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Dal BDS alla CGT: cronaca della criminalizzazione attraverso la politica della paura

di Saïd Bouamama

cgtLa campagna politica di criminalizzazione della CGT [Confédération générale du travail, il principale sindacato francese, n.d.t.] e il tentativo di interdire una manifestazione sindacale sono fatti caratteristici di questo periodo. Il principale sindacato operaio di Francia viene accusato esplicitamente da un prefetto, e implicitamente da un ministro, di complicità quantomeno passiva con i cosiddetti «casseurs». La logica qui all’opera non è nuova. È stata largamente utilizzata in passato e nel presente contro i militanti e le organizzazioni impegnati nel sostegno alla lotta del popolo palestinese, nonché contro quelli provenienti dall’immigrazione. In entrambi i casi si tratta di produrre, dal punto di vista politico e mediatico, un «nemico pubblico» al fine di autorizzare l’assunzione di misure eccezionali a lungo termine, il tutto col pretesto di proteggere la società e i suoi «valori repubblicani»

 

Dal nemico di civiltà…

I sistemi di dominazione hanno un bisogno consustanziale di suscitare la paura e mettere in scena un qualche pericolo. Il non potersi presentare per ciò che sono li costringe a legittimarsi tramite una simile minaccia artefatta, dalla quale affermano di preservarci. Dovendo mascherare la loro violenza strutturale e sistemica, necessitano di una figura che incarni la minaccia, così da giustificare la repressione contro la resistenza a tale violenza primaria. Più la legittimità di un potere statale è in difficoltà, più la produzione di uno o più nemici pubblici diviene necessaria. A questo proposito, la moltiplicazione dei discorsi di designazione dei nemici è rivelatrice di una crisi di legittimità

Su scala internazionale è l’assenza di legittimità delle nuove guerre coloniali per il petrolio, il gas e i minerali strategici, a condurre alla produzione di un «nemico di civiltà», nella figura del «mussulmano». Dallo scontro delle civiltà di Samuel Huntington all’«asse del male» di George Bush, assistiamo alla declinazione dal campo teorico a quello propagandistico di questo processo di creazione del nemico di civiltà.

Il primo, sin dalle righe iniziali della prefazione a Lo scontro delle civiltà, teorizza:

«l’elemento centrale e più pericoloso dello scenario politico internazionale che va delineandosi oggi è il crescente conflitto tra gruppi di diverse civiltà.» (1)

Il secondo traduce questa tesi nel linguaggio della propaganda:

«Questi stati [l’Iran e l’Iraq], e i loro alleati terroristi, costituiscono un asse del male, che vuole armarsi per minacciare la pace mondiale»(2)

Il filosofo Marc Crépon ha ben messo in evidenza l’obiettivo principale della dimostrazione «scientifica» di Huntington: «Sapere di cosa dobbiamo aver paura» (3).

Una volta designato il nemico, il meccanismo mirante a trasformare una simile tesi in «aroma ideologico immediato», per riprendere un’espressione di Antonio Gramsci, può dispiegarsi. I media, ovviamente, ne costituiscono il primo componente atto alla diffusione. Diamo qualche esempio:

1) Il Nouvelle Observateur intitola uno dei suoi numeri speciali «la guerra tra Dii» (4) con tre sottotitoli «Il conflitto tra valori è inevitabile? I diritti dell’uomo sono universali? Lo scontro tra otto grandi civiltà». Persino il numero di civiltà viene ripreso da Huntington.

2) Il settimanale Le Point gli fa eco in un numero che titola: «I cristiani di fronte all’Islam, inchiesta su uno scontro mondiale» (5). L’uso del termine «scontro» e dell’aggettivo «mondiale» è correlato direttamente alla teoria di Huntington.

3) Un altro settimanale, «Valeurs actuelles», si lancia in conclusioni bellicose: «La Francia in guerra, – contro la barbarie in nome dell’Islam, – contro la barbarie antisemita, – contro la cecità delle élite» (6). Il riferimento all’«asse del male» di Bush è evidente.

Le tre fasi della teoria dello scontro delle civiltà sono in tal modo esposte: l’annuncio di un pericolo; la designazione di un nemico; la chiamata all’azione virile e bellicosa. Naturalmente, la definizione del nemico può modellarsi in funzione di preoccupazioni tattiche. Se globalmente l’islam rappresenta il nemico, delle sfumature vengono fatte per i «paesi moderati». La distinzione binaria tra «moderati» e «radicali» coincide completamente con gli interessi economici e geo-strategici degli Stati Uniti. In tal modo, L’Arabia Saudita e le altre petro-monarchie vengono considerate moderate, laddove la Siria e l’Iran rientrano nell’asse del male.

La stampa europea in generale e quella francese in particolare è stata una componente del meccanismo della teoria dello scontro di civiltà, così come della fabbricazione del nemico che le fa da corollario. Riproducendo la trama, la logica e i leitmotiv dei grandi media statunitensi, essa ha contribuito alla produzione di uno «scontro di rappresentazioni»:

«Dopo gli attentati dell’11 settembre  2001, le grandi catene di media americane, attraverso le loro reti di copertura e diffusione dominanti, si sono imposte come riferimento degli altri grandi media occidentali, secondo lo schema inappropriato, inadeguato e ideologicamente concepito dello «scontro delle civiltà»: il male assoluto proveniva dal Vicino e Medio Oriente, dai quali era necessario proteggersi e differenziarsi mobilitando gli stereotipi più triti dell’orientalismo. Trasposto sul piano della produzione di immagini, un simile imperativo ideologico ha contribuito alla fabbricazione di uno «scontro di rappresentazioni» (7).

 

 … al nemico sindacale

Se degli Stati vengono additati, il nemico di civiltà non si limita ad essi. vengo così incluse nel’«asse del male» organizzazioni politiche quali Hezbollah e hamas. Più in generale, tutte quelle che si oppongono alla politica estera occidentale sono oggetto di sospetti di complicità, attiva o passiva, oggettiva o soggettiva, cosciente o non, ecc., con i «terroristi», gli «islamisti», ecc. La geometria variabile dell’asse del male consente, inoltre, un adattamento a qualsiasi priorità tattica.

Citiamo alcuni esempi recenti. Il delegato interministeriale alla lotta contro il razzismo e l’antisemitismo (DILCRA), Gilles Clavreul, accusa, in un articolo pubblicato sul suo account Facebook, l’organizzazione della quale faccio parte (le Front Uni des Immigrations et des Quartiers Populaires- FUIQP), così come il Parti des Indigènes de la République (PIR) e il Collectif Contre l’Islamophobie en France (CCIF), di essere «antidemocratici, razzisti e antisemiti»: «al disotto della maschera di un antirazzismo pervertito, questa offensiva mira a legittimare l’islamismo, a difendere dei predicatori fondamentalisti e a intrappolare i giovani dei quartieri in un radicalismo senza speranza» (8).

Criticare la politica governativa nei confronti dei Rom, quella di intervento militare in Africa e nel Medio Oriente, l’islamofobia, ecc., è sufficiente a rendervi «antidemocratici, razzisti e antisemiti».

Altro esempio ma obiettivo simile: i militanti della campagna Boicottaggio, disinvestimnto e sanzioni (BDS). In questo caso è il primo ministro Manuel Valls a prendere posizione: «Prenderemo tutte le misure necessarie a condannare questa campagna» annuncia alla’Assemblea nazionale il 16 dicembre 2015. In quell’occasione rispondeva, approvandolo, a un intervento del deputato sionista dell’UDI [Unione dei Democratici e degli Indipendenti, partito di orientamento liberale, n.d.t.] Meyer Habib che accusava il boicottaggio di creare un clima di odio in Francia. «Abbiamo già dimenticato che in gennaio Coulibaly ha preso di mira un Hyper Cacher? prima si stigmatizza poi si uccide» (9).

Dei militanti che si oppongono alle pratiche coloniali di uno stato divengono in questo modo dei complici diretti del terrorismo.

Il 27 aprile del 2016 è il turno di Najat Vallaud-Belkacem, ministra dell’educazione, la quale dichiara all’Assemblea nazionale, criticando l’iniziativa di «campo estivo decoloniale» riservato «alle persone che subiscono a titolo personale il razzismo di stato nel contesto francese», che «tali iniziative (…) alimentano una visione razializzata e razzista della società» (10).

La volontà di riunire persone che vivono la stessa ingiustizia si trasforma nelle parole della ministra in una visione razzista del mondo. Seguendo una logica simile, dei movimenti femministi che dovessero organizzare delle riunioni non miste sarebbero bollati in quanto «sessisti».

Dall’ascesa di questo governo alla testa del paese, non si contano le dichiarazioni di ministri e delegati interministeriali che paventano il pericolo «comunitarista», designando un nemico da reprimere con urgenza. Il meccanismo mediatico assicura a ciascuna di tali affermazioni una diffusione massiccia, certificando così la veridicità del pericolo. Una volta preparata l’opinione pubblica, non resta altro da fare che trovare un pretesto per rimettere in discussione il diritto di manifestare. Spetta allora a un prefetto o a un ministro entrare in scena ventilando il rischio della violenza. In tal modo la manifestazione prevista a Parigi il 19 luglio 2014 in sostegno del popolo palestinese è stata interdetta «in considerazioni dei gravi rischi di disturbo dell’ordine pubblico e della sua tenuta in un contesto di accresciuta tensione» (11).

Il richiamo a queste dichiarazioni si rende necessario per avere la misura dello scenario dispiegato al fine di tentare di vietare una manifestazione sindacale lo scorso 23 giugno, asserendo che le manifestazioni precedenti hanno «dato luogo a eccessi significativi e a gravi violenze» (12)

Il pretesto scatenante è dunque simile. Esso viene posto in primo piano dopo lo stesso scenario in tre fasi: l’annuncio di un pericolo, designazione di un obiettivo nemico e meccanismo mediatico.

Il ricorso alla paura come strumento politico non è certo una pratica inedita. Il giornalista statunitense Henry Louis Mencken dichiarava già all’inizio del secolo scorso che «l’obiettivo della politica e tenere a bada la popolazione inquieta, e che pretende di essere  tenuta al sicuro, minacciandola con una serie ininterrotta di mostri» (13).

Dalla «minaccia ebraica» e dal «pericolo rosso» dei nazisti, al «pericolo giallo» degli apologeti dell’intervento imperialista in Cina all’alba del XX secolo, passando per le «armi di distruzione di massa» di Saddam Hussein, per giungere al pericolo di una «invasione migratoria», la politica della paura è una realtà innegabile.

La comunicazione ansiogena del governo non ha risparmiato le manifestazioni contro la legge El Khomri [una riforma del lavoro simile al Jobs Act italiano, n.d.t.]. In questo caso il pericolo è di natura economica. L’abbandono della legge metterebbe in discussione la ripresa dell’economia francese.

Curiosamente, un tale pericolo è esattamente lo stesso segnalato dal FMI per bocca della sua presidentessa Christine Lagarde, la quale incoraggia la Francia a spingersi oltre con le riforme.

«L’economia francese è in procinto di risollevarsi, tuttavia sforzi significativi sono  ancora necessari per rafforzare la creazione di posti di lavoro e porre le finanze pubbliche su una via più sostenibile»  osserva la valutazione annuale del FMI per l’anno 2015. Gli sforzi supplementari necessari vengono citati esplicitamente: «riformare la normativa sull’indennità di disoccupazione», «allungare il periodo di contribuzione minimo, attualmente fissato a quattro mesi», «rafforzare il sostegno alla ricerca dell’impiego», «facilitare la regolamentazione per le start-up e l’auto-imprenditorialità», «ridurre ulteriormente il deficit di bilancio al fine di garantire che il debito, in continuo aumento, si ponga in una stabile traiettoria di discesa» (14).

Alla luce di simile obiettivi, il diritto del lavoro diventa un ostacolo da rimuovere integralmente al fine di liberare la via ad accordi a livello di impresa. Mantenere una sia pur minima regolamentazione sarebbe un pericolo per un’economia fragile. Coloro che dovessero negare tale evidenza ultra-liberista sarebbero vuoi degli incoscienti, vuoi degli irresponsabili, se non degli egoisti che difendono esclusivamente i propri interessi. Pierre Gattaz così sostiene che «CGT equivale a disoccupazione» (15)

 

L’identificazione del nemico CGT

Descrivendo la costruzione di un nemico in tempo di guerra, il libro La construction de l’ennemi precisa

«La figura del nemico prepara, accompagna e sostiene lo sforzo di guerra. Le rettoriche e le scenografie la costruiscono. I saperi con pretesa scientifica o religiosa la legittimano. I media la trasmettono » (16).

È evidente come la stessa logica sia riscontrabile nei discorsi politici e mediatici riguardanti la CGT nel contesto del movimento sociale in corso. È pur vero che per questo governo, dopo l’11 gennaio, siamo in guerra.

Così il presidente di MEDEF [Mouvement des entreprises de France, organizzazione analoga alla confindustria, n.d.t.]  fa appello, il 30 maggio, sul quotidiano Le Monde, a non cedere «al ricatto, alla violenza, all’intimidazione, al terrore» e a resistere a delle «minoranze composte da persone che si comportano come teppisti, come terroristi» (17).

Il 15 giugno il primo ministro denuncia l’attitudine «ambigua» del servizio d’ordine della CGT  riguardo ai «casseurs che vogliono senza dubbio uccidere» (18).

Il 19 giugno tocca al ministro dell’interno Bernard Cazeneuve, il quale accusa: «martedì 14 giugno dei militanti della CGT si sono confrontati violentemente con le forze dell’ordine nel punto di dispersione convenuto con gli organizzatori » (19).

Il 19 giugno è il sindacato di polizia Alliance a esigere: «il rinvio di questa manifestazione e di ogni assembramento, perché i nostri colleghi sono schierati su tutti i fronti e sono esausti. Inoltre, vivono con ancor più difficoltà queste manifestazioni per la loro ripetitività e estrema violenza» (20).

La designazione del nemico CGT è stata preceduta da una copertura mediatica quasi unanime, volta  a presentare la riforma del lavoro come necessaria e ineludibile al fine di combattere la disoccupazione. L’argomento chiave, ricorrente in ogni media e martellato permanentemente, consiste in ciò: la disoccupazione sarebbe in gran parte dovuta alla «rigidità» e alla «gravosità» del codice del lavoro.

Il 9 settembre del 2015 Arnaud Leparmentier su Le Monde, a proposito della legge, chiede di «farla entrare in vigore». Poi descrive così il proprio auspicio:

«Come altre volte, abbiamo iniziato a sperare. Col rapporto Combrexelle la Francia socialista affronta il problema rappresentato dal codice del lavoro. Finalmente un movimento per combattere questa preferenza nazionale che è la disoccupazione! […] La Francia affronta l’argomento, ci si augura, nello stesso modo in cui l’hanno fato le socialdemocrazie della vecchia Europa. Far entrare in vigore la riforma, coraggiosamente» (21).

L’argomentazione di MEDEF viene ripreso tale e quale senza la minima sfumatura critica. Il presidente dell’organizzazione dei padroni in effetti sostiene: «L’attesa suscitata dalla legge El Khomri è grande, considerati gli ostacoli che incontrano gli imprenditori e la crisi del mercato del lavoro» (22).

Il secondo atto della pièce mediatica consiste nello spiegare l’opposizione alla legge. Questa non viene, sia ben chiaro, trattata come una difesa  degli interessi dei salariati. Essa è, invece, sia il risultato di una forma di corporativismo sindacale, sia frutto di incomprensione, sia, infine, opera di una minoranza, composta da soggetti, come i «giovani» e i «funzionari», che non verrebbero toccati dalla legge.

Il terzo atto concentra la copertura sulle conseguenze catastrofiche per gli utenti, vale a dire, si sceglie di approcciare la questione dal punto di vista delle conseguenze del movimento, eludendone completamente le cause. Il vocabolario dei giornalisti, su questo aspetto, ha dato prova di una grande varietà:  disordine, caos ecc. Sempre dal lato delle conseguenze l’attenzione viene puntata sui «casseurs» e sulle «violenze», passando sotto silenzio l’ampiezza del movimento.

Non rimane che l’ultimo atto, nella figura di Nathalie Saint-Cricq, la quale, nel corso del giornale delle 20 su France2, accusa la CGT di «volere l’esplosione sociale [e di] prendersi finalmente la responsabilità di un eventuale incidente, ferito, o che addirittura ci scappi il morto» (23).

Diamo l’ultima parola al settimanale Le Point, il quale lancia, il 26 maggio, un sondaggio online con un quesito notevole: «la CGT è un sindacato sorpassato e pericoloso per la Francia?» (24)

Il risultato è ovviamente scontato:  47.473 sì contro 4.851 no.

Per la quasi totalità della stampa, così come per il governo, esiste un pericolo indiscutibile, un nemico designato e quindi la necessità di una risposta ferma e virile.

Il bisogno di creare nemici rivela una crisi di legittimità che apre a tentazioni totalitarie da non sottovalutare. Secondo il bilancio del ministro degli interni sono 1300 i manifestanti arrestati dall’inizio della mobilitazione, col risultato di 819 persone in custodia e «51 persone condannate per direttissma, spesso a pene assai pesanti» (25)

Cifre coerenti con la delegittimazione della politica economica portata avanti dal governo con l’incoraggiamento di MEDEF, dell’Unione europea e del Fondo monetario internazionale. Altri «nemici» sono stati costruiti precedentemente e contemporaneamente, in particolare contro il movimento di sostegno al popolo palestinese e contro le associazioni impegnate a denunciare la violenza poliziesca. Senza considerare i legami tra le differenti categorie criminalizzate, è la resistenza comune a risultarne indebolita. Non inganniamoci, la nozione di «nemico» è di natura estensiva.


Note
  1. Samuel Huntington, Lo scontro delle civiltà, Garzanti, 1997, p. 7
  2. Georges Bush, discorso del 29 gennaio 2002, https://georgewbush-whitehouse.archives.gov/news/releases/2002/01/20020129-11.html.
  3. Marc Crépon, L’imposture du Choc des civilisations, Pleins feux, Parigi, 2002, p. 66.
  4. Nouvel Observateur, La guerre des Dieux, Hors-série, n° 46, gennaio 2002.
  5. Le point, Les chrétiens face à l’Islam. Enquête sur un choc mondial, n° 2217, 5 marzo 2015.
  6. Valeurs actuelles, n° 4077, dal 15 al 21 gennaio 2015.
  7. Richard Labévière, Choc des civilisations, choc des représentations et ruses de la raison médiatique, Hermès la Revue, n° 55, 2009/3, p. 172.
  8. Fouad Bahri, Gilles Clavreul tacle les associations antiracistes décoloniales, https://www.zamanfrance.fr/article/gilles-clavreul-tacle-associations-antiracistes-decoloniales-19890.html.
  9. Manuel Valls, risposta alle domade poste all’Assemblea nazionale, 16 dicembre 2015, http://www.lcp.fr/la-politique-en-video/mouvement-bds-manuel-valls-condamne-toutes-les-campagnes-de-boycott-legard-des.
  10. Najat Valaud Belkacem, risposta alle domade poste all’Assemblea nazionale, 27 aprile 2016, http://www.lcp.fr/la-politique-en-video/camp-dete-decolonial-vallaud-belkacem-condamne-absolument-des-initiatives.
  11. A Parigi  il tribunale interdice le manifestazioni in sostegno di Gaza, Le Monde del 18 luglio 2014, http://www.lemonde.fr/politique/article/2014/07/18/cazeneuve-prone-l-interdiction-de-la-manifestation-propalestinienne-a-paris-samedi_4459324_823448.html.
  12. Catherine Gasté, Loi Travaille, la prefettura impedisce per alcune ore le manifestazionihttp://www.leparisien.fr/economie/loi-travail-la-prefecture-interdit-la-manifestation-de-jeudi-22-06-2016-5904335.php.
  13. Henry Louis Mencken, Mencken Chresthomathy : His own Selection of his Choicest Writing, Vintage, New-York, 1982, p. 29.
  14. Christine Lagarde, Pour le FMI, la loi El Khomri n’est pas suffisante, Valeurs actuelles del 26 maggio 2016, http://www.valeursactuelles.com/economie/pour-le-fmi-la-loi-el-khomri-nest-pas-suffisante-62032.
  15. Pierre Gattaz, Le sigle CGT égale à chômage, Intervista a Le Monde del 30 maggio 2016, http://www.lemonde.fr/economie-francaise/article/2016/05/30/la-charge-de-pierre-gattaz-contre-la-cgt-ils-se-comportent-comme-des-voyous_4928844_1656968.html.
  16. Reinhard Johler, Freddy Raphaël et Patrick Schmoll (a cura di), La construction de l’ennemi, Néothèque, Strasbourg, 2009, quatrième de couverture.
  17. Pierre Gattaz, Le sigle CGT égale à chômage, Intervista a Le Monde del 30 maggio 2016, op.cit.
  18. Manuel Valls, La CGT « ambigua», i casseurs volevano «uccidere dei poliziotti», http://www.valeursactuelles.com/societe/valls-la-cgt-ambigue-les-casseurs-veulent-tuer-des-policiers-62677.
  19. Bernard Cazeneuve, comunicato stampa del 19 giugno 2016, http://www.leparisien.fr/economie/cazeneuve-des-militants-cgt-ont-pris-violemment-a-partie-la-police-19-06-2016-5897699.php.
  20. Intervsta di Frédéric Lagache al  giornale Le Monde del 21 giugno 2016, http://www.lemonde.fr/police-justice/article/2016/06/21/loi-travail-le-syndicat-alliance-demande-un-report-de-la-manifestation-de-jeudi_4954711_1653578.html.
  21. Arnaud Leparmentier, « Chiffons rouges » sociaux, Le Monde del 9 settembre 2015, http://www.lemonde.fr/idees/article/2015/09/09/chiffons-rouges-sociaux_4749623_3232.html.
  22. Pierre Gattaz, http://www.medef-gironde.fr/soyons-ambitieux-sur-la-loi-el-khomri-pour-enfin-faire-baisser-le-chomage.html.
  23. Nathalie Saint-Cricq, 23 maggio 2016, http://television.telerama.fr/television/pour-france-2-la-radicalisation-de-la-cgt-est-vouee-a-l-echec,143019.php.
  24. Sondage online del settimanale Le Point, http://www.lepoint.fr/sondages-oui-non/la-cgt-est-elle-un-syndicat-depasse-et-dangereux-pour-la-france-26-05-2016-2042145_1923.php.
  25. Dichiarazione di Bernard Cazeneuve a Renne, http://www.20minutes.fr/rennes/1845859-20160515-loi-travail-cazeneuve-annonce-1300-interpellations-depuis-debut-manifestations.
Link all’articolo originale in francese Le blog de Saïd Bouamama

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