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sinistra

Caduto Draghi resta la sua agenda. Che non si fa mettere ai voti

La parola non alle urne, ma alla piazza!

di Nucleo Comunista Internazionalista

nucleocom DRAGHI html e9aa5911970a74dcAlle porte di mesi cruciali e devastanti – con tanto di possibili se non probabili razionamenti di gas, energia elettrica, forse anche di cibo e di altri possibili se non probabili giri infernali della giostra pandemica in seguito alla diffusione di nuovi virus o di nuove varianti – la caduta del governo Draghi di unità nazionale avvenuta il 20 luglio è una disdetta, un motivo di intorbidimento delle acque, dal punto di vista del movimento sociale di opposizione sorto il sabato 24 luglio 2021 che bene o male (male! certamente si può dire; ma gli uomini e le donne che da allora si sono attivizzati lo hanno fatto come hanno potuto in un quadro generale sfavorevole…) ha cercato di contrastare la subdola guerra di classe (1) dichiarata e attuata dal governo Draghi.

Sarebbe stato utile, secondo il nostro modo di vedere, avere innanzi nel combattimento sociale alle porte la Forza nemica apertamente unificata in tutti i suoi tentacoli politici dietro alla figura-Draghi incarnazione del potere più assatanato del capitale. Cosa estremamente utile come fattore di catalizzazione del massimo di energie disponibili nella lotta “contro tutti”, contro il governo “di tutti”, inclusa opposizione lealista e di facciata fratelloitaliota. Soli contro tutti e senza alcuna tangibile “sponda” parlamentare: splendida posizione di isolamento (rispetto ad una baracca marcia fradicia e tutta la sua ciurma) e di combattimento sociale e politico! Con il venir meno, per il momento, dell’Union Sacrée politica in questo senso si intorbidiscono le acque. Il polverone alzato con la crisi di governo ad annebbiare la vista.

Dobbiamo amaramente riconoscere che il governo di unità nazionale installato nel febbraio 2021ha centrato il suo principale obiettivo e Draghi lo ha, con giusta ragione dal suo punto di vista, rivendicato nel suo perentorio discorso programmatico pronunciato il 20 luglio alla Camera sul quale ha chiesto la fiducia.

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rifonda

I danni del Partito Democratico all’Italia

di Piero Bevilacqua

letta smallOccorre di tanto in tanto fermarsi e guardare indietro, fare un po’ di storia, per capire come siamo arrivati sin qui. E un buon filo d’Arianna per districarsi nel labirinto della cronaca carnevalesca di oggi è la vicenda del Partito Democratico. Nato nel 2007 dalla fusione dei Democratici di Sinistra e della Margherita, è stato sino al 2018 il maggiore partito italiano e, con alcune interruzioni, nel governo della Repubblica per quasi 9 anni. L’intera XVII legislatura coperta con i governi Letta-Renzi-Gentiloni.In tutto 15 anni che, per i tempi della politica, per le sorti di un Paese, costituiscono una stagione abbastanza lunga perché sia possibile valutarne le responsabilità. Comincio col rammentare che, erroneamente, questa formazione è stata sempre considerata l’amalgama di due grandi eredità politiche, quella comunista e quella democristiana. Non è così. Tanto i dirigenti comunisti che quelli cattolici, prima di fondersi, avevano subìto una profonda revisione della loro cultura originaria. Prendiamo gli ex comunisti. Dopo il 1989 essi hanno attraversato, come tutti i partiti socialisti e socialdemocratici europei, il grande lavacro neoliberale, mutando profondamente la loro natura.

Tanto Mitterand in Francia, che Schroeder in Germania, Blair nel Regno Unito, D’Alema ( insieme a Prodi e Treu) in Italia, hanno proseguito o introdotto nei loro paesi le leggi di deregolamentazione avviate dalla Thatcher e Reagan negli USA. In sintonia con Clinton, che nel corso degli anni ’90 ha abolito la legislazione di Roosevelt sulle banche, essi hanno liberalizzato i capitali, reso flessibile il mercato del lavoro, avviato ampi processi di privatizzazione di imprese pubbliche e beni comuni, isolato ed emarginato i sindacati. Democratici americani , socialdemocratici ed ex comunisti europei hanno sottratto le politiche neoliberistiche dai loro confini americani e britannici e le hanno diffuso più largamente nel Vecchio Continente.

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gasparenevola

Potere della crisi e retoriche dello screditamento

Dentro e oltre la campagna elettorale

di Gaspare Nevola

ELEZIONI 2022 1 BRK ART 1 11. Crisi e potere, ovvero paura e libertà

Quando la politica è avvolta nel paradigma o nella narrazione della crisi, la democrazia viene rinchiusa nel recinto della paura. In uno spazio dove non c’è posto per la libertà, ma autostrade per la fuga dalla libertà. Nulla di nuovo, beninteso. La storia politica e quella del “fatto democratico”[1] sono state costantemente attraversate da fenomeni del genere: fenomeni che non esprimono altro che dinamiche politiche e socio-culturali, logiche di potere e di contro-potere, di governo e di opposizione, di obbedienza e di disobbedienza, di conservazione o di mutamento dell’ordine costituito. In tutti questi casi, la libertà è una posta in gioco cruciale, ma alla quale, persino quando è ufficialmente ben vista, viene riservata una stanza in soffitta e non già il salotto buono di casa. Accade ancora ai nostri giorni. Anche nel mondo occidentale che si autodefinisce democratico (o liberaldemocratico) e che siamo soliti considerarlo tale, almeno convenzionalmente. Tutto ciò sta accadendo anche in queste settimane in Italia, nella campagna elettorale per il voto del 25 settembre: nel suo piccolo, un caso esemplare di una tendenza storica generale, che tuttavia ai nostri tempi va acquisendo crescente visibilità rispetto al passato, e forse anche più forza.

 

2. La campagna elettorale del 25 settembre. Cioè?

Nelle (moltissime) pagine dei mass media (vecchi e nuovi) riservate alla cronaca o al commento della campagna elettorale, abbonda l’energia dedicata (dagli attori e dagli osservatori “rappresentatori” politici e mediatici) alle alleanze elettorali, agli accordi o ai mancati accordi di un polo o dell’altro o dell’altro ancora, tutti finalizzati a trovare la chiave per vincere o per non perdere troppo o per non fare vincere troppo la controparte, dove gli interessati mirano a trovare un posto nelle liste e, più ancora, all’accaparramento personale dei collegi elettorali “blindati” o delle circoscrizioni stimate come favorevoli.

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sollevazione2

Gas: i fenomeni del "Whatever it takes"

di Leonardo Mazzei

stupido copiaCi scalderemo ancora con il gas nel prossimo inverno? Probabilmente sì, ma solo chi potrà permettersi di pagarlo. Sulla disponibilità del metano scriviamo “probabilmente”, piuttosto che “certamente”, perché l’incertezza è connaturata con la situazione di guerra in atto. Certezza totale, invece, riguardo ai prezzi: se non aumenteranno, di certo non caleranno.

 

Un disastro targato Draghi

Il “governo dei migliori” ha già da tempo apparecchiato il disastro. Anche se piuttosto complicato, sganciarsi dalla dipendenza del gas russo è sì tecnicamente possibile, ma economicamente disastroso. Siamo in campagna elettorale, e chi volesse affrontare seriamente il tema avrebbe da dire una sola cosa di buon senso: basta con le sanzioni, torniamo a normali rapporti commerciali con la Russia!

Ma ovviamente il buon senso è proibito, ed il pensiero unico anti-russo imperversa. Il prezzo lo pagherà la povera gente.

Già nella primavera scorsa era chiaro il vicolo cieco in cui il governo Draghi stava portando il Paese. Allora imperversava la caccia al fornitore, per l’immediato e per gli anni a venire. Da qui i frenetici contatti, e gli innumerevoli viaggi del governo e dell’Eni in Algeria, Azerbaigian, Egitto, Qatar, Congo, Angola, Nigeria, Mozambico: tutti paesi produttori di gas, ma solo i primi due già collegati via tubo con l’Italia. Da qui la necessità di nuovi rigassificatori.

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lafionda

Il solito ricatto contro gli elettori

di Matteo Bortolon

element5 digital t9cxbzluvic unsplashUn po’ inaspettatamente il governo Draghi è caduto e sono state fissate le nuove elezioni per il 25 settembre. Nemmeno l’inchiostro del decreto del 21 luglio che le stabilisce ha fatto in tempo ad asciugarsi che sono partiti appelli e richiami a sbarrare la strada alle destre mettendo assieme tutte le forze che vi si oppongono.

Nel suo articolo sul Manifesto di domenica 24 luglio il politologo Antonio Floridia suggerisce un “accordo tecnico” volto ad impedire che la coalizione Lega – Fd’I – FI possa conseguire una maggioranza così ampia da modificare la Costituzione senza passare per un referendum popolare.

Nel suo articolo si dà quasi per scontato che tale coalizione raggiunga la maggioranza, così da far assumere alla proposta una sorta di “riduzione del danno” minima: non fargli prendere i due terzi.

Nonostante il carattere abbastanza pragmatico e rassegnato, il pezzo non si sottrae ad una aggettivazione sopra le righe per designare l’esito che intende scongiurare: corriamo verso “il baratro”, tanto da bacchettare l’eccessivo purismo di chi si farebbe troppi problemi a fare accordi anti-destra: “ma ci si rende conto di dove si va a parare? […] non è tempo di fare gli schizzinosi”.

Insomma, al di là dell’obiettivo di garantire un referendum per non modificare la Costituzione, serpeggia non troppo velatamente il proposito, ricorsivo con una regolarità degna di un metronomo ad ogni tornata elettorale, di invitare alla “unità delle sinistre”, che si è velocemente trasformata nell’unità di tutto ciò che sta a “sinistra” di Forza Italia, per non “consegnare il paese alle destre”, eventualità vissuta come un cataclisma irreparabile con accenti apocalittici.

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cumpanis

Per una Lista Comunista Unitaria Nazionale

Crisi del governo Draghi ed elezioni

di Fosco Giannini

IMG 20220721 171137Mentre scriviamo – 21 luglio – il governo Draghi è in agonia. Non ne conosciamo l’epilogo, ma ciò ci interessa relativamente rispetto all’esigenza che abbiamo di andare all’essenza delle cose, sottraendoci all’impudico balletto a cui partecipa quasi tutto l’arco parlamentare italiano, che si muove in un vaudeville di personaggi obesi nell’animo, ipocriti ed untuosi, quelli già per sempre tratteggiati e condannati da George Grosz.

Il governo Draghi cadrà e all’orizzonte si profilerà la vittoria di una destra guidata da Giorgia Meloni. Il PD, il partito che ha fatto entrare nella Città d’Italia quel Cavallo di Troia pieno di soldati iperliberisti e antioperai, con le bandiere della Nato e dell’Ue, lancerà gridi d’allarme per la democrazia e cercherà di costruire altri fronti liberisti ed atlantisti contro la destra.

E l’orrido vaudeville continuerà, sarà più volte al giorno trasmesso in ogni casa italiana, nella menzogna, nella rimozione totale della verità, in una “politique politicienne” di massa entro la quale il tesoro della verità sarà nascosto sottoterra, come le 300 monete d’oro d’epoca bizantina ritrovate solo nel 2018 sotto le terre di Como.

Se la destra capeggiata da Fratelli d’Italia vincerà, nulla sul piano sostanziale, cambierà: l’alleanza tra FdI, Lega e Forza Italia garantirà di nuovo una totale subordinazione all’Ue, alla Nato, all’Ucraina di Zelensky e al grande capitale italiano.

Se dovesse riaffermarsi un fronte di centro-sinistra o di “unità nazionale” attorno al PD, magari allargato al nuovo Centro in composizione, tutto sarà come prima: fedeli alla guerra imperialista, all’Ue e a quella nuova borghesia italiana che ora domina il sistema finanziario, bancario e industriale italiano con quella ferocia padronale che le permette quell’ormai lunga assenza dell’opposizione politica, sociale e sindacale in Italia.

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gasparenevola

Democrazia o salvezza. Cosa ci dice la crisi del governo Draghi

di Gaspare Nevola

Democrazia o salvezza? Elezioni o il Bene del Paese? Questi gli interrogativi che non vogliamo porci. Ma cosa ci dice, in ultimo, la crisi del governo Draghi?

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1. Vita o crisi di un governo, voti di fiducia del Parlamento. La fisiologia di una democrazia parlamentare

La settimana scorsa il Presidente del Consiglio Draghi si è dimesso, nonostante avesse avuto il voto di fiducia istituzionale del Senato. Ma non avendo ottenuto il voto di fiducia politico da parte del M5S, ha ritenuto che la maggioranza parlamentare, che lo aveva fatto sorgere, di fatto non esisteva più, e per ciò stesso veniva meno il governo nato circa un anno e mezzo fa. Dopo che il Quirinale ha respinto le sue dimissioni, oggi (20 luglio) il premier Draghi si reca in Parlamento. In quale direzione si uscirà dalla crisi di governo ufficializzata, se non innescata, dalle dimissioni del Presidente del Consiglio? Una riflessione si impone comunque già ora, su alcune tendenze di fondo che vanno rafforzandosi nella politica e nel sentiment del Paese. Anche qualora, alla fine, si dovesse andare alle elezioni anticipate. Ma andiamo con ordine a svolgere il nostro tema, che si articolerà su una pluralità di fuochi di analisi, come, ad esempio, quello dell’opinione pubblica organizzata nei canali della stampa nazionale, quello delle trasformazioni della “cosa-democrazia” a fronte del persistere del “nome- democrazia”, quello del significato del voto nelle liberaldemocrazie contemporanee.

 

2. Fisiologia di una democrazia parlamentare sul viale del tramonto?

Che un governo nasca, viva o muoia sulla base dei voti e della fiducia o sfiducia parlamentari, nonché sulla base delle scelte politiche che compiono i partiti, rappresenta la fisiologia di una democrazia parlamentare, quale è quella italiana disegnata nella Costituzione del 1948 – indipendentemente dal fatto che gli esiti a cui portano tali dinamiche politiche possano, a seconda dei casi, piacere o no.

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byoblu

Vi spiego perché vogliono andare alle elezioni proprio adesso

di Claudio Messora

drtaghiIl Parlamento peggiore della storia di questa Repubblica SpA si avvia a fare le valigie. Con pochissime eccezioni, arroccate sia tra le fila dei partiti che nei gruppuscoli di fuoriusciti, numericamente ininfluenti, questa masnada di pavidi, opportunisti, utili idioti ed arrivisti ha avallato la peggiore macelleria sociale e le politiche di repressione più violente dai tempi della Seconda guerra mondiale, tanto più stolide quanto basate su assunti scientifici traballanti quando non completamente falsi. Ha supinamente recepito tutte le direttive imposte dall’alto, e non già dalle organizzazioni internazionali, di per sé poco rappresentative degli stati nazionali perché comunque eterodirette, come l’Oms, ma direttamente dalle multinazionali e dai ricchi padroni del pianeta che si riuniscono nei loro parlamenti privati di Davos. Un Parlamento che avrebbe dovuto rappresentare la voce del popolo italiano (perché siamo ancora, sebbene formalmente, una Repubblica parlamentare), e che invece, esattamente come i sindacati, ha rappresentato solo la sua subordinazione muta al potere dei soldi, della finanza e dei progetti di ingegneria sociale dei multimiliardari globali.

Per un parlamentare la prima legge morale è la coerenza. In questo senso, forse i migliori sono i piddini: tutto quello che è successo è opera loro, fa parte del loro dna. Sono loro i globalisti, i cessori di sovranità, loro che anelano ad un mondo in cui il potere anche politico risiede nelle mani di pochi, possibilmente lontano dai popoli che amministrano, meglio sarebbe addirittura su un altro pianeta.

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ilpungolorosso

Una provocazione repressiva in grande stile, contro il proletariato della logistica, il SI Cobas, il sindacalismo conflittuale

di Tendenza internazionalista rivoluzionaria

Dopo due anni di pandemia e dentro una guerra che non finirà a breve e avrà effetti di devastazione sociale enormi anche fuori dall’Ucraina, il padronato e le forze parlamentari di governo e “opposizione” sanno che il malessere sociale ha raggiunto un livello tale di tensione che può esplodere da un momento all’altro. Di qui l’intensificazione della repressione in chiave preventiva: mettere sulla difensiva, terrorizzare, disorganizzare, delegittimare, dividere e normalizzare quella che è stata finora la frazione della classe lavoratrice più attiva e combattiva

1c2b0 maggio 2022 milano 3All’alba di questa mattina è partita una pesante ed insidiosa operazione repressiva contro dirigenti del SI Cobas (il coordinatore nazionale Aldo Milani, Mohamed Arafat, Carlo Pallavicini, Bruno Scagnelli) e dell’USB, a sei dei quali sono stati comminati gli arresti domiciliari.

La provocatoria imputazione è quella di associazione a delinquere per avere compiuto atti di violenza privata, resistenza a pubblico ufficiale, sabotaggio, interruzione di pubblico servizio in occasione di scioperi e picchetti per “estorcere” da padroni e padroncini condizioni di “miglior favore” non per i lavoratori, ma per sé stessi – in una sorta di “faida”, anch’essa a fini privati, tra sindacati “di base”.

Insomma: la realtà dei fatti negata, mistificata, rovesciata. Perché negli ultimi 10-15 anni, a cominciare dalla Bennet di Origgio, i proletari della logistica, immigrati in grande maggioranza, sono stati protagonisti del solo, significativo ciclo di lotta avvenuto in Italia negli ultimi decenni – il solo fatto di lotte vere, di scioperi veri, di picchetti veri, di veri coordinamenti tra le diverse realtà, con piattaforme di lotta vere. Lotte realmente auto-organizzate dai lavoratori in prima persona che hanno dato vita a un’esperienza di nuovo sindacalismo militante impersonato soprattutto dal SI Cobas. Le sole lotte che – in un quadro di generale arretramento della classe lavoratrice – hanno segnato significativi avanzamenti nella condizione materiale (salari, orari, garanzie, etc.) e nei livelli di organizzazione e di coscienza di classe di decine di migliaia di proletari, sia facchini che driver.

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lafionda

Cosa è andato storto nelle politiche anti COVID

di Redazione

Riceviamo e pubblichiamo volentieri questo documento critico sulle modalità in cui è stata gestita la crisi sanitaria legata al Covid-19. All’insegna del pluralismo informativo e del dissenso informato

site 640 480 limit coronavirus4 internoPrime firme:

Sara Gandini (epidemiologa biostatistica), Mariano Bizzarri (oncologo e saggista), Emilio Mordini (medico psicoanalista e filosofo), Fabrizio Tuveri (medico), Maurizio Rainisio (matematico statistico), Marilena Falcone (ingegnere biomedico), Maria Luisa Iannuzzo (medico legale), Elena Flati (biologa nutrizionista e farmacista), Clementina Sasso (astrofisica), Ugo Bardi (chimico) .

Sottoscritto da:

Massimo Cacciari e la Commissione Dubbio e Precauzione, Elena Dragagna (giurista), Gilda Ripamonti (giurista), Maria Sabina Sabatino (storica dell’arte), Guglielmo Gentile (giornalista), Remo Bassini (giornalista), Luciana Apicella (giornalista), Francesca Capelli (sociologa e insegnante), Ludovica Notarbartolo (libraia), Thomas Fazi (Giornalista e saggista), Francesca Gasparini (Studiosa di performance e docente di musica).

* * * *

In base alle conoscenze disponibili all’inizio della pandemia era difficile capire quali scelte sarebbero state più efficaci. Oggi si possono valutare tali scelte, e individuare quelle sbagliate. Vinayak Prasad, ematologo-oncologo e professore associato di Epidemiologia e Biostatistica presso l’Università della California, ha stilato recentemente un elenco degli errori commessi durante la pandemia. Noi abbiamo preso spunto dallo stesso e questo è il nostro punto di vista anche rispetto all’Italia partendo dalle evidenze scientifiche attuali:

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Amministrative: come volevasi dimostrare

di Leonardo Mazzei e Moreno Pasquinelli

marcia indietro 112 giugno: il divisionismo non paga

I risultati delle elezioni ci consegnano un’immagine fedele della società? Un po’ sì e un po’ no. Possiamo dire che le elezioni sono uno specchio deformante. Le urne consegnano una fotografia della situazione sociale, e come ogni fotografia consiste in un fermo immagine di qualcosa che invece è in movimento. Ancor più inaffidabile, questa rappresentazione della realtà, se il sistema elettorale è truccato, ovvero tende a premiare le forze di regime penalizzando quelle d’opposizione. A maggior ragione ciò è vero in caso di elezioni amministrative, dove fattori come vincoli clientelari, motivi localistici prevalgono sulle idee politiche.

Fatta questa premessa, posti i limiti metodologici di analisi puramente empiriche, la fotografia consegnata dalla urne ci è tuttavia utile per capire lo stato di salute di un dato sistema di dominio, il suo tasso di stabilità o instabilità, la forza egemonica della classe dirigente, la profondità del distacco tra chi sta in alto e chi sta in basso e, di converso, se esista un’opposizione e quanto questa sia consistente.

A livello macroscopico tre dati emergono con tutta evidenza. La crescita dell’astensionismo (fenomeno che raggiunge percentuali molto più alte proprio tra le classi subalterne); il doppio e fragoroso arretramento dei Cinque Stelle e della Lega salviniana (ricordiamo che essi uscirono vincenti nel marzo 2018, fatto che colpì a morte il sistema bipolare fondato sulla dicotomia centro-sinistra e centro-destra); il bipolarismo, che davamo per morto, sembra essere invece resuscitato (con la novità che sul fianco destro la forza trainante è adesso la Meloni, il cui successo premia tuttavia la sua opposizione alla ammucchiata pro-Draghi.

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sfero

Riflessioni preliminari ad un programma politico

di Andrea Zhok

20220605T153903 cover 1654443543573Quelle che seguono sono alcune riflessioni iniziali, senza pretese di rappresentare nessuno, che cercano di fissare gli estremi di una lettura filosofico-politica della contemporaneità. Si tratta di un abbozzo dove idealmente dovrebbero stagliarsi alcuni vertici di una figura tutta da disegnare e colorare.

 

1) Sul rapporto tra Stato e cittadino

La discussione tradizionale sui rapporti tra lo stato e il cittadino ha imboccato da tempo un vicolo cieco, dove si dibatte ciclicamente e sterilmente: se sia necessario espandere o restringere il perimetro dello stato, se abbiamo bisogno di “più stato” o di “meno stato”. Quest’impostazione oscilla tra i poli, posti erroneamente come antitetici, della “libertà” (individuale) e della “protezione” (centrale). Per disinnescare questa falsa partenza bisogna comprendere come nessuna soluzione che restringa lo stato garantisce maggiore libertà ai cittadini, e inversamente, nessuna soluzione che ne incrementi il perimetro garantisce maggiore protezione ai cittadini. Inoltre non è affatto vero che maggiore protezione debba implicare minore libertà, e viceversa. Libertà e protezione, lungi dall’essere in competizione si possono sviluppare bene solo in parallelo.

Altrettanto vago e inconcludente è il riferimento, così frequente negli anni passati a quelle formulazioni del “principio di sussidiarietà”, secondo cui “lo stato deve intervenire solo quando il privato non è in grado di operare” o secondo cui “lo stato deve intervenire solo dove la ‘società civile’ non è in grado di operare”. Queste sono altrettante formule vuote, che possono essere – e sono state – strumentalizzate in maniera completamente arbitraria.

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maggiofil

Interventismo, malattia congenita del Fascismo

di Valerio Romitelli

indexpogbu“La domanda qui è se sia riscontrabile una qualche analogia interessante tra il Mussolini del 1914 e il Draghi del 2022”

Pandemia poi guerra ucraina hanno fatto trascurare se non dimenticare del tutto un centenario che in altri tempi avrebbe forse suscitato maggiori interessi e dispute: quello della “Marcia su Roma” che consacrò l’irreversibilità dell’ascesa al potere del fascismo. É stato dunque in controtendenza che il Maggio filosofico di quest’anno ha scelto proprio questo centenario come tema privilegiato delle quattro serate in programma. Il titolo di tutta la rassegna, opportunamente provocatorio: Retromarcia su Roma. Perché “retromarcia”? Ben pochi dei nostri abituali lettori non avranno subito pronta la risposta. Ma per non far torto a nessuno diciamo che per capire il senso di questo titolo basta riconoscere che il succedersi di “stati di emergenza” imposti dai nostri più recenti governi da Conte a Draghi, nonostante la loro nulla legittimità elettorale, non può essere solo un caso. Né può essere una semplice reazione istituzionale all’eccezionalità delle circostanze imposte dal destino prima pandemico poi bellico. Che una tale insistente eccezionalità non sia politicamente innocente, che suo tramite si stia avvenendo una più profonda svolta regressiva dello Stato italiano: questa è l’evidenza che ci ha fatto vedere il centenario del 1922 come una buona occasione per ripensare alcuni dei nodi più di tutta la storia del nostro paese, la cui massima notorietà – non dimentichiamolo – è dovuta appunto all’invenzione perversa e disastrosa del fascismo. Di quel fascismo – non dimentichiamo neanche questo – che ha infettato molte parti del mondo (soprattutto la Germania!) e che è divenuto sinonimo universale del male politico assoluto.

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letture

“Luci e ombre di una democrazia antifascista. Viaggio nella Repubblica”

Letture.org intervista Gaspare Nevola

61cpF4H67cLProf. Gaspare Nevola, Lei è autore del libro Luci e ombre di una democrazia antifascista. Viaggio nella Repubblica edito da Carocci. L’antifascismo rappresenta un “canone” politico-identitario della nostra Repubblica: come ha resistito tale canone di fronte ai cambiamenti e alle fratture sociali, politiche e culturali che ne hanno segnato la storia?

Il libro è una sorta di viaggio attraverso le diverse stagioni politiche e culturali della Repubblica, ruota attorno al tema dell’identità politica della Repubblica e al canone della memoria pubblica che vi si intreccia: l’identità politica e il canone della memoria sono quelli di una democrazia antifascista. Le feste civili della Repubblica (25 aprile, 2 giugno, 4 novembre), la loro nascita, il loro persistere e il loro mutare di accenti nei decenni esprimono le luci e le ombre della nostra democrazia antifascista. Questi rituali civici, pur con i loro conflitti, polemiche o appannamenti dei sentimenti collettivi, sono riusciti a riproporre il canone politico-identitario dell’antifascismo. Tuttavia, come evidenzio nel libro, tale canone è pervaso da “fratture”: come un vaso di porcellana che si presenta intero e però si mostra corroso dalle crepe. Le fratture hanno indebolito il canone dell’antifascismo, tuttavia non hanno mai portato alla sua distruzione o archiviazione. L’epos e l’ethos della Resistenza e della Liberazione hanno fin dall’inizio offerto un’incarnazione plastica dei valori di libertà e di giustizia che ispirano il canone politico-identitario della nostra democrazia antifascista. Il canone antifascista è sigillato nella stessa Costituzione, trova costante espressione nei discorsi celebrativi delle alte cariche dello Stato, di uomini politici e intellettuali; si riverbera nella società anche attraverso la scuola, i nomi delle strade e delle piazze, i musei e i monumenti e, last but not least, attraverso i mezzi di comunicazione di massa.

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asimmetrie

Il danno scolastico di Paola Mastrocola e Luca Ricolfi

recensione di Fausto Di Biase e Paolo Di Remigio

AdobeStock 303396497 1200x800.jpegPaola Mastrocola, già autrice di uno dei libri più lucidi e tempestivi sulla deriva dell’istruzione in Italia[1], e Luca Ricolfi hanno pubblicato qualche mese fa uno studio, Il danno scolastico, in cui rilevano che i frequenti cambiamenti per rendere democratica e ugualitaria la scuola, nell’umiliarla sul piano culturale, l’hanno trasformata in un danno per i ceti inferiori: omettendo di istruirli, essa li priva di un mezzo efficace di ascesa sociale, e indirettamente avvantaggia chi proviene dai ceti elevati, a cui è rafforzato il consueto monopolio delle posizioni più ambite. In una parola, la scuola ugualitaria non solo fa mancare le condizioni necessarie al riprodursi della civiltà, ma realizza il contrario di quello che vuole instaurare, esaspera cioè la disuguaglianza sociale.

Aver tematizzato l’uguaglianza ha consentito agli autori di chiamare in causa il ruolo che i suoi fautori svolgono nella crisi della scuola. Benché ispirate da istituzioni sovranazionali orientate al neoliberalismo, le riforme dell’istruzione hanno acquisito il loro furore palingenetico perché sono state implementate da una burocrazia ministeriale erede dell’ideale ugualitario e legata alla prassi della rivoluzione dall’alto. Mastrocola e Ricolfi individuano con precisione il mezzo con cui essa ha scatenato la rivoluzione pedagogica: le sue innovazioni si sono spinte oltre il diritto allo studio, fino ad affermare un nuovo, inaudito, diritto al successo formativo.

Difficile non avvertire la loro differenza: diritto allo studio è la forma preliminare del diritto al lavoro, è il diritto alle condizioni iniziali necessarie a padroneggiare i mezzi con cui la libertà provvede a sé rendendosi utile agli altri; diritto al successo formativo è invece il dono del fine senza la fatica del mezzo, senza la durezza della disciplina.