Print Friendly, PDF & Email

Lo spettro di Vendola

di Augusto Illuminati

Cosa comincia a muoversi, molto ma molto lentamente, nella palude italiana? Intanto sotto la pressione della crisi greca, che le misure d’emergenza europee stentano a tamponare soprattutto dopo la disfatta simmetrica dei laburisti in Inghilterra e della Cdu in Germania, gli smagliamenti dell’equilibrio italiano assumono un rilievo più drammatico e meno farsesco. La gestione del debito pubblico fa cadere le promesse di un taglio delle tasse ed evidenzia le conseguenze della crescita infinitesimale del Pil, mentre la disoccupazione cresce e si rivela fenomeno di lungo periodo. La demagogia berlusconiana non ha più smalto e regge solo con il consenso della Lega e la mediazione di Tremonti, vero dominus del governo. Altro che taglio delle tasse, ora si parla di un anticipo della manovra economica alla seconda metà del 2010. Saranno lacrime e sangue, che già il Pd è disposto a donare. Non si tratta solo del logorio finiano, ma tutto il PdL sta collassando e la carica di coordinatore è di colpo diventata una maledizione biblica: prima le dimissioni di Scajola, che era il candidato monocratico a sostituire i tre segretari attuali, poi il trascinamento verso l’abisso giudiziario del loro n. 1 Verdini, infine le ombre che si addensano sul fedelissimo Bondi, che ha messo un parrucchiere a dirigere gli Uffizi.

Tutti invischiati con la “cricca” Anemone-Balducci, come l’altro uomo-ombra di Berlusconi, Bertolaso, la vittima designata del prossimo giro. Il sospetto che si tratti di una “congiura” interna alla maggioranza non è peregrino, se si osserva la soddisfazione non tanto di Fini quanto di Tremonti e Bossi. Berlusconi è letteralmente impiccato ai suoi alleati (vedi la retromarcia sull’amnistia mascherata per svuotare le carceri) e tenuto sotto botta dagli americani (si vedano gli effetti, per due volte, delle goffe battute di Bertolaso).

La sinistra, come al solito, coglie l’occasione non solo di replicare una posizione di passività, ma per dilaniarsi al limite della spaccatura interna, Ma non si tratta della solita sindrome da curva nord –festeggiare la sconfitta con un bello “scansamose”– adesso c’è qualcosa di più. Nel momento in cui divampano le contrapposizioni personali e Bersani cerca disperatamente di scongiurare elezioni anticipate nel 2011, anche respingendo l’ipotesi di un governo tecnico di emergenza avanzata dal suo ex corteggiatissimo partner Casini (ipotesi che, appunto, sboccherebbe in un voto nel 2011), è chiaro che l’oggetto del contendere sono divenute le primarie. La minoranza del Pd, infatti, chiede a gran voce le primarie per le elezioni comunali che cadranno in quella data, ma il vero problema non sono le candidature per Milano, Roma e Napoli, bensì la scelta del leader da contrapporre a Berlusconi in tempi rapidi, poiché nessuno crede che si arriverà alla scadenza naturale del 2013. Bersani ha già preannunciato di volersi candidare, ma non solo al 100% sarebbe boicottato da D’Alema (perché? senza motivo, ma sarà così, a causa dell’ineludibile complesso dello scorpione, per cui la volpe del Tavoliere impallina regolarmente chiunque, a prescindere), ma dovrebbe fare i conti con una disgregazione in cui ognuno rifiuta di cedere il primato. Se si andasse alle primarie oggi, vincerebbe alla grande il “papa straniero”, cioè Nichi Vendola. Dunque l’obbiettivo di Bersani (e in questo caso anche di D’Alema, acerrimo nemico di Vendola per vecchie faide pugliesi) è di evitare con qualsiasi pretesto le primarie, pur richieste dallo statuto del partito. Per arrivare a questo deve innanzi tutto prendere tempo, schivare qualsiasi rottura che porti all’anticipazione del voto. Al punto da distanziarsi da Casini (con cui vorrebbe allearsi), se costui agita lo spettro di un governo tecnico, cioè di un’ipotesi di grande centro che non coincida con il centro-sinistra ultramoderato che ha in mente Bersani. Veltroni, che invece vuole mettere i bastoni fra le ruote al segretario, attacca rumorosamente Casini, pur condividendone l’ipotesi di anticipazione elettorale che gli consentirebbe di rilanciare il tema delle primarie. Franceschini minaccia la scissione del Pd se non si faranno le primarie. Di Pietro strilla: subito alle urne!

Insomma, un gioco dissennato sulla pelle della sinistra residuale. Chi terrorizzato chi rassegnato al jolly Vendola, il cui successo sarebbe oggettivamente la pietra tombale sulla maionese impazzita del Pd. Lo sgradevole affannarsi di tanti giornali, gruppetti e cosche intorno al “poeta” non deve distoglierci dalla considerazione che, nel bene o nel male, questo si profila come l’unico elemento di novità sulla superficie del gioco politico. Per il momento prevale la sua efficacia distruttiva, cioè l’effetto disgregatore sulle rogue lobbies postcomuniste, in prospettiva potrebbe apparire un elemento aggregativo rispetto ai movimenti, soprattutto se essi guadagnassero capacità negoziali come sottoprodotto di una maggiore incisività delle lotte. In tal caso Vendola si configurerebbe come un’apertura e non come ripetizione dell’operazione bertinottiana sul ciclo di Seattle-Genova. La differenza è data dal personaggio e certamente dal declino irreversibile di quella che allora era ancora una formazione picista. Le carte sono tutte da giocare.

Add comment

Submit