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marx xxi

L’America Latina sale in cattedra… mentre l’Italia sprofonda nella melma liberista

di Spartaco A. Puttini

“Monti e i suoi amici possono esibire soltanto e unicamente le impietose cifre di un colossale fallimento economico, politico, culturale che sta mettendo i ginocchio il Mediterraneo uccidendone la grande civiltà. […] In Europa si suicidano. Da noi si va a ballare il tango esaltati dal senso ritrovato di un’identità nazionale”. E’ questo il parere del giornale argentino “Pagina 12”.

Gli argentini hanno voce in capitolo per giudicare, vista la tremenda esperienza patita un decennio fa, quando il paese scivolò verso il default a causa dell’ostinazione delle sue élites corrotte nel proseguire sulle fallimentari strade delle ricette neoliberiste patrocinate dal FMI. Dopo circa mezzo secolo di neoliberismo (svendita del patrimonio nazionale e privatizzazioni, smantellamento del welfare, etc…) uno dei paesi più ricchi e produttivi dell’America Latina crollava e veniva crudelmente saccheggiato.

Gli argentini ricordano quella tragedia, come ricordano la terribile dittatura (sponsorizzata dagli USA) che andò al potere proprio per propinare alla popolazione il rancio neoliberista cucinato a Chicago. Di queste due tragedie gli argentini portano ancora nelle carni tutti i segni. Nel solo 2003 sono morti di stenti ben 17 bambini al mese nel nord dell’Argentina e 1 su 4 era malato a causa della denutrizione [1]. Prodezze del neoliberismo che qui da noi viene (per ora) tanto magnificato anche dal Pd, quasi fosse compatibile con una politica progressista.


La rinascita kirchnerista

Ma il 2003 è stato anche l’anno di svolta per l’Argentina.

Con l’elezione alla presidenza della Repubblica di Nestor Kirchner è iniziato un nuovo ciclo politico che prosegue oggi con Cristina Fernandez de Kirchner. Il paese ha abbandonato i dogmi neoliberisti che predicano austerity per il popolo e grande sacco delle ricchezza pubbliche per le multinazionali occidentali, con qualche succulento boccone che dalla tavola dei padroni nordamericani può capitare in bocca anche ai vassalli europei o ai venduti locali. Buenos Aires ha chiuso la porta in faccia all’FMI e adottato altre politiche economiche con attenzione all’inclusione sociale, e i risultati si vedono.

Nei primi due anni la percentuale di popolazione al di sotto della soglia di povertà veniva ridotta dal 50% cui si era giunti a meno del 40%.

Con prudenza e fermezza Nestor Kirchner ha ristrutturato il debito, rifiutato gli interessati consigli di quei teorici liberisti che erano, con le loro politiche, i principali responsabili del disastro, e ha imboccato una strada fatta di: recupero della sovranità nazionale in campo politico (con il rifiuto dell’Alca), ed economico (con le nazionalizzazioni); politica macroeconomica espansiva con stimoli alla crescita, redistribuzione delle ricchezze e finanziamento del welfare. Il tutto condito da una grande attenzione ai movimenti che si agitano nella società, trasformati in interlocutori. Così l’esponente del peronismo di sinistra è riuscito negli anni a guadagnare un crescente consenso e a cucire insieme un fronte politico (il Fronte per la Vittoria appoggiato anche dai comunisti, non abbindolati dalle sirene socialdemocratiche di Binner) che ha continuato a crescere anche dopo la sua prematura scomparsa, e che ora è sapientemente guidato dalla moglie e successore Cristina Fernandez. La svolta impressa all’Argentina è stata talmente netta che ora si parla di kirchnerismo, il tassello argentino per completare l’emancipazione dell’America Latina e per costruire insieme ai popoli fratelli, anch’essi risvegliatisi, la “Patria Grande”.

Sul piano dell’integrazione regionale i Kirchner si sono spesi per realizzare il Banco del Sur in appoggio ai piani di sviluppo dei paesi che vi aderiscono, che rappresenta una solida sponda per evitare di cadere nelle grinfie degli sciacalli del FMI e della Banca mondiale. Hanno partecipato al potenziamento del Mercosur e hanno fondato con gli altri paesi del Sudamerica l’Unasur per l’integrazione politica basata sul rispetto reciproco, la parità dei contraenti e la difesa della sovranità nazionale. Proprio Nestor Kirchner ne era divenuto il primo presidente. Nel gennaio 2006 Argentina e Brasile hanno congiuntamente chiuso i loro conti con l’FMI [2]. Ora l’economia cresce a ritmi “cinesi”.

In quest’opera di riconquista della dignità non poteva mancare la scelta di ristabilire la giustizia rimuovendo la scandalosa impunità di cui godevano i criminali e i traditori del regime dittatoriale militare, la rimozione dei vertici delle Forze Armate e dell’apparato giudiziario.

Certo, molto resta da fare ma c’è la certezza di essere sulla strada giusta, i risultati arrivano, il consenso è alto. La fiducia di essersi lasciati finalmente alle spalle la “lunga notte neoliberale” è palpabile e spinge il popolo a manifestare il suo sostegno al governo. Come è avvenuto in questi giorni, in seguito all’annuncio dell’espropriazione del 51% delle azioni della storica azienda di idrocarburi YPF, che il “peronista” di destra (liberale) Menem aveva svenduto alla ditta spagnola Repsol durante il grande sacco degli anni ’90.

L’espropriazione è stata convertita in legge dai due rami del parlamento con una maggioranza schiacciante (per l’occasione al Fronte per la Vittoria si sono unite anche componenti dell’opposizione) in un clima di vera euforia. Un clima condiviso dai fratelli latinoamericani che parlano della nazionalizzazione dell’YPF come della data di inizio della seconda indipendenza latinoamericana [3].


Significato e prospettive della nazionalizzazione dell’YPF


La “presidenta” Cristina Fernandez de Kirchner aveva già provveduto in passato a misure di ripristino del pubblico in vari ambiti della vita economica e sociale, come quando aveva strappato i fondi pensione dalle fauci delle assicurazioni private. O come quando ha varato una nuova legge sui media per contenere lo strapotere dei mezzi di informazioni privati (che hanno prosperato sotto la dittatura) per poter garantire un sistema informativo più giusto ed equilibrato. Una scelta quest’ultima che ha posto l’Argentina all’avanguardia della riflessione e delle politiche su un terreno molto delicato per la stabilità democratica e la costruzione di una cultura che non sia in balìa della televisione-spazzatura mondializzata, veicolo del veleno neocolonialista.

Ma la scelta di ri-nazionalizzare la quota di YPF che era stata svenduta alla Repsol è un fatto di ben altra portata. In primo luogo perché concerne la terza più importante azienda energetica del paese; azienda che per sua natura opera su un terreno strategicamente cruciale per lo sviluppo. Non a caso nel decreto che la statista argentina ha presentato al parlamento per l’approvazione si definisce: “interesse pubblico e nazionale la sovranità energetica della Repubblica Argentina” così come l’autosufficienza energetica e le attività connesse di ricerca, esplorazione, distribuzione e commercializzazione degli idrocarburi.

Il governo è arrivato alla conclusione di optare per l’espropriazione dopo che la Repsol ha continuamente ignorato i suoi impegni ad investire nel paese da cui traeva le risorse e nel quale praticava una politica di alti prezzi con la conseguenza che nel corso del 2011 l’Argentina ha dovuto importare una quota rilevante di idrocarburi con grave pregiudizio per la sua bilancia dei pagamenti. Questo non toglie che nell’operare il riscatto della quota di maggioranza dell’YPF (parte della quale verrà gestita dalle regioni) l’esecutivo nazional-progressista abbia portato il colpo con somma consapevolezza delle implicazioni strategicamente rilevanti del gesto. Questa scelta ha inoltre una forte valenza simbolica perché l’YPF è nata nel 1922 come impresa di Stato grazie all’impegno profuso dal gen. Mosconi sotto la presidenza del radicale Yrigoyen (poi rovesciato da un golpe militare) al fine di garantire lo sviluppo economico e sociale del paese. Riacquisendone il controllo gli argentini voltano pagina e pongono fine ad un colonialismo “mentale” oltre che materiale. Infine può innescare una reazione a catena in tutta la regione. Anche se l’Argentina era il solo paese a non possedere la sue ricchezze d’idrocarburi tra tutti i paesi del Sudamerica, questa sua scelta può avviare un’altra tornata di nazionalizzazioni nei settori strategici. Pochi giorni dopo la Bolivia ha annunciato l’espropriazione di una compagnia elettrica spagnola. Nel settore minerario ed energetico i sudamericani possono cominciare a tessere una relazione di patnership e integrazione più stretta tra compagnie nazionali pubbliche o partecipate. Un’ottima arma per continuare a crescere.

Certamente la nazionalizzazione non risolve tutti i problemi e la gestione di YPF dovrà essere oculata ed attenta [4] ma rappresentava il primo, necessario, passo per continuare con più forza il cammino dell’emancipazione e l’Argentina lo ha compiuto. Per la prima volta nella sua storia l’America Latina ha la possibilità di scegliere da sola il proprio destino e di decidere il proprio modello di sviluppo in modo sovrano [5]. Gli echi di questo gesto hanno già passato l’Atlantico e già si racconta che “un altro paese ha infranto i dogmi liberali" [6]


L’esempio latinoamericano


Il sociologo brasiliano Emir Sader dell’Università di San Paolo ha sostenuto che la crisi economica in corso che ha colpito fortemente il centro del sistema capitalistico mondiale ha avuto ovviamente delle conseguenze anche sui paesi del Sud in ascesa senza però riuscire ad arrestarne la crescita. Questo è vero per quanto riguarda la Cina, che traina in buona misura il fenomeno dell’emersione del Sud del mondo, ma è vero anche per l’America Latina (o almeno per quei paesi della regione che stanno conquistando la loro seconda indipendenza). Ne trae la conclusione che dal punto di vista economico il mondo è già multipolare. Egli parla di un “modello latinoamericano” caratterizzato da buoni tassi di crescita economica accompagnati dalla redistribuzione delle ricchezze e da un modello sociale inclusivo. Questo modello “non è solo superiore economicamente [al modello neoliberale nordamericano] ma anche dal punto di vista politico, sociale e morale” [7].

Forse è prudente non utilizzare il termine “modello” per via delle incomprensioni che esso può generare in Occidente (come se si trattasse di fare copia e incolla da un contesto ad un altro, totalmente differente, e non già coglierne gli aspetti strategicamente più rilevanti e cercare di declinarli in un’altra realtà) ma sicuramente si può parlare di esempio latinoamericano.

L’esempio che è possibile e necessario rompere con le politiche neoliberali depressive che generano l’impoverimento della nazione e che accumulano la ricchezza in mano a una ristretta fascia di parassiti legati alla finanza transnazionale. Tale esempio ci suggerisce che la strada imboccata nella Ue (in particolare in Italia con le misure di austerity promosse dal governo di destra di Monti) non solo non è l’unica strada percorribile per far fronte alla crisi ma è proprio quella strada che ha condotto alla crisi e che può solo aggravarla. In effetti mentre in Europa si assiste ad un generale e preoccupante processo di impoverimento e di recessione in America Latina si assiste ad una diminuzione sistematica della povertà e ad un processo di sostenuto sviluppo.

Ecco perché è opportuno studiare gli effetti delle devastanti politiche neoliberali patite da quei paesi nei decenni scorsi e le politiche che hanno attuato per risalire la china dopo aver toccato il fondo. Anche noi civilissimi uomini bianchi europei abbiamo qualcosa da imparare dal Sud del mondo. Soprattutto possiamo imparare che per uscire dalla crisi è necessario puntare sul rafforzamento del mercato interno e non sulla sua sistematica depressione tramite l’imposizione di imposte indirette e la riduzione dei salari, delle pensioni e dei servizi sociali. Eduardo Brenta, Ministro del Lavoro dell’Uruguay, intervistato da Hugo Bazzi, [8] consiglia di basarsi sulla redistribuzioni dei redditi per favorire un miglioramento delle condizioni di vita al fine di rilanciare l’economia anziché basarsi sulla mitologia liberale in base al quale la ricchezza, una volta accumulatasi in cima alla piramide sociale, ridiscende autonomamente verso il basso. Guardando alla propria esperienza egli sostiene che la crisi nella quale si trovava il paese quando arrivò al potere il “Frente Amplio” “fu superata grazie a una corretta lettura dei nuovi governi della regione che non accettarono le direttive di applicare le note ricettedi aggiustamento strutturale condivise invece dai governi neoliberisti nelle epoche precedenti. Al contrario, si decise che a maggior crisi si risponde con maggiori investimenti in politiche sociali”.


Oggi in Argentina, domani in Italia


Chiunque può vedere che da noi ci si ostina su un crinale pericoloso, e quel che è peggio è che tale errore suicida viene sostenuto e propagandato anche dalla forza politica che, nonostante tutto, raccoglie il grosso dell’elettorato progressista (quello che non si rifugia nell’astensione). Ma nonostante la gran cassa mediatica cerchi di sostenere artificialmente la popolarità del governo Monti è chiaro che le sue scelte di massacro sociale e dismissione economica sono destinate a sollevare sempre più resistenze nel paese reale. Allora è necessario trovare un’uscita dalla crisi nella quale stiamo precipitando senza paracadute.

Ecco perché è giusto guardare a cosa si realizza altrove. Per comprendere, elaborare e sostenere la necessità di un’altra politica basata su: sovranità nazionale, programmazione economica e nazionalizzazione dei settori strategici a partire dalle leve dell’economia: gli istituti di credito, nuova perequazione fiscale e politica redistributiva, stato del benessere e giustizia sociale. Senza la costruzione di un fronte unito per il cambiamento di questo tipo agli italiani verrà semplicemente rifilata un’altra fregatura e la spazzatura verrà accumulata sotto il tappeto; morta una lega se ne fa un’altra.

Il passato recente di quei paesi ci parla del presente dei paesi periferici e semiperiferici dell’Europa, la loro orgogliosa rinascita ci parla di un futuro possibile e necessario, un futuro assai diverso da quello scritto per noi a Wall Street, a Washington, a Bruxelles o a Berlino. Oggi in Argentina, domani in Italia.

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NOTE
1 V. Bispuri, C’è vento di cambiamento in Argentina; in: “Latinoamerica”, n.90/91 2005, p.9
2 Si veda: G. Carotenuto, Argentina: come liberarsi dal Fondo monetario e vivere felici; in: “Latinoamerica”, n.117 2011
3 Si veda il parere del giornalista cubano Angel Guerra Cabrera: www.vermelho.org.br 22/04/2012
4 Per una disamina delle sfide poste dalla gestione dell’YPF si veda il parere di Claudio Katz: La causa YPF , http://www.anred.org/article.php3?id_article=4954
5 Felipe Lagos, YPF, la izquierda latinoamericana y el modelo de desarollo, www.rebelion.org, 22/04/2012
Si veda anche: Amìlcar Salas Oroño, A YPF e a dialética latino-americana; www.vermelho.org.br 24/04/2012
6 N. Nikandrov, Argentina: Another Country to Brush Off Liberal Dogmas; Strategic Culture Foundation, 1/5/2012
8 H. Bazzi, Eduardo Brenta, Ministro del Lavoro dell’Uruguay: dalla crisi si esce solo con più investimenti sociali; www.puntocritico.net 24/3/2012 (Trad. di Rodolfo Ricci)

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