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la citta futura

Come va l’economia? Ne parliamo con Domenico Moro

di Ascanio Bernardeschi

81Zjqnc1CLCon questa a Domenico Moro, iniziamo una serie di intervisteLa pandemia sta modificando gli equilibri e le strategia e livello internazionale. In Europa sarà un pretesto per ulteriori tagli ai salari e ai diritti sociali. Il Mes e il Recovery Fund sono inadeguati e l’uscita dall’Unine Europea è una condizione necessaria per la realizzazione del socialismo. rivolte a quadri di lavoratori comunisti ed economisti. Domenico Moro è ricercatore presso l'Istat ed è stato consulente della Commissione Difesa della Camera dei deputati. È autore di diversi volumi di carattere economico, politico e militare. Abbina al lavoro scientifico la militanza politica.

* * * *

Domanda. La pandemia da Covid-19 ha senz’altro fatto da detonatore della crisi economica e l’ha inasprita. Secondo noi, però, la pandemia è intervenuta in un momento già critico per l’economia mondiale per cui non può essere considerata l’unica responsabile dei problemi economici che stiamo vivendo. Per te qual è la natura di questa crisi?

Risposta. Al momento dello scoppio della pandemia, l’economia mondiale e quelle dei principali Paesi, con poche eccezioni, erano già nella fase fase discendente del ciclo economico, essendo la crescita del Pil in rallentamento nel 2018 e ancor di più nel 2019. Secondo i dati dell’Unctad, l’economia mondiale è passata da una crescita del 3,31% nel 2017 a una crescita del 2,52% nel 2019. La crescita della Ue è scesa dal 2,58 all’1,46%, in particolare la Germania è passata dal 2,47% allo 0,56% e l’Italia dall’1,72% allo 0,30%. Persino la Cina era in rallentamento, essendo passata dal 6,76% al 6,10%. Di fatto alcuni Paesi, come la Germania e l’Italia, erano già in recessione.

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sollevazione2

Il partito dello stato forte e la battaglia su Keynes

di Vadim Bottoni

John Maynard Keynes La difficoltà non sta nel credere alle nuove idee ma nel fuggire dalle vecchieLa battaglia su Keynes è politicamente importante.

Si ritenga importante tatticamente, strategicamente, dialetticamente o che si condivida integralmente, il pensiero keynesiano ben interpretato fornisce uno strumento utilissimo per chi crede nella centralità dello Stato in economia.

D’altronde basta pensare a quante volte vengono tirate in ballo le politiche keynesiane come risposta alla crisi, come naturali implementazioni della parte economica della Costituzione, come aspetti costitutivi delle moderne economie monetarie, e così via.

Se questo dà la misura della sua importanza, un altro aspetto dà la misura della fragilità del richiamo al pensiero keyenesiano: il fatto è che Keynes risulta tanto nominato quanto poco letto e questo vale sia per i sostenitori che per i detrattori.

Questa fragilità presta il fianco a due tipi di attacchi da parte del mainstream liberista: o il loro qualificarsi come veri keynesiani mentre in realtà ne stravolgono il pensiero, o identificare chi crede nello Stato interventista come falsi keynesiani statalisti, i keynesiani de’ noantri, il cui pensiero non avrebbe non solo nulla a che fare con il (probabilmente) più grande economista del Novecento, ma che per giunta neanche avrebbero letto.

Il caso in questione rientra in quest’ultimo tipo di attacchi, che non sono solo pretestuosi e capziosi, ma sono anche perpetrati spesso senza assumersi l’onere della prova, perché se si scrive su testate prestigiose agli occhi del grande pubblico si eredita quel prestigio che consente di esimersi dalla giustificazione delle invettive.

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sinistra

Banca Popolare Bari: per ora la solita storia

Le proposte di Rifondazione per una possibile svolta

di Ufficio Credito ed Assicurazioni PRC-SE

berardinelli04Nonostante le perplessità della vigilia, l’assemblea degli spolpatissimi soci della Popolare di Bari ha approvato, con una maggioranza bulgara del 97%, il piano di rilancio della banca proposto dai Commissari straordinari che prevede, innanzi tutto, la sua trasformazione in SpA.

Come noto, il salvataggio è stato possibile grazie ad una ricapitalizzazione pari a circa 1,6 miliardi di euro che saranno sborsati dal Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (che in sostanza coprirà le perdite pregresse che ammontano a quasi 1,2 miliardi di euro) e da Mediocredito Centrale che con circa 430 milioni di euro otterrà il 97% del capitale della nuova banca.

L’ennesimo intervento del Fitd (che è alimentato dalle contribuzioni di tutte le banche operanti nel nostro paese, quindi da risorse in larga misura private), di gran lunga il più oneroso della sua storia, non deve certo essere scambiato per un atto di generosità verso un concorrente in grave difficoltà. Occorre ricordare infatti che in caso di fallimento della banca, il Fondo avrebbe comunque dovuto intervenire a tutela dei depositanti (sino a 100mila euro) con un esborso decisamente superiore e non facilmente digeribile per il sistema.

Mediocredito Centrale, invece, tramite Invitalia, è partecipato al 100% dal Ministero dell’Economia. Di conseguenza, la nuova Popolare di Bari è ora di proprietà pubblica (o meglio statale).

Naturalmente, rimangono in campo gli strascichi giudiziari della vicenda (fra pochi giorni dovrebbe partire il processo agli Jacobini, padroni incontrastati della banca per quarant’anni e ora accusati di una lunga lista di capi di imputazione) e la rabbia dei risparmiatori “traditi” che in questo caso, salvi gli obbligazionisti, sono i circa 70mila soci restati sostanzialmente con mucchi di carta straccia in mano.

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economiaepolitica

Analisi macroeconomica, prospettive italiane e una valutazione di MES ‘pandemico’ e Recovery Fund

di Antonella Stirati

files987rf6Prima di entrare nel merito della argomentazione, del contesto, e della valutazione di queste due misure vorrei anticipare qui a grandi linee la valutazione complessiva che emerge.

Il MES ‘pandemico’ o sanitario, nonostante l’assenza di condizionalità ex-ante (eccetto che sulla destinazione dei fondi) presenta insidie rilevanti connesse al suo prevedere una ‘sorveglianza rafforzata’ sulla politica di bilancio dei paesi debitori pienamente incardinata nel quadro normativo dei trattati e quindi in quelle regole di finanza pubblica che hanno già dimostrato la loro disfunzionalità, specialmente in periodi di crisi.

Il Recovery fund proposto dalla commissione presenta una componente estremamente limitata, nel caso dell’Italia, di risorse e ‘a fondo perduto’. Esso ha però il vantaggio importante entro il quadro istituzionale attuale di poter realizzare spese e investimenti pubblici che possono favorire la crescita dell’economia nei prossimi anni, restituendo poi tali risorse in modo dilazionato nel tempo su un orizzonte temporale lungo.

 

Cosa è cambiato nelle analisi macroeconomiche ‘dominanti’ e istituzionali dal 2008 a oggi

La versione standard dei modelli macroeconomici insegnata sui libri di testo sino al 2008 indicava che politiche fiscali restrittive (di ‘austerità’) hanno effetti negativi nel breve periodo, ma neutrali o positivi nel medio-lungo periodo (in quanto favorirebbero una crescita degli investimenti privati).

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sollevazione2

Il rimbalzo del gatto morto

di Leonardo Mazzei

recessione a V 600x391Non ce ne voglia l’ignaro e simpatico felino, ma l’immagine è perfetta. In Borsa il “rimbalzo del gatto morto” descrive la ripresa, modesta e temporanea, di un titolo destinato a ricominciare alla svelta la sua corsa verso il basso. Che è esattamente quello che sta facendo l’economia italiana, nel suo complesso, dal 2008.

Nella figura sopra questo fenomeno è evidentissimo. Il primo “rimbalzo del gatto morto” si registra nel 2010-2011, poi seguito da una nuova recessione e da una sostanziale stagnazione fino al 2015. Qui inizia la ripresina del 2016-2018, il secondo balzo del micio deceduto, che ci condurrà alla stagnazione del 2019, fino alla catastrofica situazione attuale. Quando il grafico dell’Istat riporterà il tracollo in corso, il disastroso andamento dell’economia italiana risulterà ancora più chiaro.

Ma perché iniziare un articolo sulle prospettive economiche attuali con queste considerazioni? Primo, perché il passato, specie se non si cambia strada, ci parla inevitabilmente del futuro.

Secondo, perché la crisi del Covid è sopraggiunta quando l’economia italiana (e non solo) era già sull’orlo di una nuova recessione. Terzo, perché (come vedremo) tutte le previsioni economiche del momento indicano al massimo un nuovo rimbalzo del gatto morto. Quarto, perché gli effetti di lungo periodo dell’appartenenza all’eurozona solo questo consentono.

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marx xxi

Gli effetti perversi della moderazione salariale e la proposta di Stato innovatore di prima istanza

di Guglielmo Forges Davanzati

Stesura provvisoria – febbraio 2019

unnamed7664d1 - Introduzione

Le politiche economiche messe in atto in Italia negli ultimi anni, in piena coerenza con quanto suggerito dalla commissione europea e con quanto realizzato in altri Paesi europei, si fondano essenzialmente su due assi: consolidamento fiscale e riforme strutturali. Il consolidamento fiscale viene raggiunto attraverso compressioni di spesa pubblica e aumento dell’onere fiscale, con riduzione, in particolare, della spesa sociale e per servizi di welfare e con aumento della tassazione – peraltro sempre meno progressiva – soprattutto a danno dei lavoratori. Le c.d. riforme strutturali riguardano i processi di privatizzazione e liberalizzazione e, soprattutto, ulteriori misure di precarizzazione del lavoro.

L’obiettivo di questa nota è (i) dar conto del fallimento di queste misure in relazione all’obiettivo dichiarato di generare ripresa della crescita economica e aumento del tasso di occupazione; (ii) articolare la proposta di un maggior intervento pubblico finalizzato a far diventare lo Stato occupatore e innovatore di prima istanza. Si tratta di una proposta tratta dalla tradizione teorica postkeynesiana (Minsky, in particolare) e ripresa nei tempi più recenti dagli studiosi della modernmoney theory. Su quest’ultimo aspetto, verrà articolata una critica ‘simpatetica’, basata sulla convinzione in base alla quale lo Stato, in un assetto capitalistico, non è un attore ‘neutrale’ rispetto ai rapporti di forza esistenti e verificati nel mercato del lavoro. Tutt’altro. Le politiche economiche risentono profondamente del conflitto capitale-lavoro (incluse le rendite finanziarie) e dei conflitti intercapitalistici. In tal senso, la proposta in oggetto, più che essere criticata sul piano ‘tecnico’ (possibili effetti inflazionistici, eventuale aumento del debito pubblico), dovrebbe tener conto della natura intrinsecamente di classe delle scelte di politica economica.

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la citta futura

Capitalismo monopolistico di Stato e UE

di Raffaele Picarelli

L’ispirazione liberista della normativa dell’Unione Europea sugli aiuti di stato in epoca di pandemia. Il ruolo del capitalismo monopolistico di stato dipende dai rapporti di forza fra le classi

58ecdbe2c2e962e11df1ffdb91c5d803 XLTimori e tremori

Carlo Bonomi, eletto il 20 maggio scorso Presidente di Confindustria, nel suo discorso di investitura ha tracciato un programma dell’organizzazione (cfr “Il Sole - 24 Ore” del 21 maggio). Alcune cose importanti le ha già ottenute, altre si appresta a ottenerle. “Su nostra richiesta, lo Stato ha imboccato la via più rapida e naturale per sostenere imprese e lavoro: non prorogare i pagamenti ma abbonare le tasse, come avverrà con l’Irap”. Sorvolando disinvoltamente sui macroscopici interventi in favore delle imprese contenuti nel decreto legge 19 maggio 2020 n.34 (cosiddetto decreto ‘Rilancio’), Bonomi invoca “un credibile programma di riduzione strutturale del maxidebito pubblico”. Che strano! Ha chiesto, e ottenuto, centinaia di miliardi di sovvenzioni, abbuoni, crediti fiscali, garanzie pubbliche, tutti interventi effettuati a debito, e ora chiede un rientro credibile del nostro debito? Ma sì, egli pensa che gli altri dovranno stringere la cinghia per lui e quelli come lui.

“Per riprendere la via degli investimenti” egli prosegue “due sono i caposaldi: la ripresa e il potenziamento di ‘Industria 4.0’ e l’affiancamento di analoghi incentivi per ‘Fintech 4.0’”. La politica dovrà tagliare la spesa corrente e raddoppiare gli investimenti pubblici “nel campo delle infrastrutture di trasporto e logistiche, nella digitalizzazione e produttività dei servizi”. Quindi, riassumendo, nella visione ‘strategica’ di Bonomi abbiamo uno Stato (“la politica”) che abbona le tasse, trasferisce in vario modo 105/110 miliardi di euro (su 155) alle imprese con il decreto ‘Rilancio’, soldi per lo più procurati a debito, e che si impegna a ulteriori cospicue sovvenzioni.

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cumpanis

Economia nazionale e Unione europea

Il Bilancio (dello Stato) baderà a se stesso?

di Alessandro Volponi*

unnamed65de3«Non potete aspettarvi che gli imprenditori si mettano a varare programmi di ampliamento mentre stanno subendo perdite. È la comunità organizzata che deve trovare modalità intelligenti di spesa con lo scopo di dare il calcio di inizio al pallone […] Non riuscirete mai a far quadrare il bilancio pubblico con misure che riducono il reddito nazionale […] è il peso della disoccupazione e la caduta del reddito nazionale che stanno buttando all’aria il bilancio. Voi badate alla disoccupazione che il bilancio baderà a se stesso!»

(John Maynard Keynes, conversazione radiofonica del 4/1/1933).

«All’epoca della grande crisi […] i capitalisti hanno combattuto costantemente gli esperimenti volti ad accrescere l’occupazione per mezzo della spesa pubblica in tutti i paesi, con l’eccezione della Germania hitleriana. Non è facile spiegarsi tale posizione. È chiaro infatti che un più elevato livello della produzione e dell’occupazione è favorevole non soltanto ai lavoratori ma anche ai capitalisti, poiché i loro profitti si accrescono. D’altra parte la politica di pieno impiego, basata sulle spese statali finanziate in deficit, non incide sui profitti in quanto non richiede la istituzione di nuove imposte. In una situazione di crisi i capitani d’industria si struggono per la ripresa. Perché quindi non accolgono con gioia “la ripresa artificiale” che lo Stato offre loro? [….]. Il periodo nel quale i “capitani d’industria” potevano permettersi di combattere qualsiasi forma di intervento statale, avente come scopo una attenuazione delle crisi economiche, appartiene al passato. Attualmente non si pone in questione la necessità dell’intervento pubblico in tempo di crisi».

(Michal Kalecki Aspetti politici del pieno impiego, 1943).

A differenza di Kalecki, Keynes era convinto che il pieno impiego potesse essere conseguito e mantenuto costantemente nel quadro di un’economia capitalistica e, benché poco incline ad occuparsi del lungo periodo, fantasticava di un mondo in cui pochissime ore di lavoro al giorno avrebbero assicurato a tutti un’esistenza libera e felice grazie alla crescita continua della produttività, un mondo pacifico perché la piena occupazione in tutti i paesi avrebbe eliminato le cause economiche della guerra; la rendita sarebbe gradualmente scomparsa (“eutanasia del rentier”) quindi il profitto si sarebbe ridotto a pura remunerazione del rischio e del lavoro di direzione.

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nuovadirezione

Sovranità (monetaria) o barbarie

di Stuart Medina e Manolo Monereo

lettere dalla spagna 2Non si può separare la politica monetaria da quella fiscale.

Ogni volta che ci si prova, le motivazioni di solito sono tutt’altro che innocenti e le conseguenze possono rivelarsi disastrose. Questa schizofrenia monetario-fiscale rappresenta spesso uno stratagemma per limitare il potere di uno Stato, subordinandolo a istanze antidemocratiche.

La moneta è un elemento fondante dei rapporti di potere non solo all’interno di uno Stato, ma anche fra gli Stati. L’architettura dei meccanismi di creazione e distruzione della moneta ha un effetto sulla possibilità di accedervi e, quindi, sulla sua distribuzione sociale.

In uno Stato capitalista, le banche, spesso private, sono autorizzate a operare in un altro circuito monetario che fa leva sulla moneta dello Stato. Il circuito inizia con la concessione del credito, che implica la creazione di depositi o di denaro bancario nel medesimo atto, e si chiude con il rimborso dei prestiti. Questo meccanismo conferisce un immenso potere alla classe capitalista perché gli permette di decidere quali risorse verranno mobilitate e quali attività economiche potranno realizzarsi. Ma allo stesso tempo, il sistema finanziario capitalista genera instabilità perché inanella cicli speculativi con periodi di depressione prolungati. Lo Stato capitalista crea categorie privilegiate che usufruiscono di un accesso privilegiato alla moneta per facilitare il processo di accumulazione.

Lo Stato dotato di sovranità monetaria può compensare l’instabilità del sistema finanziario con una rigorosa supervisione bancaria e agendo in chiave anticiclica grazie alla sua capacità di emissione illimitata che gli consente di pagare per i “cocci” quando scoppia una bolla.

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economiaepolitica

Il problema del debito privato e lo scopo del debito pubblico

di Marcello Spanò

L’emergenza pandemica, vista dalla prospettiva delle sue conseguenze economiche, ha portato in primo piano un problema sistemico che spesso, per ideologia o per ignoranza, nel dibattito pubblico viene lasciato sotto traccia: la questione del debito privato In seguito al prevedibile crollo del Pil di diverse economie, in primis quella italiana, il debito privato, in particolare quello delle imprese, rischia di diventare insostenibile

L’emergenza pandemica, vista dalla prospettiva delle sue conseguenze economiche, ha portato in primo piano un problema sistemico che spesso, per ideologia o per ignoranza, nel dibattito pubblico viene lasciato sotto traccia: la questione del debito privato. In seguito al prevedibile crollo del Pil di diverse economie, in primis quella italiana, il debito privato, in particolare quello delle imprese, rischia di diventare insostenibile.

vincenzo de stefani il crollo olio su tela 710x500Quello del debito privato è un problema che spesso viene trascurato in tempi di relativa tranquillità per riaffiorare (cogliendo regolarmente quasi tutti di sorpresa) in tempi di crisi. Molti economisti e regolatori si esercitano quotidianamente sul monitoraggio del debito pubblico, poiché questo è considerato, dalla tradizione accademica dominante, responsabile di diverse distorsioni e indebite intromissioni nel regolare funzionamento dei mercati che – sempre secondo tale tradizione – condurrebbe spontaneamente all’equilibro e all’efficienza allocativa. Come prova della presa che tale visione ha sulle decisioni politiche, basti riflettere sull’accanimento con cui i trattati e gli accordi presi in sede europea, da Maastricht al Patto di Stabilità e Crescita al Fiscal Compact, si sono dedicati al controllo dei disavanzi pubblici dei paesi dell’eurozona, e la negligenza con cui hanno considerato la dinamica dei debiti del settore privato, verso le banche domestiche e verso il settore estero. Di fatto, però, quando le crisi esplodono, rivelano sempre un problema di insostenibilità del debito privato. Il debito pubblico, invece, nei momenti di emergenza, non soltanto viene derubricato come una variabile di secondaria importanza, ma viene perfino invocato come una risorsa strategica per il salvataggio dal naufragio dell’intero sistema economico.

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contropiano2

Farsi commissariare dalla Troika. Il sogno dei banchieri italiani

di Ex OPG Napoli

banchieri2Sabato scorso Il Sole 24 Ore ha aperto con una lunga intervista a Carlo Messina, Ceo di Intesa Sanpaolo. Si tratta di ben due pagine in cui Messina esplicita tutto ciò che pensa rispetto alla crisi economica ed espone il suo piano in 5 punti per farvi fronte.

Si tratta probabilmente del contributo più interessante uscito in queste settimane dopo il lungo editoriale di Mario Draghi sul Financial Times del 25 marzo.

È interessante per due motivi: innanzitutto perchè pochi come Messina sono in grado di sapere effettivamente come stanno le cose e poi, in secondo luogo, perché a parlare è uno degli uomini più influenti d’Italia.

Proviamo a darne una lettura critica, tenendo ben presente che a parlare non è un commentatore disinteressato ma un manager che è pagato diversi milioni di euro all’anno per fare gli interessi non delle cittadine e dei cittadini ma degli azionisti della più grande banca italiana.

 

Il debito pubblico è una scelta obbligata?

Cominciamo riportando questo estratto:

“In particolare, aggiungerei interventi a fondo perduto. I finanziamenti possono andare bene per superare le difficoltà del momento ma poi sono debiti, sia pure garantiti dallo Stato, che vanno restituiti.”

Messina in buona sostanza è perfettamente in linea con Mario Draghi: il pubblico dovrà assorbire in parte o in tutto il debito del settore privato (secondo lui in forma indiretta per mezzo di sovvenzioni).

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lordinenuovo

Nazionalizzazioni, golden power e aiuti di stato

La partecipazione dello stato alla competizione intercapitalistica

di Domenico Moro

ala aereo alitalia 660x4002xL’attuale fase storica del modo di produzione capitalistico è caratterizzata da un aumento della concorrenza tra frazioni nazionali di capitale che viene accentuata dalla crisi del Covid-19, che si presenta come la più grave dal ‘29. L’elemento che sembra caratterizzare maggiormente questa fase è un revival dell’intervento statale nell’economia non sono sul piano del sostegno economico alle imprese in difficoltà ma anche in difesa della nazionalità delle imprese stesse. Infatti, la crisi determina una condizione per la quale le imprese, sia quelle quotate sia quelle non quotate, possono essere più facilmente acquisite e interi settori manifatturieri e economici potrebbero così passare in mani estere. Data la specifica situazione di difficoltà dell’economia italiana si assiste a un attivismo particolarmente marcato dello Stato italiano a difesa del proprio capitale nazionaleTuttavia la tendenza è comune anche al resto della Ue, in Spagna, Francia e Germania ad esempio, e interessa un po’ tutti i Paesi a capitalismo avanzato. Del resto, la crisi del Covid-19 accentua una tendenza protezionistica commerciale e di difesa proprietaria del capitale nazionale che si stava già diffondendo da qualche tempo, non solo negli Usa di Trump ma anche in Europa, andando in direzione opposta rispetto alle correnti liberalizzatrici che avevano caratterizzato la fase della globalizzazione.

 

Via libera agli aiuti di stato e alle nazionalizzazioni

In primo luogo va rilevato che la Commissione europea nell’ultimo mese ha molto allentato le normative che tradizionalmente facevano dell’opposizione agli aiuti di stato uno dei suoi pilastri, grazie alla comunicazione del 13 marzo, in cui si dà l’assenso a misure supplementari atte a porre rimedio a situazioni di grave turbamento dell’economia e si predispone la velocizzazione delle decisioni della Commissione stessa rispetto alle notifiche dei singoli Stati sugli aiuti da prestare alle imprese.

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lantidiplomatico

"Una spesa pubblica timida oggi significa recessione devastante e un debito pubblico più alto dopo"

L'Antidiplomatico intervista Antonella Stirati

Intervista alla Professoressa di Economia Politica di Roma Tre: "Ci sono grossi problemi all’interno dell’eurozona, non ha portato a più coesione, al contrario aumentato diseguaglianze territoriali e sociali. Se questo processo continua a generare così tanta diseguaglianza, e problemi nella gestione di crisi ricorrenti, difficilmente può essere sostenibile."

74a208c2 0143 4e5b 949b 1a63a50299c1 largeMes, Bei, Sure e una promessa di un Fondo - il cosiddetto Recovery Fund - da legare al bilancio europeo con prospettive al momento di difficile previsione vista la nota astiosità dei paesi membri che lo dovrebbero lanciare. Mentre Olanda e Austria parlano di “prestiti”, la Germania "non c'è accordo su come finanziare il fondo", la Francia tace e l’Italia esulta. Questo, in estrema sintesi, il Consiglio europeo di ieri che doveva dare “risposte storiche” ed è stato invece l’ennesimo temporeggiamento dinanzi una crisi economica che si prospetta devastante.

Come AntiDiplomatico abbiamo chiesto un commento alla Professoressa Antonella Stirati, ordinaria di Economia Politica all’Università Roma Tre, nonché firmataria insieme ad altri 100 accademici su Micromega di una lettera appello rivolta al governo italiano per non ratificare quanto pattuito il 9 aprile all’Eurogruppo.

* * * *

Professoressa Stirati, in una lettera pubblicata da MicroMega insieme a 100 colleghi avevate chiesto al governo italiano di non firmare l'accordo uscito dall'Eurogruppo. Ieri il Consiglio europeo ha invece ratificato di fatto quanto pattuito il 9 aprile. Perché è così negativo per il futuro dell'Italia?

A.S.: In quella lettera appello giudicavamo il documento uscito nello scorso incontro europeo in modo negativo sia per rilevarne l’insufficienza delle dimensioni quantitative dell’accordo raggiunto – i soldi banalmente messi a disposizione per l’intervento – sia per sottolineare l’inadeguatezza della natura stessa delle misure, perché si tratta comunque sempre di prestiti che graveranno sui bilanci pubblici nazionali e quindi sono un problema per l’Italia e tanti altri paesi europei.

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economiaepolitica

Perché i certificati di compensazione fiscale non sono (e non possono essere) “debito”

di Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Massimo Costa, Stefano Sylos Labini

Themes in Italian Renaissance paintingDa diversi anni, come componenti del Gruppo della Moneta Fiscale, proponiamo l’emissione di Certificati di Compensazione Fiscale (CCF) quale strumento per rilanciare l’economia italiana nel rispetto delle vigenti regole europee[1]. Di recente, ne abbiamo sostenuta l’adozione anche per un’accelerazione della lotta alle conseguenze economiche del Covid19, senza che ciò aggravi la situazione debitoria del Paese[2].

In altre sedi, abbiamo più volte chiarito che i CCF non costituiscono debito alla luce dei criteri di contabilità stabiliti dall’Unione Europea e articolati nei regolamenti Eurostat (si veda appendice)[3]. E proprio al fine di evitare la confusione cui facilmente dava luogo l’uso della parola “credito” contenuta nel nome originariamente attribuito allo strumento, abbiamo preferito sostituirla col termine “compensazione”, peraltro perfettamente appropriato alla natura tecnica dello strumento, che è rimasta del tutto identica alla concezione iniziale.

Con quest’articolo s’intende tornare sulla natura non di debito dei CCF, avvalendosi di ulteriori fonti finanziario-contabili.

 

I crediti fiscali

In sintesi, i crediti fiscali sono distinti tra “pagabili” e “non pagabili”. I secondi, che danno diritto esclusivamente a detrazioni o compensazioni, non sono mai stati considerati debito e non vi è ragione alcuna, se non di vieta opposizione politica, per cambiare orientamento.

Le uniche obiezioni che si cerca di trovare, ad ogni costo, si appoggiano su aspetti marginali e malfermi, che in questa sede saranno meglio puntualizzati.

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coniarerivolta

La giusta patrimoniale e i suoi nemici

di coniarerivolta

prova a prendermiSiamo ancora nel pieno della tempesta, con l’emergenza sanitaria che continua a mordere. Ma problemi almeno altrettanto drammatici sono all’orizzonte, poiché si apre una fase di crisi economica in cui serviranno tantissime risorse per finanziare le misure di sostegno al reddito, di supporto all’occupazione e di rilancio dell’economia necessarie ad evitare un disastro sociale. Una domanda sorge spontanea: come paghiamo il conto e chi lo deve pagare? Una delle possibilità ventilate è quella di un’imposta patrimoniale. Ma questa opzione è davvero possibile dentro il quadro istituzionale europeo? Cerchiamo di capirci qualcosa.

Un’imposta patrimoniale è una tassa che colpisce non il reddito delle persone, bensì la loro ricchezza accumulata. L’idea è quella di prendere i soldi lì dove stanno, nelle tasche dei ricchi, anziché sbattere il muso sul muro di gomma che le istituzioni europee hanno posto alla possibilità di ricorrere alla leva del debito. La patrimoniale viene dipinta come la soluzione ideale per risolvere una vera e propria emergenza, evitando di scontrarci con i problemi sistemici che ci impongono dall’alto la scarsità delle risorse: sfuggire al ricatto del debito evitando di contrarre debito, e andando a prendere quelle risorse, in tempi brevissimi, direttamente a casa dei ricchi, o meglio sul loro conto in banca. Un’opzione che avrebbe il doppio effetto positivo di supplire al fabbisogno finanziario necessario e, allo stesso tempo, praticare una redistribuzione delle risorse dall’alto al basso: un potente strumento di gettito fiscale immediato e, contemporaneamente, di giustizia sociale.

Purtroppo, i ricchi sono ricchi anche perché non si lasciano prendere così facilmente e, come ci insegna anche la storia recente del nostro Paese, le imposte patrimoniali implementate fino ad oggi sono ricadute regolarmente sulla testa della classe lavoratrice.