Print Friendly, PDF & Email
orizzonte48

Il redde rationem: la Corte in mezzo al guado

L'emergenza democratica più grave dal 1948

di Quarantotto

career transition horses midstream1. Nel post del 1° maggio avevamo messo in risalto la questione del "quando e perchè" un diritto costituzionalmente tutelato dovesse trovare tutela integrale, cioè attraverso la piena espansione del principio della restituzione di quanto indebitamente percepito ovvero non erogato (dallo Stato), in applicazione della norma dichiarata incostituzionale.

Quello che può apparire un tecnicismo, è in realtà un punto fondamentalissimo per poter qualificare la (permanenza o meno della) sovranità di uno Stato, in relazione al concomitante principio della "scarsità delle risorse finanziarie" dello stesso, derivante dalla limitazione del deficit e dall'adesione all'euro, cioè dal "vincolo esterno" dei trattati europei. 

In presenza del pareggio di bilancio, nella nuova formula dell'art.81 Cost., poi, il problema diviene di primaria importanza, perchè accelera e rende tangibile, anche a chi prima non se ne rendeva conto, lo stato di progressivo smantellamento dell'assetto sociale derivante dai principi fondamentali della Costituzione stessa.

 

2. E dunque avevamo evidenziato il concreto manifestarsi di questa accelerazione in questi termini:

"invito i più attenti lettori di questo blog a riflettere su un "trovate le differenze" tra la sentenza in questione (n.70/2015) e quella sulla Robin Tax, n.10 dell'11 febbraio 2015

Mi limito a suggerire una direzione di indagine:   - è più "equo" accorgersi degli effetti di restituzione retroattiva delle sentenze della Corte in vigenza dell'art.81 Cost.- cioè del pareggio di bilancio- per impedire una successiva redistribuzione punitiva derivante dalle esigenze di costante copertura appunto in pareggio di bilancio (caso della sentenza n.10), ovvero "ignorare" che, vigendo l'art.81 Cost. attuale, e il fiscal compact, qualcuno dovrà comunque pagare quella apparente restituzione e, dunque, l'intero sistema economico subire (per via fiscale) una equivalente contrazione (esattamente compensativa di quella dichiarata incostituzionale) di consumi, investimenti e occupazione?"

 

3. Demetrio, in uno dei suoi commenti, ha ben riassunto il problema "generale", che il post aveva evidenziato nei suoi termini "non" postisi dalla Corte:

"Ma le "risorse limitate" perchè sono limitate? Se lo sono perchè "la Natura è matrigna" è un conto; ma se la limitatezza è "provocata", cioè è il portato di una libera scelta (per giunta reversibile) operata dal Legislatore in spregio a vincoli costituzionali (posti a garanzia proprio dei diritti sociali che esso Legislatore non è in grado di assicurare a causa delle prevedibili conseguenze di quella sua libera scelta), la musica - mi pare - cambia "lievemente" (nel senso che viene meno l'assioma che i diritti sociali fondamentali possono trovare realizzazione se e in quanto i vincoli di bilancio lo consentano).

Il problema è che della conformità a Costituzione della scelta operata "a monte" dal Legislatore i giudici costituzionali sembrano ben guardarsi dall'occuparsene "motu proprio" (di qui l'esigenza, evidenziata nel mio precedente post, che a stimolarli in quella direzione siano i remittenti)."
  

4. Come prevedibile, la questione delle conseguenze della sentenza della Corte è ora nell'occhio del ciclone.

E non poteva non esserlo, dato che lo snodo che tutti, come cittadini della Repubblica costituzionale fondata sul lavoro,  ci troviamo ad affrontare finisce per essere, - in un modo persino più concreto ed urgente della stessa legge elettorale in dirittura d'arrivo-, la vera cartina di tornasole della residua democrazia sostanziale, in contrapposizione con la tecnocrazia super-sovrana e antiparlamentare dell'UEM.

 Da "voci giornalistiche" apprendiamo che, nella discussione interna alla Corte, sarebbe accaduto questo (il condizionale è naturalmente d'obbligo in ossequio alla segretezza della camera di consiglio):

"Poteva finire diversamente alla Consulta, sulle pensioni ridotte dalla legge Fornero. Soprattutto perché nella camera di consiglio di giovedì, quando si è capito che i giudici costituzionali si stavano spaccando, è stata prospettata una terza possibilità, tra l'accoglimento pieno del ricorso e la sua bocciatura: affermare il principio costituzionale, ma solo per il futuro, non ordinando cioè il rimborso delle somme tagliate in passato.

Il gruppo filogovernativo, capeggiato da Giuliano Amato, a questo punto però si è impuntato...

...La possibilità era quella di accogliere solo uno dei due quesiti del ricorso: quello che contestava il fatto che gli effetti del provvedimento diventassero «permanenti», mettendo uno stop dal 2015.

Si sarebbe invece respinto l'altro, che imponeva la restituzione degli arretrati dal 2012. In questo modo, si sarebbe salvato il rispetto degli articoli 36 e 38 della Costituzione (sulla «retribuzione proporzionata» e sul «criterio di adeguatezza» delle pensioni»), ma senza provocare una voragine nei conti pubblici.

È stato a questo punto che Amato & Co, raccontano fonti ben informate, hanno deciso che no, bisognava andare al voto solo sul sì o il no, senza lasciar spazio all'ipotesi numero 3. La situazione si è radicalizzata e alla fine la decisione si è rivelata un boomerang. Tra l'altro, in tutta la discussione i giudici costituzionali non avevano ben chiaro l'impatto economico della loro decisione, a quanto sembra.."

 

5. Naturalmente, è da presumere che la soluzione di compromesso non avrebbe direttamente esplicitato la prevalenza dell'art.81 Cost. (cioè delle esignze di pareggio di bilancio in senso lato) sugli artt.38 e 36 Cost., utilizzati dalla Corte come parametri di rilevata illegittimità della norma. Si sarebbe piuttosto fatto cenno agli effetti "redistributivi" della "copertura" finanziaria della restituzione come iniqui (e apportatori di una lesione ad un assetto "ragionevole": cioè, a loro volta, gli effetti restitutori sarebbero stati liquidati come non conformi ad altri principi costituzionali, da bilanciare su un piano di parità): e questo  senza verificare se ciò sia rispondente a dati macroeconomici opportunamente acquisiti, e dunque senza scendere ovviamente in eccessivi dettaglio sul piano della "attendibilità" della complesiva conclusione.

Così facendo, la Corte avrebbe però anzitutto, ancora una volta, evitato di esaminare il problema "a monte", che è quanto evidenziato nel post da cui siamo partiti e cioè il legame tra:  a) livello del bilancio fiscale, ridotto col "consolidamento", b) vincolo esterno a monte del consolidamento, cioè il pareggio di bilancio (in tutte le sue forme, comunque riduttive dell'indebitamento annuo) e c) disoccupazione-livello delle retribuzioni, e quindi anche del successivo trattamento pensionistico.  

La Corte, tuttavia, in aggiunta, avrebbe consolidato un altro passo avanti nello smantellamento costituzionale.

La Corte, infatti, avrebbe sì evitato il malcontento (governativo e, per via di condizionamento mediatico, della "gente", mal informata sulla autonomia e incomprimibilità costituzionale dei propri diritti fondamentali), cioè il sollevarsi della conseguente "guerra tra poveri", che ormai consegue ad ogni manovra di espansione della spesa pubblica (o di attenuazione del carico tributario), dovendosi "manovrare" in pareggio di bilancio: ma questo continuo aggirare il nodo della questione, implica il rafforzamento della presunta legittimità-liceità della circostanza, sempre più nevralgica nel caratterizzare la nostra realtà economica, che una "guerra tra poveri" ci possa e, anzi, (con grande soddisfazione della unanime grancassa ordoliberista eurofila) ci debba essere.

 

6. E dunque siamo al redde rationem

Non sappiamo esattamente quando, ma, ormai, con il probabile affluire alla Corte costituzionale di nuove questioni attinenti a norme derivanti dalle leggi finanziarie, poste in essere in attuazione della politiche rispondenti al c.d. fiscal compact, è da temere che la Corte stessa, in futuro, paghi pesantemente la propria titubanza nell'affrontare il problema del "vincolo esterno", magari autosollevando dinnanzi a sè la connessa e assolutamente pregiudiziale questione "a monte" (cioè del vincolo esterno).

E questo o in termini di pregiudizio alla propria libertà morale ed alla propria impermeabilità alle pressioni indebite (semplicemente perchè estranee al dettato costituzionale) o addirittura in seguito al formale svuotamento della effettività delle sue stesse decisioni.

Basti dire come il mondo politico-mediatico che agita strategicamente lo spauracchio della guerra tra poveri (da esso stesso introdotto nell'ordinamento!), ha ritenuto di poter aggredire la Corte costituzionale con una virulenza corale senza precedenti, atteggiamento che può essere emblematicamente riassunto nella seguente dichiarazione di Mario Monti:  

«Sono perplesso - dice alla “Stampa” - perché senza quelle misure sarebbe arrivata la Troika». Poi accusa: «Nella Ue c’è convergenza fra potere legislativo ed esecutivo. Poi c’è il modo augusto e distaccato delle corti costituzionali». Per lui la Consulta deve obbedire al governo..."

 

7. Di estremo interesse verificare come la posizione di Monti coincida con quella esposta da Barroso nel suo "famoso" discorso di commiato, che riassume la cultura comune della democrazia (eufemismo) incarnata nell'attuale €uro-governance.

L'origine in questa o quella istituzione nazionale della determinazione finanziaria contraria ai principi europei non ha rilevanza in questo frangente: gli italiani debbono sapere che quello che sta accadendo è una mera applicazione dello stesso trattamento oggi riservato alla Grecia ed alla sua sovranità (e, "curiosamente", non invece alla Francia...)

Nè più nè meno. 

L'unica differenza è che in Italia il governo è saldamente, e con continuità, in mano alle stesse forze filocreditori €uropei (esteri) che, mentre tagliavano l'adeguamento pensionistico (e molto altro ancora), trasformavano l'Italia in soccorritrice delle banche tedesche e francesi attraverso l'assunzione del gravosissimo impegno del fondo di stabilizzazione salva-Stati, rispetto alla esposizione bancaria in Grecia, a cui noi eravamo sostanzialmente estranei.

Tale differenza fa sì che siano politici (o tecnici divenuti tali) e media NAZIONALI, convinti che tale tale indirizzo politico filo-europeo sia prevalente sulla legalità costituzionale, a fare la pressione maggiore, in luogo dello spauracchio della trojka (che viene comunque agitato a ogni pie' sospinto).

rtemagicc silvia 3.png

negli anni si e gonfiato esponenzialmente il sostegno finanziario devoluto dai paesi dell area euro al fondo salva stati efsf e all esm.aspx

debito pubblico grecia 2

 

8. Ma non basta.

E' evidente che l'intervento della Corte costituzionale, - anche nella forma attuale, cioè che elide la messa in pericolo diretta del "vincolo esterno"-, venga percepito come un pericolo di lesa sovranità sovranazionale intollerabile

La governance filo-€uropea, incluse le sue propaggini mediatiche, in attesa di poter definitivamente rimuovere lo stesso attuale testo costituzionale (come auspicato da più parti), viene così tentata di trovare un modo per prevenire in futuro e per sempre questo pericolo:

 "...il conflitto fra interpretazione della Costituzione italiana, regole europee e risorse è più acuto che mai. Lo è al tal punto che, in ambienti del governo, sta emergendo una tentazione: chiedere un rinvio del caso alla Corte di giustizia europea, per chiarire se la sentenza della Consulta italiana sia coerente con gli impegni di bilancio firmati a Bruxelles.

Il nuovo Patto di stabilità (il “Six Pack” e il “Two Pack”) sono inclusi nel Trattato, dunque hanno rango costituzionale e il diritto europeo fa premio su quello nazionale. Il governo italiano potrebbe chiedere alla Corte di Lussemburgo se la sentenza dei giudici di Roma sia compatibile con essi."

Il "dunque hanno rango costituzionale e il diritto europeo fa premio su quello nazionale", ci pare un esercizio paralogico di ambiguità che, sul piano della legalità, si scontra frontalmente con questa recente sentenza della Corte costituzionale (n.238/2014), dove è chiaramente affermato:

"Non v’è dubbio, infatti, ed è stato confermato a più riprese da questa Corte, che i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e i diritti inalienabili della persona costituiscano un «limite all’ingresso […] delle norme internazionali generalmente riconosciute alle quali l’ordinamento giuridico italiano si conforma secondo l’art. 10, primo comma della Costituzione» (sentenze n. 48 del 1979 e n. 73 del 2001) ed operino quali “controlimiti” all’ingresso delle norme dell’Unione europea (ex plurimis: sentenze n. 183 del 1973, n.170 del 1984, n. 232 del 1989, n. 168 del 1991, n. 284 del 2007), oltre che come limiti all’ingresso delle norme di esecuzione dei Patti Lateranensi e del Concordato (sentenze n. 18 del 1982, n. 32, n. 31 e n. 30 del 1971). Essi rappresentano, in altri termini, gli elementi identificativi ed irrinunciabili dell’ordinamento costituzionale, per ciò stesso sottratti anche alla revisione costituzionale (artt. 138 e 139 Cost.: così nella sentenza n. 1146 del 1988)."

 Saprà la Corte rimanere su questa posizione in questo frangente di "scontro finale", assumendosi la inevitabile responsabilità democratica di dare un senso applicativo concreto ai principi così affermati, in specie comprendendo quali siano la origine e il significato della "scarsità di risorse" dello Stato?

Dalla risposta a questo interrogativo dipende, in pratica, il permanere o meno di una effettiva legalità costituzionale e democratica.

Se la Corte non riuscisse a porre un punto fermo a questa deriva, avremmo varcato irrevocabilmente ed espressamente (e non più solo "di fatto) il "punto di non ritorno".

Add comment

Submit