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il rasoio di occam

Sulla democrazia machiavelliana di McCormick

Perché il populismo può essere democratico

di Lorenzo Del Savio e Matteo Mameli

I populismi, o perlomeno alcune forme di populismo, sono una risorsa fondamentale per la democrazia in questa fase della sua travagliata storia. In uno scenario globale in cui le disuguaglianze si estremizzano e si radicano sempre più, lo sviluppo di idee e movimenti anti-oligarchici e anti-plutocratici è fondamentale per la sopravvivenza della democrazia. Forse solo il populismo può salvare la democrazia

manifesto-vecchi-democraticiNel saggio Sulla distinzione tra democrazia e populismo,[1]John McCormick argomenta che il populismo sia necessario per rendere più democratichele democrazie contemporanee. Il tanto lamentato deficit democratico degli esistenti sistemi elettorali-rappresentativi ha indubbiamente tanti aspetti e tante cause. Ma, tra questi, ce n’è uno che è particolarmente rilevante per una discussione sul potenziale democratico dei populismi, un fattore che va al cuore della riflessione sul valore della libertà e dell’uguaglianza politica e su come la democrazia possa difendere ed estendere questi valori. Il problema principale è la preoccupante crescita delle disuguaglianze economiche e la deformazione dello spazio politico che ne consegue.

Il deficit democratico genera sfiducia verso le istituzioni e le loro procedure. Questa sfiducia è alimentata da quelli che le persone comuni percepiscono come i risultati insoddisfacenti di queste istituzioni e procedure. A sua volta, la sfiducia è un ostacolo a processi di riforma che portino a un controllo popolare più robusto. La sfiducia e il disimpegno lasciano mano libera alle élite economiche e finanziarie, le quali possono così influenzare il processo politico in modo disfunzionale, promuovendoper esempio politiche favorevoli a coloro che Machiavelli chiamava i grandi e sfavorevoli al popolo. È all’interno di questo circolo vizioso che il populismo può agire da leva e scardinare la polarizzazione della ricchezza e del potere che è la vera radice del deficit democratico.[2]

È utile ricordare alcune caratteristiche della distribuzione della ricchezza, del lavoro e del benessere delle società contemporanee. La distribuzione del reddito e della ricchezza nei paesi più ricchi è diventata via via più diseguale a partire dagli anni ‘70.[3] Il profitto finanziario, universalmente più concentrato del reddito da lavoro, è sistematicamente cresciuto, in un contesto di crescita lenta o assente. Gruppi progressivamente più piccoli si sono appropriati di porzioni sempre più grandi del reddito nazionale: nel 2012, il 10% delle famiglie italiane deteneva il 46,6% della ricchezza mentre il 10% più povero percepiva appena il 2,4% del reddito.[4] Il potere redistributivo dei sistemi fiscali è diminuito, insieme al potere negoziale dei lavoratori.Il reddito è dunque diminuito per i più sia a monteche a valle dell’intervento redistributivo dello stato.

In molti paesi, durante la recente crisi economica e finanziaria, il benessere della maggioranza delle persone è diminuito, mentre una piccola maggioranza non ha subito conseguenze drammatiche e ha raccolto i maggiori benefici dalla debole ripresa successiva.[5] È in questo contesto che forme conflittuali di partecipazione politica sono emerse, ad esempio OccupyWall Street, con il fortunato slogan We are the 99% che contrapponeil popolo (il 99%)ai grandi (l’1%).Allo stesso tempo, hanno acquisito salienza politica tutti quei lavori scientifici che mostrano le disfunzioni sociali causate da livelli elevati di diseguaglianze socio-economiche.[6] Alcuni economisti hanno anche sostenuto che il livello di diseguaglianza è una delle causedella crisi.[7] Più recentemente, alcuni lavori empirici hanno mostrato che non vi sono controindicazioni in termini di mancata crescita a interventi in senso redistributivo della ricchezza.[8]

Un aspetto preoccupante è il modo in cui le disuguaglianze socio-economiche si auto-alimentano.La polarizzazione della ricchezza si traduce in polarizzazione del potere politico, che si traduce a sua volta in ulteriore polarizzazione della ricchezza. Sfortunatamente, alcune caratteristiche dei sistemi elettorali-rappresentativi favoriscono questo circolo vizioso. Come ricorda McCormick, il finanziamento delle campagne elettorali è un meccanismo importante tramite il quale gli interessi privati dei più ricchi possono dirottare le istituzioni politiche. Ma ci sono anche altri meccanismi, come ad esempio le cosiddette “porte girevoli” fra politica, accademia, grandi aziende multinazionali, istituzioni finanziarie, società di consulenza, ecc. Inoltre, il potere mediatico e intellettuale delle élite economico-finanziarie può esercitarsi tramite un controllo delle soluzioni economiche che trovano spazio nel dibattito pubblico e nelle decisioni politiche. Come in altri casi di disaccordo empirico, le élite possono imporre l’egemonia di particolari prospettive teoriche non tanto per i loro meriti scientifici quanto per la loro consonanza con gli interessi di particolari gruppi sociali.[9]

Questo è il terreno su cui deve svolgersi a nostro avviso la discussione sul potenziale democratico dei populismi. John McCormick vede il populismo come un meccanismo, per quanto imperfetto e talvolta pericoloso, attraverso il quale il popolo, cioè la gente comune in opposizione alle élite, può influenzare le decisioni politiche nelle democrazie rappresentative in modo da arginarne e controllarne la deriva oligarchica e plutocratica. Il populismo può servire a riportare il sistema politico su posizioni più genuinamente democratiche.

McCormickgiustamente attribuisce sia alla democrazia diretta dell’antichità sia ai populismi contemporanei un fondamentale atteggiamento anti-oligarchico e anti-plutocratico. Populismo e democrazia sono reazioni a un particolare pericolo che le società umane devono affrontare da sempre, un problema che Machiavelli nei Discorsi sulla prima Deca di Tito Livio aveva identificato e discusso in maniera approfondita.[10] Si tratta del pericolo costituito dai ricchi e dai potenti, i quali hanno grandi mezzi per influenzare le decisioni politiche e per perseguire i propri interessi particolari, interessi che spesso divergono da quelli delle persone comuni. Secondo McCormick, i populismi hanno una struttura leaderistica, nella quale la popolazione affida a capipopolo, capi-partito o comunque a intermediari carismatici il compito di portare avanti politiche che beneficino la gente comune. Invece, nei sistemi di democrazia diretta, la gente comune ha un accesso più immediato alla vita politica e non si serve di agenti intermediari.

McCormick distingue inoltre tra populismi di destra e populismi di sinistra. I populismi di sinistra cercano di portare avanti riforme anti-plutocratiche, riforme che pongano dei limiti alle oligarchie economico-finanziarie e, in alcuni casi almeno, mettano in essere meccanismi che favoriscano l’uguaglianza economica e l’uguaglianza politica che da essa dipende. I populismi di destra invece, secondo McCormick, articolano la questione sociale e la difesa degli interessi della gente comune in termini nazionalistici e identitari, e quindi hanno spesso connotazioni razziste e xenofobe. McCormick suggerisce che in molti casi i populismi di destra sono in realtà un’invenzione delle élite per dirottare i sentimenti di rabbia e frustrazione della gente comune contro bersagli fittizi o capri espiatori, in modo tale che questi sentimenti non si concentrino su proposte genuinamente redistributive, egualitarie, anti-oligarchiche e anti-plutocratiche, e in modo tale che non pongano dunque un reale pericolo per le élite stesse.

Prendendo le osservazioni di McCormick come utilissimo punto di partenza, vogliamo qui di seguito elaborare una teoria che metta in risalto il potenziale democratico dei populismi in modo un po’ diverso da quellosuggerito daMcCormick. In particolare, la nostra proposta si distingue per due aspetti fondamentali. Il primo aspetto è questo: non tutti i populismi sono necessariamente leaderistici. Ovvero, non tutti i movimenti che vengono accusati di populismo da coloro che adoperano la retorica anti-populista sono centrati attorno a un uomo della provvidenza a cui il movimento affida le proprie rivendicazioni.

Per la nostra riflessione, l’aspirazione anti-elitista e il tentativo di unificare il popolo, cioè la gente comune, attorno a programmi e parole d’ordine anti-oligarchici sono la caratteristica principale dei populismi. Questa unificazione è importante, perché permette di raccogliere consenso attorno a proposte che devono affrontare la sproporzionata potenza, all’interno dell’agone politico, delle élite socio-economiche. L’esempio più chiaro di questo tentativo di unificazione è lo slogan We are the 99%. Il messaggio di questo slogan è questo: tu, cittadino comune – indipendentemente dalla tua occupazione, dal fatto che tu abbia un lavoro o meno, dalla tua etnia, religione, appartenenza politica, ecc. – tu fai parte di un’entità politica che include tantissimi altri; questi altri sono diversi da te per molti aspetti, ma come te non fanno parte dei ranghi dei super-ricchi e dei potenti; tu e questi altri dovete riconoscervi in una stessa entità politica in modo da combattere lo strapotere illegittimo di quei pochi che hanno al momento in mano le leve della vita economica e politica. Insomma, il popolo lo crea lo slogan.

L’unificazione di coloro che non fanno parte delle élite e dei potentati attorno a un’agenda anti-oligarchica comune può in alcuni casi portare a risultati infausti. Tale agenda può essere per esempio dirottata da leader di vario tipo su bersagli sbagliati, come nel populismo di destra di McCormick. Talvolta inoltre questo tentativo di unificazione può contribuire a rendere illegittimamente invisibili ulteriori conflitti sociali ed economici, quelli che oppongono tra loro gruppi diversi, tutti appartenenti al popolo. D’altra parte, il populismo non sembra riducibile, storicamente e analiticamente, ai soli movimenti con natura leaderistica, in cui il popolo elegge un capo per acclamazione o plebiscito. Non solo: nella caratterizzazione leaderistica dei populismi traspare un’assunzione tipica dei pensatori di parte oligarchica, e cioè quella secondo cui le persone comuni, per disinteresse, pigrizia e ignoranza, non sarebbero capaci di autogoverno collettivo e avrebbero invece sempre bisogno di essere guidate, come un gregge di pecore.

Nelle democrazie contemporanee, e in questo particolare momento dell’evoluzione della democrazia, i populismi che contrappongono la gente comune a una piccola minoranza di ricchi e potenti possono essere un’importante risorsa perché interessi, desideri e credenze politiche di coloro che non appartengono alle élite sono, senza la polemica anti-oligarchica e anti-plutocratica, estremamente variegati e difficilmente componibili attorno a quei programmi coerenti che caratterizzavano i partiti di massa tradizionali, i quali hanno costituito in passato un’importante strumento per arginare le élite. Il pericolo che tale contrapposizione venga usata da movimenti personalistici e leaderistici – con esiti fortemente negativi– è reale. Detto ciò, l’attenzione esclusiva ai pericoli del populismo finisce per diminuirne le potenzialità democratiche.

Se concepito in questi termini, il populismo include anche quei movimenti che senz’altro hanno una genuina ispirazione anti-oligarchica ma sono idealmente e organizzativamente estranei a capipopolo e condottieri di qualsiasi tipo. L’esempio contemporaneo più chiaro di un movimento populista esplicitamente e intenzionalmente anti-leaderistico è proprioOccupyWall Street, con la sua insistenza nel contrapporre la variegata moltitudine delle persone comuni all’1% dei super-ricchi che domina direttamente o indirettamente la vita delle nazioni.[11]In alcuni movimenti populisti contemporanei si discute esplicitamente della natura democratica delle campagne anti-oligarchiche, nonché dei limiti intrinseci delle democrazie elettorali-rappresentative. Ma anche quei movimenti che si concentrano più direttamente sulle questioni economiche,piuttosto che sul funzionamento dei meccanismi della democrazia, sono importanti per contrastare il potere delle élite. Questo riguarda sicuramente quelli che McCormick chiama populismi di sinistra ma anche per certi aspetti quelli che chiamapopulismi di destra.

La seconda differenza tra la proposta di McCormick e la nostra riguarda proprio la distinzione tra populismi di destra e populismi di sinistra. La distinzione di McCormick è tra i populismi che perseguono politiche redistributive atte a migliorare le condizioni di vita dei più (populismi di sinistra) e quelli che invece deviano la contestazione popolare verso obiettivi non pertinenti o verso capri espiatori (populismi di destra). Ma la contrapposizione tra destra e sinistra non ci sembra particolarmente utile in questa discussione. È sicuramente importante distinguere tra populismi che si concentrano in maniera diretta su questioni distributive e populismi che arrivano a queste questioni solo in maniera indiretta. Come è importante distinguere tra populismi solidaristici, che tendono all’inclusione, e populismi identitari, nazionalisti, razzisti e xenofobi, che tendono invece all’esclusione. Ed è utile inoltre distinguere tra populismi che nascono dal basso e populismi che sono l’invenzione di qualche élite. Queste distinzioni – e altre simili – sono tutte cruciali, ma non si allineano necessariamente l’una con l’altra.E non si allineano con la tradizionale distinzione tra destra e sinistra.

Ponendo la questione in termini di destra e sinistra si corre anche il rischio di permettere alle oligarchie esistenti di minare la credibilità dei movimenti populisti, sovrapponendoli a esperienze passate drammatiche (nel caso italiano, al fascismo), alienandone così il supporto di coloro che idealmente sarebbero portati ad appoggiarne le istanze anti-oligarchiche. Di fatto, i programmi e le iniziative di alcuni movimenti classificati dai propri membri o da altri come appartenenti alla destra talvolta contengono spunti anti-oligarchici.[12]È sicuramente vero che tale agenda può accompagnarsi a idee pericolose, in particolare a forme d’intolleranza verso varie minoranze. E il rischio che questo avvenga è, per ragioni storiche, più alto nei movimenti di destra piuttosto che in quelli di sinistra. Ma questo non deve distogliere l’attenzione dal fatto che le proposte anti-oligarchiche e anti-plutocratiche hanno una varietà di fonti che non si lasciano facilmente catalogare secondo la tradizionale distinzione tra destra e sinistra.

L’identificazione fra il populismo di destra e la proiezione dei problemi sociali su nemici esterni (es. i migranti, l’Unione Europea, ecc.) diventa spesso un’arma retorica delle élite: la gente non sarebbe in grado di valutare le cause reali delle disuguaglianze o comunque preferirebbe teorie de-responsabilizzanti che attribuiscono ad altri gli oneri del cambiamento. Per quanto possa talvolta cogliere nel segno,questa criticasi accompagna troppo spesso al silenzio verso gli altrettanto preoccupanti problemi posti dallo strapotere delle élite. Concordiamo con Ranciere quando dice che questa critica è un pezzo cruciale della caricatura anti-populista del populismo.[13] Accusare di razzismo i populisti èil modo più semplice per subordinare le pulsioni anti-elitiste della gente – che dipenderebbero da ultimo dall’incapacità dei più di comprendere i meccanismi della democrazia rappresentativa – a una generica avversione agli ‘altri’, dovuta alla paura e all’insicurezza generate dall’evoluzione demografica, economica e sociale. Di tale caricatura delle maggioranze e del loro astio verso tutte le minoranze, inclusa quella dei ricchi, è un esempio quasi auto-parodistico la recente lettera del milionario Tom Perkins al Wall Street Journal, in cui “si porta l’attenzione sui paralleli fra la Germania nazi-fascista e la sua guerra al suo 1%, ossia gli ebrei, e la guerra dei progressisti americani al suo 1%, ossia i ricchi”.[14]

Per queste ragioni, a nostro avviso è meglio parlare di populismi solidaristici e populismi razzisti, di populismi spontanei e populismi eterodiretti, di populismi egualitari e populismi non egualitari, piuttosto che di populismi di destra e di sinistra. È interessante anche notare che, per quanto riguarda alcune istanze anti-oligarchiche, in Europa si sia creata una strana convergenza tra quelli che McCormick chiama populismi di destra e populismi di sinistra. Le critiche verso la politica economica europea e le sue strutture di governo vengono da entrambe le parti. Molti di questi movimenti vorrebbero smantellare l’eurozona con intenti esplicitamente anti-oligarchici, ossia ostacolare lo strapotere che le élite finanziarie godono a livello europeo e l’influenza che esse esercitano sulla politica economica degli stati nazionali. Questa convergenza dipende forse da caratteristiche contingenti e difficilmente ripetibili dello sviluppo politico europeo, in cui il potere delle élite economiche si esercita in modo particolarmente evidente sulle istituzioni comunitarie. Ciò spiegherebbe l’allineamento parziale fra movimenti nazionalisti anti-UE e l’agenda anti-oligarchica. D’altra parte, la retorica anti-oligarchica, che è comune in alcune sinistre europee, non è nuova nella storia delle destre europee e, nel caso italiano, è radicata in parte della destra radicale.

I pericoli gravissimi generati dalla xenofobia e da varie tendenze anti-solidaristiche che purtroppo imperversano non vanno assolutamente sottovalutati. È però importante riconoscere che la sistematica stigmatizzazione dei movimenti populisti di qualsiasi tipo serve a depotenziarne le potenzialità democratiche. La nostra proposta è dunque quella di abbandonare la distinzione tra populismi di destra e populismi di sinistra e di concentrarsi invece direttamente sulle potenzialità democratiche o anti-democratiche che i vari movimenti presentano, siano essi di destra, di sinistra oppure estranei a tali categorie storiche. Lo slogan We are the 99% è appunto un modo di andare oltre le vecchie e divisive distinzioni. Si tratta però di un andare oltre che è diverso, per esempio, da quello articolata recentemente dall’attuale Presidente del Consiglio Matteo Renzi, che propone di sostituire la divisione tra destra e sinistra con quella tra conservazione e innovazione.[15]Molte delle proposte che insistonosul superamento delle ideologie sembrano basarsi sul desiderio di trasformare le scelte politiche in efficienti scelte amministrative, sul tentativo di depoliticizzare la democrazia, e sull’assunzione che i conflitti di classe non esistano più. Ma anche se è certamente vero che le classi sociali novecentesche sono scomparse, non è vero che le questioni sociali ed economiche siano scomparse,e non è vero perciò che l’unica differenza importante fra i diversi governi stia nell’efficienza e nella prontezza nelle decisioni. La distinzione tra coloro in cui si concentrano ricchezze e poteri e coloro che di ricchezze e poteri ne hanno ben pochi è ancora cruciale e sta alla base della crescita attuale delle disuguaglianze socio-economiche e dei problemi ad esse annessi.

Per quanto riguarda questo tema, non concordiamo neanche con la tesi diNadia Urbinati, secondo cui i populismi contemporanei tendano necessariamente a sostituire la mediazione politica tipica delle democrazie rappresentative con l’unanimismo popolare, con portavoce e capi-popolo al seguito,un unanimismo che cercanella rete o negli esperti di riferimento la fonte di soluzioni ai problemi della gente.[16]I pericoli identificati dalla Urbinati non sono da sottovalutare, ma è anche vero che l’agenda anti-oligarchica dei populismi costituisce per certi versi una reazione all’idea meramente amministrativa, consensualistica e a-conflittuale del governo. Il populismo può rendere visibili questioni distributive importanti, che vengono sistematicamente ignorate. Il populismoserve a contrastare l’idea che l’interesse generale possa conciliare virtuosamente gli interessi dell’1% (i grandi) e quelli del 99% (il popolo) e sia accessibile in modo privilegiato da certi esperti di politica economica e finanziaria. L’idea amministrativa della politica non costituisce il superamento delle ideologie, ma incarna invece il progetto imperialistico dell’ideologia dominante. È proprio questo che, in questo momento storico, il populismo può mettere in luce.

Urbinatisostieneinoltre che il populismo ‘sfigura’ la democrazia in quanto spinge verso polarizzazioni esclusivistiche, soluzioni leaderistiche e plebiscitarie, la soppressione delle minoranze e la negazione del dissenso.[17] Tali derive minacciano l’uguaglianza e la libertà politica che la democrazia deve proteggere e di cui le procedure democratiche sono espressione. Ci sembra però che Urbinati non prestisufficiente attenzione al fatto che la retorica anti-populista contribuisce a stabilizzare le tendenze oligarchiche delle democrazie elettorali e rappresentative, favorendo la dominazione dei grandi sul popolo. La retorica anti-populista che ormai dilaga ha l’effetto di silenziare il dissenso e la voce delle persone comuni, chiudendo quegli spazi di discorso che invece andrebbero aperti proprio per contestare le disuguaglianze economiche e politiche.Le istituzioni e le procedure democratiche devono difendere ed esprimere i valori fondamentali della democrazia, cioè la libertà e l’uguaglianza politica. Ma questi valori possono essere difesi solamente se le istituzioni e le procedure democratiche sono costruite in modo tale da permettere di contrastare le crescenti diseguaglianze economiche,e in modo tale da esprimere l’incompatibilità trale polarizzazioni socio-economiche e i valori fondamentali di libertà e uguaglianza politica.[18] Nell’attuale momento storico, il populismo può promuovere riforme che vanno in questa direzione.

Per concludere: McCormick sostiene che il populismo è l’altra faccia della vita politica normale nelle democrazie rappresentative. McCormick ha ragione a mettere in evidenza il ruolo positivo che i populismi possono svolgere nelle democrazie contemporanee. A nostro avviso, il potenziale democratico dei populismi può essere enfatizzato mostrando come possano esistere dei populismi non-leaderistici e superando la distinzione tra populismi di destra e di sinistra in favore di classificazioni più trasparenti, come quelle che ci parlano della possibilità di un populismo solidaristico,pluralista, anti-razzista, anti-xenofobo, anti-plebiscitario, e anti-autoritario. I populismi, o perlomeno alcuneforme di populismo, sono una risorsa fondamentale per la democrazia in questa fase della sua travagliata storia. In uno scenario globale in cui le disuguaglianze si estremizzano e si radicano sempre più, lo sviluppo di idee e movimenti anti-oligarchici e anti-plutocratici è fondamentale per la sopravvivenza della democrazia. Forse solo il populismo può salvare la democrazia.

 

Gli autori

Lorenzo Del Savio: Ha da poco concluso un dottorato in “Ethics and Foundations of the Life Sciences” presso l’Università di Milano e la SEMM.

Matteo Mameli: Reader in Philosophy, King’s College London. In passato è stato ricercatore presso la London School of Economics e presso l’Università di Cambridge. Si veda: http://www.kcl.ac.uk/artshums/depts/philosophy/people/staff/academic/mameli/

 

NOTE
[1] Si veda: http://ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/05/03/sulla-distinzione-fra-democrazia-e-populismo/.
[2] Si veda: Lorenzo del Savio e Matteo Mameli, Il populismo è democratico: Machiavelli e gli appetiti delle élite, Il Rasoio di Occam13/02/2014, http://ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/02/13/il-populismo-e-democratico-machiavelli-e-gli-appetiti-delle-elite/.
[3] Si veda: OECD, Divided We Stand: Why Inequality Keeps Rising, pp. 21-45 (OECD publishing 2011), http://www.oecd.org/social/soc/dividedwestandwhyinequalitykeepsrising.htm. Per uno studio approfondito sulle disuguaglianze e la loro evoluzione storica si veda: Thomas Piketty, Capital in the Twenty-First Century (Belknapp Press, 2014).
[4] Si veda: Banca d’Italia, I bilanci delle famiglie italiane nell’anno 2012, Supplementi al Bollettino Statistico, pp.13-17, Anno XXIV, 27 Gennaio 2014; http://www.bancaditalia.it/media/notizie/bilanci_fam_it_2012.
[5] Si veda: Emmanuel Saez, Strikingitricher: the evolution of top incomes in the UnitedStates (Updated with 2012 preliminaryestimates), 03/09/2013, http://elsa.berkeley.edu/users/saez/saez-UStopincomes-2012.pdf.
[6] Un esempio importante sono i contributi degli epidemiologi sociali a proposito della distribuzione della salute nelle società diseguali. Si veda: Michael Marmot & Richard Wilkinson, Social Determinants of Health (Oxford University Press, 2006); sivedaanche: Richard Wilkinson & Kate Pickett, The Spirit Level: Why Greater Equality Makes Societies Stronger (Bloomsbury Press, 2010).
[7] Si veda: Joseph Stiglitz, The Price of Inequality, pp. 83-117 (Norton, 2012).
[8] Si veda: Jonathan D. Ostry, Andrew Berg, and Charalambos G. Tsangarides, Redistribution, Inequality and Growth, IMF Staff Discussion Note (IMF, 2014).
[9] Si veda: Paul Krugman, How the case for austerithy has crumbled, The New York Review of Books, 06/06/2013, http://www.nybooks.com/articles/archives/2013/jun/06/how-case-austerity-has-crumbled/.
[10] Si veda: John McCormick, Machiavellian Democracy (Cambridge University Press, 2011).
[11]Si veda: John Lowndes& Dorian Warren, Occupy Wall Street: A Twenty-First Century Populist Movement? Dissent, 21/10/2011, http://www.dissentmagazine.org/online_articles/occupy-wall-street-a-twenty-first-century-populist-movement. Si veda anche: David Graeber, The Democracy Project (Spiegel&Grau, 2013). Il caso italiano del Movimento 5 Stelle è un per certi versi difficile da caratterizzare: i critici ne enfatizzano gli aspetti personalistici, sia per quanto riguarda Beppe Grillo sia per quanto riguarda Gianroberto Casaleggio, mentre i suoi sostenitori insistono che il ruolo del primo è solo quello strumentale di fungere da “megafono” del movimento e che il secondo ha ruoli meramente organizzativi.
[12] Limitandosi al caso italiano: spunti anti-oligarchici, per quanto imperfetti, sono presenti in alcuni movimenti di destra oltre che in movimenti di sinistra. Alcuni esempi: il movimento dei cosiddetti forconi è un movimento ispirato dalla destra che attacca i banchieri centrali, i banchieri in generale e i super-ricchi, chiedendo meno tasse per i poveri, che includono sia i piccoli imprenditori che i loro dipendenti, i più colpiti dalla crisi economica. Casa Pound, il gruppo giovanile di ispirazione fascista, propose qualche anno fa di introdurre per coloro che non possiedono una casa dei mutui statali super-agevolati. La Lega Nord è da sempre anti-elitista e anti-oligarchica, perlomeno nella sua retorica e nelle sue intenzioni; il suo successo elettorale, quando c’è stato, è avvenuto in gran parte anche grazie a tale retorica e tali intenzioni; così come il suo tracollo si è manifestato quando i suoi leader hanno mostrato comportamenti privati in stridente contrasto con la linea anti-oligarchica del partito. Paradossalmente, anche molti elettori di Berlusconi agiscono su impulsi anti-oligarchici e spesso vedono Berlusconi come una sorta di Principe machiavelliano che può liberare il paese dall’aristocrazia oligarchica che lo domina, e cioè dai cosiddetti poteri forti e dall’élite intellettuale ed economica italiana.
[13] Si veda: Jacques Ranciere, L’introvabile populismo, Alfabeta2, 26/02/2014, http://www.alfabeta2.it/2014/02/26/lintrovabile-populismo/.
[14] Si veda qui: ProgessiveKristallnachtComing? Wall Street Journal, 24/01/2014, http://online.wsj.com/news/articles/SB10001424052702304549504579316913982034286.
[15] Si veda il commento di Matteo Renzi alla recente riedizione di Norberto Bobbio, Destra e sinistra: ragioni e significati di una distinzione politica (Donzelli, 2014), pubblicata anche qui: http://www.repubblica.it/politica/2014/02/23/news/manifesto_renzi-79396548/.
[16] Si veda: Nadia Urbinati, Democrazia in-diretta, pp. 86-88 (Feltrinelli, 2013).
[17] Si veda: Nadia Urbinati, DemocracyDisfigured (Harvard University Press, 2014).
[18] Per questo motivo ha senso, come suggerito dalla lettura di Machiavelli di McCormick, pensare a istituzioni classiste, cioè a cariche che vengano assegnate in modo tale da escludere gli appartenenti alle élite.

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