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la citta futura

Il socialismo per cui dobbiamo batterci, e il partito comunista che ci serve

di Fosco Giannini

I limiti teorici, organizzativi e pratici che sono alla radice della scomparsa del Pci. Quale partito comunista serve oggi?

220px Tesserapcd21Ponendomi l’obiettivo di star dentro uno spazio ragionevole per poter affrontare seriamente la questione postami dall’ormai prestigioso giornale “La Città Futura” (un ragionamento sul 100esimo del PCd’I e su quale partito comunista per il presente e il futuro) non posso che preannunciare un linguaggio simile alla musica jazz, spesso basata su interi periodi sincopati.

Per ciò che riguarda l’intera storia del Pcd’I-Pci c’è innanzitutto da liberarsi da un “equivoco” che è stato ed è ancora obliquamente coltivato da alcuni dei gruppi dirigenti comunisti italiani successivi allo scioglimento del Pci: l’“equivoco” per cui la colpa dell’autodissolvimento del più grande partito comunista dell’occidente capitalistico sia stata solamente di Achille Occhetto. Credo che le avanguardie a cui posso rivolgermi attraverso “La Città Futura” sappiano già che questa “lettura” non solo è perniciosamente idealistica, ma è soprattutto brutalmente opportunista, poiché punta a deresponsabilizzare tutta la lunga fase “berlingueriana” che precede l’assassinio politico di Occhetto e a mitizzare acriticamente l’intera storia del Pci. Questo atteggiamento di rimozione è opportunista poiché tendente a ottenere il consenso (elettorale, militante) dei comunisti/e provenienti dal Pci, ed è nefasto poiché ha precluso e continua a precludere un’analisi seria della storia del movimento comunista italiano da cui possa partire un progetto di ricostruzione di un partito comunista all’altezza dei tempi e dell’odierno scontro di classe in Italia. D’altra parte, vi saranno pure dei motivi oggettivi per i quali le formazioni comuniste italiane successive al Pci siano andate tutte incontro a sostanziali e sempre più tristi fallimenti. E la rinuncia a un’analisi senza sconti della lunga storia del dissolvimento del Pci è senz’altro uno dei motivi oggettivi del fallimento delle esperienze politiche successive a essa.

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dellospiritolibero

Origini ed eredità dell’operaismo

Giulia Dettori intervista Mario Tronti

Pubblichiamo un’intervista curata da Giulia Dettori per la rivista “Filosofia Italiana” sul numero 2 del 2020

220px Operaismo anni 70Mario Tronti è un filosofo e politico italiano, fondatore, insieme a Raniero Panzieri, dell’operaismo, corrente eterodossa del marxismo teorico in Italia attraverso cui, negli anni Sessanta, sulla scia degli eventi generati dal 1956, intraprende una ricerca teorica che mira a creare un rapporto diretto tra intellettuali e classe operaia, senza la mediazione dei partiti.

La fase operaista porta Tronti a collaborare con le riviste «Quaderni rossi» (1961-1964) e «classe operaia» (1963-1967), di cui è stato anche direttore, e a raccogliere nell’opera Operai e capitale (1966) le elaborazioni più importanti di questo periodo. È la chiusura di «classe operaia» a segnare per lui la fine dell’esperienza operaista, nonché l’accettazione della sconfitta del modello delle lotte salariali in fabbrica.

Da questo momento si dedica alla carriera accademica, insegnando filosofia morale e filosofia politica all’Università di Siena, e inaugura una nuova fase del suo pensiero: quella della teorizzazione dell’autonomia del politico, nella convinzione che sia arrivato il momento di portare le lotte sui salari ad un più alto livello di scontro, all’interno delle istituzioni e dello Stato. Sono di questo periodo le opere Hegel politico (1975), Sull’autonomia del politico (1977), Soggetti, crisi, potere (1980), Il tempo della politica (1980). Nel 1981 fonda, inoltre, «Laboratorio politico», rivista bimestrale di intervento politico.

Alla fine degli anni Settanta Tronti intraprende un ulteriore e differente approfondimento del suo pensiero politico, legato a una sempre più chiara disillusione intorno alla possibilità di riaprire una fase di lotta e al tramonto, insieme a quella che egli definisce la «storia del grande Novecento», del movimento operaio, considerato la forma massima con cui si è espresso il conflitto della politica moderna contro la storia.

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lafionda

Verso un “socialismo possibile”

di Emanuele Dell'Atti

Note a: Carlo Formenti, Il capitale vede rosso. Il Socialismo del XXI secolo e la reazione neomaccartista, Meltemi, Milano 2020

1573 319Davanti alla sede della borsa di New York, a Wall Street, vi è una grande statua di bronzo che raffigura un toro nerastro, testa bassa, sguardo feroce. Quel toro – scrive Carlo Formenti nel suo ultimo lavoro che compendia e rilancia, ridiscutendola, la laboriosa riflessione che ha svolto negli ultimi anni[1] – è la perfetta raffigurazione degli “spiriti animali” del capitalismo contemporaneo che ha infilzato “con le corna della controrivoluzione neoliberista le classi subalterne e ne ha schiacciato le capacità di resistenza” (p. 8), attraverso un’opera costante di smantellamento del welfare, precarizzazione del lavoro, privatizzazioni sistematiche, depotenziamento dei partiti della sinistra tradizionale.

Come è potuto avvenire tutto questo e in così poco tempo? Evidentemente, scrive l’autore, con il contributo del potere politico: i governi dei maggiori Paesi occidentali, infatti, hanno fatto di tutto per adattare alle esigenze del capitalismo il quadro istituzionale e legislativo, dimostrando, così, che la tesi della “fine dello Stato” è errata. Lo Stato è vivo e vegeto, ma non più come garante degli interessi generali, bensì come strumento per dissodare il terreno ai mercati, privatizzando beni e servizi, deregolamentando i flussi finanziari, riducendo le tasse ai super ricchi, tagliando sulla spesa sociale primaria e sui diritti dei lavoratori. La globalizzazione, infatti, non è stata il frutto di “leggi” economiche, ma “un disegno politico volto a distruggere i rapporti di forza del proletariato americano ed europeo attraverso l’arruolamento di sterminate masse di neo-salariati a basso costo nei Paesi in via di sviluppo” (p. 99).

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blackblog

Il coefficiente di stupidità della Sinistra

di Tomasz Konicz

La stupidità è la miglior alleata dell'opportunismo di sinistra, la crisi attuale lo dimostra ancora una volta

don maitz the idiotCapitalismo o morte? In un'intervista pubblicata nel dicembre del 2019, il famoso marxista americano David Harvey ha reso assai chiaro, con una franchezza deprimente, in che cosa possa rapidamente degenerare la teoria di Marx, quando, dopo decenni, si continua ad ignorare in maniera sovrana la crisi sistemica, e di conseguenza non si dà forma ad un adeguato concetto di crisi [*1]. Rivoluzione? Una «fantasia comunista», oramai non viviamo più nel 19° secolo. Il capitale è «too big to fail», è diventato troppo necessario, e pertanto non possiamo permetterci il suo crollo. D'altra parte, le cose devono essere «mantenute in movimento», dal momento che in caso contrario «moriremmo quasi tutti di fame». E c'è bisogno anche che investiamo il nostro tempo per «rianimarlo», questo capitale, dice Harvey. Forse si potrebbe lavorare lentamente ad una riconfigurazione graduale del capitale, ma un «rovesciamento rivoluzionario» è qualcosa che «non può e non deve accadere»; e bisogna anche si lavori attivamente per fare in modo che non avvenga. Allo stesso tempo, alla fine il professore marxista ha osservato anche che il capitale è diventato «troppo grande, troppo mostruoso» per poter sopravvivere. Insomma, si tratterebbe di un «percorso suicida».

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tempofertile

Circa “Ancora su destra e sinistra” di Andrea Zhok

di Alessandro Visalli

zotl aloys the tiger and the boa constrictor 1835“Un uomo giace da tempo in una specie di pozza di fango, la luce è scarsa e rossa, e filtra tra una densa foresta. Sta lentamente soffocando per effetto di un enorme boa che lo avvolge nelle sue spire, senza fretta e progressivamente. Improvvisamente l'attenzione che questo prestava, inutilmente a dir la verità, al boa viene distratta da un evento.... con la coda dell'occhio intravede una massa di muscoli, tendini ed artigli colorata di giallo e nero che si sta precipitando su di lui. È una tigre. Chi è il nemico? Penso si possa dire una cosa di sicuro: abbiamo un gran problema”.

Proveremo poi a identificare boa e tigre, e magari anche l’uomo e la foresta, ma prima proviamo a parlare dell’oggetto: Andrea Zhok da tempo riflette in modo radicale e coraggioso sulla società nella quale viviamo ed i vicoli ciechi del suo senso comune e della sua ideologia. Lo ha sempre fatto da un punto di vista specifico, che non nasconde come non lo nascondo io. Lo abbiamo (se pure immeritatamente dal mio lato) fatto insieme. Continueremo a farlo.

In effetti tutti stiamo compiendo una dolorosa riflessione, che ognuno articola secondo la propria sensibilità ed esperienze. Facendola insieme gli diamo senso.

In “Ancora su destra e sinistra[1], che reca come sottotitolo “riflessioni di un post-comunista”, Andrea produce un’ammirevole sintesi e ricostruzione di quella che è stata l’esperienza ed il pensiero di molti in questi anni. Descrive la traiettoria di un percorso di assunzione di consapevolezza e responsabilità capace di allargare lo sguardo e generare nuove prospettive.

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nuovadirezione

Ancora su Destra e Sinistra (riflessioni di un post-comunista)

di Andrea Zhok

comunismo 1200x630 1597522193511Le righe che seguono riassumono un percorso recente nella consapevolezza politica, un percorso quasi ‘dialettico’, nel senso hegeliano del termine, un percorso vissuto dallo scrivente e, credo, in modo non troppo diverso da altri soggetti appartenenti alla tradizione post-comunista.

Provo qui a riassumerne i tratti di fondo.

 

     1. Autocoscienza e crisi

Il punto di partenza di questo percorso è stata una lunga, frustrata e reiteratamente delusa militanza nella sinistra politica, in cui per anni, decenni, si è cercato indefessamente di vedere il bicchiere mezzo pieno, di interpretare posizioni sempre più astratte e indifendibili come se fossero errori passeggeri, distorsioni da cui si sarebbe potuto rientrare se solo si fosse insistito abbastanza.

Gli slittamenti gestaltici sono quei passaggi studiati dalla psicologia della percezione in cui d’un tratto, guardando una figura, vi si scopre una figura alternativa che conferisce nuovo senso all’immagine.

Nei confronti della storia della sinistra ad un certo punto per alcuni è avvenuto uno slittamento gestaltico. Dopo l’ennesimo tentativo di imporre i lineamenti della ‘vera’ sinistra a ciò che si configurava sempre di più come un’idra policefala, contraddittoria e irriconoscibile, qualcuno ha scoperto che quei tratti si prestavano ad una lettura completamente diversa. Una volta avvenuto questo slittamento gestaltico, tutto appariva in una luce differente e più chiara.

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quieora

L’ultrasinistra e il «partito storico» della rivoluzione

di Michele Garau

0 14Le compagini e le tesi facenti capo al laboratorio magmatico della cosiddetta «critica radicale», affrontate a più riprese su «Qui e ora», sono riconducibili alla filiazione, filtrata e spuria, di quelle correnti del movimento operaio internazionale, sviluppatesi all’inizio del 900, che rispondono al nome di «ultrasinistra». Quando si parla dell’«ultrasinistra» si richiama, all’origine, una tassonomia vigente in seno alle posizioni del socialismo internazionale del primo 900: la destra era identificata con le tendenze scioviniste della socialdemocrazia tedesca, rappresentata da Ebert; il centro dall’orientamento riformista e gradualista di Kautsky; infine la sinistra corrispondeva al bolscevismo ed alla direzione di Lenin. Dentro questo quadro l’«ultrasinistra» si aggiunge ad indicare quelle frazioni, presenti soprattutto in Germania e in Olanda, che esprimevano un’opposizione di sinistra al leninismo nel suo insieme, come fenomeno teorico e pratico, in seno al movimento rivoluzionario e da principio nella «Terza Internazionale»[1].

Non è semplice ricostruire il profilo di tale corrente, in senso teorico ed ideologico, nella varietà delle sue espressioni e nel suo intreccio con l’esperienza storica dei tentativi rivoluzionari avvenuti, in Germania, durante la sequenza 1918-21, nonché con il suo successivo bilancio. Gli esponenti del «comunismo dei consigli» a partire da Hermann Gorter ed Anton Pannekoek, seppure intraprendano ben prima il proprio percorso, in particolare nel solco dei principi fondamentali della «scuola olandese»[2], elaborano in forma matura le loro tesi distintive proprio misurandosi con questi tentativi e con il loro lascito: si può dire che una formalizzazione compiuta del «Linkskommunsimus» come tendenza politica organizzata risalga alla famosa Lettera aperta la compagno Lenin di Gorter e alla fondazione del «KAPD» (Kommunistische Arbeiterpartei Deutschlands), nell’aprile del 1920.

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carmilla

Non esistono rivoluzioni innocenti. Il comunismo critico di Rossana Rossanda

di Alessandro Barile

Rossana RossandaLa morte di Rossanda – straordinaria figura testimoniale del comunismo italiano – invita, anzi costringe a pensare ancora alla storia del nostro paese, all’impresa comunista nazionale e agli accidenti della rivoluzione. Contro le scemenze desideranti di insurrezioni «felici», Rossanda ci percuote con la sua verità, l’unica plausibile: la rivoluzione è un atto di sofferenza. Non si entra innocenti e se ne esce devastati. Umanamente, politicamente. Perché dovrebbe essere altrimenti? È un atto di vendetta per le generazioni passate e di sacrificio per quelle future. «Siate indulgenti», invoca Brecht, perché di ogni crimine ci saremo macchiati, e non verremo assolti. Quei crimini, di cui parla a cuor leggero una malandata etica della convinzione comunista, sono crimini verso noi stessi, non verso gli altri, famigerati “nemici di classe” su cui scaricare i necessari orrori della storia e della nostra coscienza. Siamo noi che veniamo compromessi, noi che ci macchieremo dei tradimenti e delle conversioni. Eppure si dovrà fare, è stato fatto: l’inazione giudicante non preserva dall’innocenza, è anzi una colpa ben maggiore.

La lunga, lunghissima riflessione di Rossanda si muove entro questi limiti. I limiti di una persona che si è scontrata direttamente con questi problemi, e che ha capito. A cui ha dato risposte molteplici, profonde, disorientanti. Su cui si può essere d’accordo e in disaccordo, come normale, ma riconoscendo le domande giuste, le uniche possibili, che si chiedono direttamente del travaglio umano che porta con sé ogni rivoluzione. Non esistono rivoluzioni innocenti. Un monito.

Rossanda ha scritto tanto, dagli anni Cinquanta ad oggi. Meriterebbe di essere letto tutto, soprattutto ciò che scrisse durante la sua militanza nel Pci, soprattutto durante il suo ruolo dirigente alla Federazione di Milano, prima, e alla Sezione culturale del partito, dopo.

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cumpanis

“La lezione della sincerità”

Contro la frammentazione comunista

di Luca Ricaldone

SenzanomeL'anno prossimo cadrà il trentennale della scomparsa del più grande filosofo italiano del novecento, Ludovico Geymonat. Egli, poco prima di morire, osservava come fossimo di fronte ad un grave arretramento della cultura e come il marxismo venisse esposto solo in modo dogmatico.

Ancora non esistevano i social. Oggi la realtà virtuale è divenuta il dominio incontrastato dell'idealismo, il luogo dove la maggior parte di noi confonde i propri sogni, le proprie aspirazioni con il mondo reale. Il luogo dove si è ciò che si dice di essere; in cui vige il principio: affermo, dunque sono.

Come consigliava Ludovico Geymonat, se vogliamo ricostruire un partito comunista nel nostro paese dobbiamo saper guardare in faccia la realtà e farla emergere, senza aver paura di esporla per quanto dura e difficile possa essere o essere stata. Per questo, ci diceva, è necessaria una “lezione di sincerità”, una lezione di coraggio morale, scientifico, politico che, unito all'azione, deve essere la base per la ricostruzione del partito comunista, che non può nascere su equivoci di sorta.

Ed è proprio da questa considerazione che sarebbe necessario partire quando si affronta il problema dell'unità fra i comunisti.

Il fenomeno della “frantumazione” ha trovato nel nostro paese delle condizioni particolarmente favorevoli, anche se esso si manifesta internazionalmente in ogni paese, avendo la sua origine nell'influenza dell'ideologia borghese tra le file degli stessi comunisti.

E probabilmente è proprio anche a causa di questa influenza nefasta che scontiamo la mancanza di un'analisi critica della storia dei comunisti che non riguardi solo quella del Pci (che pure è stata sviscerata a fondo nel corso dei decenni) ma anche di quello che lo ha seguito, a cominciare da Rifondazione, nonché di tutto quello che c'era alla “sinistra” del Pci e che oggi compone la “sinistra” comunista.

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contropiano2

Il tallone di ferro sul popolo dell’abisso

di Filippo Violi

tallone ferroJack London, pseudonimo di John Griffith London, è morto suicida a quarant’anni (1916), ritrovato cadavere in un cottage nella residenza di Beatty Ranch, nella contea di Sonoma in California, probabilmente a causa di un’overdose di antidolorifici. Un atto estremo da tempo premeditato si direbbe, ma solo dopo essersi imbattuti nella lettura del suo antieroe per eccellenza “Martin Eden” (1909), romanzo autobiografico.

Il giovane marinaio proletario individualista che sogna di diventare scrittore e ci riesce, conquista l’amore di una giovane dell’alta borghesia, grazie al suo enorme bagaglio culturale autodidatta. Raggiunto il successo per protesta si autodistrugge contro una fama in cui non si riconosce, in polemica con il professionismo letterario dell’epoca. E con quella pena di cui London si fece carico, ossia l’orribile obbligo di scrivere per vivere che lo accompagnò sempre e lo tormentò fino in fondo.

Il romanzo di London si svolge come melodramma e fiaba mentre intorno c’è la creazione della società moderna, si fanno discorsi sulla democrazia e l’individuo, ma al contempo c’è la nascita dell’industria culturale, al fine di dare identità alla nazione e alla società, c’è la nascita della cultura di massa. Jack London è forse il primo grande autore globale, letto dalla California alla Russia, che si misura con questa industria e che alla fine ne rimarrà schiacciato.

Ma perché parlare di London oggi? Ad un secolo e oltre dalla sua morte? Forse perché non si è scritto e non si è detto già abbastanza? O forse, meglio, perché la sua figura così spietata nell’agire, nello scrivere, nell’indagare (per lui stessa cosa), priva di compromessi, satura di eccessi, sfrontata, dissacrante, palesemente anticapitalista, socialista, luddista, rivoluzionaria, visionaria, anticipatrice, risulta scomoda ancora oggi?

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sinistra

L’unità dei comunisti può poggiare su un’unica base: quella del marxismo-leninismo

di Eros Barone

d2393c53915290f82aef52977107965b«Prima di unirsi, e per unirsi, è
necessario innanzi tutto definirsi risolutamente e
nettamente» (Lenin).

Abbiamo assistito alla fine di una fase iniziata, almeno in Italia, con il collaborazionismo delle sinistre sedicenti “radicali” (Prc e Pdci) rispetto alla borghesia e la loro progressiva delegittimazione rispetto al proletariato: epoca che si è conclusa con la loro scomparsa dal parlamento. La bancarotta politica, ideologica e morale delle formazioni opportuniste, non meno che la costituzione del Pd, partito della borghesia imperialista, avrebbero dovuto indurre ad una seria riflessione coloro che avevano sopravvalutato il grado di permeabilità di tali formazioni rispetto a posizioni autenticamente comuniste, ossia marxiste-leniniste, e che non si rendono ancora conto che una fase della storia del movimento di classe, legata alla nozione otto-novecentesca di ‘sinistra’, si è definitivamente chiusa.

Ciò è reso ancor più evidente dalla presenza, dentro la ‘sinistra’, di una cultura anticomunista e pro-imperialista sempre più diffusa, che ostacola fortemente lo sviluppo di un metodo e di una teoria capaci di superare il movimentismo e la pura protesta: quel movimentismo e quella protesta che sono, per dirla con Mao Ze Dong, come i palloni che, quando piove, si afflosciano. Quella che il Partito Comunista ha intrapreso è dunque una ‘lunga marcia’ verso i lavoratori, verso le fabbriche, verso gli uffici, verso le periferie, verso le scuole e le università: i tanti luoghi nei quali nessuno sa più quali siano le grandi ragioni di un partito comunista fondato sul socialismo scientifico.

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marx xxi

Contro “l’unita’ dei comunisti”

di Norberto Natali

Uno stimolante contributo di Norberto Natali che ci auguriamo possa aprire un dibattito a sinistra e fra i comunisti

lenin e rivoluzione“Tutti i partiti rivoluzionari e di opposizione sono sconfitti. Scoraggiamento, demoralizzazione, scissioni, sfacelo, tradimento, pornografia invece di politica. Si accentua la tendenza all’idealismo filosofico; si rafforza il misticismo come copertura dello spirito controrivoluzionario”.

(Lenin “L’estremismo, malattia infantile del comunismo” - 1920)

Ero un giovanissimo operaio “borgataro”, senza titoli di studio eppure mi risultava semplice leggere Lenin. Perciò lo facevo con avidità: con poche e semplici parole riusciva a farmi comprendere numerose e complicate questioni. Aveva un linguaggio asciutto, incalzante, trascinante nella sua lucidità logica, tanto da dare l’impressione che sapevi sempre cosa fare.

Le aspre ed inedite difficoltà (minimizzo) dei nostri tempi, in Italia, riportano prepotentemente alla mia memoria quelle vecchie letture. Mi viene da pensare che Lenin -parlando di noi, ora- direbbe più o meno: “la questione essenziale è chiara e inconfondibile. Chi ha a cuore la causa del partito comunista -ossia la causa del proletariato, del rilancio vittorioso della lotta di classe, della salvaguardia della pace e della natura, del socialismo- deve necessariamente (prima di tutto) trovare il modo di attingere le proprie forze tra vaste masse proletarie (in particolare giovani) le quali, al momento, non hanno alcun interesse per la lotta politica e ancor meno simpatia per i comunisti”.

Per lo meno ciò è quello che penso e sarò grato a chi mi aiuterà a capire -eventualmente- se sbaglio.

Nel frattempo, questa mi sembra la premessa migliore per affrontare tre problemi concreti.

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militant

Il Covid, la “sinistra radicale” e Gagliardini

di Militant

COVID E GAGLIARDINI124 giugno 2020, è la ventisettesima giornata di un campionato appena ricominciato dopo il lockdown e in uno stadio Meazza completamente vuoto per via delle norme anti Covid si affrontano Inter e Sassuolo. Al diciottesimo del secondo tempo, mentre la squadra di casa è in vantaggio di una lunghezza, Lautaro Martinez entra in area dalla sinistra e passa il pallone indietro a Lukaku, l’attaccante belga tira di prima intenzione e sulla miracolosa respinta del portiere emiliano il pallone capita tra i piedi di Roberto Gagliardini. Il centrocampista nerazzurro si trova solo, a porta vuota, a poco più di un metro dalla rete e, incredibilmente, sbaglia, e manda il pallone contro la traversa e divorandosi un gol già fatto. Ecco, se dovessimo immaginarci una rappresentazione plastica della cosiddetta sinistra radicale italiana oggi, l’errore di Gagliardini ne sarebbe un esempio quasi perfetto.

La crisi epidemica, ancor di più di quella economica e sociale in cui siamo immersi, ha fatto emergere in maniera eclatante tutte le contraddizioni di un sistema dominato dal profitto. E lo ha fatto in una maniera assolutamente intellegibile anche da parte del cosiddetto “uomo della strada”, sicuramente molto di più di quanto non fosse accaduto 12 anni prima con la crisi dei mutui subprime. Questa volta non bisogna certo sapere cosa sia il capitale fittizio o essere addentro ai processi di finanziarizzazione dell’economia per rendersi conto di come, in un’epoca caratterizzata da un’abbondanza di merci e da una capacità produttiva senza precedenti nella storia dell’umanità, in tutti paesi, compresi quelli “avanzati”, si stanno manifestando in maniera paradossale tutta una serie di carenze e di penurie che sono costate la vita a migliaia di persone.

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lacausadellecose

In morte di Rossana Rossanda

di Michele Castaldo

00057E4F rossana rossanda.jpgfdetail 558h720w1280pfhwc40c455Una comunista nebulosa

In occasione della scomparsa di Rossana Rossanda si è scatenato, da un lato, la solita, infame canea anticomunista della destra e del bieco centrismo, dall’altro, nella sinistra si ripete il solito balletto dei distinguo, della nostalgia e dei personalismi. Ora, il fanatismo nei confronti del personaggio, sia di rancoroso astio che di religiosa adesione, non forniscono elementi razionali di riflessione e non aiutano perciò a capire la storia della vita sociale in particolare di un secolo straordinario qual è stato il ‘900, con l’espansione della rivoluzione industriale e con essa il passaggio da una economia prevalentemente agricola a una pienamente industriale, quindi al suffragio universale e alla democrazia parlamentare ecc. ecc., per un verso, e con l’irruenza di classi oppresse e sfruttate come i contadini poveri e gli operai, per l’altro verso.

In queste note tralasciamo gli aspetti della personalità della Rossanda e cerchiamo di riassumere all’osso la questione:

cosa ha rappresentato il personaggio Rossanda, insieme ad altri militanti comunisti che sono rimasti in qualche modo fedeli a quella impostazione originaria? La contraddizione di fondo, cioè che il comunismo innanzitutto non è un modello prefabbricato una volta per tutte di rapporti sociali da applicare nelle varie circostanze, ma un processo, un movimento storico anticapitalistico, dunque non era, non è tuttora e non può essere un movimento positivista politico che si può sviluppare intorno a una classe per abbattere la classe al potere. Perché? Ma perché il potere capitalistico viene sì sussunto da una classe, che solo per comodità lessicale chiamiamo borghesia, ma si sviluppa nel più complesso dei rapporti degli uomini con i mezzi di produzione, obbedendo a meccanismi e leggi del tutto impersonali.

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marxismoggi

La teoria del partito nel dibattito Magri-Rossanda: tra spontaneità, coscienza e organizzazione

di Mattia Gambilonghi

index98656tgLa peculiare vicenda del gruppo del Manifesto – di cui Rossanda Rossanda, scomparsa pochi giorni fa, è stata una dei principali esponenti e ispiratori – si è caratterizzata, tra i vari aspetti, per il tentativo di tematizzare in maniera nuova ed originale il ruolo del partito della classe operaia all’interno del processo di trasformazione e in relazione ai meccanismi di formazione e definizione della coscienza politica da parte della classe stessa. A essere in ballo è dunque il nodo – fondamentale sin dai tempi del Che fare? leniniano – del rapporto tra spontaneità, coscienza e organizzazione.

Un rapporto la cui riformulazione vedrà emergere in seno al Manifesto, nonostante la comune ispirazione anti-giacobina, due differenti proposte strategiche: quella di Lucio Magri e quella di Rossana Rossanda. Il testo (un estratto del libro Controllo operaio e transizione al socialismo. Le sinistra italiane e la democrazia industriale tra anni Settanta e Ottanta, Aracne, 2017) si propone di ricostruire alcuni elementi di questo dibattito intellettuale.

***

A partire quindi da una ricognizione solo apparentemente ottimistica del capitalismo italiano ed occidentale viene sviluppandosi in seno al futuro gruppo del Manifesto una proposta strategica che, rispetto a quella avanzata in quel momento dalla maggioranza del gruppo dirigente del Pci, si contraddistingue per una curvatura in senso maggiormente “operaista”, frutto dell’influenza esercitata sui membri del gruppo dalle tematiche e dalla tesi proprie di alcuni ambienti del socialismo di sinistra (si pensi a Panzieri e ai Quaderni rossi).