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orizzonte48

Gianroberto Casaleggio e la domanda di una "nuova" democrazia

Il retaggio di due interrogativi

di Quarantotto

casaleggio1. La figura di Gianroberto Casaleggio è stata enormemente importante nella vita politica italiana degli ultimi dieci anni.

Comunque la si voglia valutare, cosa che sarà lasciata a futuri giudizi storici e politologici, non si può non considerare che egli abbia tentato di dare una risposta alla domanda di democrazia che, per vari e diversi motivi (molto più complessi di quanto non consenta di cogliere l'analisi correntemente fattane dal sistema mediatico in ogni sua forma), si è levata da parte di una larga componente del popolo italiano.

E' perciò pienamente comprensibile e legittimo che il ricordo a caldo sia espresso citando queste sue parole, da parte di chi in lui aveva trovato queste risposte.

 

2. Senza però voler muovere alcuna critica nel merito, il venir meno di una figura così importante e trainante, pone obiettivamente due interrogativi che, comunque, dovranno trovare risposta nei prossimi mesi. 

Li formulerò in modo generale e strettamente attinente al ricordo-epitaffio sopra riportato:

a) L'art.49 della Cost. recita: 

"Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale".

Il grande problema che si pone tutt'ora, anzi oggi più che mai (proprio per l'ordine di problemi che vedremo esposti con il secondo quesito) è come sia concretamente realizzabile la "condizione" costituzionale, posta con la chiara indicazione del "metodo democratico" di formazione della volontà dell'associazione-partito

E' altresì noto che il costituzionalismo si è interrogato, e ancora adesso si interroga, se tale clausola della democrazia interna ai partiti, dovesse implicare l'intervento di una legge che ne stabilisse le forme e le modalità essenziali, in conformità al complesso dei valori della Costituzione.

sociologia dei media presentazione 9 728ADDENDUM: Qualunque soluzione si debba dare a questo problema, essa passa per la comprensione degli stessi valori costituzionali: il che presuppone di conoscerli e condividerli. 

"Metodo democratico" non è qualsiasi sistema in cui "si voti": la democrazia costituzionale vive, anzitutto, nel suo fondamento lavoristico e nel principio della eguaglianza sostanziale, cioè nell'obbligo ricadente sulle istituzioni di rappresentanza politica di dover intervenire a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono a tutti i lavoratori la piena partecipazione all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

b) il secondo interrogativo riguarda l'affermazione relativa alla verità-affidabilità dell'informazione realizzabile attraverso la rete, posta in alternativa radicale ai media tradizionali, cioè a giornali e televisione.

Su tale secondo interrogativo mi limiterò a riportare i punti essenziali del dibattito che, in scienza della comunicazione e sul piano istituzionale, rimane fortemente aperto sul tema della natura "informativa" della rete:

b.1. Primo punto: il sistema complessivo dell'informazione si compone ormai anche della comunicazione generata della rete e, giocoforza, non sfugge al problema pregiudiziale dell'importanza del controllo mediatico come regolatore degli effettivi assetti di potere.

b.2. Secondo punto: quanto è realistico ritenere che, proprio per l'importanza enorme annessa dai poteri dell'ordine sovranazionale del mercato al controllo di "tutti i mezzi", la rete possa essere il luogo della "vera e buona" informazione?

 

3. Sul primo punto (rete e controllo mediatico dei poteri economici dominanti).

Questo aspetto, come sappiamo, è una delle colonne portanti del paradigma di potere neo-liberista.

Per quanto più volte citato, non è mai sufficiente ripetere questo concetto hayekiano:

«Il controllo economico non è il semplice controllo di un settore della vita umana che possa essere separato dal resto; è il controllo dei mezzi per tutti i nostri fini. E chiunque abbia il controllo dei mezzi deve anche determinare quali fini debbano essere alimentati, quali valori vadano stimati […] in breve, ciò che gli uomini debbano credere e ciò per cui debbano affannarsi» (F. von Hayek da "Verso la schiavitù", 1944).

3.1. Il corollario applicativo di questo principio è il seguente:

 "L'autonomia (dell'opinione pubblica dal governo, in quanto espressione della "tirannica" maggioranza, ndr.) che intende difendere Hayek non va intesa come un spazio "processuale" democratico nell'ambito del quale possono essere elaborate le più diverse soluzioni e proposte politiche. 

Tale autonomia risulta meritevole di difesa solo in quanto il nostro ritiene che certi gruppi, che naturalmente si premura di individuare lui, siano depositari di una propensione al mantenimento dell'ordine spontaneo fondato su regole di pura condotta: una sorta di Volksgeist liberista, che dev'essere preservato dall'influenza culturale "costruttivista" (cioè dai processi normativi e di intervento pubblico, oggi, basati sulle Costituzioni democratiche, ndr.).

Ripeto però che questo comporta una nettissima clausola limitativa, in quanto l'ordine del mercato non può essere né progettato né discusso razionalmente, perché è esso stesso a produrre la ragione, salvo che questa decida "abusivamente" di allontanarsene. 

Ovvero l'autonomia di cui parla Hayek rappresenta semplicemente l'insieme delle strategie sociali e politiche (la famosa "demarchia") con cui intende portare avanti la sua agenda politica."

3.2. Quanto appena esposto sull'assetto di "potere dei mercati" in forma di controllo mediatizzato, va necessariamente combinato con  l'impossibilità di ignorare che la gran parte del potere sovrano è, in Italia come nel resto dell'eurozona, attualmente detenuto da un'organizzazione sovranazionale a orientamento "mercatista" come l'UE-UEM. 

Alla luce di tale realtà politica e istituzionale, oggi, il problema della democrazia diretta, in astratto realizzabile attraverso la rete, si pone in questi termini:

"...parlare di democrazia diretta in questa condizione di ridislocazione della sovranità, divenuta "processo" e fatto compiuti, è evidentemente un pura illusione.

Il popolo, nella sua interezza di corpo elettorale, si dovrebbe infatti esprimere su ogni possibile decisione di rilevanza generale, ma: a) le decisioni fondamentali sull'indirizzo politico generale, sono già contenute nei trattati; b) ogni altro fatto sopravvenuto, di carattere "essenziale", che possa manifestarsi per attualizzare l'esigenza di decisioni fondamentali, è regolato dal potere di eccezione, sempre dislocato all'interno delle forze (economico-finanziarie) che hanno instaurato l'ordine giuridico voluto da tali trattati (per lo più, come oggi, economici e, precisamente, volti a instaurare un libero scambismo internazionalizzato al massimo grado).

Cosa potrebbe decidere il corpo elettorale, nel suo continuo e defatigatorio consultarsi, se ogni decisione realmente essenziale sull'interesse pubblico è già assorbita in tale meccanismo dell'ordine sovranazionale dei mercati?"

 

4. Sul secondo punto (verità e credibilità dell'informazione sul web).

Un potere che predica di voler controllare tutti i fini e tutti i settori della vita sociale, per l'affermazione del "controllo economico" (oligarchico), e che dunque si pone, con successo, quale monopolista sia della tecnologia che dell'informazione, organizza naturalmente la totalità della comunicazione con ogni mezzo disponibile:

"Il sistema, è ormai cosa nota, gestisce l’informazione ma anche, in modi indiretti e spesso occultati, la stessa contro-informazione: per cui, il prodotto che giunge al cittadino medio è la disinformazione, cioè la famosa “verità ufficiale”, più efficacemente divulgata se contenente, al suo interno, un'apparente dialettica di versioni "opposte", provenienti però dalla stessa indistinta "fonte di divulgazione". 

...Il luogo comune che ha sempre accompagnato la nascita e la diffusione di Internet come canale di diffusione e propagazione dell’informazione è la sua intrinseca capacità di garantire una maggiore libertà di espressione. Web, blog, twitter, i contenuti viaggiano senza che nessuno possa realmente impedire che le voci vengano censurate.

Ma la verità è che Internet diventa un grande normalizzatore di stili di vita ed è il più grande strumento per colonizzare il pensiero di una moltitudine di persone che risiedono nei luoghi più diversi del pianeta.

Internet diviene infatti il "luogo" di legittimazione di una nuova "ufficialità", solo in apparenza estranea ai sistemi di formazione del dato-notizia propri dei media tradizionali In ogni momento di discontinuità tecnologica che ha accompagnato l’evoluzione dei media si è sempre determinato un ordine di potere economico più ampio del precedente.

I padroni dell’industria mediatica sono oggi dei colossi che un tempo nessuno immaginava potessero esistere. Se da una parte i costi di accesso a internet rendono possibile a singoli e piccoli gruppi di portare la propria voce sulla rete è altresì vero che i capitali che possono garantire l’esercizio di un vero impero mediatico sono alla portata di pochissimi gruppi i quali tendono ad avere interessi plurimi in quella che è oggi diventata la comunicazione convergente video-dati-voce, declinata attraverso il controllo di più media, Internet-TV-Giornali.

In buona sostanza, significa essere nella possibilità di immettere sul mercato risorse di un ordine di grandezza tale da mettere a rischio l’esercizio di una libera informazione in quanto condiziona le dinamiche degli investimenti pubblicitari, fonte primaria di sostenibilità del giornalismo.

E nell’era dell’informazione su internet, il fattore egemonico diventa la tecnologia. Di fatto lo è sempre stata, ma oggi, rispettando la logica che ha finora ha mosso l’industria dell’informazione, lo diventa in modo ancor più evidente.

Piattaforme di distribuzione, infrastrutture di comunicazione sono gli elementi attraverso cui si esercita il nuovo oligopolio dell’industria mediatica. La disponibilità di capitali diventa prioritaria...

..E il rischio, o l’inevitabile conseguenza con cui dovremmo convivere e misurarci, è quello di una omologazione sempre più forte dei messaggi, in una cornice di novità e di contrapposizione al passato, abilmente ostentate ma che, in realtà, sono esclusivamente tese a evolvere, con maggior efficacia, il sistema di potere teso all'orientamento dei comportamenti della massa dei fruitori-consumatori della notizia e, in definitiva, del tipo di "prodotto" che essa inevitabilmente sottende.

 

5. Con questi problemi - democraticità effettiva dei partiti secondo il dettato costituzionale ed effettiva natura dell'informazione/comunicazione originate dalla rete-, il futuro politico italiano dovrà ora necessariamente confrontarsi: è questo, in fondo, il retaggio che ci lascia la figura di Gianroberto Casaleggio e il banco di prova della sua aspirazione al rinnovarsi della democrazia. 

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