che la deflazione (ovvero il rallentamento del tasso di inflazione) comporta riduzioni del tasso di crescita, dal momento che, da un lato, induce i consumatori a posticipare gli acquisti, attendendosi ulteriori riduzioni dei prezzi, e, dall’altro, spinge le imprese a posticipare i loro investimenti, in considerazione del fatto che i costi sostenuti sono minori dei profitti attesi.

La nota di aggiornamento al documento di Economia e Finanza (NADef) recentemente pubblicata si muove nella direzione corretta, soprattutto mediante la pressoché obbligata sterilizzazione dell’aumento dell’IVA. Ma non va oltre, affidandosi a un recupero dell’evasione fiscale verosimilmente sovrastimato, come osservato da molti commentatori. Ciò è probabilmente dovuto all’urgenza con la quale questo esecutivo intende procedere e, ancor più, al tentativo (a quanto pare al momento di successo) di ripristinare rapporti ‘di buon vicinato’ con le Istituzioni europee.

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sbilanciamoci

Alcuni aspetti trascurati dello sviluppo economico cinese

di Vincenzo Comito

Lo strabiliante sviluppo della Cina contemporanea viene comunemente fatto risalire alle riforme di Deng Tsiao Ping nel 1979 ma a ben vedere senza i programmi sociali precedenti questo sviluppo non avrebbe attecchito

38911980385 29d92ed2b8 kLa Cina ha da poco festeggiato il 70 ° anniversario della nascita della repubblica popolare.In questi settanta anni abbiamo assistito ad uno degli eventi più importanti della storia contemporanea. Il Paese più popoloso del mondo, che si trovava in una situazione di grande povertà e arretratezza economica, tecnologica, sociale, è arrivato alla prima posizione in classifica nel settore industriale, poi in quello commerciale ed infine in quello del Pil (calcolando almeno questo indicatore con il criterio della parità dei poteri di acquisto), mentre ora esso sta cercando di raggiungere anche la posizione di comandonelle tecnologie. E sembrano esserci molte probabilità che ci arrivi abbastanza presto.

Con queste note vogliamo sottolinearealcuni aspetti di tale crescita che sono messi quasi sempre poco in rilievo nei numerosi commenti che possiamo leggere e ascoltare in queste settimane di commemorazione dell’anniversario, ma che, nondimeno, ci appaiono molto importanti per capire meglio il processo di sviluppo del Paese.

 

Prima del 1979

Tutti fanno riferimento al grande salto in avanti compiuto dall’economia cinese a partire dal 1979, sotto l’impulso in particolare delle nuove politiche avviate in quell’anno da Deng Tsiao Ping; in effetti, a tale data la Cina era ancora uno degli Stati più demuniti del mondo, con il 60% circa della popolazione che viveva sotto la soglia della povertà, mentre ancora i tre quarti degli abitanti erano concentrati in campagna.

Ma pochi si soffermano sul fatto che fondamentali premesse allo sviluppo successivoerano state poste nei decenni precedenti al 1979 attraverso i programmi sociali del nuovo governo rivoluzionario.

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palermograd

Oltre il "breveperiodismo", promuovere innovazioni attraverso l'intervento pubblico

Marco Palazzotto intervista Guglielmo Forges Davanzati

keynes2Guglielmo Forges Davanzati (Napoli, 1967) è professore associato di Economia Politica presso l’Università del Salento, e titolare degli insegnamenti di Macroeconomia e di Economia del Lavoro presso la medesima sede. Si occupa di teorie postkeynesiane della distribuzione del reddito, della crisi italiana e dei divari regionali, di Storia delle teorie economiche. Fra le sue più recenti pubblicazioni si segnalano le monografie Ethical codes and income distribution: A study of John Bates Clark and Thorstein Veblen (London: Routledge, 2006) e Credito, produzione, occupazione: Marx e l’istituzionalismo (Roma: Carocci, 2011).

* * * *

Non possiamo evitare di parlare della situazione italiana e in particolare del governo appena nato. Anche Liberi e Uguali è entrato nell’esecutivo. Da più parti si plaude a questa nuova formazione (ad esempio i tre grandi sindacati confederali). Tale ottimismo è basato sull’ipotesi che ci sarà maggiore attenzione alle politiche sociali. Sicuramente c’è una diversità tra il precedente Conte e l’attuale. Ma le premesse non sembrano indicare una significativa svolta. Lei cosa ne pensa?

Dal mio punto di vista, la svolta c’è stata, è stata di una rapidità inattesa e, nelle condizioni politiche date, da salutare positivamente. L’essersi liberati dalla Lega al Governo non è cosa di poco conto. Anche alcune premesse fanno ben sperare: penso innanzitutto alla messa in discussione del progetto di autonomia differenziata e anche al superamento della flat tax. E penso a ciò che ha in programma il nuovo Governo per il Mezzogiorno: mi riferisco, in particolare, al piano per il Sud recentemente annunciato, con incrementi di investimenti pubblici, del tutto in linea con le raccomandazioni contenute negli ultimi rapporti SVIMEZ.

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economiaepolitica

La parziale riscoperta della politica fiscale al tempo della stagnazione secolare

di Davide Cassese

what is fiscal policy 640x414Nel 2014 Larry Summers, durante un discorso presso l’FMI, sosteneva che l’economia mondiale avrebbe corso il rischio di essere impigliata in una stagnazione secolare (Summers, 2014; 2015), vale a dire in una situazione di bassa crescita e di contestuale incapacità delle banche centrali di agire nella direzione di invertire il trend dell’economia, dato il livello dei tassi di interesse già eccezionalmente basso.

Da quel momento la questione della stagnazione secolare è entrata nel dibattito scientifico e sta acquisendo molta importanza presso gli addetti ai lavori. Su questa rivista una fedele ricostruzione del dibattito è stata fatta da Di Bucchianico (2018).

Rispetto a questo fenomeno, oltre alla ricerca delle cause che possono determinarla, diventa rilevante anche la ricerca di soluzioni per superare la stagnazione stessa.

 

La stagnazione secolare e il ruolo della politica monetaria

Secondo Summers le cause della stagnazione secolare dovrebbero essere ricercate nel fatto che il tasso di interesse naturale – quello che metterebbe in equilibrio risparmi ed investimenti – si trovi in territorio negativo. Dato che il tasso di interesse di mercato non può essere negativo, essendo quindi superiore a quello naturale, l’economia si trova ad operare in un contesto di deflazione, in cui gli investimenti ristagnano. Come soluzione Summers sostiene che le banche centrali debbano mantenere i tassi di interesse nominali a zero per lungo tempo, così da generare aspettative di inflazione future. L’aumento dell’inflazione attesa avrebbe un effetto espansivo, attraverso la riduzione dei tassi di interesse reali: modificherebbe le decisioni di consumo ed investimento e darebbe vigore alla dinamica dell’economia.