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coll napoli

Napoli fa 90!

A proposito di elezioni, lotta al Governo Renzi e futuro che ci attende

0022052016 elezioniPremessa

In queste pagine vogliamo condividere la nostra lettura della fase economica e politica, esprimere il nostro punto di vista sulla prossima tornata amministrativa a Napoli, e sui compiti che ci attendono se vogliamo provare a contrastare la crisi e le politiche che da ormai otto anni ci stanno massacrando. Speriamo soprattutto che questo documento possa diventare la base di futuri confronti.

Prima di iniziare ci teniamo però a socializzare questa riflessione, una preoccupazione e una speranza che non ci fa dormire la notte.

I tempi che stiamo vivendo sono davvero eccezionali. Dal 2008 gran parte del mondo è in preda a una crisi economica epocale, la più grave di sempre. Le classi dominanti non hanno la minima idea di come uscire da questa crisi, perché per uscirne bisognerebbe toccare i loro profitti e le loro ricchezze, e non vogliono che questo accada. Non vogliono concederci nulla, anche perché sanno che la fame vien mangiando... Quindi restringono gli spazi di espressione, manganellano ogni protesta, ci fanno fare ulteriori sacrifici, tagliano servizi sociali, aumentano tasse, tolgono diritti.

Così ogni giorno scivoliamo sempre di più nella barbarie della guerra, dei fili spinati, dello sfruttamento. Mentre emergono nuove forme di fascismo, intere famiglie sprofondano nella povertà, nel girone dell’emigrazione, della depressione.

Però allo stesso tempo, contro tutto questo, si mobilitano migliaia di persone. In Grecia, in Spagna, in Francia, solo per restare all’Europa, si sviluppano movimenti che chiedono giustizia, libertà, lotta alla corruzione, che riescono a ottenere sui territori importanti vittorie, a ricreare comunità ormai distrutte, e persino a fare paura alle classi dominanti, terrorizzate all’idea della salita al potere di una vera sinistra.

Siamo quindi davanti a una situazione eccezionale: da un lato un grande rischio, il ritorno a una sorta di Medioevo fatto di guerre, fame, controllo delle menti, da un altro lato una grande possibilità, quella di un mondo più giusto e più umano.

Per questo pensiamo che in questo momento, in cui tanti vecchi schemi sono saltati, si debba osare. Se non ci muoviamo perderemo tutto – pensate al mondo fra vent’anni: se continua così non avremo diritti, contratti, pensioni, sanità… Ma se invece ci muoviamo con intelligenza e determinazione, potremo davvero creare una società in cui il potere stia nelle mani delle persone e non di politici corrotti, padroni, mafiosi...

Noi pensiamo che i popoli possano vincere. Anche se sappiamo che ora come ora questo risultato sia difficile, siamo davvero convinti che in brevissimo tempo si possano mettere le basi per un movimento di massa che riesca a tirarci fuori da questa crisi e regalarci un futuro.

Però per questo dobbiamo iniziare a fare paura a chi ci governa, perché finché non ci temono non ci daranno mai niente.

 

La crisi italiana e Renzi

Veniamo all’Italia. Nel nostro paese la crisi ha fatto più danni che altrove, perché è andata a pesare su una struttura economica già fragile, su una situazione sociale già insostenibile, soprattutto al Mezzogiorno. Per cercare di governare questa crisi e “riformare” il paese – cioè tagliare spese sociali e aumentare il tasso di sfruttamento – le classi dominanti hanno giocato, dopo Berlusconi e il governo dei “tecnici”, la carta Renzi. Renzi, da sempre interno al sistema politico italiano, vicino ai gruppi di potere di destra e di “sinistra”, è stato scelto perché era il volto giovane, il rottamatore che se la prendeva con la vecchia politica, il comunicatore in grado di creare consenso.

E Renzi per un breve periodo ha funzionato. I suoi annunci che facevano sognare, gli 80 euro, l’elargizione di favori a destra e a manca, hanno fatto sì che il suo governo riuscisse – anche in mancanza di alternative credibili – a tenere.

Ma ben presto il giocattolo si è rotto. La necessità di obbedire agli interessi padronali ha portato al Jobs Act e alla riforma della scuola, combattute con forza da tutti i soggetti coinvolti; gli scandali bancari e le inchieste della magistratura hanno evidenziato in maniera palese qual è il blocco di potere che sostiene il governo e i suoi legami organici con il mondo dell’imprenditoria mafiosa; mentre i recenti dati sull’occupazione e sull’economia hanno certificato il fallimento delle politiche economiche e del lavoro. In pochi mesi gli italiani, già molto scettici rispetto a questo governo che non hanno scelto, hanno cominciato a prendere piena coscienza di quali interessi stiano dietro al governo e soprattutto della totale incapacità da parte di Renzi di dare risposte concrete alle vere emergenze del paese.

Tutto questo ha già provocato nell’ultimo anno degli effetti politici significativi: alle tornate amministrative e regionali dello scorso anno il PD ha perso voti ovunque, mentre, sia a livello locale che nazionale, ha perso pezzi ed è dovuto ricorrere a Verdini (braccio destro di Berlusconi) per puntellare la sua azione di governo. Pressato dall’alto da Unione Europea e Confindustria, contestato sempre più spesso dal basso, da lavoratori e cittadini, il Presidente del Consiglio si sente in pericolo, e reagisce in maniera aggressiva.

Ma se per Renzi il presente non è dei migliori, il futuro potrebbe rivelarsi davvero disastroso.

 

La situazione economica italiana e il fallimento del governo

Dal punto di vista dell’economia, infatti, come ha recentemente affermato Draghi, potremmo trovarci davanti ad un nuovo rallentamento dell’Eurozona. Per l’Italia, che di norma fa peggio degli altri, questo potrebbe significare l’azzeramento di quel già risicatissimo +0,7% del PIL ottenuto nel 2015, forse addirittura l’inizio di una nuova recessione.

Uno scenario davvero pessimo per Renzi, se pensiamo che in campo economico la strategia del ministro Padoan si fondava sull’assunto che la crescita a livello internazionale non si sarebbe arrestata. Sulla base di queste ottimistiche, per non dire fantasiose, previsioni, il governo ha aumentato ulteriormente il debito pubblico in modo da reperire le risorse da destinare alle varie regalie fatte ai padroni come il taglio dell’Irap, la decontribuzione per i neo assunti, defiscalizzazioni varie e finanziamenti a opere pubbliche spesso inutili e dannose per l’ambiente…

L’idea del governo era che l’economia italiana si sarebbe agganciata, grazie alle politiche monetarie della BCE, a un trend positivo a livello continentale, tanto da riuscire a conseguire nel 2016 poco più di un punticino di crescita, utile per vedere aumentare il gettito fiscale e quindi riuscire a rispettare i vincoli di bilancio, ma soprattutto utile per raccontare all’opinione pubblica che grazie al Jobs Act, allo Sblocca Italia e alle altre controriforme, si era finalmente usciti dalla crisi.

Purtroppo per loro, quest’estate il quadro economico a livello internazionale ha cominciato a deteriorarsi rapidamente e così il castello di carte messo in piedi da Padoan sta venendo giù. Così tutti i problemi, nascosti sotto al tappeto, sono venuti fuori, evidenziando la totale inconsistenza dell’azione politica dell’esecutivo.

Una situazione davvero antipatica per il governo perché, se non dovesse riuscire a far quadrare i conti nel 2017, scatteranno le famigerate “clausole di salvaguardia”, ovvero un consistente e generalizzato aumento della pressione fiscale, cosa che determinerebbe la fine politica di Matteo Renzi.

 

La tornata amministrativa

È dunque nel suo momento di maggiore difficoltà che Renzi si trova a giocare la partita delle amministrative e quella del referendum costituzionale di ottobre. Partiamo dal voto del 5 giugno, che vedrà impegnate le maggiori città italiane, e che ha – per quantità (circa 13 milioni e mezzo di elettori chiamati a votare) e qualità – un valore nazionale.

Ora, dalle elezioni amministrative il PD potrebbe uscire malconcio. Tutti i sondaggi lo danno ormai al 30%, ben lontano da quel 40% delle europee di soli due anni fa, e il progetto del partito della Nazione sembra ormai tramontato. Se prendiamo infatti in esame le prime tre città d’Italia, i cui risultati contano da sempre tantissimo sulla politica nazionale, notiamo come in nessun caso la vittoria di un candidato Dem sia scontata, anzi.

A Milano, nonostante Sala goda della sovraesposizione ottenuta grazie ad Expo (che però si sta finalmente rivelando la truffa che è stata), la situazione non è così definita, e l’inaspettata ricomposizione a livello locale di tutto il centro-destra rappresenta una minaccia consistente all’affermazione del blocco renziano.

A Roma le difficoltà sono ancor più palesi. Il PD romano dopo la vicenda Marino e Mafia Capitale è all’anno zero, e anche la destra post-Alemanno è divisa come non mai con addirittura tre candidati. Da tale quadro escono favoriti i Cinque Stelle che presentano una candidatura “credibile”, con alle spalle una struttura locale discreta sia dal punto di vista dei numeri che delle competenze, oltre che capace di dialogare con parte dei movimenti sociali.

Ma veniamo a Napoli.

 

Che sta succedendo a Napoli?

Napoli è in questo momento per Renzi la madre di tutte le battaglie nell’ambito delle amministrative. Le elezioni nella nostra città rappresentano per il governo un test fondamentale per ragioni sia di carattere simbolico che sostanziale. Per questo Renzi, che ha snobbato per due anni la città, si è più volte presentato qui, sostituendosi di fatto alla Valente nella campagna elettorale. D’altronde a Napoli il PD rischia davvero una débâcle epocale e, mentre Roma è data per persa, e per Milano è stato già fatto tutto, su Napoli il premier pensa ancora di poter recuperare. Magari non di vincere, ma sicuramente di mettere i bastoni fra le ruote, anche municipalità per municipalità, al governo di De Magistris. Per questo ha avuto contatti estremamente amichevoli anche con Lettieri, il candidato di Berlusconi.

Ma perché questo accanimento? Con la vicenda di Bagnoli e la ferma opposizione al commissariamento, De Magistris ha di fatto incarnato il sentimento di molti che si oppongono allo strapotere di Renzi. Nelle istituzioni nessuno, neanche i Cinque Stelle, è riuscito finora a creare tanti problemi all’esecutivo. Ma anche a prescindere dal caso Bagnoli, in questi anni molte delle scelte fatte dall’amministrazione sono state in controtendenza rispetto agli orientamenti nazionali.

Nonostante il predissesto, De Magistris e le sue giunte non hanno proceduto a esternalizzazioni e privatizzazioni; sul tema dei rifiuti non hanno permesso la costruzione degli inceneritori ma hanno puntato sulla raccolta porta a porta; hanno abbandonato Equitalia creando un proprio servizio di riscossione; hanno rispettato il voto sull’acqua pubblica, sottraendola ai privati, trasformando la vecchia s.p.a. in una società di diritto pubblico; hanno internalizzato la gestione del patrimonio immobiliare, sottraendolo alla speculazione della Romeo; hanno sottratto molti spazi d’azione alle varie cricche locali etc… Senza contare l’intervento su argomenti di carattere simbolico, ma dalla portata politica generale, come il sostegno alla causa palestinese o curda, alla lotta del popolo greco, le sue posizioni di apertura e di accoglienza verso gli immigrati.

Insomma De Magistris, nell’ultima parte del suo mandato, ha fatto dell’anti-renzismo un tratto distintivo e per questo le elezioni napoletane del 2016 rappresenteranno non solo un voto amministrativo ma soprattutto un voto politico.

Ma Napoli non è solo De Magistris, anzi. La stessa elezione di De Magistris nel 2011 fu resa possibile dall’accumulo di forza di movimenti di lotta contro le discariche, per l’acqua pubblica, dalle proteste studentesche e contro la camorra e la corruzione. In questi anni questi movimenti non sono rifluiti, ma si sono sviluppati e articolati sui territori: comitati, comunità informali, associazioni che operano nel campo della solidarietà, del recupero dei beni abbandonati, e che rispondono alle esigenze concrete della popolazione.

Esperienze come la nostra di “Je so’ pazzo” non sono isolate, ma esprimono una comune volontà di partecipazione, di democrazia, di risolvere i piccoli e grandi problemi che quotidianamente ci affliggono. In passato ci siamo scontrati anche duramente con l’amministrazione, ma non per questo non ci accorgiamo del potenziale che l’“esperimento Napoli” potrebbe avere.

Napoli è di fatto un laboratorio in cui viene sperimentato un modello assolutamente “altro” rispetto a quanto avviene nel resto di Italia. Un modello che, se si dovesse affinare e riproporre in forma maggiormente organizzata, potrebbe nel giro di poco tempo essere esportato creando una vera alternativa alle forze politiche che attualmente dominano la politica istituzionale a livello nazionale, facendo pulizia anche in tanto ceto politico parassitario della sinistra. 

Un’alternativa reale, sperimentata, capace di incarnare il sentimento di quelli che storicamente sono i soggetti di riferimento della sinistra in Italia, di coloro i quali sono stati e sono in parte ancora oggi gli elettori del PD e che ora votano a malincuore o ripiegano sul 5 Stelle o direttamente sull’astensione. 

È per questi motivi che Napoli è per Renzi un crocevia tanto importante, perché potrebbe rivelarsi la sua Waterloo. Il Presidente del Consiglio ha ben presente la situazione e così ha deciso di intervenire in maniera decisa nella campagna elettorale cittadina, non solo promettendo fondi (che peraltro erano già stanziati e spettavano ai napoletani), ma anche incontrando e mediando con pezzi di apparato, da Bassolino a De Luca, che mai aveva voluto vedere prima. Questo perché il PD di Renzi può controllare ben pochi territori in Italia, ed è costretto a dipendere, per vincere, dai ras locali e dalle loro cordate clientelari

 

Che si deve fare alle elezioni?

Se l’analisi fin qui condotta è giusta, pensiamo che si debba dare in tutti i modi una spallata al governo Renzi, che rappresenta davvero il progetto più reazionario degli ultimi decenni. Se Renzi cade, non per manovre di palazzo o sostituito dall’alto, ma attraverso una variegata mobilitazione dal basso, l’azione delle classi dominanti sarà certamente inibita, e dunque sarà rallentato o impedito il loro tentativo di spremerci sempre di più. 

Proprio per questo motivo, perché pensiamo che il momento sia decisivo e che una caduta di Renzi possa aprire uno spazio alle rivendicazioni popolari, saremo molto espliciti. Niente giri di parole: pensiamo che la chiarezza e la sincerità debbano essere le doti dei rivoluzionari. E anche per questo interveniamo solo ora che le liste sono chiuse e quindi non c’è alcuna possibilità di ambiguità. 

Noi sosterremo, voteremo e inviteremo a votare Luigi De Magistris a queste elezioni. 

Non abbiamo alcun interesse personale, non chiediamo alcun impegno rispetto a questioni che riguardano noi o gli spazi sociali di questa città, che pensiamo si difendano benissimo da soli; non dobbiamo niente a nessuno e pensiamo di dover rispondere delle nostre scelte solo davanti al popolo. 
Prendiamo dunque questa scelta perché riteniamo che sia un dovere sostenere chi oggi si contrappone all’autoritarismo di Renzi – il quale ci invita a “lasciargli fare” le riforme, a non intrometterci, ad andare a mare e non a votare (come per il referendum NO TRIV), che ha bisogno di un popolo suddito, mentre noi lo vogliamo sovrano! 

Scegliamo di sostenere chi al momento sta valorizzando ciò che è in basso, la consapevolezza e la partecipazione. De Magistris ci riuscirà? Noi pensiamo che dipenda anche da noi, dalla nostra capacità di portare avanti un processo che faccia di Napoli il primo baluardo contro Renzi e contro tutti quelli che ci vogliono zitti e muti per decidere più comodamente sulle nostre teste. Si può fare di meglio, di più? Certo, ma anche questo dipende da tutti noi, dalla nostra capacità di dare forza a questa esperienza, di renderla capillare, “popolare”, di spingerla sempre di più verso i temi urgenti della giustizia e dell’equità sociale.

Pensiamo sia il momento di schierarsi, al di là di ogni calcolo di bottega o di posizionamento tattico, in vista di un fine superiore. 

È la prima volta, che come singoli e come gruppi, ci rechiamo alle urne per un’elezione. Questo perché non abbiamo mai creduto, e non lo crediamo nemmeno ora, che il cambiamento sociale passi per il voto. Certo, non siamo mai stati astensionisti per principio: pensiamo – come hanno sempre pensato i comunisti – che nella lotta politica possano essere usati tutti gli strumenti. Ma non si è mai data l’occasione di votare qualcuno che fosse estraneo ai centri di potere, avesse qualche possibilità di incidere, e andasse, anche per un breve tratto, nella stessa direzione del popolo. 

Per questi motivi anche nelle elezioni del 2011 ci siamo astenuti, nonostante De Magistris si candidasse contro il centrodestra e il centrosinistra, perché non ci convinceva la sua provenienza dalla magistratura, la sua retorica legalitaria, la sua compagine troppo trasversale. Crediamo che i primi anni della sua amministrazione ci abbiano dato ragione: nonostante non abbia ceduto in nulla alle cricche dominanti, l’azione di governo era confusa, poco incisiva, soprattutto sulle periferie e sui quartieri popolari, pensava probabilmente che pezzi del centro-sinistra si potessero “recuperare”. Da due anni invece l’impostazione è cambiata, e l’operato dell’amministrazione comunale ha fatto sì che, per la prima volta, le istanze dal basso potessero raggiungere gli uffici, essere ascoltate, senza mediazioni partitiche e clientelari. 

Votare De Magistris è quindi votare CONTRO Renzi, contro le politiche antisociali e contro il blocco di potere che rappresenta, ma è anche votare PER: per dare continuità a quello che di buono è stato fatto in questi 5 anni, per assicurare agibilità a tutte le realtà impegnate in progetti di solidarietà e mutualismo, per approfondire un modello di relazione: quello del popolo che invece di subire le istituzioni si organizza autonomamente e pretende che le istituzioni facciano ciò di cui ha bisogno, sottraendole così agli interessi dei capitali e degli speculatori. 

Votare De Magistris non è semplicemente votare il meno peggio, ma votare per tenere aperto uno spazio di opposizione e uno spazio di proposta che potrebbe diventare contagioso ed espandersi ad altre città, cambiando gli equilibri nel paese. Uno spazio che tutti noi come movimenti, come attivisti dobbiamo impegnarci ad allargare e a caratterizzare. In Italia infatti, lo abbiamo visto girando in oltre 70 città per la presentazione del libro “Dove sono i nostri”, esiste una capillarità della sinistra sui territori, un’incredibile generosità dei militanti, un’ampia domanda di riscossa e di valori di giustizia e di uguaglianza. Se tutto questo iniziasse a comporsi, a organizzarsi, a trovare pratiche comunicative con le masse e un quadro generale d’azione, una prospettiva di peso anche dentro le istituzioni ai più alti livelli, davvero i padroni e le cricche dovrebbero iniziare ad avere seriamente paura! 

Da oggi comincia insomma la nostra campagna elettorale, una campagna molto diversa da come la fanno gli altri. Noi non andremo ad azzeccare manifesti, non distribuiremo bigliettini, non faremo cene di gala, ma, con la credibilità di chi non ha tornaconti, andremo in giro a dire di votare non una persona, ma un’idea, una prospettiva ancora tutta da costruire. 

Smaschereremo con tutti gli strumenti che abbiamo gli interessi affaristici e criminali che stanno dietro gli altri due candidati, Lettieri e Valente. Chiunque può cercare questi materiali in rete, ma difficilmente si riesce ad avere un quadro unitario: quando invece si guarda questo quadro si capisce il rischio che incombe sulla nostra città se uno dei due dovesse essere eletto.

Ma non ci limiteremo alla controinformazione. Parleremo con tutta la comunità che frequenta l’Ex OPG, con le migliaia di persone che ci sostengono, per sentire cosa hanno da dire, per socializzare le nostre ragioni, per cercare di capire su cosa intervenire. 

Infine attueremo, già durante le elezioni, un vero controllo dal basso: abbiamo intenzione di creare un gruppo di “antimafia sociale” che andrà, seggio per seggio, a verificare che tutto si svolga con regolarità fuori e dentro le sezioni. Più volte infatti a Napoli il voto è stato influenzato da brogli, da interessi camorristici e clientelari. Anche questa volta sarà così. Se ne è già avuto un assaggio con le primarie. Noi vogliamo invece vigilare dal basso, fare sì che venga rispettato il volere dei cittadini e per questo invitiamo tutti, singoli e forze sociali, a organizzarsi con noi.

 

E dopo le elezioni?

Il nostro lavoro di “controllori” non finisce il 5 giugno, non stiamo firmando una carta in bianco o tantomeno una delega, ma scegliendo di spingere più avanti un variegato processo di rinnovamento della nostra città e dare il nostro contributo alla costituzione di un fronte, ampio e compatto, contro il Governo Renzi. 

La nostra attività militante non cambierà molto. Faremo quello che abbiamo sempre fatto, ovvero sviluppare, attraverso le lotte, il potere popolare. Cercheremo sempre di più di articolare, a partire dai quartieri in cui siamo, il controllo dal basso, l’intervento sui problemi reali. 

Continueremo a stare col fiato sul collo di chiunque vinca queste amministrative. Non solo perché pensiamo che il controllo popolare (della sanità, dell’istruzione, della spesa pubblica…) sia politicamente giusto, che si debba continuare a decidere come determinare il proprio futuro anche e soprattutto dopo aver messo una X sulla scheda elettorale, ma anche perché pensiamo che sia il metodo più efficace perché le cose cambino e migliorino: certe cose le sa e le vede solo chi sta in basso, chi concretamente nel suo quotidiano si trova dinanzi a intoppi o malversazioni. Noi pensiamo che in tempi di crisi e di tagli ai trasferimenti nemmeno un euro deve essere perso o sottratto al popolo. Per ottenere questo risultato non basta una sola persona, per quanto onesta. 

In secondo luogo continueremo a portare avanti le decine di attività sociali in cui siamo impegnati ogni giorno. Questo principalmente per tre motivi: innanzitutto sono una risposta concreta agli attacchi al welfare, alla crisi economica, che continuerà a mordere a prescindere da chi sta al Comune. Poi perché ci portano a contatto con le persone, ci fanno capire i problemi, ci indicano le soluzioni praticabili. In terzo luogo perché insegnano alle persone ad autogestirsi, ad autorganizzarsi, e quindi producono, a contatto con le circostanze concrete e non in laboratorio, soggetti in grado di prendere il potere, a livello locale come a livello nazionale, e di esercitarlo in connessione con il popolo.

Infine ci butteremo con tutte le nostre energie nella battaglia per il NO al referendum costituzionale. Su questa battaglia Renzi si sta giocando il tutto per tutto: se la sua riforma non dovesse passare promette persino di andare a casa. Questo perché ha pensato la riforma costituzionale come la madre di tutte le riforme, quella che assicurerà la governabilità al paese, ovvero la sua impermeabilità alle istanze dal basso. Si tratta del più clamoroso tentativo di restringimento degli spazi democratici e di accentramento del processo decisionale che la storia dell’Italia repubblicana abbia mai conosciuto. Il combinato disposto della riforma costituzionale e della nuova legge elettorale produrrebbe una deriva autoritaria difficilmente arginabile e dagli esiti certamente nefasti. È per questi motivi che, anche a prescindere dal fatto che Renzi abbia legato la sua sorte a quella del referendum, il voto di ottobre diventa centrale per tutti coloro a cui sta a cuore la democrazia. 

Attraverso questa battaglia si potrebbero poi creare inedite connessioni nazionali e un movimento che sappia lavorare insieme, nonostante le inevitabili differenze, nell’ottica di una maggiore compattezza e dunque efficacia. Di modo che se poi Renzi dovesse perdere il referendum, si potrebbero aprire scenari davvero inediti, dove a contare sarebbero forze certo non rivoluzionarie, ma almeno progressiste, cosa che ci dà tempo e respiro per poterci organizzare e consolidare in vista di un nuovo e più potente assalto.

 

I limiti, i rischi… ma soprattutto l’entusiasmo!

Ovviamente, tutto lo scenario che abbiamo descritto è molto confuso, esposto a repentini cambiamenti, finanche dipendente dalle scelte dei singoli attori politici, che siano Renzi, De Magistris etc. Lo stesso complesso processo sociale che fa capo a De Magistris è quanto mai fragile e variegato. Se il sindaco uscente ha il merito di riuscire a parlare a tutti, di aver rotto il “recinto” della sinistra e di aver portato fra settori ampi di cittadinanza le idee dei movimenti sociali e persino dei comunisti, allo stesso tempo non siamo di fronte a un reale movimento popolare, ma di fronte a un processo che è ancora tutto da costruire e da far radicare.

L’attivismo civico in tutte le forme sta certamente crescendo, soggetti fino a poco tempo fa estranei alla politica e agganciati stabilmente a qualche notabile iniziano a muoversi e pensare con la propria testa, ma la maggioranza della città resta ancora molto indifferente. O si limita al voto o diserta le urne (alle regionali dello scorso anno solo il 48% dei napoletani è andato a votare)! Insomma, per parlare di un vero movimento popolare mancano i numeri e anche la qualità, il rischio nel mettersi in gioco, la determinazione. Dietro la retorica della “rivoluzione”, si intravede un vuoto. Al momento ci sono solo tanti stimoli, ma che non trovano sintesi politica, e non producono forme corrispondenti. Noi pensiamo che la partecipazione non si faccia a tavolino e che i processi popolari non si facciano per delibera, per quanto l’azione “dall’alto” possa certamente aiutare ad aprire degli spazi: è solo nella lotta e nell’azione molecolare e continua che il popolo prenderà fiducia e inventerà le proprie forme per imporsi, che siano assemblee, cortei, movimenti sociali. 

Inoltre, e qui arriviamo al secondo limite di questa esperienza, De Magistris ha certo incarnato un sentimento, ha saputo riunire intorno a sé persone anche molto diverse, è riuscito a farsi catalizzatore di un orgoglio e di un riscatto, ma per arrivare a un cambiamento vero, serve una struttura organizzativa. Dietro De Magistris non ci sono partiti, e questo può essere bene, ma non c’è nemmeno un apparato o dirigenti capaci. Come dimostra la vicenda della composizione delle liste, il sindaco non ha un collettivo che possa reggere, non diciamo un livello di scontro duro (e di queste tempi può diventare davvero molto duro, ricordate la vicenda Tsipras?), ma nemmeno il controllo del proprio personale politico. Che peraltro si sta arricchendo di transfughi del bassolinismo e del PD in cerca di ricollocazione. 

De Magistris si trova così a colmare, spesso con soluzioni raffazzonate, dell’ultimo minuto, dei vuoti organizzativi, ma anche di teoria, di prospettiva politica, di analisi economica, che riguardano in realtà tutta la sinistra... Il rischio è che i vuoti vengano riempiti da immagini e sentimenti, cosa che peraltro non ci dispiace, perché la rottura che va portata in Italia o davanti alle fredde cifre dell’Europa è anche antropologica, ma immagini e sentimenti non possono risolvere i problemi di Napoli, del Mezzogiorno e del paese, che hanno bisogno di risposte concrete, soprattutto in tema di lavoro, di sanità, di scuola, di trasporto pubblico. 

Ma questi non sono problemi che riguardano solo De Magistris o che possono essere imputati a lui. Siamo tutti chiamati in gioco per costruire e irrobustire questo movimento. Noi crediamo nel collettivo proprio perché pensiamo che un uomo in sé può fare poco. Può aprire una strada, certo, ma può anche tradire, può cambiare, può essere sottoposto a ogni tipo di pressione, può essere fatto fuori. Non crediamo alle figure salvifiche. La storia la scrivono i popoli, non i singoli. La scrivono i popoli attraverso le organizzazioni e le istituzioni che si danno, la cultura che producono, l’immaginario che sanno suscitare. 

“Zapatismo in salsa partenopea” è una bella formula. È forzata, ma effettivamente qualche analogia c’è: quando nel 1994 saltarono fuori gli zapatisti per molti fu un’illuminazione. Ma come, non si era detto che con la caduta del muro era finito tutto, il comunismo sconfitto per sempre? Marcos e compagni dimostrarono che non era così, che la storia continua, che l’ordine si rompe ancora. Mutatis mutandis, anche nell’Italia della crisi sembrava ormai che niente si muovesse, che dovessimo ingoiare Renzi e altri sacrifici, e poi è iniziato, almeno a Napoli, un processo che parla di mutualismo, cooperazione, decisione, socializzazione. 

Ma qui finiscono le analogie, per due motivi. Primo, Marcos aveva un esercito, per quanto scalcagnato. Avevano pianificato per anni le loro azioni, si erano addestrati, avevano studiato. Non erano un’Armata Brancaleone, non li aveva fatti il caso, lo avevano voluto, ed erano pronti a morire per affermare il loro diritto a vivere. E in secondo luogo Marcos si definiva un “sub-comandante”, perché pensava che sopra di lui ci fosse il popolo, che tutto iniziasse e finisse lì. 

Altro modo per dire che esito avrà questo processo dipende solo da noi, da ognuno di noi, da quanto le masse prenderanno coscienza e imporranno ai loro rappresentanti e alle classi dominanti quello che gli spetta di diritto. Dipende insomma da quanto sapremo diventare esercito, non solo a Napoli, ma in tutta Italia, da quanta connessione organica riusciremo a sviluppare con il nostro popolo. 

Vista da qui, dal basso, non si può non avvertire un brivido e una scarica di entusiasmo per questa storia che sentiamo di nuovo nostra, che sentiamo di nuovo di stare facendo. 

Al disincanto così tipico di questo tempo preferiamo un po’ di incanto, quello che fa “fortissimamente volere”, come diceva Gramsci. Perché nulla è mai stato fatto nella storia senza quest’incanto, senza crederci un po’, senza l’entusiasmo di chi punta in alto, perché ha avuto, una volta, un’intuizione. Non a caso abbiamo scelto di chiamarci “Je so’ pazzo”…

Osare combattere, osare vincere!

Potere al popolo!

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