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Bisogna sognare! Sul referendum, sui prossimi 15 giorni, sull'Italia che verrà

di Ex-OPG "Je so' pazzo"

corteo napoliRipubblichiamo l'analisi della campagna referendaria e degli scenari che si potrebbero aprire dopo il 4 dicembre scritta dai compagni dell'Ex-OPG "Je so' pazzo". Dopo una campagna che è stata caratterizzata dall'attività e dal protagonismo popolari, si tratta ora di giocarcela fino in fondo in questi ultimi dieci giorni e di non lasciare tutto in mano a Renzi, Salvini o Grillo. Sia che vinca il Sì, sia che vinca il No, dobbiamo continuare a organizzarci per costruire un'alternativa.

* * * *

E se noi riuscissimo ad ottenere che tutti o la maggior parte dei comitati, gruppi e circoli locali si unissero attivamente nell’opera comune, potremmo in breve tempo organizzare […] un gigantesco mantice, capace di attizzare ogni scintilla della lotta di classe e dell’indignazione popolare per farne divampare un immenso incendio…

 Sulle impalcature di questo cantiere organizzativo comune vedremmo sorgere dei rivoluzionari […] che, alla testa di quell’esercito mobilitato, solleverebbero tutto il popolo contro la vergogna e la maledizione della Russia.

Ecco che cosa bisogna sognare!

Lenin, Che fare?

Mancano 15 giorni al voto del 4 dicembre, siamo ormai entrati nel clou della campagna referendaria.

Anche se i sondaggi parlano di un vantaggio del NO – ma chi ci crede più ai sondaggi? – può ancora succedere di tutto. Renzi e i suoi stanno facendo l'impossibile per vincere (si vedano le recenti intercettazioni che vedono il Governatore De Luca intimare i sindaci di 300 città campane di raccattare voti a tutti i costi), stanno attivando canali che noi nemmeno immaginiamo, hanno speso una fortuna in esperti di comunicazione e fino all’ultimo giorno proveranno a tirare fuori assi dalla manica. Quindi non possiamo assolutamente abbassare la guardia, ma dobbiamo intensificare in queste ultime due settimane la nostra azione. Ma come? Per quali motivi? Per ottenere cosa?

Tantissime sono infatti le forze politiche che si battono per il NO: dai 5 Stelle alla Lega, da Forza Italia e Monti fino alla minoranza PD. Ognuno ha la sua piccola partita da giocare, e si tratta di partite che hanno poco a che vedere con un’effettiva battaglia per la democrazia, ma attengono principalmente a una questione di potere. C’è chi vuole prendere il posto di Renzi per fare grossomodo le stesse cose, c’è chi vuole ridimensionarlo per contrattare qualche posticino etc… Per questo tali forze si limitano a invitare la gente a votare, a delegare ancora, ad andare in una piazza ad applaudire il leader di turno.

Se vogliamo trasformare questo presente così ingiusto e senza speranze, dobbiamo avere piena coscienza della situazione, del campo di forze, degli scenari che si aprono. Va bene mobilitarsi perché vogliamo “difendere la costituzione”, oppure “mandare a casa Renzi”, ma dobbiamo sapere anche come farlo, ovvero quali pratiche sono più efficaci e stimolano di più il protagonismo popolare, e soprattutto cosa vogliamo ottenere. Sarebbe infatti paradossale, dopo aver lavorato più di tutti in questi mesi sui territori per far vincere il NO, regalare il risultato a Salvini o a Grillo, e perdere così l’occasione di far sentire la nostra voce, l’esigenza di redistribuire la ricchezza, di attaccare chi ha in mano il potere economico e decide sulle nostre vite.

Lo scopo di queste righe è dunque quello di:

1. analizzare brevemente lo scenario politico ed economico in cui si svolge il referendum;

2. fare un primo bilancio della campagna referendaria, e rilanciare le pratiche che possono essere particolarmente incisive nel convincere le persone;

3. socializzare una riflessione sugli scenari che si aprono dopo questo referendum, e su come dobbiamo stare noi in questo marasma. Perché bisogna sognare qualcosa di diverso dal triste presente e smetterla con la logica del meno peggio (che finisce puntualmente nel peggio…).

 

1. Perché il Referendum? In che contesto avviene?

Partiamo da qui: la crisi manifestatasi nel 2008 sta producendo effetti politici devastanti e sorprendenti in tutti i paesi, prima in quelli periferici, e ora nel cuore dell’imperialismo (vedi gli Usa di Trump, la Gran Bretagna della Brexit, la crescita impressionante dell’estrema destra in Francia e Germania). Il nostro paese è pienamente dentro questo sconvolgimento economico, sociale e politico: ha subito ben due recessioni, non solo quella del 2008, ma anche del 2011; soltanto nel 2014 il PIL ha incominciato leggermente a risalire (+0,4%) senza tuttavia produrre effetti benefici per la popolazione, perché i profitti hanno continuato a farli solo in pochi. La disoccupazione rimane a livelli altissimi, la povertà è in aumento, la qualità della vita diminuisce, in maniera significativa al Mezzogiorno e nelle aree deindustrializzate del paese, in maniera più contenuta in certe zone del Nord. 

Questo è il motivo per cui, se da un lato la ricchezza nascosta agli indicatori e il risparmio delle famiglie consentono ancora di non morire di fame, e quindi di non gettarsi all’assalto dei palazzi (il livello di mobilitazioni di massa in Italia non è stato paragonabile a quello della Grecia o della Spagna), d’altra parte si sono comunque prodotti, in pochi anni, effetti politici impensabili, come la crisi di tutte le forze dell’establishment, la perdita di credibilità dei media e degli attori istituzionali, forti conflitti sui posti di lavoro, nel mondo della formazione, sui territori, la nascita di un nuovo partito come i 5 stelle (balzato dal nulla al 25%!).

Da un certo punto di vista, anche Renzi è il prodotto di questa situazione: è la risposta che le classi dominanti hanno cercato di dare per recuperare consenso dopo lo screditato Berlusconi, il terribile governo dei tecnici Monti e Fornero, e l’inconsistente Letta. Era la loro carta migliore, per questo ha potuto godere di un’intoccabilità senza precedenti nella storia repubblicana...

Tuttavia le misure prese in questi anni dai partiti dell’austerità e dallo stesso Renzi non hanno risolto nulla, anzi hanno solo aggravato la situazione: “riforme” come il Jobs Act che ci hanno tolto i diritti, diminuito i salari, tagliato servizi pubblici. Su questa base sono nati e si sono sviluppati i cosiddetti populismi, che si nutrono della rabbia, del malcontento della piccola borghesia impoverita e di molti lavoratori e disoccupati. Ora, per evitare che questi populismi possano arrivare al potere e alterare, anche leggermente, i piani dei pochi che beneficiano di questa situazione, il sistema istituzionale si deve blindare sempre di più.

Anche perché, visto che l’economia non riparte – il 2017 si preannuncia infatti un anno difficile da un punto di vista internazionale, e in più è prevista anche la fine del “Quantitative Easing”, ovvero dell’acquisto dei titoli di stato da parte della Banca Centrale Europea, mossa che per anni ha reso più difficili speculazioni finanziare e crescita dello spread –, ci sarà ancora bisogno di fare massicce “riforme” che attaccheranno il risparmio delle famiglie e le condizioni di vita dei lavoratori. Davanti a noi c’è un ulteriore impoverimento e un restringimento delle aspettative di vita.

Ecco quindi a cosa serve la riforma della Costituzione e l’approvazione della nuova legge elettorale: le classi dominanti vogliono impedire che possano nascere nuove rappresentanze dal basso o che comunque qualcuno disattenda i piani voluti dalla borghesia imperialista, dalle tecnocrazie, dalle associazioni di capitalisti a livello internazionale. Bisogna “registrare”, anche dal punto di vista del diritto, i rapporti di forza del momento, per impedire che gli oppressi possano poi prendere parola sui difficili passaggi che nel prossimo futuro vedranno impegnati i governi.

Se questa è la situazione, si capisce perché, mentre i bisogni delle classi popolari sono tutt’altri, il Governo Renzi abbia deciso di impegnarsi in questa battaglia campale sulla Costituzione. Battaglia che si tratta dunque di combattere con tutte le forze, perché perderla vorrebbe dire esporsi a future svolte autoritarie (non solo da parte di Renzi), e vorrebbe dire rendere ancora più difficile la possibilità di far sentire la propria voce.

 

2. Che campagna referendaria è stata? Che vuol dire “campagna popolare”?

Le cose che abbiamo velocemente illustrato, sono in realtà patrimonio di milioni di persone. Tanti non hanno aspettato che i costituzionalisti si pronunciassero per sapere che fare: si sono istintivamente orientati verso un NO alle classi dominanti – che infatti, almeno con Confindustria ed esponenti del settore finanziario, caldeggiavano la riforma (parliamo di persone come J.P. Morgan o Marchionne, per intenderci).

La prima novità da registrare, dunque, rispetto al passato, è la maturazione, in seno alla masse, di una sostanziale comprensione della partita che si sta giocando. Anche se questo sentimento può essere recuperato, soprattutto se attori politici grossi lo indirizzano contro gli immigrati (Salvini) o genericamente contro la casta (i 5 Stelle), la fonte di questo sentimento è un rifiuto delle politiche di austerità. D’altronde è quello che testimoniava già il voto alle politiche del 2013, anche se ancora in maniera confusa (con il boom dei 5 Stelle e il recupero in extremis di Berlusconi), il paradossale voto alle europee del 2014 (in cui Renzi capitalizzò gli 80 euro, ovvero per certi versi una misura anti-austerità), e le tornate amministrative che hanno visto sistematicamente perdere il PD.

Sulla base di questa consapevolezza abbiamo assistito in questi mesi a un’altra interessante novità, l’esplosione di un attivismo e di una creatività popolare. Prima anche le campagne referendarie vivevano di un coordinamento nazionale “blindato”, lottizzato dai partiti, che inventava slogan e pratiche. Ora il disfacimento della sinistra istituzionale, la poca egemonia delle organizzazioni nazionali, hanno liberato forze e creatività a livello locale. Migliaia di cittadini hanno sperimentato e inventato una loro maniera di comunicare, facendo un decisivo lavoro territoriale.

Forse per la prima volta da molto tempo ci siamo trovati di fronte una vera campagna popolare, che riprende alcune pratiche tradizionali dei movimenti socialisti e comunisti, uno stile di lavoro porta a porta, ma lo combina con una certa capacità mediatica che soltanto il totale asservimento dei media nazionali ha impedito appieno di valorizzare. In questi mesi abbiamo visto:

- volantinaggi, attacchinaggi, striscionate, cortei, contestazioni, flash mob;

- videomessaggi, pubblicità autoprodotte, mail, uso di tutti i social network;

- lettere da parte di cittadini ad altri cittadini diffusi nelle cassette della posta;

- furgoncini con amplificazioni e macchine con trombe che giravano per le strade;

- invasione di mezzi pubblici, metro, bus, con volantini, canzoni e gruppi di giovani che lanciavano messaggi;

- persino il sabotaggio delle pubblicità per il SI da parte di alcuni lavoratori dei trasporti di Firenze che hanno manomesso i cartelloni sui loro bus.

Tutta questa attivazione molecolare cercava di rispondere a due dati di fatto: la lentezza e l’inefficienza delle strutture nazionali (per cui “se non ti muovi tu non ti salverà nessuno”), e la completa blindatura dello spazio mediatico.

Insomma, se questa campagna referendaria, con l’onnipresenza di Renzi sui media, è stata un po’ la prefigurazione di quello che potrebbe succedere se passasse la riforma costituzionale (il Capo da solo al comando, lui che parla e tutti proni – anche se questo è un sintomo di debolezza delle classi dominanti: se possono mandare solo il “comunicatore” Renzi a fare la campagna, è perché tutti gli altri sono poco credibili e incapaci…), da un altro lato ci ha restituito anche l’immagine di una miriade di gruppi, di comitati, animati da una sincera volontà di lotta, che hanno rotto molti dei vincoli della sinistra istituzionale e anche dei ghetti antagonisti e si sono resi finalmente protagonisti.

E sono proprio questo tipo di pratiche che negli ultimi 15 giorni di campagna dobbiamo rilanciare: si tratta infatti di pratiche che attivano risorse, che non mirano a produrre un effetto di delega, ma ci permettono di entrare in contatto con la classe, ascoltare, conoscerne i bisogni, diventare il suo riferimento, unirci fra noi.

Senza dimenticare ovviamente il corteo del 27 novembre a Roma, che può offrire l’occasione per rompere questa cappa mediatica che impedisce di far vedere le ragioni del NO per quelle che sono realmente.

 

3. Il 4 dicembre che succederà? E noi che facciamo?

Lo svolgimento della campagna, i contenuti fatti circolare, il dare entusiasmo alle masse sul fatto che si può vincere, e al tempo stesso il non illuderle sul fatto che basti votare NO per assistere a un cambio di rotta, sono tutti passaggi fondamentali. Se vengono svolti bene, all’indomani del 4, sia che si vinca sia che si perda, saremo in grado di poter contare su una maggiore forza rispetto a prima, perché avremo avuto modo di incontrarci, riconoscerci, legarci. Ci sono infatti casi storici in cui si è vinto e ci si è ritrovati più disuniti di prima, e casi in cui si è perso ma nella sconfitta si è cementata una forza potente, che nei passaggi successivi è stata in grado di ottenere avanzamenti.

Ovviamente a noi interessa vincere e pensiamo si possa vincere. Ma dobbiamo prendere in considerazione tutti gli scenari.

- Se vince il SI. Non dobbiamo scoraggiarci, sapendo che il governo resta fragile, che dovrà intervenire pesantemente e che dunque il conflitto sociale potrebbe crescere, e noi dovremo sostenerlo e ricomporlo verso la partita del 2018.

- Se vince il NO. Importanti saranno le percentuali di scarto. Ci auguriamo infatti che siano le più grandi possibili, a dimostrare la delegittimazione che il popolo fa di questo governo. A quel punto Renzi può dimettersi o no. Se non si dimette, nostro compito sarà quello di pretenderne le dimissioni riempiendo le piazze, sostenendo le proteste, dandoci da fare per delegittimarlo del tutto e rendergli impossibile l’attività di governo.

Ma è molto probabile che si possa dimettere. Perché così non si farebbe logorare un altro anno e mezzo al governo, senza consenso, politicamente ricattabile, in un contesto economico difficile. E poi perché se si va al voto nella primavera del 2017 le forze opposte a Renzi si troverebbero ancora in difficoltà: il centrodestra spaccato, i 5 Stelle non pronti a governare, ancora impelagati nel disastro romano, la sinistra al suo anno zero…

Certo, sono anche plausibili altre soluzioni, che facciano sparire Renzi per un attimo di mezzo e consentano comunque di arrivare al 2018 (governi tecnici, di unità nazionale etc.), ma a) sono tutte strade già battute e il sistema politico non può permettersi per tutto questo tempo di non passare per un consenso, per quanto formale, dei cittadini; b) la situazione economica e il rischio di speculazioni non consente il galleggiamento.  

In ogni caso, il punto che pensiamo abbia posto all’ordine del giorno questa campagna referendaria, il punto che ci hanno posto le migliaia di persone incontrare in questi mesi, è la costruzione di un’alternativa, di un soggetto a sinistra, di un movimento, una piattaforma, un’organizzazione in grado almeno di intercettare la domanda di cambiamento (fine dell’austerità, giustizia sociale…) e allo stesso tempo di stabilità, di credibilità, di sicurezza, di un’antropologia non basata sull’odio o sul vaffanculo.

È un passaggio stretto, ma è possibile. Ecco che cosa bisogna sognare!

Nel frattempo, incentiviamo gli sforzi in questi ultimi 15 giorni, per giocarci la partita fino in fondo: difendere la Costituzione nata dalla Resistenza e dalle pratiche di democrazia popolare, far capire alle classi dominanti che non hanno il nostro consenso, far cadere il Governo, destabilizzare la borghesia e mettere ipoteche sui futuri governi che verranno, che dovranno fare i conti con noi e con un vero fronte popolare, che farà pesare, per la prima volta dopo tanto tempo, le nostre esigenze!

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