Print Friendly, PDF & Email
Print Friendly, PDF & Email

contropiano2

La patrimoniale sbagliata è quella che piace alla Ue

di Claudio Conti

In calce l'articolo di Guido Salerno Aletta sull'argomento

hjsbckslmjfoihguygawjòlplkpjhilPatrimoniale, panacea per tutti i mali economici? Dipende… Quando – cadendo nella trappola ideologica imposta dalla narrazione dominante – si prova a rispondere alla domanda “dove si trovano i soldi per fare quello che proponete?” (chiunque sia a proporre una strategia diversa da quella ordoliberista), la mente di tutti va immediatamente a due totem: combattere l’evasione fiscale e fare una patrimoniale.

Non paradossalmente, tutti sono d’accordo a dire che “bisogna combattere l’evasione fiscale” –farlo, è notoriamente tutt’altra cosa – mentre la patrimoniale risulta normalmente più “divisiva”, spesso definendo il campo della destra autentica e quello della presunta “sinistra”.

Non ci dilungheremo qui sulla lotta all’evasione, che richiede la capacità di ricoprire un ruolo di governo con intento e determinazione rivoluzionari. E ragioniamo invece sulle facce nascoste della “patrimoniale”.

Lo facciamo facendoci aiutare – come spesso ci capita – da Guido Salerno Aletta, che ha prodotto l’editoriale di Milano Finanza che qui sotto riproponiamo.

La prima operazione da fare è relativamente semplice: cos’è una patrimoniale? E’ qualunque tipo di tassa calcolata, invece che sul reddito, sul patrimonio del contribuente. Salario, pensione, sussidi, ecc, sono redditi; depositi bancari, investimenti finanziari, immobili, terreni, ecc, sonopatrimonio.

Cosa c’è di più semplice allora che immaginare una tassazione sui secondi? Semplicità che nella realtà non esiste, però. Intanto perché bisogna distinguere i patrimoni mobiliari (che si possono cioè muovere, anche fuggendo all’estero, come soldi, azioni, obbligazioni) da quelli immobiliari, che stanno dove stanno e nessuno li può portare via.

Nel concreto della società italiana, il quadro è particolarmente complicato. Praticamente tutti i lavoratori dipendenti (e i pensionati) sono obbligati ad avere un conto corrente in banca o alle Poste. Quindi praticamente tutti hanno un patrimonio mobiliare, anche se quasi sempre minimo e spesso addirittura negativo (quando “si va in rosso”).

Print Friendly, PDF & Email

economiaepolitica

Crescita e PIL potenziale: le stime controverse di Bruxelles

di Davide Cassese

Output gap Italia | Secondo le stime di Bruxelles il PIL italiano è al di sopra del suo potenziale. Si tratta di stime assurde che porteranno a nuove richieste di austerità nel nostro Paese

output gap ItaliaDi recente la Commissione Europea ha rilasciato il Country Report per l’Italia, documento che descrive lo stato di salute dell’economia italiana e, in base ad esso, le raccomandazioni di politica economica per i Paesi membri. Dopo aver sottolineato i modesti progressi fatti dall’Italia nell’attuazione delle riforme strutturali, la Commissione ha riassunto i dati più significativi all’interno della tabella “Key economic and financial indicators”. Più di tutto, risulta di particolare interesse un dato riferito ad una variabile chiave per la politica fiscale: l’output gap. Sono stati diversi i contributi legati a questo tema pubblicati su questa rivista (Tridico, Meloni e Bracci, 2018; Tridico e Meloni, 2018; Cassese, 2018).

 

1. L’output gap e il NAWRU

L’output gap è una grandezza statistica stimata dalla Commissione Europea. Si compone di due elementi: il PIL effettivo, che è una grandezza osservata, calcolato dagli uffici nazionali di statistica dei Paesi membri, e il PIL Potenziale, che è una grandezza non osservabile e pertanto stimato dalla Commissione Europea con il metodo della Funzione di Produzione (Havik et al., 2014).

Tralasciando le critiche di teoria economica a cui può essere sottoposto il metodo della funzione di produzione, che si rifanno alla critica di Garegnani (1970) e di Pasinetti (1966) nell’ambito della Controversia sul capitale degli anni ’60, l’output gap corrisponde alla differenza percentuale tra il livello del PIL effettivamente prodotto dall’economia e il livello del PIL potenziale – cioè il massimo livello di PIL che può raggiungere l’economia con le risorse presenti, compatibilmente con la stabilità dei prezzi. Se l’output gap fosse positivo un’economia starebbe sovrautilizzando le risorse disponibili e ciò, nella visione della Commissione europea, dovrebbe portare ad una accelerazione del tasso di inflazione. Al contrario nel caso di un valore negativo. Tutto questo perché, secondo una teoria economica ben consolidata, esisterebbe un tasso di disoccupazione “strutturale” in corrispondenza del quale il tasso di crescita dei prezzi non accelera.

Print Friendly, PDF & Email

e l

Reddito di cittadinanza, non sparate sul governo

di Antonella Stirati

Come funziona e un’analisi dei pro e dei contro: Ci sono sia gli uni che gli altri, ma non si può bocciare senza appello una misura che allevierà le condizioni di un numero elevato di persone, da 2,7 milioni (stima Istat) a 3,6 (secondo l’Upb). Il confronto con gli impieghi alternativi e le ipotesi sui moltiplicatori fiscali, che potrebbero essere migliori di quelli dichiarati dall’esecutivo

o.484332L’introduzione del Reddito di cittadinanza nel sistema di welfare italiano è stato fortemente voluto dal Movimento cinque stelle ora al governo insieme alla Lega, ed è stato un cavallo di battaglia della campagna elettorale che lo ha portato a un forte successo, con il 32% dei voti nelle elezioni dello scorso anno. Nonostante il nome, si tratta di una misura non universale, ma condizionata a documentate condizioni di disagio economico del nucleo familiare ed alla disponibilità, per i beneficiari che siano in età da lavoro e disoccupati, ad accettare percorsi di formazione e offerte di lavoro. Esso consiste nell’erogazione di un reddito fino a un massimo di 500 euro mensili per un singolo individuo, e poi articolato secondo la tipologia familiare: ad esempio 900 euro per una coppia con due figli minori e di 1050 euro (l’importo più alto) per famiglie più numerose, che può essere ulteriormente integrato da un contributo fisso di 280 euro mensili per il pagamento dell’affitto. Il RDC potrà essere versato per intero oppure come integrazione di un reddito (da lavoro o da pensione) inferiore a quelle soglie (quindi ad esempio un anziano che vive solo e percepisce una pensione di 400 euro mensili, non ha proprietà oltre una certa soglia e non ha altre fonti di reddito riceverà una somma di 100 euro mensili ad integrazione del proprio reddito). I beneficiari in età da lavoro riceveranno Il RDC per un ciclo di 18 mesi, che potrà essere rinnovato per altri 18 ma a condizioni più stringenti.

Si tratta quindi di una misura di sostegno del reddito e contrasto alla povertà simile a quanto già esiste in quasi tutti i paesi europei, ma che nel contesto italiano, prima di questo provvedimento, era presente solo in forma molto limitata, sia per numero di persone raggiunte, sia per l’importo modesto del reddito erogato.

Print Friendly, PDF & Email

megachip

Capitali in fuga. Il grafico definitivo

di Giuseppe Masala

Potete apprezzare come in Italia siano impiegati quasi 300 miliardi di capitali esteri a fronte di quasi 800 miliardi di capitali italiani impiegati all’estero. La più grande fuga di capitali

000520C8 romano prodiSe guardate il grafichetto qui sotto, che rappresenta il saldo Target2 della BCE sommata al saldo cumulato della Bilancia dei Pagamenti italiana, potete apprezzare come in Italia siano impiegati quasi 300 miliardi di capitali esteri a fronte di quasi 800 miliardi di capitali italiani impiegati all’estero. Ciò significa chiaramente che siamo di fronte alla più grande fuga di capitali dal Sistema-Italia della storia.

Quasi 500 miliardi di risparmi italiani utilizzati all’estero. Come mai questi danari sono impiegati all’estero e non Italia? Semplice, perché lo stato italiano non può indebitarsi in ossequio ai parametri di Maastricht. O meglio ancora, chiamiamo le cose con il significato proprio: lo Stato italiano non può mobilitare il risparmio degli italiani per erogare beni e servizi agli stessi italiani. Il debito pubblico così va inteso (e così andrebbe chiamato): “Risparmio interno mobilitato dallo Stato”. Il debito pubblico non è il debito del bottegaio.

Dunque, si può dire senza tema di essere smentiti che il debito pubblico (o le “risorse italiane mobilitate dallo stato italiano”) potrebbe essere più alto di quasi 500 miliardi, senza che lo stato italiano assorba neanche un centesimo dal risparmio dei nostri “amici” stranieri. [Ovviamente semplifico, perché è chiaro che se lo stato italiano desse una spinta poderosa alla spesa pubblica, agli investimenti, dovrebbe mobilitare meno perché una determinata quantità Q della cifra in questione verrebbe mobilitata dalle imprese private e dalle famiglie].

Print Friendly, PDF & Email

blogmicromega

La recessione incalza e l'euro ci soffoca

E' il momento di emettere dei titoli quasi-moneta per rilanciare l'economia

di Enrico Grazzini

Mini Bot 5euro webUna recente indagine scientifica dell'autorevole istituto di ricerca tedesco Centrum für Europäische Politik e i dati della Banca Mondiale sul mancato sviluppo dell'eurozona dimostrano chiaramente e con la forza dei numeri che l'euro è una moneta che frena gravemente l'economia, provoca diseguaglianza, arricchisce alcune nazioni, come la Germania, e ne impoverisce altre, come l'Italia. Il Centrum für Europäische Politik dimostra, come vedremo, che l'euro ha tolto soldi ai cittadini italiani ma ha riempito le tasche dei cittadini tedeschi. Questo non basta: si prospetta una nuova recessione economica. L'Italia sembra oggettivamente paralizzata sull'orlo del precipizio (e questa volta non per sua colpa). Per rilanciare l'economia il governo italiano dovrebbe finanziare estesamente molti piccoli e grandi investimenti pubblici, ma mancano i soldi necessari. Il problema è che la Banca Centrale Europea non può sovvenzionare gli stati e pompa moneta solamente per le banche; ma le banche commerciali non hanno interesse a fare credito a favore di una economia depressa. Gli operatori finanziari lucrano invece sui debiti pubblici e chiedono tassi di interesse sempre più elevati per prestare denaro agli stati. Così i paesi dell'eurozona non trovano le risorse per fare gli investimenti necessari per rivitalizzare l'economia. Inoltre l'Unione Europea impone ulteriori restrizioni di bilancio pubblico. Il cappio si sta stringendo. La crisi italiana potrebbe facilmente precipitare.

In questo contesto di crisi annunciata tocca alla politica percorrere strade innovative e alternative per difendere e risollevare l'economia nazionale. A mali estremi estremi rimedi. Una maniera concreta di dare ossigeno monetario e fiscale al nostro Paese è che il governo emetta urgentemente dei titoli quasi-moneta complementari all'euro. Pur restando nell'eurozona i Titoli di Sconto Fiscale a favore delle famiglie, delle imprese e degli enti pubblici potrebbero legittimamente (e senza infrangere nessuna regola europea) affiancare l'euro e neutralizzare gli effetti deflazionistici della moneta unica.

Print Friendly, PDF & Email

economiaepolitica

Una stima degli effetti della manovra e delle alternative possibili

Stima degli effetti della manovra economica e simulazione di manovre alternative

di Riccardo Realfonzo e Angelantonio Viscione

Stima Manovra Economica. Con diverse tecniche di stima dei moltiplicatori degli stimoli fiscali mostriamo che la manovra economica del governo per il 2019 ha un impatto molto modesto sulla crescita perché trascura gli investimenti, non presenta un disegno di politica industriale e non muta le condizioni del lavoro. Al contrario, una diversa composizione della manovra, anche a saldi invariati ma con risorse dimezzate sulle misure-simbolo e corrispondenti maggiori investimenti, avrebbe raddoppiato l’impatto positivo sulla crescita. Inoltre, portando il deficit al 2,4% e spostando le risorse aggiuntive sugli investimenti, tutte le stime mostrano che l’impatto espansivo sarebbe addirittura triplicato

manovra economica realfonzo viscioneLa necessità di una manovra espansiva

Nella seconda metà del 2018, le medesime tensioni internazionali che hanno determinato un rallentamento della crescita in Germania e Francia hanno spinto l’Italia nella recessione, complici i gravi deficit di competitività dell’apparato produttivo e infrastrutturale del Paese, il cronico sottofinanziamento degli investimenti pubblici e privati nonché la crescente precarizzazione del lavoro che contribuisce al ristagno dei consumi. In questo scenario, monta la preoccupazione che la manovra economica del governo possa avere un profilo espansivo insufficiente. Per cominciare, la manovra economica non ha impresso un cambiamento di direzione significativo alla politica delle finanze pubbliche rispetto agli anni dell’austerità. A riguardo, il governo sembra avere scontato un deficit di capacità politica in Europa e in particolare nel confronto con la Commissione Europea. Infatti, anziché proporre una manovra incentrata sul rilancio degli investimenti pubblici e sulle politiche industriali, che avrebbe potuto riscuotere consensi in altri Paesi e registrato minori resistenze presso la Commissione Europea, il governo ha presentato una manovra caratterizzata da un deficit incrementato al 2,4% del pil e finalizzato a un aumento della spesa corrente e dei trasferimenti. Successivamente, per evitare la procedura sanzionatoria, il governo ha dovuto ridurre il deficit al 2,04% del pil, riportando i valori della finanza pubblica pressoché in linea con quelli registrati nel 2018.

Print Friendly, PDF & Email

rete dei com

Lo Stato Italiano molla il Mezzogiorno

di Biagio Borretti e Italo Nobile

PrimailnordIl 15 febbraio – a Roma – in occasione della probabile approvazione, da parte del Consiglio dei Ministri, del Decreto sull’Autonomia Differenziata, è stato convocato un presidio di lotta a Montecitorio per protestare contro questo dispositivo normativo che accentuerà gli squilibri territoriali del nostro paese, aumenterà il divario Nord/Sud, le disuguaglianze sociali ed il complesso degli strumenti deregolamentazione dell’unità politica e materiale dei settori popolari.

Si pone, quindi, di nuovo, la necessità di una ripresa della discussione su una nuova “Questione/Contraddizione Meridionale/Mediterranea” che sappia descrivere le attuali dinamiche del corso della crisi e delle conseguenti trasformazioni che stanno configurando la nuova mappa del comando economico e sociale del paese dentro le convulsioni che l’Azienda/Italia vive nel gorgo della competizione internazionale.

Ripubblichiamo – per favorire il dibattito dei compagni e degli attivisti – una scheda, redatta da Biagio Borretti ed Italo Nobile, su un libro che ha segnato la qualità del dibattito sul Sud e sulle trasformazioni della forma/stato nel Mezzogiorno d’Italia.

Nei prossimi giorni daremo conto di altri contributi che stanno giungendo al nostro sito[La redazione del sito della Rete dei Comunisti].

* * * *

Il lavoro di Ferrari Bravo, di cui di seguito si offre una scheda sintetica, è per molti versi superato dalle modifiche profonde che si sono susseguite sul piano materiale, della formazione economico-sociale negli ultimi decenni e, di conseguenza, anche nel campo del politico. L’analisi della forma-stato, di una particolare forma-stato, storicamente e socialmente determinata, risulta oggi, a tratti, addirittura “incomprensibile”, tali sono stati i cambiamenti, anche sul piano istituzionale.

Print Friendly, PDF & Email

sbilanciamoci

Crescita o recessione, narrazioni e prospettiva storica

di Roberto Romano

Se la crescita è “misurabile”, stagnazione e recessione si prestano a diverse interpretazioni. Ma come mai le stime della Commissione tra il 2015 e 2018 per l’Italia sono sistematicamente più basse rispetto alla crescita effettiva? E a prendere sul serio le previsioni Bankitalia 2019 sarebbe da suonare un allarme rosso. Perché non scatta?

fac8f736e77499e3ffba7f0a21192aPreambolo

La discussione relativa alle prospettive economiche del Paese e dell’Europa, con tutte le implicazioni dal lato della sostenibilità dei conti pubblici, è viziata da un approccio ragionieristico dei conti pubblici. Sebbene i conti pubblici siano legati all’andamento del reddito1, i compiti dell’economia pubblica non possono essere piegati alla sola sostenibilità dei conti pubblici. Se questa è poi vincolata ai così detti vincoli del Fiscal Compact, l’economia pubblica rinuncia al suo ruolo storico di governo dello sviluppo. Le recenti stime della crescita del PIL, particolarmente severe per il 2019, dovrebbero suggerire più di una cautela. Infatti, se la dinamica del PIL per il 2019 è caduta in soli due mesi da una prospettiva di crescita dell’1% a 0,6% (Banca Italia), più che di sostenibilità economica dei conti pubblici, la politica (economica) dovrebbe predisporre delle misure tese a sostenere la crescita per evitare l’avvitamento di tutto il sistema produttivo, industriale e del lavoro. In altri termini, le proiezioni di crescita per il 2019 così basse sono un allarme per il sistema economico e non per i conti pubblici. Sebbene Banca Italia e Commissione Europea abbiano segnalato un significativo rallentamento del PIL, l’esito di questa proiezione non può essere quella di prefigurare delle manovre correttive per garantire i saldi finanziari. Se le Istituzioni del Capitale europee e nazionali registrano un avvitamento del sistema economico così veloce, con dei sospetti rispetto alla tempistica2, dovrebbero essere le prime a prefigurare e suggerire delle misure espansive. Il 2007 e il 2011 dovrebbero aver ben insegnato qualcosa circa gli effetti negativi dell’austerità espansiva. Sebbene caduta nel dimenticatoio la lezione di R. A. Musgrave, padre di tutti gli economisti pubblici, i compiti della pubblica amministrazione sono ancora validi.

Print Friendly, PDF & Email

economiaepolitica

Regionalismo differenziato: cos’è e quali rischi comporta

di Sergio Marotta

Dal debito pubblico alla rottura dell’unità nazionale. Tutti i rischi del Regionalismo differenziato

Regionalismo differenziatoDalle Regioni al federalismo differenziato

Che le Regioni fossero troppo costose per il bilancio dello Stato italiano lo aveva già detto, in Assemblea costituente, Francesco Saverio Nitti che certo di conti pubblici se ne intendeva, essendo stato uno dei massimi studiosi di scienza delle finanze noto e apprezzato in tutta Europa. Eppure lo statista di Melfi non fu ascoltato, come non lo furono Benedetto Croce e Concetto Marchesi, Pietro Nenni e Palmiro Togliatti, Luigi Preti e Fausto Gullo, tutti uniti nell’opposizione all’ordinamento regionale.

Passò la linea del siciliano Gaspare Ambrosini che introduceva una forma di Stato organizzato in Regioni in cui si teneva insieme l’unità della Repubblica e l’autonomia degli enti locali. Alla fine la formula dell’art. 5 dei Principi fondamentali risultò la seguente: «La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento»[1].

Impiegati gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso per passare all’attuazione, con vent’anni di ritardo, degli ordinamenti regionali, si procedette, poi, a un quindicennio di riforme della pubblica amministrazione che iniziarono con la legge sull’ordinamento degli enti locali, la 142 del 1990, che prese il nome dell’allora potentissimo ministro dell’Interno, il democristiano Antonio Gava.

Venne, quindi, il turno delle varie leggi Bassanini dal nome del ministro della Funzione pubblica che le elaborò e, a più riprese, le portò all’approvazione del Parlamento. La prima fu la legge 59 del 1997 che doveva realizzare il federalismo a Costituzione invariata. Era il tempo in cui imperava il verbo della sussidiarietà come forma di avvicinamento del luogo della decisione pubblica al livello più prossimo alla collettività di riferimento. ‘Sussidiarietà’ era la parola magica per realizzare un’azione amministrativa più efficiente, più efficace e più economica.

Print Friendly, PDF & Email

economiaepolitica

Protezionismo e delocalizzazioni: perché la politica di Trump è sbagliata

di Fabrizio Antenucci

I dazi introdotti da Trump non contrastano le delocalizzazioni perché non colpiscono le imprese con residenza fiscale negli USA. Sarebbe meglio agire su un altro aspetto: controlli dei movimenti di capitale

protezionismo 640x427Da quando Trump si è insediato alla Casa Bianca, il protezionismo è tornato ad essere un argomento di estrema attualità. Fin dall’inizio della sua campagna elettorale, il nuovo presidente degli Stati Uniti si è rivolto ai lavoratori della manifattura promettendo di recuperare posti di lavoro nel territorio nazionale, affermando che ogni decisione riguardante commercio, tasse, immigrazione, e affari esteri sarebbe stata “presa a vantaggio dei lavoratori americani e delle famiglie americane”. Stando alle sue intenzioni, le misure protezionistiche avrebbero dovuto da un lato disincentivare le aziende a delocalizzare la produzione, e dall’altro ad imporre barriere al commercio internazionale. Cosa è successo dall’inizio del suo mandato?

Le misure commerciali prese dalla nuova amministrazione vedono coinvolte soltanto indirettamente la Cina e l’Unione Europea: si tratta di dazi imposti su alcune categorie di beni, senza alcun riferimento a specifici paesi. Tali misure, che rivelano preoccupazione per una eccessiva sofferenza dell’economia statunitense nella competizione internazionale, non sono affatto una novità. D’altronde, il saldo delle partite correnti risulta perennemente in negativo dall’amministrazione Reagan. È opinione diffusa, a tal riguardo, che un saldo commerciale negativo rifletta un peggioramento dello stato di salute delle imprese, contribuendo inoltre alla perdita di posti di lavoro. In effetti, a partire dalla fine degli anni ’70, il settore manifatturiero statunitense ha registrato una forte contrazione occupazionale, coinciso di fatto con il peggioramento del saldo delle partite correnti (Borjas et al., 1992). Si tratta di fenomeni entrambi verificati in concomitanza di un progressivo processo di apertura al commercio estero avviato con la ratifica di diversi accordi internazionali tra cui il GATT (Tokyo Round 1973-79, Uruguay Round 1986-1994) e il NAFTA (1994), fino alla costituzione della World Trade Organization (WTO) nel 1995.

Print Friendly, PDF & Email

sinistra

I saggi di interesse sono la variabile cruciale nell’economia italiana. Attenzione!

di Salvatore Biasco

Intervento di Salvatore Biasco Sabato 29 settembre 2018 a Lanciano. Convegno “Le Mani Visibili”: Le giornate di economia Marcello De Cecco 2018. Seconda giornata. Summary: L’intervento segue l’aumento dei tassi di interesse dopo l’accordo di governo. Fa vedere quanto fosse dannosa per vari settori dell’economia anche quella che sembrava essere una fiammata temporanea. Col varo della finanziaria non è più solo una fiammata. Lo scopo dell’analisi è di cogliere, su piccola scala, le sequenze che si potrebbero avere, su scala parossistica, se si uscisse dall’euro. Anche in quel caso, il livello cui si porterebbero i tassi di interesse è il perno su cui ruotano le conseguenze. Se ne fa una stima e si segue l’incontrollabile dinamica che farebbe seguito

1 682Innanzitutto ringrazio gli organizzatori per questo invito e rivolgo un saluto commosso a Giulia.

Penso che il titolo di questo incontro non poteva essere più felice: Le Mani Visibili. Le vicende economiche per De Cecco non sono rapporti tra aggregati dell’economia, ma vicende dell’agire umano, degli interessi organizzati, dei rapporti di forza, delle volontà politiche ed anche dei retaggi e dei condizionamenti storici, e vanno studiate in quest' ottica. Nulla per lui è ovviamente predeterminato, perché poi si scontrano visioni e strategie differenti e perché non sempre si è in grado di dominare il mercato. Ma anche questo è parte dell’'analisi.

Accanto a queste categorie, una rientrava spesso nelle conversazioni private è quella dei “ciucci”, perché c’è anche un agire umano che esercita influenza perversa nella storia, per pura ignoranza o cecità. Una categoria, che usava spesso anche in riferimento alla vita quotidiana e a persone di comune conoscenza.

Ecco: questa categoria mi è ritornata in mente a proposito della salita di tassi di interesse, che si è determinata negli ultimi quattro mesi e mezzo dal momento della firma del contratto di governo. Pensavo di venire qui a raccontare le conseguenze di una fiammata inutile dei saggi di interesse (che anche Draghi aveva stigmatizzato affermando che “le parole possono far danni”). In realtà oggi, dopo il varo ieri della finanziaria, dobbiamo parlare di fatti, non di parole. Oggi forse quella che mi sembrava una fiammata dovuta a dichiarazioni incaute, diventa linea politica e mi costringe a integrare l’intervento che avevo preparato fino a due giorni fa.

Perché scegliere questo tema? Perché ritengo che seguendo le conseguenze di ciò che ha comportato l’aumento fin qui dei tassi di interesse troviamo una prefigurazione in sedicesimo di quello che potrebbe succedere se domani i tassi dovessero scalare a livelli ben più alti e noi uscissimo dall’euro.

Print Friendly, PDF & Email

economiaepolitica 

Su austerità e precarietà

Documento della consulta economica per il Congresso FIOM-CGIL 2018

di Riccardo Realfonzo

Sottoinvestimenti, deindustrializzazione e bassa competitività del Mezzogiorno e del Paese. Una vertenza per una nuova stagione di politiche industriali. Riccardo Realfonzo interviene come coordinatore della consulta economica della FIOM al Congresso della FIOM-CGIL tenutosi a Riccione dal 12 al 15 dicembre 2018. L’analisi mostra quale sia stato il drammatico sottofinanziamento delle politiche industriali nel decennio successivo alla crisi scoppiata nel 2008 ed anche gli effetti negativi delle politiche di deflazione salariale. Occorrerebbe una svolta di politiche industriali e del lavoro che è assente nella nuova manovra del governo in carica

fiom cgil bandiera1. Premessa

Questo documento è stato realizzato dalla Consulta economica della FIOM-CGIL (coordinata da Riccardo Realfonzo), a seguito di numerosi momenti di confronto con le segreterie regionali e i lavoratori organizzati dalla FIOM nel corso del 2018 e nel dialogo continuo con la Segreteria Nazionale che ne ha condiviso i contenuti. Emerge la necessità di una nuova stagione di politiche industriali che, a partire dal Mezzogiorno, ponga le basi per un rilancio dell’industria e dell’intero sistema produttivo del Paese, al fine di arrestare i processi di declino in atto e garantire le condizioni per una crescita occupazionale e una più equa distribuzione dei redditi. Le politiche industriali dovrebbero sostanziarsi in una strategia unitaria, sovraregionale, dotata di finanziamenti ben maggiori rispetto a quelli messi in campo negli ultimi anni e dal governo in carica. Una strategia da attuare mediante nuovi investimenti pubblici in infrastrutture materiali e immateriali, un articolato sistema di incentivi e aiuti alle imprese che permetta loro di compiere un salto tecnologico-dimensionale e che le spinga a investire sulla qualità del lavoro, un adeguato sistema di ammortizzatori sociali che sostenga le imprese e i lavoratori nelle fasi di rallentamento della produzione e nelle crisi industriali. Questa nuova stagione di politiche industriali dovrebbe prendere le mosse dalla consapevolezza del drammatico sottoinvestimento pubblico e privato realizzato dal Paese negli scorsi anni, almeno a partire dalla crisi del 2007-2008. Un sottoinvestimento che ha favorito la deindustrializzazione, ha impoverito drammaticamente l’Italia e ha assecondato i processi di distruzione di capacità produttiva innescatisi dopo la crisi, e che a fine 2017 vede il Paese, e in misura ancora più radicale il Mezzogiorno, ancora molto lontano dai livelli di produzione di dieci anni prima.

Print Friendly, PDF & Email

economiaepolitica

Manovra 2019: problema di spread o di qualità?

La tesi dell’espansione restrittiva di Blanchard e Zettelmeyer e tutti i suoi limiti

di Felice Roberto Pizzuti

Manovra 2019. Spread e reazione dei mercati possono compromettere l’efficacia della manovra economica italiana? Felice Roberto Pizzuti contesta questa nuova tesi di Blanchard e Zettelmeyer e spiega che quello che conta non è lo spread ma la qualità delle misure previste

manovra 2019 italia spread oggi 640x4261. Nel dibattito sulla Nota aggiuntiva al documento di economia e finanza (Nadef) 2018 si evidenziano contributi anche autorevoli che, tuttavia, rischiano di aumentare gli elementi di confusione che lo caratterizzano. La manovra, anche per come viene presentata dal Governo nelle trattative con l’Unione europea (UE), presenta delle criticità che ne pregiudicano l’efficacia e, nel suo insieme, mostra di non avere la visione di lungo respiro necessaria ad affrontare i problemi organici della nostra economia, approccio che sarebbe particolarmente congruo all’inizio di una legislatura “di cambiamento”. Tuttavia, le critiche che la manovra merita non dovrebbero distogliere l’attenzione dalla maggiore pericolosità insita in altri ingiustificati rilievi che le sono rivolti con i quali si cerca di riproporre la stessa concezione economica della “austerità espansiva” già rivelatasi molto dannosa non solo per il nostro paese, ma per la stessa costruzione europea la quale, peraltro, è resa sempre più necessaria dall’evoluzione degli equilibri economici e politici globali.

 

2. In un articolo tradotto sulla Voce.Info del 27 ottobre[1], O. Blanchard (tra l’altro, ex capo economista del FMI) e J. Zettelmeyer (tra l’altro, ex direttore generale per le politiche economiche del Ministero tedesco degli Affari economici e l’energia), attualmente entrambi membri del Peterson Institute for International Economics, sostengono che l’obiettivo della crescita del Pil perseguito dal governo italiano con l’aumento del deficit di bilancio al 2,4% non sarà raggiunto poiché l’intento espansivo sarà più che compensato dall’effetto contrario derivante dall’aumento dei tassi d’interesse provocato dalla stessa manovra.

I due autori (B&Z) concordano che “Nonostante ”strette fiscali espansive” e “espansioni fiscali restrittive” siano teoricamente possibili, una politica fiscale espansiva generalmente aumenta la produzione e una restrittiva la rallenta – anche in paesi con un alto debito pubblico”.

Print Friendly, PDF & Email

jacobin

Autostrade ai privati. Come invertire la marcia

di Simone Gasperin

La storia delle principali infrastrutture stradali italiane è l'emblema dell'interesse pubblico che cede il passo alla rendita. Ma esistono alternative alla speculazione dei privati

181109 autostrade jacobin 990x361Al minuto 25:55 di un compiaciuto documentario sulle autostrade italiane si intravede il ponte Morandi con un “buco” a metà. Ma il fotogramma appare in uno sgranato bianco e nero. Si tratta di un filmato degli anni Sessanta, quando il viadotto Polcevera doveva ancora essere ultimato. Queste le parole trionfanti del narratore: “La Società Autostrade ha completato il raddoppio e l’ammodernamento della Genova-Serravalle, che allacciandosi alla Serravalle-Milano, ha sbloccato le correnti di traffico provenienti dal nord e ha ormai portato a termine anche l’autostrada che arriva a Savona”. Una rasserenante musichetta stile-jazz in sottofondo sembra persino banalizzare un elemento di eccezionale significato per l’economia italiana.

La rete autostradale in Italia evoca una storia di orgogliosa ricostruzione e di progresso materiale, successivamente mutata nello sconforto tipico delle fasi di decadenza e recentemente culminata con il tragico crollo del ponte genovese. Per questi motivi, la vicenda delle autostrade italiane non può essere esclusivamente ricondotta a specialistiche questioni di natura ingegneristica. Essa intreccia innanzitutto il susseguirsi delle strategie di sviluppo economico, o presunte tali, adottate delle autorità pubbliche nel corso degli ultimi decenni.

Fino agli anni Settanta, parlare di autostrade in Europa era semplicemente sinonimo di Italia. Come aveva potuto questo paese ancora semi-arretrato costruire una moderna rete di autostrade su un complesso territorio nazionale, collegando il nord al sud, il Piemonte al Friuli, il litorale adriatico a quello tirrenico? Questo si chiedevano gli osservatori ed esperti di tutto il continente. La risposta, tanto scontata quanto annacquata dalla distanza storica, conduce a individuare un attore protagonista: la Società Autostrade Concessioni e Costruzioni Spa.

Print Friendly, PDF & Email

economiaepolitica

Deficit strutturale italiano: una questione di stime

di Davide Cassese

La Commissione europea ha bocciato la manovra italiana perché considera il deficit troppo alto, ma si tratta di giudizi frutto di stime contestatissime nel mondo scientifico che però, di fatto, ostacolano qualunque politica di crescita per il Paese

neosurreal.24Da qualche settimana va avanti lo scambio di battute tra l’esecutivo italiano e la Commissione Europea sul contenuto della Manovra economica. La Commissione ha respinto la manovra, rimandandola indietro al governo perché ne rivedesse la sostanza, in quanto manifesta una deviazione significativa dai parametri del Patto di Stabilità e crescita e un allontanamento dal percorso di aggiustamento dei conti pubblici.

Secondo la Commissione il maggiore deficit indicato nella NADEF 2018 dal governo rispetto al deficit tendenziale, diversamente da quanto prevede il governo, non apporterà benefici alla crescita e non contribuirà a ridurre il rapporto debito/PIL secondo quanto stabilito dai Trattati.

Nello specifico, la lettera della Commissione indica che a fronte dello sforzo strutturale dello 0.6% del PIL raccomandato dalla Commissione, il governo italiano presenta un deterioramento strutturale pari allo 0.8% del PIL. Tutto ciò rappresenta una deviazione dal rispetto del Patto di Stabilità e crescita senza eguali nella storia.

 

Il deficit strutturale e il PIL potenziale

Il termine “strutturale” accoppiato alla parola “deficit” identifica una specifica fattispecie: la differenza tra le entrate e le spese dello Stato al netto delle circostanze cicliche (peggioramento della congiuntura) e delle misure una tantum (misure imprevedibili come catastrofi naturali o emergenze sociali come l’immigrazione). Il deficit strutturale, dunque, rappresenterebbe la condizione dei conti pubblici di un Paese in corrispondenza del PIL potenziale, vale a dire in corrispondenza di una situazione in cui l’economia riesce ad impiegare tutte le risorse di cui dispone – lavoro e capitale – senza generare pressioni inflazionistiche. Per l’Italia, che è un Paese con elevato debito pubblico, le regole europee prescrivono un deficit strutturale pari a zero.