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linterferenza

L’involuzione della Sinistra dalla scienza al mito

di Norberto Fragiacomo

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Worshiping the golden calfEsaurita in apparenza[1] la sua spinta propulsiva, la sinistra sedicente marxista si crogiola oggigiorno alla luce di una costellazione di miti/feticci che, interpretabili come coperte di Linus, segnalano anzitutto l’inaridirsi del metodo dialettico che Marx trasmise in eredità ai suoi successori.

Scrivendo, in una celebre lettera a Lafargue, “Quel che so per certo è che io non sono marxista” Carlo Marx intendeva sottolineare – assieme al suo ripudio del dogmatismo – l’esigenza che la ricerca andasse avanti in ogni direzione e che lo strumento dialettico da lui forgiato venisse rettamente adoperato nella prassi, senza caricarsi di indebiti contenuti religiosi e/o metafisici. Colpisce che l’ammonimento sia stato lanciato in un’epoca di dinamica diffusione del verbo socialista, non sorprende invece che in un periodo di ripiegamento qual è l’attuale la tentazione di rifugiarsi in un rasserenante marxismo da beghine sia presente, prima ancora che in singoli compagni spaesati, in intere formazioni politiche – e ne detti la linea.

Sebbene la pretesa marxiana di creare una società giusta ed egualitaria “definitiva” sia figlia di un’educazione giudaico-cristiana (d’altra parte la formula “Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza” valeva anche per chi l’ha enunciata…), egli si sarebbe opposto con vigore all’emergere di un perbenismo di sinistra che, osservato da vicino, assomiglia fin troppo a un catechismo dei buoni sentimenti. Polemico e all’occorrenza “spietato”, ma sempre problematico, il filosofo di Treviri ci ha offerto un’infinità di spunti e generalizzazioni che vanno prese per quello che sono, non elevate a regole che non ammettono eccezioni (pena immediate scomuniche, da parte loro tutt’altro che “buoniste”).

E’ da un pezzo però che, smarrita la rotta, la sinistra va alla deriva, e non sapendo più che farsene delle mappe se le incornicia e le trasforma nell’identità fittizia di cui abbisogna per occupare il tempo che la separa dall’ormai prossimo naufragio sulle scogliere del reale.

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militant

Tra Salvini e Open society: il futuro dell’anticapitalismo nell’inverno della sinistra

di Militant

centro destra sinistra altredirezioniUnione europea, questione nazionale e migranti hanno scavato l’ennesimo solco nella sinistra radicale. Eppure questo decennio di contrapposizione (esclusivamente) intellettuale lascia dietro di sé macerie su cui costruire ben poco. Non saremo forse di fronte a false flags su cui ci accaniamo in assenza di lotte di classe dal basso? Favorito dalla chiacchiera social, ben presto il confronto è scaduto sul piano della scomunica: “rossobruni” contro “dirittoumanisti” è l’unico terreno di confronto, il punto di mediazione è l’anatema vicendevole. Siamo davvero sicuri che da ciò potrà nascere qualcosa di fecondo nella piccola ridotta dell’anticapitalismo italiano? È lecito dubitarne. La polarizzazione ha invece schiacciato le due posizioni a ridosso l’una del “sovranismo” reazionario, l’altra del liberalismo illuminato, fronte entro cui trovano posto il Pd, la Chiesa di Francesco e le Ong quali modus ideologico dell’attivismo umanitario. Portare acqua al mulino altrui, soprattutto quando questo è nel caso o nell’altro chiaramente avverso alle sorti di una società migliore, può costituire una strategia? Il dubbio, fin troppo evidente, impone una verifica di ciò che siamo diventati, riconoscendo preliminarmente però un dato di fatto: in assenza di lotte di classe (cioè di lotte politiche, non di vertenze sindacali), questa esasperata conflittualità avviene su di un piano irrilevante. Non ci stiamo giocando nessuna partita politica: perché dunque tanto amore per la scomunica? Forse perché, consapevoli di ciò, sappiamo di giocare senza farci male, simulando una dialettica che in altri tempi avrebbe avuto una sostanza, e oggi è solo ritualità. Qui c’è bisogno di demolire gli idoli che di volta in volta innalziamo a difesa delle nostre ragioni, che molto spesso si rilevano parziali, incomplete, inefficaci.

Bisogna dunque sottoporre a verifica molti dei topos di questo decennio triste. Il populismo elettoralmente e culturalmente trionfante ha scardinato il giochetto entro cui, tutto sommato, vivacchiavamo: da una parte il babau berlusconiano, dall’altra il fronte progressista.

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carlo formenti facebook

Tagliare i rami secchi

Catalogo dei dogmi del marxismo da archiviare

di Carlo Formenti e Onofrio Romano

Da qualche giorno è approdato in libreria, per i tipi di DeriveApprodi, "Tagliare i rami secchi", un dialogo fra me e Onofrio Romano sulla necessità di lasciarci alle spalle una serie di dogmi marxisti, se vogliamo che il messaggio di fondo dell'autore del "Capitale" - già attualizzato nel dilemma socialismo o barbarie - conservi tutta la sua potenza e non si trasformi in un balbettio accademico senza presa sul mondo reale. Diamo per scontato che saremo accusati di revisionismo dai militanti dei cespugli post neo comunisti. Poco importa: non è a loro che il nostro discorso è rivolto ma a tutti coloro che intuiscono che per lottare contro il capitalismo occorre dotarsi di nuovi strumenti culturali. Pubblico qui di seguito il testo integrale della prefazione e l'immagine della copertina

107432 9788865482735È luogo comune, quando si discute dell’attualità del marxismo, distinguere fra Marx e i marxismi. Questa distinzione serve a tutelare la purezza del pensiero del maestro dalle perversioni di cui si sono resi responsabili i discepoli che tale pensiero hanno malamente interpretato e applicato. Il punto di vista adottato dagli autori di questo libro è diverso: partendo dal presupposto che l’originario corpus teorico marxiano - accanto a straordinari elementi di attualità sia sul piano teorico che su quello politico - contiene tesi datate, incomplete e contraddittorie, assume che non lo si possa contrapporre né separare dai tentativi storici di calarlo nella realtà. Pensiamo che sia più utile cercare di capire quali concetti - presenti tanto in Marx quanto nelle varie tradizioni marxiste, anche se con diverse sfumature – vadano archiviati, in quanto non servono più alla trasformazione rivoluzionaria dell’esistente o rischiano addirittura di contribuire alla sua conservazione. Questa nostra provocazione non nutre intenzioni liquidatorie nei confronti del marxismo; al contrario: siamo convinti che tagliare i rami secchi della teoria, e abiurare certi articoli di fede delle ideologie che ha ispirato, significhi riattivarne la carica sovversiva nei confronti della società capitalista e ridare energia e prospettive alla speranza rivoluzionaria.

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italiaeilmondo

Ritorno al futuro

Elio Paoloni intervista Carlo Formenti

scalaNon è di sinistra, Carlo Formenti:

“Non vogliamo “rifare” la sinistra, non solo per motivi di opportunità linguistica, visto che la maggioranza del popolo disprezza ormai questa parola, ma perché riteniamo che il binomio destra/sinistra, da quando essere di sinistra non significa più nutrire la speranza in un cambio di civiltà, rappresenti unicamente un gioco delle parti fra le caste politiche che gestiscono gli affari correnti del capitale”.

E’ socialista. Non duro e puro (perché si impongono duttilità e abbandono di vecchi schemi marxiani) ma verace. Resta difficile perciò ai suoi avversari de sinistra triturarlo come hanno fatto con Costanzo Preve, al quale Formenti dedica un capitolo del suo ultimo libro, Il socialismo è morto, viva il socialismo, testo a parer mio imprescindibile per chi vuole davvero comprendere il presente, un testo di cui raccomando in ogni occasione la lettura e la diffusione. Difficile triturarlo, dicevo, non solo per il suo passato di dirigente della sinistra del sindacato unitario dei metalmeccanici, per il decennio in cui è stato caporedattore di Alfabeta, per il suo impegno di ricercatore – nell’università e fuori – sui temi dell’uso capitalistico delle nuove tecnologie, per l’attività di blogger sulle pagine di MicroMega e per la costante, approfondita, rilettura di Gramsci.

Alla analisi acuta – ma per noi non nuovissima – della falsa sinistra, unisce una conoscenza approfondita dei fenomeni populisti (una tecnica di comunicazione, si badi bene, non un’ideologia) rivalutati come ‘grado zero’ della nuova lotta di classe e una notevole dimestichezza con la realtà cinese, indispensabile per sbaragliare i luoghi comuni sull’impossibilità di governare l’economia, la finanza, l’iniziativa privata. Quella ‘manifesta impossibilità’ che viene di continuo avanzata con coloriture tra il biblico e il parascientifico per castrare ogni velleità di ribellione.

Per un ex intellettuale dell’area dell’autonomia operaia, il richiamo ai principi fondativi dello Stato nazione può suonare strano, ma non si tratta di nostalgia del passato, bensì di ritorno al futuro.

Infine Formenti non è certo il primo a evidenziare il carattere scellerato (politicamente parlando) di certo femminismo, ma è il meno esposto a facili contestazioni in virtù della sua attenzione al pensiero femminista più accorto e consapevole, come quello di Nancy Fraser, il cui ultimo libro verrà tradotto nella collana Visioni eretiche che Formenti dirige per Meltemi.

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senso comune

Non c'è democrazia senza conflitto

di Ivano Volpi

Il testo riproduce la relazione di Ivan Volpi (Potere al Popolo Udine) fatta a Gorizia il 16 giugno 2019 nel corso dell’incontro organizzato da Senso Comune Udine “Fare la Democrazia”

crisi 768x512Democrazia e conflitto: i primi pensieri vanno al sessantotto, alla Guerra di Liberazione, alla lotta degli operai per le otto ore lavorative. Ma nel mondo d’oggi che cosa significa pensare al binomio democrazia e conflitto? Il mondo d’oggi è un mondo capitalistico, perché capitalistica è la forma di vita che viviamo, un vita che ha adottato un idea di società a cui è stato dato il nome di neoliberismo: un’idea che ha visto la luce e si è espansa attraverso uno dei modellamenti della natura umana più drastici e radicali di sempre. Il neoliberismo permette di fare la democrazia, o meglio ancora di fare la democrazia che vorremmo? Tollera l’esistenza di quegli elementi conflittuali che potrebbero essere l’ antivirus del processo democratico? Con ragionamenti suggestioni e alcuni accostamenti cercheremo di capirlo.

Ho parlato di neoliberismo come di un’ idea di società, una visione del mondo; quattro sono i pilastri che sostengono questa costruzione. Il primo pilastro è il METODO, quello che si rifà all’individuo: parliamo di individualismo metodologico in quanto al centro dell’agire c’è solo l’individuo; solo l’ individuo ha una sua reale consistenza ed esistenza reale nella storia. Quale la diretta conseguenza di questo? L’indebolimento della rete che gli individui creano, la società, classi sociali, i corpi intermedi.

Il secondo pilastro è la GERARCHIA. Quando presupponiamo la debolezza delle classi sociali ma che conta solamente l’individuo ne consegue che l’unica libertà che deve essere tutelata in assenza di corpi sociali da preservare e difendere, è quella individuale o, come si sente spesso dire, dell’”agente rappresentativo”; sull’ individuo deve essere declinata la libertà non su costruzioni ideologiche di sinistra, come la classe lavoratrice o gli sfruttati. La società non esiste diceva la Thacher. Il conflitto, dicono i liberisti, non ha senso perché ci mettono gli uni contro gli altri. Una volta queste libertà venivano chiamate diritti borghesi e oggi possiamo definirle diritti civili. Centrando i discorsi e i ragionamenti sui diritti civili non possiamo che constatare che si rimane imprigionati dalla stessa ideologia che fa da vestito alla democrazia liberale che stiamo criticando. Senza i diritti sociali i diritti civili sono solo accessori luccicanti.

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Strappare nuovamente il possibile all’oblio

di Andrea Cerutti

Recensione a L’operaismo politico italiano di Gigi Roggero (DeriveApprodi)

25 aprile 1973L’operaismo politico italiano, appena uscito per la collana Input di DeriveApprodi, è composto dalla trascrizione di sei lezioni sull’operaismo dalle origini sino alle diramazioni più recenti – una, interamente dedicata alla figura di Romano Alquati, tenuta da Guido Borio, le altre da Gigi Roggero – e termina con un’utile intervista riepilogativa dell’autore curata da Davide Gallo Lassere.

Le lezioni sono rivolte a giovani militanti politici. Lo stile è quindi diretto senza fronzoli, fedele allo “stile operaista” e, sin dalle prime pagine, traspare l’intento – in linea con l’indicazione di Walter Benjamin – “di strappare nuovamente la trasmissione del passato al conformismo che è sul punto di soggiogarla”; il conformismo dei vincitori che vogliono relegare il passato dei vinti all’eterno oblio o alla neutralizzazione accademica affinché smetta di disturbare il racconto delle magnifiche sorti e progressive.

Questo passato è l’operaismo, ovvero l’ultimo ed estremo tentativo di cui si ha notizia di usare il pensiero di Marx secondo una prospettiva pratico-rivoluzionaria e non come sistema teorico atto ad interpretare il funzionamento del sistema capitalistico.

Si parte opportunamente dalle genealogie dell’operaismo: Danilo Montaldi, Galvano Della Volpe, il gruppo francese di «Socialisme ou barbarie». Con una giusta avvertenza: «quello che … ci interessa evidenziare è il carattere di transizione degli anni Cinquanta. Attenzione, però: solo ex post possiamo attribuire un carattere storicistico e teleologico al termine transizione. Ex ante, nel vivo di quella fase, con lenti normali avremmo visto smarrimento, caoticità, rassegnazione … la transizione non ci viene consegnata dalla Storia; la transizione viene conquistata da un agire contro la Storia» (pp. 19-20). Roggero vuole dirci che lo stesso smarrimento, la medesima rassegnazione in cui siamo immersi può essere ribaltata, «è proprio nelle fasi in cui sembra non accadere nulla che va agita la capacità di anticipazione e giocata la scommessa rivoluzionaria.

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ospite ingrato

Dopo il disastro

Note su A Sinistra di Giorgio Cesarale

di Marco Gatto

giorgio cesarale a sinistra laterza recensioneI.

Al lettore italiano mancava una sintesi puntuale delle traiettorie teoriche in campo a sinistra. Non mi riferisco a semplici mappe da fruire per uno sterile aggiornamento disciplinare, ma a un tentativo molto complesso di restituzione di un universo filosofico e critico assai vario, la cui multiformità è essa stessa un problema su cui interrogarsi. Giorgio Cesarale, nel suo A Sinistra. Il pensiero critico dopo il 1989 (Roma-Bari, Laterza, 2019), lo fa con grande acume e propone una chiave di lettura assai netta, suggerendoci in che modo interpretare i percorsi della riflessione radicale più recente.

Prima di illustrare la prospettiva messa in campo dall’autore, mi permetto di indugiare sullo stato dell’arte. Più di un decennio fa, uno studioso brillante come Göran Therborn, in un libro dilemmatico dal titolo From Marxism to Post-Marxism?,1 aggiornava le tesi storiografiche di Perry Anderson (il cui noto resoconto de Il dibattito nel marxismo occidentale, datato 1977, rappresentava un tentativo di analizzare il grande turning point che avrebbe condotto alla crisi politica del marxismo) e constatava che il pensiero critico di matrice materialistica stava approssimandosi a una fase di mutazione molto consistente, nel corso della quale avrebbe interrogato la sua effettiva validità interpretativa. In Therborn poteva leggersi, fra le righe, la convinzione che il post-marxismo (ormai divenuto l’involucro del pensiero antagonistico tout court) si fosse ormai arreso all’evidenza di una postmodernità che ne aveva trasformato le modalità analitiche, relegandolo a una delle infinite possibili ermeneutiche del contemporaneo. E, in effetti, se il marxismo tradizionale è divenuto una sorta di “bene culturale” da conservare nei manuali di filosofia, la tradizione novecentesca – chiamiamola pure del marxismo occidentale – ha impresso una spinta a questa sterilizzazione politica, conducendo spesso il discorso politico verso ambiti assai ristretti, a volte solo e soltanto culturali.

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tempofertile

Partito e classe dopo la fine della sinistra

di Alessandro Visalli

oltre la sinistra nQuesta, relazione, firmata da Carlo Formenti e Alessandro Visalli, è stata presentata all’Assemblea: “Oltre la sinistra. Lavoro, sovranità, autodeterminazione”, tenutasi a Roma il 15 giugno presso il Circolo dei Socialisti alla Garbatella.

Il testo di lancio dell’Assemblea recitava:

Dopo il lancio, a marzo, del Manifesto per la Sovranità Costituzionale il campo in formazione del neo-socialismo patriottico ha subito le tensioni della fase in corso. La frattura tra coloro che sono connessi al sistema-mondo capitalista (mondo finanziario, reti industriali transanzionali, segmenti superiori dell’economia della conoscenza), e coloro che restano ai suoi margini, respinti nelle tante periferie del nostro paese, è stata rimossa da alcuni in favore di un’immaginaria frattura tutta morale tra destra e sinistra. Per altri la ricerca del consenso, e la fretta di intercettarlo, ha prodotto un’interpretazione del ‘populismo di sinistra’ come mera tecnica, priva di un’analisi all’altezza della durezza dello scontro in essere.

Noi crediamo che il conflitto sia tra i ‘centri integrati’ nel mercato mondiale, organizzati gerarchicamente, e le ‘periferie’ che sono nella posizione di essere sfruttate da questi. E crediamo che questo conflitto apra una frattura insanabile che attraversa diagonalmente l’intero campo del capitalismo. Esso crea fenomeni interconnessi come l’estendersi della precarietà, l’erosione della capacità di sostenere una vita decente, il degrado fisico delle nostre città, periferie e campagne, l’abbandono dell’ambiente e il saccheggio indiscriminato, di risorse e uomini del mondo.

Noi crediamo che non si possa assumere una posizione politica all’altezza del presente guardando ai fenomeni separatamente. Vanno visti come una configurazione unitaria fenomeni come il violento ordine europeo, lo svuotamento sistematico delle capacità dello Stato di proteggere i cittadini, la gara per attrarre - spesso in posizione subalterna – capitali privati, attività e lavoratori nelle aree forti, la tragedia dell’emigrazione ed immigrazione che squilibra sistematicamente le nostre società.

Noi crediamo che assumendo una lettura moralista e solo culturale di ciascun singolo fenomeno, nascondendone il carattere sistemico, le soluzioni vengano allontanate.

Per questo crediamo che sia venuto il momento di abbandonare le stantie abitudini di quella sinistra che, uscita sconfitta alla chiusa del XX secolo, abbandonata dal suo popolo (dopo avergli voltato le spalle), si è rifugiata dal nemico, o si è rinchiusa in una critica di tipo moralistico o libertario (perdendo la dimensione di emancipazione collettiva e retrocedendo su vaghe istanze di liberazione individuale). Questo atteggiamento è parte importante della sconfitta del 26 maggio.

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notebloc

Podemos torni a fare opposizione

podemos jacobin italia 990x361Nelle elezioni generali di aprile, Unidos Podemos era andata sopra le   aspettative,   pur avendo perso circa un terzo dei parlamentari rispetto alla   tornata elettorale precedente. Ma alle europee ha riportato sconfitte significative su tutti i fronti.  Nelle «Città senza paura», ad eccezione di Cadice e con difficoltà Barcellona, la sinistra spagnola ha subito un ulteriore colpo, non è riuscita riconquistare città come Madrid, Santiago de Compostela e Saragozza.

* * * *

Nel 2015 abbiamo assistito alla vittoria di una serie di coalizioni locali radicali in diversi municipi in tutto il paese, mentre a livello nazionale Podemos minacciava di soffiare l’egemonia a sinistra al Psoe. Dopo la perdita di consensi di Podemos nelle elezioni politiche, la sconfitta di maggio subita dalle coalizioni radicali in molti municipi è sembrata una conferma della fine del momento post-Indignados nella politica spagnola. Come spiegheresti la fase di risacca di questo movimento?

Per spiegarlo dobbiamo considerare gli sviluppi di due movimenti differenti. Il primo copre un ciclo più lungo, ed è legato alla reazione democratica della società spagnola alla rottura del contratto sociale dopo la crisi del 2008. Il movimento degli Indignados aveva richieste simili a quelle di Occupy Wall Street, ma [a differenza del movimento americano] riuscì a mobilitare milioni di persone, dando vita a un vero e proprio movimento di massa fondato sull’alleanza tra una gioventù precaria e una generazione più vecchia, politicizzatasi durante il passaggio alla democrazia negli anni Settanta. La generazione di mezzo fu meno attiva.

Grazie soprattutto all’intelligenza e all’audacia di Pablo Iglesias, così come a quella di Ada Colau, questa indignazione è riuscita a esprimersi in maniera politicamente organizzata. Nel 2014, l’ingresso di Podemos nella vita politica ha portato, a sua volta, all’apertura di un secondo ciclo, più piccolo, nel quale le élite hanno provato a neutralizzare la minaccia al regime esistente.

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contropiano2

Potere al Popolo: sintesi, analisi e proposte della 6° Assemblea Nazionale

di Potere Al Popolo!

Potere al Popolo con OtelloDomenica scorsa Potere al Popolo ha convocato a Roma la sua sesta Assemblea Nazionale per fare il punto su quanto fatto finora e sulle sfide che ci attendono. L’Assemblea è riuscita ogni oltre previsione: più di 500 persone sono venute da tutta Italia e anche dai nodi esteri a portare, in quasi 50 interventi, un patrimonio di idee, proposte, esperienze e umanità, hanno condiviso rabbia e gioia, ingiustizie e lotte vincenti, con spirito positivo e con il sentimento di stare costruendo una comunità e uno strumento utile per tutti gli sfruttati. Insieme abbiamo rinnovato quell’impegno a “fare tutto al contrario” rispetto a quello che abbiamo visto nella politica italiana di questi anni.

Dopo un anno e mezzo, infatti, non ci è passata la voglia – e anzi pensiamo sia sempre più necessario – essere diversi da quella politica fatta di molte chiacchiere e pochi fatti, molto verticismo e poca partecipazione, molto opportunismo e poco spirito di servizio, molti personalismi e poco senso del collettivo, molta ideologia e poca concretezza, molta immagine e propaganda e poca sostanza, molti litigi e poca voglia di pratiche comuni…

In quest’anno e mezzo di vita abbiamo toccato con mano che “fare tutto al contrario” è davvero possibile, che è possibile costruire un nuovo tipo di organizzazione, far partecipare le persone e anche ottenere vittorie. Certo, ci siamo sempre più convinti che occorra essere onesti sulle tante difficoltà che un progetto come il nostro deve affrontare, ma anche che bisogna cercare sempre l’aspetto che possa volgerle al positivo.

Stiamo facendo ed accumulando esperienze sul campo, spesso in modo diversificato, stiamo aggregando nuove persone, molte delle quali giovani o nuove alla politica, stiamo cercando di radicarci sui territori aprendo Case del Popolo, ricomponendo settori della società lì dove le classi dominanti hanno lavorato a dividere, disgregare, contrapporre. Stiamo cercando di migliorare il nostro programma attraverso 13 tavoli di lavoro nazionali e, dopo le ultime elezioni amministrative in cui abbiamo eletto consiglieri, abbiamo iniziato a sperimentare anche il lavoro nelle istituzioni di prossimità. Ma siamo perfettamente consapevoli che tantissimo resta ancora da fare per diventare un’opzione credibile agli occhi delle classi popolari.

Le pagine che seguono sintetizzano appunto le analisi e le proposte emerse dall’Assemblea Nazionale per riuscire a crescere, organizzarsi meglio, risultare più incisivi.

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il rasoio di occam

Tra impotenza e ricostruzione di una egemonia: la sinistra intellettuale oggi

di Carlo Formenti

La maggior parte degli autori esaminati nel libro di Giorgio Cesarale (A Sinistra. Il pensiero critico dopo il 1989, Laterza, 2019), è priva di quella traducibilità politica che oggi serve per reinventare l'opposizione al neoliberismo. All'interno di questo panorama, l'unica via che prepara la ricostruzione del blocco sociale antagonista è quella di Laclau

giorgio cesarale a sinistra laterza recensioneChe ne è di una sinistra travolta da quella mutazione del capitalismo che, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, 1) ha cessato di generare ricchezza per tutti, negando alla sua controparte sociale ogni spazio di contrattazione del reddito; 2) ha prodotto élite dominanti che non si assumono più responsabilità civili, diversamente dalla vecchia borghesia; 3) ha sostituito all’universalismo illuminista e dialettico l’universalismo della ragione liberale; 4) si è intestato i valori del progresso e del riformismo “scippandoli” all’avversario storico; 5) ha regalato ai partiti populisti l’egemonia politica sulle masse; 6) ha svilito la democrazia, non  più associata al dissenso organizzato e di massa ma al mero riconoscimento dei diritti umani attribuiti ai singoli individui?

Partendo da tale interrogativo, Giorgio Cesarale costruisce un percorso (“A Sinistra. Il pensiero critico dopo il 1989”, Laterza) che, data per scontata l’impotenza delle sinistre tradizionali, incapaci di far fronte alle sfide sopra elencate, tenta di cogliere i sintomi del riemergere di un “pensiero critico” che, liberatosi di categorie, paradigmi e concetti obsoleti, esplora percorsi di emancipazione alternativi. In particolare, nei cinque capitoli del libro, l’autore esamina nell’ordine: le teorie che hanno ridisegnato l’immagine del capitalismo, svelandone i rapporti strategici con una serie di fattori esterni alla sfera dei rapporti produttivi (Wallerstein, Arrighi, Harvey, Streeck, Boltanski); i profeti della morte del potere sovrano e del suo luogo d’elezione, lo stato-nazione (Agamben, Negri); le nuove definizioni filosofiche della soggettività (Badiou, Žižek, Jameson); le vie d’una possibile rianimazione della democrazia (Balibar, Rancière, Laclau); la problematica generata dalla proliferazione delle identità (Butler, Fraser, Spivak).

Il risultato è un’opera difficile da recensire. In primo luogo perché Cesarale, immagino per scrupolo di obiettività (intesa come distacco scientifico dall’oggetto di indagine), limita al minimo lo spazio dedicato ai propri giudizi soggettivi sul pensiero degli autori trattati, il che, se da un lato consente al lettore di appropriarsi autonomamente degli “attrezzi” che ritiene più congeniali al proprio modo di approcciare la realtà, dall’altro non agevola l’individuazione di percorsi trasversali fra autori e campi teorici.

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laboratorio

Chiusura di una fase e apertura di un’altra

di Domenico Moro, Fabio Nobile

PATEAAIl periodo attuale è uno dei peggiori di sempre, sia per il movimento comunista sia per la classi subalterne, in Europa e soprattutto in Italia. Le trasformazioni dell’economia mondiale hanno indebolito la classe lavoratrice europea occidentale, esponendola all’aggressione del mercato autoregolato, che ha ridotto occupazione e salari reali, nel mentre si annullava, attraverso l’integrazione europea, la sovranità democratica, sancita dalla Costituzione, ossia la capacità delle classi subalterne di incidere sulle decisioni di politica economica e sociale.

Le profonde trasformazioni economiche hanno avuto come necessario corrispettivo modifiche politiche altrettanto profonde. Il crollo dell’Urss e dei Paesi socialisti ha contribuito pesantemente al peggioramento dei rapporti di forza tra capitale e lavoro, e in Italia ha contribuito a trasformare il Pci, separandolo in due tronconi. Uno, il più grande, si è trasformato in partito liberaldemocratico, che da subito si è collocato a destra, facendosi alfiere dell’integrazione economica e valutaria europea e rappresentante del grande capitale internazionalizzato. Soprattutto, questo troncone è stato fautore del maggioritario, che ha spostato al centro, cioè sugli interessi dello strato superiore del capitale, l’asse della politica. Ciò si è tradotto nella trasformazione profonda del nostro Paese, attraverso massicce privatizzazioni e pesanti controriforme del mercato del lavoro, delle pensioni, e del welfare.

Il Partito della rifondazione comunista (Prc) ha raccolto il più piccolo dei due tronconi in cui si era diviso il Pci, aggregando anche una serie di altre organizzazioni e di individualità, che non accettavano di identificare la fine dell’Urss con la fine della prospettiva socialista. Il nome stesso del partito è significativo del senso originario del progetto: non la riproposizione sic e simpliciter del Pci ma, correttamente, la rifondazione di una teoria e di una pratica comuniste e adatte a un’epoca nuova. In realtà, negli ultimi anni la “Rifondazione” è stata intesa in modo diverso da parte della maggioranza del Partito, cioè come presa di distanza da quella parte del movimento comunista legata alla storia dell’Urss e identificata in quanto tale come “stalinista”.

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nuovaunita

La Sinistra” per riformare la UE, i comunisti contro UE e capitalismo

di Fabrizio Poggi

Man Elezioni europee 26 maggio 2019Classi sociali; antagonismi di classe; sfruttamento del lavoro salariato; dittatura della borghesia. Lotta di classe; liberazione del lavoro dal giogo del capitale; rivoluzione; eliminazione dei rapporti sociali capitalistici; dittatura del proletariato. Socialismo; comunismo.

Inutile cercare simili concetti nell'interminabile elenco di buoni propositi con cui il PRC chiama a votare per “La Sinistra” alle elezioni europee del 26 maggio. Inutile cercarveli, perché non ci sono nei programmi del PRC, con o senza elezioni europee.

La questione del voto del 26 maggio è quella che, al momento, incombe sulle scelte sia dei comunisti, sia della sinistra in generale. La questione dei punti presentati dal PRC per “La Sinistra”, in vista di quel voto, è quella che lega il momento contingente dell'atteggiamento dei comunisti nei confronti della “riformabilità” o meno della Unione Europea - che si esprime, tra l'altro, anche nella scelta di partecipare o meno al voto del 26 maggio e, se vi si partecipa, in che forma, con quale visione della UE stessa e con quali obiettivi – a quello più ampio del giudizio su tale “cartello” imperialista di potenze dal peso tra loro disomogeneo e, soprattutto, alla visione strategica del passaggio rivoluzionario dai rapporti sociali antagonistici del capitalismo al socialismo.

Lasciando per un momento in sospeso la questione della partecipazione o meno al voto per il Parlamento di un'istituzione per sua natura espressione del capitale monopolistico - l’Unione Europea, come detto nell'appello comune “per l'astensione attiva” lanciato da alcune organizzazioni comuniste, “non è riformabile a favore dei lavoratori e dei popoli, né si può “emendare”, perché è diretta dal grande capitale e dai centri di potere della finanza” - i punti (ben undici) presentati da “La Sinistra” annunciano il proposito di una “rifondazione democratica dell'Europa”, che “ponga alla sua base i diritti sociali, civili, di libertà, delle persone”, per sviluppare “tutte le forme di espressione e di democrazia diretta dei cittadini su scala europea”.

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marx xxi

Fine della sinistra italiana

di Norberto Natali

I fatti avvenuti nelle scorse settimana a Roma rappresentano un discrimine fondamentale per la sinistra. Ci sono nella storia dei momenti in cui, anche simbolicamente, si determina un cambiamento. Fu così, ad esempio, per la marcia dei 40 mila a Torino. Quello che è successo a Roma ci costringe ad aprire una riflessione. Ringraziamo il compagno Norberto Natali per questo suo contributo

 

bandiera rossa brandelliAppunti sui fatti di Torre Maura e Casalbruciato. Proposte di discussione contro i “monatti” del movimento operaio in Italia

 

1. La verità mediatica

Le forze di sinistra e più conseguentemente antifasciste, la grande stampa e radio tv più democratica (come il gruppo “Repubblica-La Stampa” o “Corsera” o conduttori come Corrado Formigli) mercoledì scorso (10 aprile 2019) si sono scatenati: dure proteste, articoli infuocati e pieni di ardore, cortei e scioperi.

Tutto ciò era giustificato: un povero operaio di 25 anni -Gabriele Di Guida- era morto schiacciato, in una fabbrica della Brianza per colpa del padronato. Il macchinario al quale era addetto, infatti, era difettoso (quindi non è stata una disgrazia accidentale ed imprevedibile) e si può immaginare la paura e la solitudine di questo ragazzo, poiché il suo ultimo atto è stato un sms alla propria fidanzata: “questa macchina non funziona bene”.

Per questo il Presidente del Consiglio è andato a visitare quella ragazza rimasta sola prima di avere una propria famiglia (comprensibilmente si è commosso incontrando la mamma di Gabriele) e il ministro dell’Interno ha tuonato sui social: “gli infami che per guadagnare di più uccidono giovani come Di Guida non devono uscire più di galera”.

Lo sdegno e la mobilitazione della grande stampa e della sinistra -Luca Casarini in testa- per questo fatto sono stati tali che hanno messo in ombra un altro grave avvenimento di quel giorno: a Casalbruciato (Roma) alcune decine di persone, della stessa classe sociale del giovane morto in Brianza, hanno impedito a un rom di accedere ad una casa del comune, sobillati dai fascisti col motivo di voler attribuire quell’alloggio ad una ragazza, madre di un bambino di pochi mesi il cui padre è un operaio precario (forse candidato alla stessa fine orribile che ogni anno tocca a migliaia di lavoratrici e lavoratori).

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Per un socialismo del XXI secolo

di Thomas Fazi

Note a margine del libro di Carlo Formenti “Il socialismo è morto, viva il socialismo!”

socialisti in movimento 620x330Ringrazio Carlo Formenti per aver scritto questo libro perché ritengo che sia un libro fondamentale per capire quello che sta succedendo: in Italia, in Europa e più in generale in Occidente (e non solo, visto che uno dei meriti dell’autore è quello di adottare una prospettiva globale). Partirei da una delle frasi che apre il testo. Formenti scrive:

«[È] mia convinzione che il socialismo sia realmente morto nelle forme storiche che ha conosciuto dalle origini ottocentesche all’esaurirsi delle spinte egualitarie novecentesche, prolungatesi per pochi decenni dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Non si è trattato di un evento (la caduta del Muro e il crollo dell’URSS hanno svolto la funzione di mera registrazione notarile del decesso), bensì di un’agonia durata dagli anni Settanta alla grande crisi che ha inaugurato il nuovo millennio. Oggi l’agonia è terminata ed è iniziata l’attraversata del deserto».

Ciò che intende Formenti è che il socialismo in Occidente non è solo morto nella prassi – come può apparire ovvio – ma è morto nella prassi perché è morto innanzitutto nella teoria. Nel senso che il pensiero socialista è stato corrotto a tal punto dalla sinistra nel corso degli ultimi quarant’anni – tanto dalla sinistra “moderata” quanto da quella “radicale/antagonista”, tanto dalla sinistra della “terza via” clintoniana/blairiana quanto dalla sinistra delle varie degenerazioni post-Settanta: post-operaista, orizzontalista, post-femminista, ecc. – da essere ormai inservibile per qualunque prospettiva di emancipazione progressiva, essendo diventato, più o meno consapevolmente, subalterno all’ideologia neoliberale – dunque all’ideologia del capitale, cioè del suo presunto nemico – con cui ormai condivide quasi in toto l’orizzonte ideologico, caratterizzato da un approccio teleologico alla globalizzazione e ai processi di mercato, intesi come naturali ed inevitabili, dal globalismo/sovranazionalismo (l’abbattimento/frantumazione delle frontiere e delle sovranità statuali inteso come destino non solo inevitabile ma anzi auspicabile), da cui ovviamente discende l’europeismo di buona parte della sinistra, dall’antistatalismo, dalla fede nella natura liberatrice e intrinsecamente progressista della tecnologia, ecc.