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Mattarella: un voto che ci parla di Renzi

Leonardo Mazzei

Mattarella-e-Renzi1Il coro del "Santo subito" è ancora in corso, ma si esaurirà a breve. Strano paese quello dove il premier deve invocare l'elezione a presidente di un presunto "galantuomo". Se fosse davvero questo il requisito fondamentale, quello che fa da discrimine, sarebbe come dire che tutto il resto della platea dei potenziali eleggibili era fatto da non galantuomini.

Questo curioso modo di porre le cose fa sì tanta audience, ma ha il piccolo difetto di occultare le ragioni politiche di una scelta. Sulla figura del neo-santo è stato già detto l'essenziale. Qui vorremmo invece concentrarci su una questione più generale: il renzismo. Perché, questo non lo mette in discussione nessuno, il vero ed unico grande elettore di Mattarella è stato Matteo Renzi.

Dunque questa scelta dovrà pur significare qualcosa. In proposito possono anche esservi letture minimaliste (del tipo: Renzi lo ha fatto per evitare imboscate della minoranza Pd), ma la mia opinione è un po' diversa, nel senso che esigenze tattiche di questo tipo stanno in realtà in una cornice più ampia che ci descrive assai bene che cosa sia il renzismo.

Questo è il vero punto meritevole di riflessione, altro che le pagelline su chi ha vinto o chi ha perso, come quella - invero penosa assai - che ci è capitato di leggere qui.

Mettiamoci bene in testa due cose. La prima: Matteo Renzi non ha davanti a se un ventennio più o meno glorioso. La seconda: questo non significa che egli sia semplicemente il successore di Letta ed il predecessore di chi verrà dopo di lui. Il renzismo ha una sua forza peculiare, che va capita alla svelta.


1. Renzi ha stravinto

Il capo del governo ha evitato il temuto impantanamento, ha ricompattato il suo partito, ha eletto al Quirinale un personaggio che non gli darà fastidio. Ma, soprattutto, ha dimostrato di essere lui a decidere, zigzagando quando necessario, ma sempre con il pallino in mano.

Alla fine anche i malpancisti alfaniani si sono dovuti allineare, mentre le opposizioni si sono liquefatte. Se Forza Italia si è divisa anche nel momento della denuncia del "tradimento" renziano, Lega e FdI  non hanno trovato di meglio del voto a Vittorio Feltri.

Clamoroso l'errore del M5S. Candidare un re dei complottisti come Imposimato sarà forse piaciuto a certi patiti della rete, ma come mossa politica ha rappresentato un autogol senza pari. Dei parlamentari di Sel che hanno votato Mattarella c'è poco da dire. Il partitucolo di Vendola tutto è fuorché d'opposizione, ed anzi non vede l'ora di poter tornare alle alleanze a tutto campo con il Pd.

Comprensibilmente, Renzi ha commentato così questo risultato: «È come se fossimo diventati noi l’infrastruttura del sistema repubblicano» (la Repubblica 1/2/15). Si tratta di un'esagerazione, una delle tante vanterie alle quali il personaggio ci ha ormai abituati? Certo, c'è anche questo, ma sbaglieremmo a non cogliere la sostanza di questa affermazione.


2. I punti di forza del renzismo

Ci sono tre elementi che fanno la forza di Renzi, nella duplice veste di presidente del consiglio e di segretario del Pd.

Il primo è rappresentato dalla particolare condizione del sistema politico italiano. Un sistema che si è retto in piedi solo grazie ad un insieme di forzature, dalla sostituzione di Berlusconi con Monti (2011), alla rielezione di Napolitano (2013), alle larghe intese di Letta. Forzature che ne hanno impedito l'implosione, ma che certo non hanno risolto la questione del consenso. Un anno fa quel sistema era più in crisi che mai, ed è da quella crisi che è sbucato fuori l'ex sindaco di Firenze, individuato da tanti centri di potere come l'ultima carta possibile. Un fattore che costituisce tutt'oggi il suo primo punto di forza.

Ma ce n'è un secondo, non meno importante. Quello di ritrovarsi a presidiare il fronte sud di un'Europa in crisi. Dopo la vittoria di Syriza in Grecia, e l'avanzata di Podemos in Spagna, cosa succederebbe all'UE se anche il futuro politico dell'Italia finisse in mani diverse da quelle del blocco sistemico che ha garantito in questi anni fedeltà, quando non servilismo alle oligarchie euriste? La portata della posta in gioco è fin troppo evidente, e questo significa che anche la Germania non potrà sgridare più di tanto Renzi, anche quando non sarà troppo puntuale con "i compiti a casa". L'unica alternativa - dal punto di vista di Bruxelles - sarebbe un paese commissariato dalla troika. Certo, piacerebbe molto a Scalfari, ma ce la farebbe ad impedire uno scenario politico di tipo greco o spagnolo? Poco probabile, ed in ogni caso non si vede perché lorsignori dovrebbero rischiare.

Infine, il terzo punto di forza. Molto semplice da spiegare, perché coincide esattamente con la debolezza delle altre forze politiche in campo. Debolezza che si è manifestata anche in occasione dell'elezione del presidente della repubblica. Una debolezza tale da far apparire il pur acciaccato Pd come una corazzata al momento invincibile, perché più che la forza quel che conta sono i rapporti di forza. E su questi, al momento, c'è ben poco da discutere.  


3. I renziani: una banda assetata di potere

Il mix rappresentato dai tre elementi di cui sopra ha partorito il mostriciattolo rappresentato dal gruppo di potere renziano. Di cosa si occupa questo gruppo di potere? Del potere. Punto. Di quel potere di cui i membri del clan sono semplicemente assetati. Ma siccome non è che siano tutti dei fini strateghi, questo gruppo ha un unico capo riconosciuto, venerato ed indiscusso. Al quale un po' tutti devono il loro attuale successo.

L'Italia ha già conosciuto questo fenomeno vent'anni fa proprio grazie all'alleato testé tradito. Oggi l'allievo ha superato il maestro. Ci sono, ovviamente, delle differenze, ma al fondo la somiglianza tra i due è straordinaria, solo che Renzi - come si è visto in questi giorni - è più cinico.

Ma il cinismo è solo uno dei quattro ingredienti fondamentali dell'agire renziano. Gli altri tre sono:  il populismo, il trasformismo e il decisionismo.

Sul cinismo si obietterà che questo è un elemento pressoché ineliminabile della politica. Obiezione solo parzialmente accolta, dato che in Renzi esso non ha veramente limiti. Qui non si tratta del "fine che giustifica i mezzi", ma di un fine che si alimenta ed esaurisce al tempo stesso nella personale bramosia di potere del soggetto in questione.

Sul populismo c'è poco da dire. Che cosa sono la "rottamazione", la lotta all'onnipresente burocrazia, l'ottimismo contrapposto ai "gufi", il culto della velocità, lo smanettare spesso ridicolo su twitter, se non un esercizio continuo di populismo adattato ai tempi attuali?

Com'è logico che sia, il trasformismo fa sempre coppia fissa con il cinismo, ma qualche volta anche con il populismo: Renzi è "europeo", ma in lotta contro le burocrazie; è un liberista sfrenato ma si vanta di essere di "sinistra"; è il più confindustriale dei capi di governo, ma tira fuori gli 80 euro; sta con le banche ma polemizza con i banchieri; elegge al Quirinale un avanzo della prima repubblica, ma lui è l'uomo della terza... E si potrebbe continuare per diverse pagine.

Tipico del trasformista è la spregiudicatezza in materia di alleanze e di scelte politiche. Berlusconi ne sa qualcosa. Ora è probabile che la prossima volta tocchi alla minoranza Pd, così impara...

Ma il trasformista non è solo uno che ama cambiare casacca. E' uno che tutto giustifica a condizione che alla fine prevalgano i suoi interessi. Nel caso di leader politici il trasformista è dunque un decisionista. Uno che può dire indifferentemente "nero" o "bianco" purché lo dica e lo decida lui.

E' quel che è avvenuto anche sul nome di Mattarella, forse anche per l'insistenza di Berlusconi su Amato e Casini, due nomi che Renzi non avrebbe mai potuto accettare (mentre il primo - si badi bene - aveva già l'approvazione della corrente bersaniana...). Nomi troppo pesanti politicamente, troppo inseriti nei giri del potere che conta. Personaggi che, a tempo debito, avrebbero potuto giocare qualche tiro mancino. Meglio non fidarsi, a costo di ripescare un vecchio arnese come Mattarella, alla faccia della rottamazione.  


4. E ora?

Se il renzismo è quella cosa che abbiamo descritto fin qui, nessuno pensi ad improvvisi sfracelli. Il "Patto del Nazareno" è finito e l'unità del Pd ritrovata? Ma neanche per sogno. Semplicemente, stanti così le cose, sarà Renzi che deciderà di volta in volta a quale forno acquistare il pane. Stavolta gli è venuto bene il fornaio Bersani, ma vedrete che a breve troverà il modo di non scontentare troppo il provato Berlusca. Mica per fargli un favore, solo per impedire che Forza Italia decida alla fine di celebrare il funerale al suo ingombrante fondatore.

Perché ritrovarsi con un avversario minimamente autonomo, quando ce n'è uno totalmente ricattabile? E' la stessa logica che porta i media renziani a sponsorizzare Salvini: con un nemico così Renzi potrebbe restarsene a Palazzo Chigi fino alla pensione.

Il prossimo test sarà rappresentato dalla legge elettorale. Il premier ha ottenuto dall'ex cavaliere tutto quel che gli interessava: un premio di maggioranza non più alla coalizione bensì alla lista che arriva prima, che ad oggi solo il Pd può sperare di aggiudicarsi; un doppio turno che è un'assoluta garanzia di vittoria; soglie di sbarramento più basse per favorire la presentazione autonoma delle piccole formazioni centriste che diversamente Berlusconi avrebbe fagocitato di nuovo.

Resta aperta la questione delle preferenze. Questione spinosa che potrebbe finire alla Corte Costituzionale. Renzi farà un nuovo sgarbo al Berlusca? Non penso proprio. E così toccherà nuovamente alla minoranza del Pd andare in sofferenza, ma la Camera approverà.

In fondo - ed anche in ciò si coglie l'essenza del renzismo - cos'è (oltre alle promesse sul Quirinale) che ha convinto Berlusconi ad un cedimento dopo l'altro? Di più: cos'è che ha convinto anche tanti centristi ed una parte dei piddini inizialmente riottosi? La risposta è semplice. Semplice come una data: 1° luglio 2016. L'Italicum entrerà in vigore solo in quella data, che è come dire che i parlamentari si sono assicurati il posto almeno fino alla primavera 2017. Potevano sperare in qualcosa di meglio? Decisamente no, dunque viva la legge e viva il nuovo santo!

Naturalmente non c'è solo la legge elettorale. Ancora più importante è il nodo delle politiche europee, dei vincoli di bilancio, ed infine del fiscal compact. E' qui che si giocherà davvero il futuro di Renzi. Ed è questa una partita dove i trucchi saranno certo più difficili. E' su questo terreno che il renzismo potrà davvero andare in crisi. Ma ad una precisa condizione: che inizi a delinearsi una vera e credibile alternativa.


5. L'alternativa

Si fa presto a dire "alternativa". Essa ha da essere vera e credibile. Viceversa avremo solo il momentaneo allargamento di un'area comunque residuale. Prendete quel che ha detto ieri Stefano Rodotà al Quotidiano Nazionale, dove sembra che la "Cosa Rossa" - peraltro un nome già destinato a portar male - sia nelle sue mani, insieme a quelle della Cgil, di Sel e di Don Ciotti...

Ora, è vero che saltare sul carro del vincitore (nel caso, Tsipras) è una specie di sport nazionale. Ed è vero che il trasformismo non è merce di competenza del solo Renzi. Tuttavia non sarà da questa congrega, né dal suo portavoce - che ne ha dato l'annuncio solo dopo aver detto «Mattarella? Un'ottima scelta» -  che potrà nascere qualcosa di buono.

A dispetto della globalizzazione ogni paese fa storia a sè anche lungo le sponde del Mediterraneo. In Grecia Syriza è il prodotto di una lunga stagione di lotte e di opposizione. In Spagna, Podemos è sorta da un ampio movimento sociale del quale non si vede ancora traccia nel nostro paese. Ma il minimo comun denominatore di queste due esperienze è la rottura con l'intero sistema politico preesistente.

Nessuna di queste due forze ha mai pensato di allearsi con il Pasok o con il Psoe spagnolo. Tutt'altra la storia italiana. Perlomeno quella dei soggetti di cui sopra, parte essi stessi del sistema che ci ha portati fin qui.

Se l'alternativa italiana si aprirà finalmente una strada, questo non potrà mai venire da questi personaggi. Essi pretendono di giocare troppe parti in commedia. Ed in questo sono perfino peggio di Renzi.

Nossignori. Se alternativa sarà, essa dovrà avere il segno della novità (che non è "nuovismo") e della freschezza. Non è il momento delle minestre riscaldate. Non è il momento delle ambiguità stile "Lista Tsipras". Non è il momento di chi, come minimo, ha retto il moccolo al liberismo di sinistra per vent'anni.

Lasciare spazio a costoro sarebbe mortale. Essi possono al più progettare l'allargamento di una nicchia residuale oggi troppo ristretta, ma la possibilità di un credibile progetto di alternativa sarebbe semplicemente pari a zero.

Lo tengano a mente tutti coloro che vogliono cimentarsi con la sfida della costruzione di un'alternativa di massa, che ha da essere democratica ed antiliberista, popolare ed antieurista, radicale e sovranista. La sola alternativa che può davvero vincere. L'unica che possa davvero impensierire Renzi ed il famelico gruppo di potere che gli si raccoglie attorno.

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