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Italia: lo stallo a sinistra e l’alternativa

di Rodolfo Ricci

Mentre si scatena la guerra di interdizione mediatica, l’Europa resta quasi sospesa di fronte alla tornata dei risultati elettorali franco-greci, con annesso prolungamento italiano. Si attendono le prime mosse di Hollande, si attende il decorso della crisi greca. In Italia, tanto per non fare eccezione, l’eterna ipocrisia della politica nostrana tende a minimizzare o a spostare sulle presunte categorie di destra e sinistra la spiegazione degli eventi. Il crollo avrebbe riguardato e riguarderebbe solo il centrodestra (ed è un dato oggettivo), mentre, sull’altro lato, si tratterebbe di assumere come vittoria l’aver mantenuto percentuali in calo relativo in un panorama completamente rivoluzionato.

Ma se la logica ha ancora qualche valore, come spiegare che a fronte del crollo di un versante non si registri l’avanzata dell’altro, soprattutto in un sistema che fino ad ora si è voluto qualificare come bipolare?

In realtà è sempre più chiaro che sta crollando proprio questo sistema di bipolarità ecumenica che ha sostenuto (e continua a sostenere) le pratiche neoliberiste in salsa italiana, prima di Tremonti & C., oggi di Monti e Fornero.

Ora la questione è che, dei due poli, solo uno (il PD) resterebbe a vigoroso sostegno del governo tecnico, un aggregato ministeriale che non ha forse pari nella rappresentanza dogmatica neoliberista a livello internazionale, insieme alla compagine tedesca di destra impersonata dalla Merkel. Corsi e ricorsi dell’arretratezza teutonica ed italiana.

Mentre l’altro (il PDL) si è liquefatto non tanto o non solo per l’insipienza delle sue classi dirigenti, ma soprattutto per il fatto che la crisi ha letteralmente cancellato, tra fallimenti e suicidi, il blocco sociale portante del berlusconismo e della sua alleanza con la Lega Nord, altra compagine che esce con le ossa rotte dalla consultazione amministrativa, ma che già era stata messa fuori gioco dalle scelte di competitività sistemica fatte da Mario Monti, come a sud era stata marginalizzata la componente meridionale del PDL.

Il PDL crolla quindi, perché è stato definitivamente eroso, senza alcuna possibilità di recupero nell’immediato, la interclassismo sociale che era riuscito a rappresentare negli ultimi 15 anni. Ed in questo momento non c’è nessuno, con tutta la buona volontà, in grado di ricomporre quest’area all’insegna di una speranza di rinascita futura.  Anche il miglior Berlusconi, negli anni dieci del 2000, avrebbe difficoltà insormontabili a vendere il radioso futuro su cui aveva edificato la sua “narrazione”, per dirla alla Vendola.

E non c’è nessuno in grado di ostacolare seriamente il deflusso di consensi che va verso Grillo o verso l’astensione e il disamoramento, ivi compreso l’atterraggio di una parte di esso verso posizioni di destra estrema che cominciano a manifestarsi.

Sull’altro versante lo zoccolo duro pare aver tenuto anche questa volta, ma appunto del solito zoccolo duro si tratta, sempre meno consistente, e senza nessun rilancio di prospettiva alternativa. Ed è da registrare la riconferma che il centro sinistra tiene abbastanza bene solo dove i portavoce dell’alleanza non sono del PD, ma di volta in volta di Sel, IDV, o dove la contaminazione con la sinistra extraparlamentare è un dato locale strutturale.

La questione è quanto a lungo questa alleanza possa reggere in concomitanza con le rimostranze rifluenti di Veltroni e di tutta la compagine della destra liberista del PD che continua ad inneggiare ad alleanze con soggetti nel frattempo scomparsi (come ha ammesso ieri lo stesso Casini), quali il fantomatico terzo polo. Davvero questi “dirigenti” sono ben oltre le comiche finali!

In realtà la giocata dei settori neoliberisti del PD cerca di evitare che il sostegno al governo Monti venga meno, così come tenta di fare, in modo inopportuno e ancora una volta fuori dal vaso, il Presidente Napolitano, la cui azione è mirata precisamente a legittimare una valutazione minimalista dei risultati elettorali (non ha sentito il boom grillino, ma sta nelle cose) nell’attesa della ripartenza della famosa “crescita” da rivendere  alle masse a corto di ossigeno. Così si attesta anche l’ottimo Bersani.

Già, la crescita, questa chimera!

Nel terrore che le misure iperliberiste di Monti e Fornero producano gli ovvi effetti allargati che sono già oggi evidenti, ma che ancora non hanno raggiunto il loro apice (lo raggiungeranno nella seconda metà dell’anno e per tutto il 2013), si straparla di crescita in uno stile assai berlusconiano, per riconfermare la correttezza delle politiche di contenimento (la famosa 1° fase) e per tentare di allungare la capacità di sopportazione e di attesa dei settori sociali di riferimento del centrosinistra, liberato (e questo è l’unico risultato che sono stati in grado di portare a casa loro malgrado) del governo di Berlusconi. In questo consiste la seconda fase.

Quanto può durare questo gioco ?

Pochi mesi. Difficile, se non impossibile, arrivare a maggio 2013, perché nel frattempo gli effetti delle controriforme montiane avranno dispiegato tutto il loro micidiale effetto, mentre qualsiasi ipotesi di crescita che può derivare solo da una modifica sostanziale dei trattati europei , ammesso che si raggiunga un accordo tra Francia e Germania, produrrà eventualmente i propri effetti macroeconomici solo nel tardo 2013 se non più tardi. Nel frattempo in Italia si vota.

Vi sarebbe da discutere, e lo faremo, se l’aggiunta di un capitolo al Fiscal Compact sia sufficiente ad invertire il trend recessivo in cui l’intera Europa è pienamente caduta. Pensiamo proprio di no. Soprattutto perché la crisi annovera ormai variabili che trascendono, a questo punto, anche la dimensione continentale. Si situa anzi su un versante per certi versi extraeconomico, più geopolitico, più energetico-ambientale, più di prospettiva generale sui modelli di sviluppo e di nuove relazioni internazionali. E la pretesa tedesca di tenere insieme rigore finanziar-mercatista e nuovo sviluppo attraverso la diffusione del proprio modello di competitività è destinato a franare miseramente ben presto anche dentro i propri confini. Ma non nell’immediato.

Dunque non vi sarà crescita. Ma al massimo, vi sarà solo un marginale recupero di qualche zero-virgola di punto percentuale di PIL vero il 2014, calcolato peraltro a partire dai livelli più bassi mai raggiunti negli ultimi 30 anni.

Nel frattempo la crisi sociale si allargherà e la decomposizione della classe media produrrà i suoi effetti.

Restare legati, come unica ruota rimasta al governo Monti, in questo scenario, è una scelta suicida. Ma il PD nasce da precedenti suicidi, quindi questa opportunità rientra nella sua genetica.

Restare ancorati, per le forze di sinistra extraparlamentare, al carro del PD, reclamando continuamente la sua riconversione a migliori orizzonti, appare altrettanto onirico. E’, in tutta franchezza, quasi impossibile immaginare che le classi dirigenti del partitone vedano la luce sulla via di Damasco. Una folgorazione di coloro che hanno attraversato e pienamente assunto la prospettiva neoliberista nel dopo muro sta nel piano delle opportunità salvifiche, che non si vogliono cassare a priori, ma non in quelle della mutazione genetico-politica dei tempi medi.

Attendere colui che attende, significa restare fermi.

E restare fermi può significare, per la residua sinistra, essere marginalizzata definitivamente assieme all’atteso, alla prossima occasione elettorale. Questo è il rischio certo che corrono Vendola e Di Pietro.

Se la fase storica che stiamo attraversando è di portata epocale, come tutti gli eventi sembrano accreditare, le scelte non possono essere tattiche ed ancorate a disegni ormai superati. La gente si aspetta altro.

Bisogna costruire il soggetto unitario di coordinamento dell’alternativa. Caratterizzato dal programma minimo di NO al Pareggio di Bilancio, NO al Fiscal Compact, No alla riforma pensionistica e del mercato del lavoro. SI’ al recupero di sovranità nazionale e di democrazia. Non necessariamente per riapprodare a piccoli o medi stati protezionistici, ma per costruire un’altra Europa. In cui sia bandito il neoliberismo. Ma l’Europa, al momento, è fatta di Stati, e la democrazia si attua al loro interno. Qualsiasi prospettiva alternativa si conquista intanto dall’interno dei singoli paesi. Fuori di essi ci sono solo tecnostrutture elitarie in sintonia con l’ideologia dominante vista come l’unico fondamento possibile in mancanza di fondamenti alternativi.

Se i paesi del sud Europa e la Francia fossero solidali su questo percorso, la cosa si può fare. Ci sono già Francia e Grecia, c’è già anche il Sindacato tedesco, per dire di un’organizzazione possente e moderata, ma indubbiamente pragmatica e realista. Ci sono in tutta Europa sempre più voci a sostegno di un cambiamento in questa direzione. Pensare invece all’Italia come un moderatore dell’intransigenza tedesca è del tutto velleitario, come ha dimostrato la sconfitta di Sarkozy. Perché dovrebbe riuscire a Monti? Solo un forte cambiamento di registro nazionale può, al contrario, far assumere scelte differenti.

Il soggetto sociale di riferimento sta rimescolandosi a grande velocità. La velocità della crisi. Sarà costituito da pezzi di classe o di quel che ne resta provenienti da diversi versanti ideali e collocazioni, lavoro subordinato ed autonomo, precariato attuale ed indotto, pubblico impiego tagliato o meno, idealità trasversali. Se questa  soggettività non trova uno sbocco, una sponda credibile, andrà dove andrà.

E la responsabilità delle sinistre politiche, sociali e di movimento sarà davvero storica.

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