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Anacronismi: due Pd che mimano lo scontro accompagnando il declino del paese

nique la police

san giovanni leopoldaCosa è più vecchio nella contrapposizione tra la Leopolda e piazza San Giovanni? Apparentemente, specie in trasmissioni a reti unificate, la manifestazione di piazza San Giovanni, il cui sapore vintage è consapevolmente alimentato da alcuni protagonisti. Ma anche qui occhio allo stile: il vintage è una ricombinazione del passato, una rilettura. Il passato passato, quello che dissolve le mitologie, se si assumessero ancora storiografi che lo leggono, ci racconterebbe storie diverse. Ad esempio, su chi ha realmente conquistato diritti durante l’autunno caldo e nelle stagioni in cui firmare i contratti nazionali significava ottenere davvero qualcosa. Ma il punto più importante qui è un altro: lo scontro Leopolda-San Giovanni non trova affatto la cordata di Renzi come novità, e carico di rottura e il resto come conservazione. O meglio, questo tipo dialettica la troviamo già chiara negli anni ’80, prima ancora dello scioglimento del Pci, in quella che convenzionalmente viene chiamata la sinistra italiana. La stessa mitologia di Apple, ostentata da Renzi in tutte le Leopolde compresa questa da premier, affonda le radici nell’epoca del primo desktop per ampie fasce di consumatori che è del 1981. E qui, magari, invece di fare il primo premier europeo in assoluto a fare da testimonial al capitalismo tecnologico californiano magari Renzi potrebbe sfogliare più attentamente il Financial Times, oltre che a farci le interviste, o farselo raccontare meglio: Iphone 6 e 6 plus, e i prodotti Apple in generale, sono inadatti per il vero mercato smartphone e tablet del futuro, quello indiano. Ma se Renzi ha lo stesso rapporto con l’iconologia statunitense di Alberto Sordi in Un americano a Roma, poco male. Ci si diverte.

L’aspetto importante è che la società italiana vive un loop collettivo dall’inizio degli anni ’80. Quando, di fronte alla prognosi (esatta), del declino della società industriale-fordista in occidente, e di fronte alla realtà solo scalfita in un trentennio di una società prevalentemente spoliticizzata, sono due le matrici culturali che prendono piede. La prima vuole una veloce compressione dei diritti sindacali, come Reagan e Thatcher indicavano, per il rilancio della competività e lo sviluppo dell’innovazione. La seconda, ammettendo necessità di rilancio della competività e pur assumendo innovazione e capitalismo come sinonimi, pone il problema di tempi, mediazioni e compatibilità legislative, politiche e sociali di questa compressione. Si tratta di differenti concezioni della temporalità dell’allora uscita dalla società fordista-industriale di massa: accellerata, post-salariale, oltre che post-fordista, la prima; metodica e rispettosa delle procedure politico-sindacali vigenti la seconda. Come tutte le matrici culturali, e le pratiche politiche, non sono certo mancati in trent’anni i processi di ibridazione. Ma anche il momento, forte, di contrapposizione fondativa: lo scontro sulla sterilizzazione della scala mobile del 1984. Scontro che, all’epoca, si giocò tutto nella sinistra istituzionale: Psi contro Pci, componente socialista contro componente Pci della Cgil. Dal punto di vista mediatico 30 anni fa c’erano le stesse paginate di Repubblica (“innovatori” contro “conservatori”, nella definizione dei due campi, “pragmatici” contro “ideologici”) e nei servizi dei telegiornali, basta vedere gli archivi, ampiamente favorevoli all’accellerazione dei processi di liquidazione delle garanzie offerte dall’epoca fordista. E, considerando le cose fino in fondo, non manca niente all’effetto loop con quegli anni visto che c’è persino il ritorno degli Spandau Ballet in Italia. Non che questo scontro sulle differenti concezioni temporali dello smantellamento dei diritti del lavoro si sia sempre giocato in quel campo che, con molta approssimazione concettuale, viene chiamato di sinistra. Il centrodestra, arruolando diversi transfughi dal sindacalismo Cgil di origine Psi (l’ex ministro Sacconi ad esempio) dell’accellerazione della liquidazione dei diritti marcò la propria contrapposizione contro il centrosinistra sulla questione articolo 18 del 2002.

Allo stesso tempo il fronte, sempre legato alla Cgil, della modulazione nella dismissione dei diritti e della compressione del salario legato a assetto normativo, compatibilità politiche e metabolizzazione sociale ha anche praticato momenti di accelerazione: ad esempio con la liquidazione della scala mobile nel ’92, il pacchetto Treu, concertato sindacalmente e l’accordo del 28 giugno del 2011, firmato da Camusso, che fissa deroghe significative ai contratti nazionali.

Sarebbe infatti curioso censire quante vittime delle decisioni reali, e degli accordi della Cgil sono scese in piazza con Susanna Camusso. Una stima approssimativa, e su criteri nemmeno troppo strigenti, darebbe risultati impressionanti. Solo che qui si tratta di capire anche il potere di attrazione di queste due matrici culturali di lontana formazione. Una volta scomposta, con la società fordista, la politicizzazione di massa entrambe le matrici hanno attirato vasti sedimenti di società. Chi ha giocato sull’accelerazione dello smantellamento dei diritti, a volte mimetizzato a volte esplicito, ha trovato il consenso esplicito, ma anche quello enorme e silenzioso, di chi comunque dava per scontato che la società dovesse cambiare o che un cambiamento traumatico fosse ineluttabile per favorire l’innovazione. Chi invece ha giocato sulla moduzione temporale dello smantellamento dei diritti, sulla sua diluizione entro le compatibilità politiche e sindacali, ha sempre trovato sponda, anche disperata, in chi offriva la propria forza d’urto per contrapporsi a chi voleva liquidare velocemente i propri diritti.

E qui qualche domanda seria qualcuno se la dovrebbe fare. Ad esempio sul perché, in 30 anni, queste polarità siano state in grado comunque di essere egemoni nel dibattito politico, attirando pezzi di società. Da trent’anni oltretutto la prognosi della Cgil come sindacato dei servizi è sempre più confermata ma, allo stesso tempo, se si tratta di mobilitare la piazza l’appuntamento non viene mai mancato.

Insomma, una frattura nata nella sinistra istituzionale, all’uscita della società fordista ha trovato modo per riprodursi per oltre un trentennio, nel governo del lavoro, riproponendosi come se fosse, allo stesso tempo, sempre nuova e con gli stessi attori (innovatori e ortodossi). Il punto è che, nel frattempo, alla crisi del lavoro di massa dovuta al declino dell’industrializzazione in occidente, e a sue poderose ristrutturazioni, si è sovrapposta quella del lavoro digitale. Nel senso che le rivoluzioni tecnologiche, nello stesso mondo digitale, distruggono stabilmente più posti di lavoro di quanti ne producano. In questo senso la dialettica Leopolda-San Giovanni appare un doppio anacronismo. Quello del conflitto che si ripercuote da un trentennio, con la compressione dei diritti e del reddito come esito scontato a prescindere dal vincitore, ma anche quello della presenza di attori in campo che agitano politiche che hanno fallito, tranne che per le garanzie dovute ai profitti, per governare l’uscita dalla società industriale. Attori che non si pongono nemmeno il problema di affrontare i nodi della crisi della società digitale. Quando Renzi va alla Silicon Valley, con lo spirito del turista che va a Londra per vedere il cambio della guardia, si rende conto, ad esempio, che è proprio dalla California, e dalle stesse aziende che ha visitato, che è partito l’allarme documentato sul fatto che le rivoluzioni tecnologiche distruggono più posti di lavoro di quanti ne producano?

Eppure l’allarme, perché è a rischio il proprio modello di business, viene proprio da un’azienda visitata da Renzi: Google. Sappiamo quindi cosa sta accadendo: abbiamo due tipi di sinistra istituzionale che, sul tema dei tempi e delle procedure di liquidazione dei diritti (che è sostanza per cordate di potere), confliggono si compongono e si scompongono. Mimando lo scontro vero, frontale, quello che avviene tra strategie e visioni diverse. Perché mimare, dal punto di vista della comunicazione politica, significa costruire una scenografia che attira l’attenzione e rende comunque centrali. Nel frattempo l’Italia è entrata nell’euro, e già lo scontro dell’84 prefigurava le politiche che hanno portato alla moneta unica, ha perso ampie porzioni di sovranità politica, amministrativa, giuridica e del tutto quella monetaria. Ad ogni scossa significativa su questi piani questo scontro si è riproposto. È bene essere chiari: se Renzi cadesse sull’articolo 18 sarebbe una scossa liberatoria per questo paese. Che rischia di avvitarsi nell’ennesima ristruttuazione reaganiana, venduta come innovativa, che non ha nessun senso nell’attuale contesto economico. Ma è altrettanto giusto non illudersi: siamo di fronte a schieramenti anacronistici, frutto di un’epoca di scomposizione del lavoro industriale alla quale si sovrappone quella della crisi del lavoro digitale. Comunque vada, al netto di effetti perversi, qualsiasi risultato ne esca fuori nessuno dei nodi strutturali di questo paese verrà aggredito. Sempre che, alla fine di questo simulacro di guerra dei trent’anni, ci sarà ancora questo paese.

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