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mainstream 

Dialogo a tre sul nostro futuro

  Russian-Revolution-e13015051493654Vi proponiamo un dialogo (via mail) fra i curatori del blog. Senza pretese di grande profondità teorica, crediamo che sia interessante per i lettori, poiché vengono toccati temi sui quali in molti ci arrovelliamo. Vengono messi a confronto punti di vista e prospettive diverse, che offriamo alla vostra valutazione.


FT: Voi sapete qualcosa di questa iniziativa? http://www.fiom-cgil.it/web/aree/europa/news/573-lanciata-la-campagna-contro-il-ttip-da-60-associazioni-in-europa

CM: Alcuni movimenti locali seguono la vicenda da un po', mi sembra con scarsi risultati.


FT: Non è strano, più il nemico si allontana, meno è facile costruire opposizione. In fondo è sensato non crederci. Pensa: una trattativa fra UE e USA, che cosa pensi di poterci fare? Davvero dovremmo riuscire a dire che l'unica cosa sensata sarebbe uscire da quest'incubo e tornare in una condizione in cui possiamo pensare di incidere nella realtà.


CM: Io non penserei di poter incidere nemmeno se comandassi un nucleo di Tupamaros armati fino ai denti, figurati. Del resto ve l'ho scritto: l'orizzonte concettuale della mia attività politica concreta è racchiuso nei confini del comune di Genova.

Cosa intendi, in pratica, con la frase “uscire da quest'incubo e tornare in una condizione in cui possiamo pensare di incidere nella realtà.”?


FT: Sei molto ottimista. Dubito che al momento si possa andare oltre la dimensione del condominio...

Uscire dall'incubo significa ricondurre il maggior numero di decisioni politiche in ambiti ove sia possibile la partecipazione democratica. La sovranità dovrebbe tornare alla stato nazionale (in parte c'è già, come spesso hai sostenuto tu, ma in buona parte è stata ceduta).

Poi però la sovranità, che appartiene al popolo, dovrebbe essere esercitata dai cittadini laddove è loro possibile, anche aumentando le competenze e le risorse degli enti locali.

Il punto centrale però è il discorso sulla globalizzazione. Se la si considera un dato di fatto indiscutibile, e non modificabile, allora possiamo anche piantarla lì, tanto non possiamo fare proprio nulla. Né a livello planetario, né a Genova.


CM: Il problema per me è il seguente: noi possiamo anche dichiarare modificabile e discutibile la globalizzazione, non è un problema. Di irreversibile c'è solo la morte. Concettualmente sfondi una porta aperta. Politicamente le cose si complicano. La domanda che mi pongo è:

"Come si attua la de-globalizzazione?" 

Facciamo un'ipotesi di "fantascienza", e assumiamo di poter disporre, noi, di un notevole potere politico in ambito nazionale. Una volta al potere attuiamo misure de-globalizzatrici. Cominciamo dal blocco dei movimenti di capitale: senza di esso non si fa nulla. Ottimo, abbiamo creato un isola nel sistema finanziario internazionale; essa finirebbe stritolata nel giro di pochi mesi, o meglio ci stritolerebbero prima i cittadini, una volta che si siano accorti che non possono usare le loro carte di credito una volta usciti dai patrii confini (e mille altre limitazioni).

Tutta roba già successa agli inizi degli anni '80, quando Mitterand provò a socialistizzare la Francia: bloccò i movimenti di capitale, nazionalizzò le banche, fece anche tante altre cose carine. Durò un anno. Figuratevi adesso.

La de-globalizzazione mi sembra analoga al disarmo: chi disarma per primo? Non credo proprio che sia alcunché di realizzabile per iniziativa unilaterale di uno stato solo (a meno che non si tratti degli Stati Uniti). O si fa in contemporanea tra i principali stati industrializzati, o non ha senso farlo.

L'eventuale de-globalizzazione dovrebbe essere frutto dell'azione coordinata di vasti movimenti internazionali. Allora potrebbe funzionare. Non è più fantascientifico di una nostra presa del potere in ambito nazionale, se ci riflettete.

Va detto infine che se per caso esistessero vasti movimenti internazionali in grado di agire in maniera coordinata tra loro, allora a quel punto si perderebbe la necessità di de-globalizzare: le forze popolari avrebbero la possibilità di gestire in maniera democratica le dinamiche economiche sovra-nazionali, per esempio inibendo la concorrenza tra stati e lavoratori.

La morale della favola è: se tanto è tutto utopico, scegli l'utopia che ti esalta di più (o quella che ti deprime di meno)


FT: Uhm... credo che quel che dici sia molto più fantascientifico di una presa di potere a livello nazionale. Però resta il problema che poni: che te ne fai del potere a livello nazionale, se gli altri sono tutti dentro la globalizzazione? Tuttavia non credo che la questione sia esattamente nei termini che indichi tu, perché probabilmente, in realtà, ci sono paesi che stanno cercando vie alternative. Forse. In Sudamerica per esempio. In ogni caso quel che è certo è che si scatenerebbero guerre terribili, sia in questo scenario, che nel caso della presa di potere da parte di movimenti internazionali (a meno che essi non riescano ad assumere contemporaneamente il comando di tutte, o quasi, le forze armate importanti del Mondo, il che è un tantino improbabile).


CM: Sudamerica? Non credo proprio, guarda il Brasile di oggi...

Sinceramente, non vedo alternative a livello mondiale. I paesi si differenziano per il modo di stare dentro la globalizzazione, ma nessuno la mette in discussione; il primo che lo facesse si autodistruggerebbe. Nessun capitalismo nazionale rinuncerà mai al mercato mondiale (anche perché credo che le classi dirigenti siano abbastanza memori di quel che è successo l'ultima volta...)

Quel che invece può accadere è che il mercato mondiale si segmenti in alcune macro-aree. Il TTIP è un passo verso tale direzione. È possibile che, in risposta all'iniziativa USA di creare tale "NATO economica" anche altri gruppi di stati apparecchino qualcosa (ma non è affatto detto: Giappone, Russia, India e Cina si mandano a quel paese ogni volta che possono).

La creazione di queste macro-aree potrebbe essere interpretato come un gesto di deglobalizzazione. Tuttavia, non sfugge che all'interno di queste aree il principio "liberista" tipico della globalizzazione verrebbe amplificato. Quindi in realtà si tratta di una globalizzazione più intensa, anche se più ristretta dal punto di vista dei soggetti coinvolti.

È probabile che USA e UE, legate da NATO e TTIP, daranno anche vita a qualcosa di simile ad un coordinamento permanente tra governi: qualcosa di più del G-7 e qualcosa di meno dell'attuale Consiglio Europeo, per dire. Magari, chissà, un giorno ci faranno eleggere una pazzesca assemblea parlamentare atlantica...

Al di fuori di questa area i singoli paesi continueranno la loro corsa verso il turbo-capitalismo, Sudamerica in testa.

Può darsi che in questo scenario le comunità locali diano vita a qualche forma di resistenza. Perché questa resistenza abbia forza, credo debbano esserci due condizioni:

1) forte solidarietà trans-nazionale tra le varie comunità e tra i vari movimenti;

2) totale indipendenza dagli organi dello stato nazionale, in particolare dai suoi addentellati partitici/sindacali/elettorali/istituzionali.

PS Poniamo che la presa del potere a livello nazionale abbia una possibilità su un milione. Ti concedo che la prospettiva "internazionalista" ne abbia una su tre milioni. Praticamente, che cambia? Sono entrambe fantascientifiche. Solo che la prima, a mio avviso, è un vicolo cieco, la seconda no.


FT: Infatti, il punto è che purtroppo sembra che non esista possibilità alcuna di cambiare veramente le cose. In base a qualche elucubrazione, qualcosa può apparire come vicolo cieco oppure no. Ma il punto è che non esiste possibilità alcuna. Il fatto è che, se siamo sinceri, dobbiamo ammettere che la classe dominante ha saputo unirsi. Nonostante divisioni, lotte intestine etc... ha saputo trovare un terreno comune, intorno al quale costruire un sistema condiviso (il che naturalmente non esclude che esistano fratture, battaglie, guerre).
E quindi, forse correttamente, pensi che l'unica strada sia quella di unire le forze dei dominati, contro i dominanti. Ma dubito che sia un tragitto che si possa realmente percorrere.
Guarda, facciamo un esempio banale: non riescono nemmeno a mettersi insieme le 16/17 squadre di serie A che non contano nulla, contro le 3/4 che contano. E' un caso interessantissimo, purtroppo. Se facessero "cartello", le 16/17 ricaverebbero tutte un grande vantaggio. Ma appena una di loro prova a costruire un po' di consenso su dei cambiamenti, le 3/4 reagiscono, e col loro potere, con concessioni e favori, distruggono l'unità creata.
Cambieremo il Mondo quando il Sassuolo vincerà lo scudetto.


CM: Oh! È proprio la mancanza di questa sincerità che critico in molti autori "anti-sistema"! Mancanza di sincerità accompagnata da wishful-thinking “crollista”. Io credo che fra i pre-requisiti dell'essere "rivoluzionari" sia convincersi del fatto che le classi dominanti la sanno lunga, ma davvero lunga, e che l'ultima cosa che faranno sarà permettere a dei pirla come noi di prevalere.
L'esempio che prendi è perfetto. È una conseguenza dell'effetto band-wagoning: la prima cosa che passa per la testa del debole non è diventare forte unendosi ad altri deboli, ma proteggere la propria debolezza affiliandosi a qualche soggetto forte. Ci sono anche casi più estremi della serie A: 180 stati nel mondo non riescono a coalizzarsi contro uno solo, gli USA...
Detto ciò, io studio la storia e l'attualità del medio oriente. Da questo studio ho tratto la convinzione che i miracoli esistono. Quel che sta accedendo ora in Iraq, per fare un esempio, è semplicemente miracoloso. Faremo miracoli? Probabilmente no. Però conserveremo la soddisfazione di non esserci resi complici di questo schifo di realtà.


FT: Su questo hai ragione: non possiamo essere complici. Il brutto è che poi tendono ad asfaltarti... temo che in Iraq sia questione di tempo...


MB: aggiungo anche il mio illuminato parere, visto che non sono intervenuto finora:
1. Probabile che la fase "neoliberista-globalizzata" del capitalismo sia entrata in una crisi senza uscita, e si stia lentamente, e sulla nostra pelle, elaborando una nuova forma del dominio capitalistico.
2. Probabile che questa nuova forma presenterà "grandi spazi" in competizione (economica, politica e militare).
3. Proprio questa configurazione potrebbe però riaprire spazi all'agire di uno Stato-nazione nel quale le forze antisistemiche siano arrivate al potere. In estrema sintesi, un tale Stato potrebbe giocare sulle rivalità fra i grandi centri di potere in competizione fra loro. L'analogia storica che ho in mente è quella del movimento dei paesi non allineati al tempo della guerra fredda, o del Vietnam che riuscì ad essere equidistante fra Russia e Cina, e a farsi aiutare da entrambi nella lotta contro gli USA, quando Russia e Cina si prendevano a cannonate sull'Ussuri (se ricordo bene).
Utopia per utopia....


CM: quella che tu indichi non è affatto un'utopia, ma la realtà odierna dei rapporti internazionali. Fuori dai grandi blocchi ci sono già oggi stati che praticano la politica dei due forni: un po' con gli USA, un po' con Russia-Cina. È la realtà di Iran, Arabia Saudita, a tratti persino Israele, Pakistan, il Viet Nam di oggi, molti stati africani, il Brasile...
Il punto è che lo "spazio di manovra" garantito dall'equidistanza, oltre a esporre a rischi chi lo pratica, non equivale alla possibilità di praticare politiche anti-capitalistiche. Infatti, nessuno degli stati citati fa un passo in quella direzione: nessuno si azzarda a mettere in discussione il mercato mondiale. Che destreggiarsi tra grandi potenze capitalistiche dia luogo alla possibilità di implementare politiche anti-capitalistiche è tutto da dimostrare.


MB: D'accordo, quindi la proposta di una politica dei due o tre forni non è utopica, anche nella realtà attuale. Il lato utopico sta nell'idea che in uno Stato arrivino al potere forze antisistemiche...

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