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The big one

di Augusto Illuminati

C’è stata la grande scossa, che tutti aspettavano. Ma non proprio dove la localizzavano i commentatori professionali e le sirene centriste, cioè nell’agguato parlamentare a Berlusconi, finito in un flop miserando con la comica finale dei radicali a caccia di finanziamenti. C’è stata nella grande ondata di manifestazioni in giro per il mondo, nella protesta del 99% che non vuole dissanguarsi a favore della finanza internazionale, che preferisce eat the banker ai sacrifici. C’è stata anche nel corteo di Roma, a dispetto di alcune sbavature amplificate solo dalla speculazione mediatico-poliziesca e da un chiassoso protagonismo minoritario.

Cominciamo dalla farsesca “spallata” parlamentare, che ha ridato un po’ di fiato alla raccogliticcia maggioranza berlusconiana –fiato ben corto, d’altronde, perché la fine anticipata della legislatura e l’immobilismo governativo (decreto sviluppo e nomina del Governatore di Bankitalia) restano tali e quali. L’opposizione si è buttata con alti lai in una falla di tecnica procedurale fino al punto di resuscitare la secessione aventiniana, ma non è riuscita a evitare l’ennesima inutile fiducia. Che senso ha bocciare un governo per l’art. 1 del Rendiconto, quando lo si sostiene nel conferire rango costituzionale al pareggio di bilancio? Quando non si ha il coraggio di contestare la lettera Draghi-Trichet e si chiede soltanto l’onore di applicarla sostituendo Forza Gnocca con un esecutivo savonaroliano? E non vogliamo neppure rammentare il sostanziale scollamento dal disagio e dalla protesta popolare. La spigola a € 3,50 se la mangiano anche i parlamentari di minoranza. Quasi giusto che l’agguato sia saltato perché i radicali li hanno fregati nella corsa alla visibilità e a qualche soldo per la radio. Il futuro, ricordiamolo, si presenta molto più complicato di una caduta del pagliaccio e dell’avvento di una radiosa coalizione Bersani-Di Pietro-Vendola.

Ancora una volta, come nel 1994, possono insorgere elementi imprevisti, che sparigliano le ilari illusioni e oggi hanno il volto di un nuovo schieramento centrista cattolico, per cui lavorano (oltre la Chiesa e l’Udc) varie reti bancarie, industriali e professionali, per non parlare della Cisl e di componenti politiche sparse nel Pdl e nel Pd. Todi darà la stura. Un gioco tutto diverso dalla maniera antiberlusconiana che ipnotizza la “sinistra” italiana e che probabilmente vanificherà i progetti in corso –governo di transizione, legge e referendum elettorale, primarie di partito, coalizione o programma.

La giornata del 15 ottobre contro la corporate greed, invece, ha registrato la straordinaria diffusione internazionale di un movimento di proletari, precari e ceti medi declassati e impoveriti, che ha ripresentato la forza e i limiti del pacifismo di dieci anni fa. La forza è reale, i limiti potenziali e speriamo superabili. Parliamo di continuità e organizzazione, del giusto mix costituente di distruzione e proposta. Non credo che le blandizie di Soros e Draghi o la strumentalizzazione che ne vuol fare Obama siano trappole mortali. Caso mai, domandiamoci perché in Europa gli uomini politici siano così ottusi da non cercare di strumentalizzare questo movimento. La provincializzazione dell’Europa, sognata dai postcolonial studies, si è realizzata, ahimé, nei suoi termini più banali...

Anche a Roma il combattivo,multicolore e festoso corteo di oltre 300.000 draghi ribelli, esprime una forza e un’autonomia ormai irreversibili. Nel collasso del ceto politico di governo e di opposizione questa ormai è l’unica risposta alla crisi e allo sfacelo civile. Proprio perciò ne va salvaguardata l’unità plurale e lo slancio, nelle specifiche condizioni di composizione e maturazione. Ignoriamo il tormentone violenza e non-violenza (che ha scarsa rilevanza storica e politica, vivendo noi nella contingenza e non nel mondo dei princìpi) e registriamo il danno che i black bloc hanno inflitto al movimento in termini di percorso, immagine e risultati dichiarati in anticipo. Non si tratta, come pure è stato scritto con accenti retorici, di zombies che sbucano da un passato oscuro, tanto meno di infiltrazioni poliziesche, ma di frange che esprimono il disagio sociale in forme perdenti e con la pretesa di imporre a forza la propria agenda ai movimenti. Il loro è un caso di parassitismo politico-militare, cioè di inserimento in un corpo dissenziente per fare delle cose che non sono in grado di fare da soli assumendosene la responsabilità. Così però si spacca il movimento e lo si coinvolge in situazioni non desiderate: meglio allora separarsi, divaricando le opzioni politiche senza ricorrere a rissose scomuniche reciproche e a servizi d’ordine di cui abbiamo non felice esperienza. Un problema rilevante per la gestione della piazza e la condivisione democratica delle decisioni operative, marginale peraltro nel progetto politico. Che deve essere rilanciato senza interruzioni e malpancismi, con chi ci sta e vi si mette in gioco a viso scoperto.

La crisi si aggrava coinvolgendo strati sempre più numerosi (pensiamo soltanto a un’inflazione che si muove ben al di sopra del 4% su retribuzioni e pensioni congelate, all’incremento della pressione fiscale), mentre la rabbia dei precari, degli studenti e degli operai è irreversibile quanto il discredito del ceto politico e dei poteri economici. Ci attendono scadenze ravvicinate sulla Fiat, per scuola e università, contro le misure dell’ultima e della prossima Manovra, per la difesa dei beni comuni dalla privatizzazione selvaggia. Il discorso sull’insolvenza e sul default controllato passa, al pari della richiesta del reddito di cittadinanza, per mille occasioni concrete di contestazione, resistenza e vertenze rivendicative. L’abbattimento del debito –una fulgida invenzione dei Greci antichi, la soloniana seisáchtheia, lo scarico dei pesi– è il presupposto di un qualsiasi rilancio qualificato dello sviluppo –altro che pareggio del bilancio mediante tagli alla spesa vitale! Allo stesso tempo è una linea di resistenza contro i tagli alle retribuzioni (vedere la ritirata del Governo sulla defalcazione dei buoni pasto ai ministeriali) e all’investimento sociale ed educativo, nonché una barriera ai minacciati prestiti d’onore agli studenti. Pratiche di guerriglia quotidiana e costituente che connettono resistenza e proposta e intorno a cui aggregare non solo i lavoratori semi-garantiti e precari, ma tutto il popolo dei referendum. Se non è il 99%, poco ci manca...

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