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orizzonte48

Welfare, spesa pubblica, pensioni e crescita

Inganno senza fine

di Quarantotto 

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 1. Dunque, secondo Eurostat, l'Istat dell'Unione europea, l'Italia ha una delle più basse spese pubbliche pro-capite in €uropa. Capirete, dunque, che un paese che si trovi a "dover" riprendere a crescere per poter far quadrare i conti, - cioè, in soldoni, a dover avere un PIL finalmente in crescita (dopo tre anni consecutivi di recessione indotta da manovre fiscali) per garantirsi un gettito crescente e rispettare i limiti di deficit strutturale di medio termine (flessibilizzati dall'UEM)- non "dovrebbe" procedere a tagli della spesa pubblica.

Neppure per garantire un'attenuazione della pressione fiscale che, peraltro, è proclamata a voce...ma non risponde alle attuali indicazioni del DEF. 

Come potere vedere qui, effettuati corretti ed elementari calcoli sul rapporto tra PIL e entrate dello Stato (che, a onor del vero, non includono soltanto quelle tributarie, sebbene le privatizzazioni tendano a intaccare notevolmente le altre voci di entrate, in specie da dividendi):

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2. Riassuntivamente, secondo il DEF, le entrate complessive, (incluse quelle extratributarie), aumentano sia nel 2015 che nel 2016 (e negli anni seguenti), ma la pressione fiscale rimarrebbe inalterata nel (solo) 2015 per poi riaumentare negli esercizi seguenti.

La pressione fiscale invariata del 2015 in rapporto al PIL sarebbe da attribuire ad una (più o meno) proporzionale crescita di quest'ultimo: una crescita prevista in un "circa" +0,7, ma che il DEF pare attestare su un valore nominale oggettivamente superiore, 23 miliardi, senza che sia chiaro quale sia il tasso di inflazione medio ritenuto attendibile nel 2015.

Su questo aspetto, l'ultimo dato Istat ci dice che a marzo l'inflazione è postiva, sebbene sia un modesto +0,1 sul mese precedente, rimanendo pur sempre a -0,1 sull'anno precedente (cioè sul mese di marzo 2014).

L'aumento nominale del PIL dunque compenserebbe, all'interno del rapporto, l'aumento del gettito. 

Negli anni seguenti, la pressione fiscale aumenterebbe per un maggior carico tributario superiore alla prevista crescita del PIL (tutta sulla carta e da verificare nei fatti, già alla fine di quest'anno).

 

3. E dunque, per trovare la verifica di attendibilità di queste previsioni, ritorniamo alla questione della "crescita" (che poi sarebbe un'uscita dalla recessione).

Ma come può essere realizzata questa clamorosa inversione?

Non ce lo dice Gutgeld, in un'intervista a piena pagina su "Il Messaggero" di oggi. Ci dice solo che "la crescita è più alta di quanto non fosse stato previsto a settembre", mentre (questo sì) "si è verificato un calo dei tassi di interesse sul debito" (dovuto alle aspettative e poi all'inizio delle operazioni di acquisto BCE).

Il punto, al di là della giustificazione contabile del "tesoretto" da destinare alle più varie iniziative di sostegno alle consuete "fasce deboli" (che votano a fine maggio...), è che nel DEF di aprile sono stati inseriti 10 miliardi di tagli della spesa

Diciamo subito che, rispetto ai saldi previsti dalla legge di stabilità e relazionati ad ottobre alla Commissione europea, si tratta di un "alleggerimento": in quella sede i tagli ammontavano a 15 miliardi.

Nell'intervista, peraltro, la domanda posta a Gutgeld obietta che non si tratta di 10 miliardi di "risparmi" (così vengono denominati i tagli alla spesa pubblica, prefigurando un effetto positivo che non c'è affatto in termini di PIL), essendo stati inseriti in questo ammontare "la lotta all'evasione e la riforma delle detrazioni fiscali".

 

4. Rimodulata in questo modo, cioè facendo quadrare i saldi del 2015 in base a un aumento delle entrate tributarie - perchè lotta all'evasione e diminuzione di detrazioni (e sicuramente "deduzioni") a questo equivalgono-, la manovra, molto confusamente avviata con la legge di stabilità, appare certamente (un po')  meno recessiva

Con l'avvertenza che questo vale se le maggiori entrate, sostitutive dei tagli, siano  aggiuntive rispette a quelle altrimenti previste nella originaria legge di stabilità

Le varie voci tributarie (a livello di imposizione centrale, non degli enti territoriali, attenzione!) della legge di stabilità le avevamo analizzate sempre qui: slot machines, previdenza integrativa e una prima quantificazione della "lotta all'evasione fiscale" in 3,8 miliardi. 

Ne dovremmo dedurre che quest'ultima voce dovrebbe essere ulteriormente incrementata. E andare, con tale incremento, ad aumentare la pressione fiscale unita alla voce della riduzione di detrazioni e deduzioni.

Dunque: 5 miliardi di consolidamento fiscale mediante taglio della spesa salterebbero per via dell'aumento del PIL e, quindi, della base imponibile e del relativo gettito "naturale", nonchè della diminuzione dei tassi di interesse sul debito: questa voce dava nel primo trimestre del 2015 un risparmio di circa 800 milioni che, a voler essere ottimisti, dovrebbe portare a un risparmio annuale intorno ai 3 miliardi. 

Se ne deduce che un paio di miliardi (di minori tagli) sarebbero da attribuire ad una crescita maggiore dei pochi decimali previsti a settembre: per la precisione a settembre la previsione era di un +0,6 di PIL 2015.

Ne deduciamo, ulteriormente ma necessariamente, che i saldi vengano già ora stimati sulla base di una crescita persino maggiore dello 0,7 recato nel DEF di aprile 2015: calcolando una pressione fiscale effettiva "approssimativa" intorno al 50% (cioè quella che incide sul PIL emerso e non sul PIL ricalcolato col "nero", che è esentasse per definizione), la crescita sarebbe superiore di circa 0,4 punti di PIL rispetto alla nota di aggiornamento del DEF di settembre. quindi già ora si "manovra" sulla base di una crescita del PIL 2015 intorno al +1%!

 

5. Prendiamo atto che l'intera impostazione ATTUALE della politica fiscale si orienta ad una filosofia diversa da quella della originaria versione della legge di stabilità (e con la nota di aggiornamento di settembre), molto meno orientata al taglio della spesa pubblica e più sull'aumento delle tasse.

In parte ciò è positivo, per la crescita, dato che, come sappiamo l'incidenza sul PIL del taglio della spesa ha un moltiplicatore pressocchè doppio rispetto a quello dei (nuovi) tributi di misura equivalente.

Non sappiamo se questa diversa impostazione sconti coscientemente il teorema di Haavelmo (per cui, in sostanza, il moltiplicatore della spesa pubblica è doppio rispetto a quello della imposizione fiscale).

Nondimeno i tagli alla spesa pubblica ci sarebbero comunque, nel corso del 2015 e aggiuntivi, cioè dei quali ancora non abbiamo avvertito gli effetti (di contrazione del PIL). Come li abbiano stimati e quantificati in concreto, non è mai molto chiaro, essendovi una sovrapposizione di norme derivanti da una pluralità di manovre compiute negli ultimi anni i cui effetti sono pluriennali (a cominciare dai vari tagli lineari che, non essendo eseguibili automaticamente nell'esercizio in cui sono previste le relative norme, continuano a produrre effetti, come pure le norme di rinegoziazione dei contratti di spesa in corso, che richiedono un'attivazione delle amministrazioni nel tempo). 

 

6. Una cosa la si può dire: che la diminuzione dei tagli alla spesa non sarebbe determinata dalla maggior crescita sebbene proprio il contrario

Diminuire, sia pure in pareggio di bilancio, cioè compensando con maggior tasse, i tagli della spesa è piuttosto alla base di una maggior crescita o meglio di una minore contrazione del PIL rispetto alle previsioni ...

Rimane il fatto, però, che una parte dei minori tagli è giustificata dalla crescita (cioè da un ipotetico maggior gettito su un maggior PIL), cioè in modo autonomo dalla stesso risparmio sugli interessi sul debito pubblico.

E tutto questo costituisce una vera e propria scommessa. Una sorta di serpente che si mangia la coda: se il PIL non crescesse di 1 punto nel 2015, e questo lo capiremo specialmente nella seconda parte dell'anno, - quando saranno più intensamente attuati sia i maggiori carichi tributari sia i tagli aggiuntivi comunque previsti-, ci sarebbe un inevitabile buco nei conti pubblici.

E se alla Commissione non andasse bene, com'è certo, visto che siamo già sul crinale della flessibilità consentitaci (che ci consente un deficit a -2,6, laddove avrebbe dovuto essere almeno al -2,4, secondo i criteri del fiscal compact), ciò significa che nella seconda parte dell'anno dovrebbe essere introdotte delle misure aggiuntive. Che avrebbero l'effetto di ridurre ulteriormente la domanda interna, facendo fallire qualsiasi previsione attuale di crescita, rischiandosi anzi un ritorno in recessione.  

Nonostante il QE e il supposto boom esportativo che, per lo più, è stato finora uno "SBOOM" delle importazioni.

 

7. Un'ultima notazione: Gutgeld, nella stessa intervista, fa cenno alla possibilità di introdurre flessibilità nel pensionamento, consentendone l'anticipazione rispetto a quanto previsto dalla legge Fornero. 

Più precisamente, Gutgeld parla di ricorrere al "contributivo"

In sostanza, si allude chiaramente alla possibilità di ricalcolare le pensioni attualmente erogate abbassandone il livello con l'applicazione retroattiva del contributivo anche su chi avvesse avuto un calcolo della prestazione in tutto o in parte col retributivo.

A questo va aggiunto che l'anticipazione del pensionamento così suggerita si accompagnerebbe naturalmente con una drastica riduzione dei corrispondenti trattamenti per i presunti beneficiari (facciamo il caso degli "esodati" e simili lavoratori espulsi in tarda età dal lavoro, ma non ancora abbastanza vecchi per andar in pensione regolarmente).

 

8. Ecco che rispunta un possibile ed aggiuntivo taglio della spesa. Non ancora quantificato e non ancora previsto

In sostanza, per rendere sostenibile un allargamento dei pensionati si ridurrebbero, ricalcolandole, le pensioni in attuale godimento e si attribuirebbero ai neo-semi-baby-pensionati delle pensioni piuttosto basse.

L'ostacolo, ci dice Gutgeld, sarebbe la Commissione europea che considererebbe questo allargamento come foriero di deficit e quindi fuori dai limiti della flessibilità consentita. Cosa un po' contraddittoria, visto che uno sforamento di deficit si avrebbe comunque, con molta probabilità, se la crescita del PIL non fosse nella misura attualmente stimata (cioè nel quasi 1% messo nel carniere), e mancassero le relative entrate (facciamo di qualche decimale di PIL se non addirittura del tutto, cioè 0,5, se la crescita fosse pari o vicina allo 0).

Ma non è questo il punto, cioè non è quanto lo sforamento di deficit sia consentito solo sulla carta e sulla base di calcoli aleatori (stocastici, appunto). 

Il punto è che, non si comprende perchè ci sarebbe, in una revisione delle pensioni così congegnata, ulteriore deficit

Tanto tolgo tanto attribuisco: la copertura teoricamente ci sarebbe; in sostanza pensioni più basse per tutti, in un gigantesco giro di conto in cui il futuro degli anziani sarebbe complessivamente peggiorato.

 

9. Ma forse la spiegazione è proprio nella natura di posta attiva delle pensioni rispetto al bilancio dello Stato, che abbiamo visto qui, attestata da studi seriamente condotti su flussi di entrata a titolo di contribuzione assommati, correttamente, a flussi di tassazione alla fonte sulle stesse pensioni.

Quello che ne deriverebbe, infatti, è una diminuzione delle entrate tributarie sulle pensioni in godimento ricalcolate, unita ad una diminuzione dei contributi che non verrebbero più versati dai nuovi pensionati. Che, a loro volta, sarebbero fruitori di pensioni così basse da non dare un gettito tributario corrispondente a quello che si perderebbe sulle pensioni ricalcolate al ribasso col contributivo (questo è chiaramente desumibile dalla diversa incidenza delle aliquote marginali).

A ciò sarebbe da aggiungere che anticipare il pensionamento, pare del tutto orientato a consentire nuove assunzioni sui posti che si renderebbero vacanti sul mercato del lavoro (cfr; p.5): l'effetto sarebbe che i nuovi occupati, presumibilmente "giovani" o disoccupati di lungo corso, sarebbero assunti col jobs act in inquadramenti iniziali o comunque meno retribuiti di quelli dei neo-pensionati.

 

10. E siamo sempre al processo deflattivo del mercato del lavoro: l'effetto fiscale sarebbe anche qui, alla fine, quello di un buco nelle entrate

Minori trattamenti economici dei neo-occupati sostitutivi di quelli precedenti, con minori entrate fiscali e minori contributi

E siccome il sistema è a ripartizione, il complesso del ridisegno "todo-contributivo" del sistema pensionistico assommato al neo-mercato del lavoro "flessibile", sarebbe quello di mettere in pericolo l'attuale sostenibilità non solo del sistema stesso ma anche quella dei conti dello Stato che, dall'attivo attuale di oltre 24 miliardi derivante da contributi e tasse in eccesso rispetto all'ammontare della spesa pensionistica effettivamente erogata, si avvantaggiano considerevolmente.

 

11. A questo vanno aggiunti i consueti problemi demografici, per cui i nuovi nati, quand'anche in ipotesi super-ottimistica, fossero tutti in grado di essere impiegati, e non rimanessero disoccupati nella maggioranza, apparterrebbero a millesimi di nascite molto più scarse di quelle dei baby-boomers, comunque andati in pensione.

Dovendosi avere a che fare con la realtà, il sospetto è che la ricalibratura del sistema pensionistico oggi ipotizzata, serva soltanto a sedare un po' di scontento per la disoccupazione di massa dei giovani e ad accelerare l'insostenibilità di un sistema in cui diminuisce la quota di popolazione attiva e la disoccupazione strutturale  rimane invece alta

E questo per effetto programmatico delle politiche fiscali improntate alla "piena occupazione" di stampo €uropeo, quella del 10,5% strutturale di disoccupazione in pareggio di bilancio.

Ma, divenuto il sistema insostenibile, si aprirebbe la strada a obbligatorie misure di copertura, con nuove tasse, nuovi tagli e anche nuova disoccupazione, nel consueto ciclo deflazionistico al ribasso.

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