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Next Italy. Il paese prossimo venturo che vive già tra noi

nique la police

Il governatore del Veneto Zaia rilascia un’intervista dove dichiara che ritiene inaccettabile che le tasse della sua regione finiscano per finanziare la manutenzione dei marciapiedi a Napoli. Nel frattempo in Campania, pochi giorni dopo la vittoria elettorale del centrodestra, 10.000 dipendenti delle Asl non ricevono lo stipendio perché i fondi sono stati pignorati dalla magistratura. La vicenda di Adro nel bresciano, dove alcuni alunni sono stati privati della mensa perché i loro genitori non erano in grado di pagare la retta, è paradigmatica della rottura del tessuto di solidarietà nelle province del nord ma anche nel foggiano è recentemente avvenuto un caso simile. E mai come quest’anno da nord a sud, nella provincie profonde del paese, è avvenuta una sconfessione così evidente delle cerimonie dedicate al 25 aprile. Cortei proibiti, manifesti che inneggiano agli americani contro il “totalitarismo comunista”, boicottaggio di “bella ciao”, discorsi ufficiali che legittimano il revisionismo storico. Al nord si tratta degli stessi comuni che si inventano misure di ogni genere, dall’assegnazione della casa al semplice frequentare luoghi urbani, discriminatori nei confronti di coloro che non sono nativi o appartengono a fasce d’età giovanili.

La crisi economica nelle provincie è quindi affrontata con un processo di verticalizzazione dei rapporti sociali e di emarginazione di profondi strati della società. L’etnicizzazione della politica, che ha anche il riflesso della rottura dell’egualitarismo tra “bianchi” divisi in categorie di aventi o meno accesso ai diritti, è una delle risposte tipiche di questo processo. Che comporta la liquidazione di ogni simbolico egualitario, universalistico.  E di ogni diritto materiale.

Del resto se dalle provincie parte un processo di disgregazione della più profonda microfisica della solidarietà sociale, se si dissolve o si stravolge il funzionamento dell’amministrazione dello stato è lo stesso patto costituzionale, nato con il 25 aprile, che deve essere messo radicalmente in discussione. Ed è quello che oggi accade, in un processo dal basso.

E così la repubblica italiana, il cui patto costituzionale è stato a lungo messo a critica da sinistra (fatto rimosso ma accaduto), si prepara a celebrare i 150 anni dell’unità del paese in una dinamica centrifuga del sistema politico, di quello economico e delle reti di solidarietà sociale. I segnali che arrivano dalle provincie, in una dinamica che ricorda paradossalmente la guerriglia guevarista (che si muoveva dalle campagne alle città) sono chiari: il paese risponde alla crisi accentuando le dinamiche di differenziazione sociale, tipiche delle società complesse, in processi di verticalizzazione radicale dei rapporti sociali ai quali seguono quelli di brutale liquidazione degli strati di società eccedenti. Una selezione darwiniana drammatica quanto spontanea e virale come una peste. Che si candida ad essere la costituzione materiale complessiva di un intero paese dopo aver conquistato le periferie.

Non si tratta affatto di un fenomeno nuovo ma la seconda ondata, di una etnicizzazione e verticalizzazione della politica sociale, che parte dalle provincie. La prima è rappresentata dalla ascesa storica della Lega Nord a partire dai primissimi anni ’90. Questa seconda può arrivare ancora più a fondo nella costituzione materiale della prima perché, pur favorendo la Lega, è diffusa su tutto il territorio italiano. Del resto mai partito politico, velenosamente antisistemico e destrutturante della solidarietà sociale, si è presentato in termini più aggressivi trovando meno nemici frontali della Lega Nord. E l’atteggiamento a sinistra, ogni volta che cresce la Lega, è noto: prima negazione del problema, poi silenzio e sconcerto alla prima vera crescita, infine accettazione di un dato ritenuto ormai irreversibile e naturalizzazione dell’egemonia persino linguistica dell’avversario. Ci sono tutte le condizioni perché questo schema, tipico della resa prima di combattere, si ripeta anche in questa seconda ondata. Se dalle condizioni si passerà ai fatti concreti allora per capire cosa succederà in Italia, durante una crisi interna o dovuta all’esplosione del debito in area Ue, basterà guardarsi La seconda guerra americana di Joe Dante. Ovvero un film su un processo di spettacolare e veloce disgregazione degli Stati Uniti che vengono travolti da un piccolo evento globale, una crisi umanitaria per un gruppo di ragazzi in Asia, e da conclamate fratture interne, istituzionali e del tessuto sociale.

Next Italy, la disgregazione a venire può però essere evitata. Passa attraverso la subordinazione dei movimenti single issue (che si focalizzano su un tema specifico o su un determinato strato di popolazione) alla promozione delle loro vertenze con un linguaggio collettivo e non categoriale. Passa attraverso l’attacco concentrico alle centrali dell’immaginario che coltiva spontaneamente questa situazione, basta capire che le mamme di Adro che rifiutano la solidarietà sociale parlano come in un talk show della De Filippi, e alla costruzione di un linguaggio utopico radicale che legittimi le pratiche di conflitto insinuandosi negli interstizi dei comportamenti diffusi.  Nelle nostre società le rivendicazioni materiali che parlano un puro linguaggio di categoria (di cittadini, di lavoratori, di segmento del lavoro cognitivo) sono destinate irreversibilmente alla sconfitta se non costruiscono un simbolico e un linguaggio che entrano nelle nervature delle piattaforme della comunicazione prefigurando l’idea oggi assente di futuro. La loro forza come rivendicazione specifica può esistere solo se questa specificità può assumere potenza di linguaggio complessiva. Allora vi è forza, altrimenti c’è isolamento, accerchiamento, sconfitta.

Le crisi, per essere percepite collettivamente, non possono essere presupposte da linguaggi tecnici o da idioletti filosofici devono essere risolte in una narrazione complessa, spettacolare, piena di futuro negato e all’altezza delle forme di comunicazione del presente. E non possono essere solo narrazione: la differenza tra propaganda e politica sta sempre nella robusta infrastruttura fatta di organizzazione e conquiste materiali diffuse promosse dai movimenti. Si tratta di leggi auree della politica contemporanea spesso dimenticate o rimosse. E questi non sono tempi in cui ci si può permettere il lusso della rimozione.

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