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Comico e serio in politica

A margine della Direzione del PD e di una pièce “grillina” di Dario Fo

di Luca Michelini

1. Il linguaggio di un gruppo sociale organizzato ha i propri, complessi sottintesi. Della “liturgia del PD” so interpretarne solo una parte, non facendo parte di quel consesso ed anzi avendolo criticato “da sinistra” più volte1. Pur con questi limiti, alcune riflessioni sulla direzione del PD si possono proporre.

Si è trattato di una discussione vera e sentita, se pure ingessata, inevitabilmente, dalla larga partecipazione. 37 minuti di relazione di Bersani e poi 7 minuti ad oratore, nel corso di una seduta fiume, non tutta fruibile sul web. La differenza tra la relazione di Bersani e la discussione è, inevitabilmente, rilevante: un tentativo serio di cambiare passo la prima, talvolta sconcertante la seconda per la confusione d’analisi.

Bersani parla di una fase nuova, che definisce di “transizione”, di un “sommovimento profondo”, europeo, per ora solo mediterraneo (Grecia, Portogallo, Spagna, Italia): “lo sciame sismico che scuote le democrazie aumenta di intensità”. La causa è duplice: l’esplodere di una drammatica “questione sociale” (si è di fronte ad una “esperienza inedita di impoverimento”); l’inadeguatezza della politica nel rispondervi.

L’inadeguatezza politica e istituzionale è aggravata, in Italia, da una radicata antistatualità, dal berlusconismo, da comportamenti immorali e da privilegi di una classe dirigente non solo politica.

Emerge una consapevolezza del tutto nuova: che la governabilità non è solo una questione di numero di seggi parlamentari, ma si costruisce “nel rapporto reale e morale” tra governanti e governati. Senza questo rapporto, il Paese entra nel caos, “esplode” come una pentola a pressione. L’insofferenza non trova espressione solo in M5S, nella notevole astensione, ma anche in altri partiti, compreso il PD. Su Monti il giudizio sembrerebbe critico e in parte autocritico: si tratta di una esperienza fallimentare, che “il sistema” ha voluto imporre come passaggio inevitabile. Le elezioni segnano una sconfitta politica del PD, soprattuto al Sud e nelle categorie più colpite dalla crisi e tradizionale riferimento dello stesso partito. Mancando le riforme politiche, si è stati considerati “omologati” al sistema.

L’assunzione di responsabilità questa volta, a differenza delle altre, deve implicare un cambiamento profondo del Paese. Bersani elenca 8 punti, che alcuni interventi (Soru, p.es.), a ragione, hanno ritenuto fin troppo fitti e complessi. In ogni caso, questi punti possono essere considerati un primo tentativo di ricostruire, in Italia, un partito di classico stampo socialdemocratico, almeno sul versante della politica economica2. Primo e timidissimo tentativo, aggiungo; ma significativo perché nel DNA del PD c’è un robustissima ispirazione al post-laburismo à la Tony Blair3. Le elezioni, quindi, sembrerebbero avere smosso realmente il grande gigante dai piedi d’argilla (costituiti, appunto, dal post-laburismo). Il punto, naturalmente, è capire se questo risveglio non sia tardivo e non implichi una autocritica ben più radicale, e quindi più efficace per l’azione, di quella contenuta della relazione di Bersani: perché non ci si può nascondere che il post-laburismo à la Tony Blair è tra le cause di questa spaventosa crisi economica e politica che travolge l’Europa intera.

Sul piano dell’iniziativa politica Bersani vuole un PD disponibile al dialogo, ma non con Berlusconi, colpevole di avere sistematicamente impedito il cambiamento. Il discorso, dunque, è rivolto a M5S, anche se non si chiude del tutto la porta a Monti. Il primo banco di prova della discussione saranno, ovviamente, la cariche istituzionali più importanti del Paese: Presidenze delle due Camere e Presidenza della Repubblica.

Forse il passaggio più importante, dal punto di vista tattico, della relazione di Bersani, è la chiusa, dove si lascia intravvedere che, di fronte all’impasse istituzionale e politica che potrebbe aprire la porta a scenari pericolosi e imprevedibili, il segretario e Presidente del Consiglio in pectore è disposto a farsi da parte. Bersani è pronto a “fare ciò che si deve, non ciò che si vuole”. E’ stato Walter Tocci il più esplicito nell’invitare ad una grande flessibilità tattica ed ad abbandonare, se necessario, l’idea di avere la Presidenza del Consiglio (se ho compreso bene). Nessuno ha preso in considerazione l’ipotesi di ribaltare la logica politica incardinata sul conteggio del numero dei parlamentari: cioè nessuno ha preso in considerazione l’ipotesi che sia il PD ad offrire un appoggio esterno ad un governo progressista di cambiamento.

 

2. Il dibattito è stato caratterizzato da sfumature differenti. Alcuni sono sbilanciati a sinistra, come Fassina e Gualtieri, che vorrebbero una Europa sociale e politica e un ritorno alla classica socialdemocrazia. Altri guardano ancora con favore a Monti, come Franceschini (che lo vorrebbe alleato per le elezioni di Roma) e Ranieri, che valuta positivamente il governo in carica e invoca un Governo del Presidente della Repubblica. Alcuni sono seriamente preoccupati di M5S: Anna Finocchiaro invoca la nascita di una sorta di sentinelle della democrazia e nota come i deputati di M5S siano dei “perfetti sconosciuti” anzitutto ai propri elettori, a differenza di quelli del PD. Per Alessandra Moretti, invece, il PD dovrebbe rifare propri alcuni slogan di M5S, tipicamente di sinistra: beni comuni, ambiente, trasparenza, reddito cittadinanza, scuola pubblica, democrazia partecipativa, critica delle politiche d’austerità. Civati sottolinea come il programma economico di M5S sarà scritto da Stiglitz e Fitoussi, “che non sono degli stronzi” (sic! Forse avrebbe dovuto spiegare un po’ meglio di chi si tratta… ). In molti (ma non tutti: alcuni, come Franceschini, si lamentano che i sondaggi… erano sbagliati a proposito di M5S!) hanno sottolineato la distanza del PD dal Paese reale e, soprattutto, dal Sud (Emiliano), la sotto utilizzazione del popolo delle primarie, la scarsa collegialità e trasparenza dei meccanismi decisionali interni.

Di gran lunga maggioritaria (ma non era possibile ascoltare in differita tutti gli interventi) la vera e propria scoperta dell’esistenza della “questione sociale” e l’esigenza di un profondo rinnovamento della politica, del partito e delle istituzioni.

Unanime sembrerebbe la chiusura verso Berlusconi. D’Alema si rammarica che la destra italiana non sia “normale”, cioè europea, e quindi sia impossibile una grande coalizione, che lui vorrebbe tanto: viene da chiedersi cosa mai abbia fatto il PD e D’Alema, di serio coraggioso e incisivo, per impedire che il Paese finisse nelle mani di tale impresentabile destra. A coloro che vedono con preoccupazione le spinte autoritarie del leader di M5S, è forse opportuno ricordare che il fascismo, quello vero4, è stato sdoganato sistematicamente dalla politica della Seconda Repubblica, con risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Come non ricordare, poi, l’assurda riforma della Costituzione che ha legittimato la Lega, cioè un partito esplicitamente xenofobo?

 

3. A proposito delle riforme istituzionali permangono profonde ambiguità: quanto maggiore è ritenuto il pericolo per l’involuzione verso destra della situazione, M5S compreso, quanto più si dovrebbe essere cauti nello smantellare la Costituzione e proporre riforme maggioritarie e premiali della legge elettorale (addirittura presidenziali, come propone Marta Negri). Il rischio serissimo è di dare in mano ai futuri nemici della democrazia (che per alcuni del PD potrebbero essere, dopo elezioni ravvicinate, quelli della destra berlusconiana) un meccanismo istituzionale potentissimo. Se i padri costituenti erano per il proporzionale puro avevano solidi argomenti, che i numerosi, attuali “preoccupati del proto-fascismo nascente” (sic!) dovrebbero meditare a lungo. Come non ricordare che il maggioritario e la lotta per la governabilità erano nei programmi del fascismo e hanno sempre caratterizzato la critica reazionaria, neo-fascista e piduista della Repubblica?

 

4. Due gli argomenti assenti negli 8 punti di Bersani. Anzitutto una riflessione sulla giustizia intesa come macchina amministrativa e non solo come procedure e leggi: il Paese vacilla e involve anche perché giustizia (penale e civile) quasi mai è fatta. In secondo luogo, nulla a proposito di una profonda riforma del sistema televisivo e, più in generale, di tutti i media.

L’argomento “media” è vastissimo. Implica ragionamenti molto eterogenei tra loro: sull’impero economico di Berlusconi (Mediaset, Mondadori, “Il Giornale” ecc.); sulla televisione come cassa di risonanza acritica del Vaticano; sulla mancanza di reale pluralismo; e via discorrendo. Visti i tempi, si potrebbe cominciare a riflettere sul ruolo crescente che il sistema televisivo ha dato, nel corso degli anni, alla satira politica e alla comicità. Cioè ad autori quali Benigni, Crozza, Dandini, Fazio, Fo (è da vedere il video postato sul sito di Grillo, dove si annuncia, a suon di tromba vocale, l’imminente rivoluzione anarcoide), Guzzanti, e… Grillo. Non sono un esperto in materia, ma forse il tema riesco a focalizzarlo.

 

5. Il sistema televisivo, cioè la più potente industria culturale del Paese, ha dato una sostanziale delega al “giullare” del libero discorso politico e della critica del potere. Solo al giullare è stata data la possibilità, addirittura stipendiata e pubblicizzata in forme milionarie, di dire la verità, di criticare il potere, di criticare anche i propri referenti politici, addirittura di informare (il programma “Le Iene”).

E ciò accadeva mentre tutto il resto dell’offerta televisiva è stata relegata nell’ambito della propaganda e della pubblicità (che ha assunto varie e nuove forme: pubblicità sono ora programmi, film, serie tv ecc.), dello svago, dell’avanspettacolo, dell’intrattenimento. E tutto ciò accadeva mentre si smantellava sistematicamente la scuola pubblica di ogni ordine e grado, togliendole risorse e importanza, sfregiando anche la Costituzione (si vedano gli insegnanti nominati dai vescovi e i finanziamenti alla scuola privata). E tutto ciò, mentre il sistema dell’informazione nel suo complesso veniva sistematicamente offeso, ora ridotto sotto il controllo partitico, ora dato in mano a gruppi industriali e finanziari, ora intimidito in mille forme. E tutto ciò, mentre si impediva il libero (gratuito) accesso ad internet e mentre si sottofinanziava sistematicamente l’intero mondo della cultura (musica, teatro, cinema) o si tentava di appaltare al potere economico addirittura il sistema universitario. E tutto ciò, mentre le città d’arte e il paesaggio (il bello) venivano sommersi da colate di insulso e invenduto cemento. E tutto ciò, mentre veniva portato un attacco senza precedenti al mondo del lavoro, marginalizzato da ogni punto di vista (sociale, economico, politico, culturale) e quindi reso di fatto incapace di partecipare da protagonista alle scelte pubbliche. E tutto ciò, mentre la nostra Costituzione rimaneva terribilmente inapplicata quasi articolo per articolo (il primo che mi viene in mente: l’art. 11, piuttosto che quello che vorrebbe la gratuità della scuola dell’obbligo; ma l’elenco è assai lungo) e veniva quindi mostrata la comicità delle regole, delle leggi e delle istituzioni italiane: sistematicamente violate. Fino all’assurdità (alla comicità) di modificare, “agenda Monti” e “agenda Merkel” alla mano, cioè secondo proponimenti che solo oggi vengono percepiti come irrealizzabili e destabilizzanti, la nostra Costituzione.

 

6. Insomma: mentre il “giullare” diveniva l’unica figura in grado di proporre, al di fuori del ristrettissimo circuito della cultura d’élite, un discorso serio sulla realtà, serio perché tentava di fare i conti per davvero con i problemi del Paese reale, quelli che si presentavano come seri rappresentanti del popolo sovrano hanno smantellato in modo sistematico tutti gli strumenti per un effettivo esercizio della sovranità da parte del popolo ed hanno sistematicamente minato, con le politiche economiche proposte, la propria credibilità e quella delle istituzioni repubblicane, hanno deliberatamente circoscritto in una impenetrabile, sempre più esigua, riserva autoreferenziale (e spesso cortigiana o totalmente avulsa dal Paese reale: si veda il governo dei “professori”, di “tecnici” che, “per sbaglio”, mettono sul lastrico migliaia di lavoratori) coloro i quali producono il sapere. Ridurre il popolo sovrano ad un popolo di consumatori e di elettori può essere forse vantaggioso in periodi di crescita economica e quando il mercato interno non è poi così importante; rischia, invece, di esasperarne gli animi in periodi di profondissima ed europea recessione. La riduzione drastica di opportunità e di consumi ha finito per proporre della politica sedicente seria uno spettacolo comico, nel senso, questa volta, di ridicolo, di miserabile, di retorico, di posticcio, di teatrale, di decadente, di finto, di totalmente separato dalla realtà, di inadeguato. Esempio: viviamo quotidianamente il trionfo della retorica religioso-politica-conservatrice della famiglia, in un Paese dove non esiste alcuna seria politica per le famiglie e che è costretto a rimanere incardinato sul familismo amorale. E il pensiero, a prescindere dall’esempio, non corre solo ai “Bunga-Bunga”, non solo all’avanspettacolo di deputati dipendenti-di-fatto da Mediaset; il pensiero, purtroppo, corre anche alla retorica di una sinistra sostanzialmente priva di una vera identità (Civati ammette: “molti di noi hanno perso il senso” nella continua contrapposizione tra liberalismo e socialdemocrazia) e che al riparo di alcuni logori slogan (“giustizia”) ha dato un contributo formidabile a destabilizzare, socialmente e politicamente, l’intero Paese.

 

7. Si teme che il “popolo” obbedisca al demiurgo di turno? Allora si capisca, una volta per sempre, che la Repubblica ha come fondamentale e primario obiettivo l’elevamento economico, sociale e culturale di ogni suo membro. Purtroppo, veniamo da una stagione politica, quella dell’intera Seconda Repubblica, dove invece che rimuovere gli ostacoli di natura economica e sociale che impediscono l’effettivo esercizio dei diritti individuali (che sono… in evoluzione), se ne sono messi deliberatamente di sempre maggiori. Si teme il populismo? Si trasformi il “popolo” in “cittadini”. Si dovrebbe finalmente capire che il fascismo non si combatte tanto e solo con misure preventive e repressive di questo o quel movimento, o con (comiche) “sentinelle della democrazia” (che, se serie e necessarie per davvero, personalmente mi vedrebbero impegnato, sia ben chiaro, anche se dubito che scorgerei il filo di perle della Finocchiaro), ma applicando integralmente la nostra Costituzione o facendola evolvere nella direzione del progresso. Si è antifascisti per davvero solo impedendo concretamente che si ripropongano le condizioni sociali ed economiche che lo alimentano. La nostra originaria “costituzione economica” non era un inattuale rimbrotto moralistico rivolto al capitalismo; era un tentativo serio di imbrigliarne le più pericolose manifestazioni.

 

1  Dove per sinistra non intendo affatto l’appartenenza ad un qualche partito a sinistra del PD.

2      1. Superamento delle politiche di austerità con una politica di investimenti pubblici produttivi, demandando al medio periodo la soluzione
            della questione del debito e ponendo, invece, come urgenze di breve periodo interventi sull’economia reale.

2. Una politica per il lavoro (ma non usa mai la parola “piena occupazione”): pagamenti della pubblica amministrazione ricorrendo alla emissione di BOT, finanza d’impresa tramite la Cassa depositi e prestiti, allentamento del patto stabilità per i Comuni, la banda larga, la riduzione del costo lavoro stabile, il superamento degli automatismi della legge Fornero, l’universalizzazione della cassa integrazione, istituzione del reddito minimo garantito, provvedimenti sull’IMU, riorganizzazione della pubblica amministrazione, risoluzione del problema “esodati”, premio della fedeltà fiscale e revesione del modus operandi di Equitalia, rilancio anche comunitario di politiche per l’occupazione rivolte al Sud.

3. Dimezzamento dei parlamentari e abolizione delle Province; adeguamento delle retribuzioni parlamentari a quelle dei sindaci; “disboscamento” delle società pubbliche a livello locale; una legge sui partiti; nuova legge elettorale a doppio turno di collegio.

4. Legge sulla corruzione, sulla prescrizione, sul riciclaggio, sul falso in bilancio, sul voto di scambio, lsulla frode fiscale.

5. Legge sul conflitto d’interesse (proposta di legge Elia-Onida-Bassanini), sull’incandidabilità, sui doppi incarichi.

6. Incentivazione della green economy, recupero delle aree dismesse e stop al consumo suolo, trasformazione del ciclo rifiuti, da costo a risorsa.

7. Diritti: cittadinanza per i minori nati in Italia; unioni civili sul modello della legislazione tedesca;

8. Istruzione e ricerca: diritto allo studio, adeguamento delle strutture scolastiche, piano organico-precari, reclutamento dei ricercatori.

3   Cfr. L. Michelini, La fine del liberismo di sinistra (1998-2008), Firenze, Il Ponte Editore, 2008.

4   Ovvero quello di Alemanno, La Russa, Storace, quello che considera Fini un “traditore”, quello di Marcello Veneziani, che ha imperversato su giornali berlusconiani e in istituzioni pubbliche facendo, al tempo stesso, conferenze a Casa Pound asserendo (senza suscitare alcun malumore tra i “democratici benpensanti”) che Forza Italia è “ideologicamente neutra”, un buon veicolo sul quale salire, insomma.

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