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cumpanis

Neomarxismo italiano: soggettività di classe, autovalorizzazione, bisogno di comunismo

di Alberto Sgalla

Sgalla per la homeEsplorare le infinite possibilità della voce per raggiungere gli estremi confini del canto … è l’universo dei valori d’uso che si scontra con la fabbrica e la produzione (N. Balestrini)

La ricerca neo-marxista

I Grundrisse, pubblicati in Occidente nel 1953, sono stati indispensabili come fonte di riferimento per la ricostruzione complessiva del grande laboratorio di pensiero marxiano e, in particolare, per quel movimento di ricerca, che si è sviluppato in Italia lungo gli anni ’60 e ‘70 (Panzieri, Tronti, Asor Rosa, Negri, Alquati, Bologna, Ferrari Bravo, Daghini, Luperini, Berti, Marazzi, Meriggi, Virno, Castellano, Màdera … “Quaderni Rossi”, “Quaderni piacentini”, “Classe Operaia”, “Contropiano”, “Aut aut”, “Primo Maggio”, “Sapere”, “Ombre Rosse”, “Controinformazione”, “Rosso” …), movimento di riflessione teorica, di analisi concreta, di critica della scolastica rigida in cui certo marxismo era rinchiuso, di recupero dei temi marxisti della prorompente soggettività di classe, della libertà, della ricerca della felicità. Quel neo-marxismo ha assunto in pieno il metodo dialettico critico e rivoluzionario, che “nella comprensione positiva dello stato di cose esistente include simultaneamente anche la comprensione della negazione di esso”.

Ha rinnovato il marxismo come teoria scientifica dello sviluppo capitalistico e della classe operaia come soggetto collettivo, sintesi di corpi, intelletti, volontà, come agente del cambiamento.

Ha analizzato la fenomenologia dei rapporti di forza fra i soggetti sociali, la nuova autonoma soggettività di classe nel nuovo assetto concreto dei rapporti che s’andavano instaurando nel processo di produzione in cui era protagonista la grande impresa fordista verticalmente integrata, poi avviata verso una forma “flessibile”, delocalizzata, specializzata per fasi, condizionata dal capitale finanziario, sovrano nell’orientare l’allocazione delle risorse.

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carmilla

Geymonat, il dito e la luna

di Nico Maccentelli

Schermata 2023 01 23 alle 17.41.47«…non vogliamo dire che tutto quello che fa un governo sia sbagliato perché capitalista. Ma una sana diffidenza di classe è d’obbligo, perché la scienza non è neutra ma può essere usata per uno scopo o per un altro, così come la tecnologia. Occorre valutare caso per caso le misure prese da un dato governo, ponendosi sempre le domande: a chi giova? Perché?»

(Valerio Evangelisti, Roberto Sassi e Nico Maccentelli, 10 agosto 2021)

«Se la scienza ci portasse a una conoscenza assoluta della realtà, noi potremmo sostenere che essa è in un certo senso neutrale, perché le verità che ci procura – in quanto assolute – non dipenderebbero in alcun modo dal soggetto che conosce, né dalle condizioni sociali in cui egli opera, né dalle categorie logiche o dagli strumenti osservativi usati per conoscere. Se, viceversa, nelle scienze (e conseguente- mente nella concezione generale del mondo che su di esse si regola e si misura) non fosse presente un secondo fattore, e cioè la realtà che esse ci fanno via via conoscere sia pure in modo relativo e non assoluto, le scienze e la filosofia risulterebbero delle costruzioni puramente soggettive: costruzioni senza dubbio non neutrali, perché dipendenti per intero dall’uomo che compie le ricerche scientifiche e dalle condizioni sociali in cui egli opera, ma in ultima istanza non neutrali solo in quanto arbitrarie. Solo la conoscenza dei due anzidetti fattori – l’uno soggettivo, l’altro oggettivo – ci fa comprendere che la scienza non è né neutrale né arbitraria. E solo l’esistenza di un incontestabile rapporto dialettico tra tali due fattori ci fa comprendere che la scienza non è suddivisibile in due momenti separati (l’uno non arbitrario e l’altro non neutrale) ma è, nella sua stessa globalità, non arbitraria e non neutrale, cioè possiede questi due caratteri intrinseci e ineliminabili»1

Questa riflessione del grande filosofo marxista nostrano Ludovico Geymonat ci porta a riflettere a nostra volta su quanto avvenuto negli ultimi tre anni, in cui il mondo si è trovato davanti a un’emergenza (creata? costruita? Anche questo fa parte della riflessione e dal reperimento di dati) come quella del Covid.

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cumpanis

Movimento comunista in Italia

di Raffaele Gorpìa*

IMMAGINE ARTOCOLO DI GORPIADelle ragioni legate all’assenza nel nostro Paese di un partito comunista degno di tale nome, dopo il suicidio del PCI, si è lungamente (e improduttivamente) dibattuto senza tuttavia che vi sia stata una univocità sostanziale di vedute che potesse contribuire alla ricostruzione di un soggetto politico rivoluzionario. Il fallimento del Partito della Rifondazione Comunista (neppure percepito come tale dai suoi attuali residui militanti), ha ulteriormente complicato le cose nell’immaginario collettivo perché avvenuto solo dopo pochi anni dal crollo del Muro di Berlino; a tal proposito, giova ricordare che oggi siamo ben lungi dall’avere una uniformità di vedute non solo riguardo alle cause che hanno portato alla dissoluzione dell’Urss ma anche rispetto alle cause profonde che hanno condotto alla morte del PCI. Possiamo però, in riferimento all’ultimo trentennio, dopo la scomparsa del PCI, in mancanza di una ricostruzione storica sistematica, almeno ripartire da alcuni elementi storici recenti e da alcune dinamiche significative di vita politica del Partito della Rifondazione Comunista nonché delle sue schegge fuoriuscite nelle varie scissioni, per cercare di comprendere alcune delle cause della drammatica fase vissuta attualmente dai comunisti in Italia, dovendo, nel frattempo, constatare ancora una volta come la storia, come diceva Antonio Gramsci, è sì maestra di vita, ma (ancora oggi), non ha scolari.

Un periodo decisivo i quadri intermedi di maggioranza del PRC lo ebbero nel momento della votazione per la partecipazione o meno ai due governi Prodi, già predisposti come erano a sostenere e votare in maggioranza le direttive del gruppo dirigente; ai quadri intermedi carrieristi interessava entrare nel governo, anche in alleanza con forze politiche antagoniste, e non importava se ciò avvenisse tenendo il cappello in mano e senza alcun reale rapporto di forza.

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sinistra

Un contadino nella metropoli, di Prospero Gallinari

Introduzione 

di Le compagne e i compagni di Prospero

Schermata del 2023 01 10 08 44 15Dieci anni fa, il 14 gennaio 2013, Prospero Gallinari moriva a Reggio Emilia. Colpito dall’ultimo e definitivo malore cardiaco, venne trovato nei pressi della sua abitazione, riverso al volante dell’automobile. Era agli arresti domiciliari per motivi di salute. Come ogni giorno, si apprestava a recarsi nella ditta dove aveva il permesso di lavorare svolgendo mansioni di operaio.

Ai suoi funerali presenziarono molte persone. Vecchi militanti delle Brigate Rosse, anziani esponenti del movimento rivoluzionario italiano, tanti emiliani che lo avevano conosciuto da giovane, e tanti giovani che avevano imparato a rispettarlo ascoltando le sue interviste, e leggendo il suo libro di ricordi intitolato Un contadino nella metropoli.

Sembrò e fu veramente un funerale di altri tempi. Una testimonianza di unione, e una occasione per legare insieme passato, presente e futuro, nel ricordo di un uomo la cui integrità era assolutamente incontestabile. La circostanza disturbò parecchio. Piovvero dichiarazioni di condanna e fioccarono persino denunce. Come si era potuto pensare di seppellire quel morto in quel modo? Ci sono cose, nel nostro paese, che non si devono fare. Scoperchiare l’infernale pentola della storia, come la chiamava Marx, può essere pericoloso.

Infatti la storia è un campo di battaglia. E lo è nel duplice senso di mostrarsi come terreno di lotta fra le classi tanto nel suo svolgimento, quanto nella sua ricostruzione postuma. Questo assunto, o se si vuole questa cruda verità, emerge nel modo più chiaro quando si parla degli anni Settanta italiani. A distanza di parecchi decenni, risulta evidente l’importanza politica e la vastità sociale del conflitto che vi si produsse fra il proletariato e la borghesia. Ma non per caso, dopo tutto questo tempo, le polemiche infuriano ancora senza esclusione di colpi, inscenando sempre lo stesso copione: il rifiuto, da parte della classe dominante, di ammettere che il proprio potere venne messo in discussione da una nuova generazione di comunisti, radicata nella società e intenzionata a dare senso concreto alla parola rivoluzione.

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perunsocialismodelXXI

Sulla crisi del movimento comunista in Italia

di Carlo Formenti

partito comunista italiano 1198985.610x431Un anno e mezzo fa (maggio 2021) spiegavo su questa pagina le ragioni per cui, dopo qualche decennio in cui, pur non avendo mai smesso di professarmi comunista, non ho svolto militanza attiva, sentivo l'esigenza di impegnarmi concretamente in un progetto politico. A sollecitare tale scelta, scrivevo, era lo spettacolo degli effetti che quarant'anni di controrivoluzione liberale hanno prodotto in termini di degrado della qualità della vita e dei livelli di coscienza civile e politica di miliardi di esseri umani. Dopodiché esprimevo la convinzione che, per cambiare le cose , non occorresse ricostruire una "sinistra", termine che ha perso ogni valenza positiva agli occhi delle masse popolari, ma rilanciare l'obiettivo del superamento della società capitalista verso il socialismo.

Nello stesso post analizzavo le ragioni del fallimento delle esperienze ascrivibili all'area dei populismi e sovranismi di sinistra, un'area che, per motivi che ho descritto in alcuni miei libri, mi era parsa più vitale delle formazioni neo/post comuniste residuate dal tracollo del PCI prima e di Rifondazione Comunista poi (1). Infine, interrogandomi su quali requisiti minimi avrebbe a mio avviso dovuto avere una formazione politica all'altezza delle sfide del nostro tempo, ne elencavo cinque:

1) un forte impegno nella ricostruzione dell’unità del proletariato distrutta da decenni di guerra di classe dall’alto, a partire dal lavoro teorico di ridefinizione del concetto stesso di classe finalizzato ad analizzare le nuove forme dell’oppressione e dello sfruttamento capitalistici, ma soprattutto non fine a sé stesso ma alla ricostruzione del partito di classe;

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machina

Intervista ad Alberto Asor Rosa

a cura di Giuseppe Trotta e Fabio Milana

0e99dc 1f3d774c6d0e4a27b00016191f836124mv2In ricordo di Alberto Asor Rosa, scomparso il 21 dicembre 2022, pubblichiamo l'intervista a lui dedicata, contentuta nel libro L'operaismo degli anni Sessanta. Da «Quaderni rossi» a «classe operaia», a cura di Giuseppe Trotta e Fabio Milana (DeriveApprodi, 2008).

* * * *

Vorrei chiederti di cominciare dai tuoi anni universitari, tra il ‘52 e il ‘56 credo, quando inizia la tua militanza politica, con l’adesione alla sezione Partito comunista. Vorrei capire se questa scelta aveva radici remote, o se è riferibile a circostanze, persone, relazioni specificamente intervenute in quel periodo.

Le radici erano nella tradizione antifascista della famiglia: padre socialista, partecipazione alla Resistenza qui a Roma con la ricostruzione del Sindacato Ferrovieri e del Partito socialista tra il personale ferroviario. Il passaggio forse è rappresentato dalla crescita di un interesse per il comunismo e il Partito comunista rispetto a una matrice che in realtà non lo era. In questo senso fondamentali sono stati i rapporti con questo gruppo della sezione universitaria Partito comunista, giovani che invece erano già comunisti da tempo, sia per tradizioni familiari che per scelte individuali. Mi riferisco a quella componente con cui io ho avuto rapporti, sia studenteschi sia politici, rappresentata dagli studenti di Lettere e Filosofia di quegli anni, in modo particolare Mario Tronti, Umberto Coldagelli e Gaspare De Caro. Quando io mi sono iscritto alla cellula di Lettere di questa sezione, il segretario era… Enzo Siciliano (!); dopo un po’ di tempo segretario della sezione è diventato Mario Tronti, che era un segretario straordinario, di gran lunga superiore intellettualmente e culturalmente a qualsiasi altro di noi.

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cumpanis

L’Occidente e la curva della rivoluzione

di Roberto Gabriele

"Cumpanis" riceve e molto volentieri pubblica questo importante contributo alla discussione del compagno Roberto Gabriele, auspicando che ciò sia l'inizio di una vera collaborazione

IMMAGINE ARTICOLO GABRIELEDa decenni molti compagni si sono arrovellati per trovare la soluzione al problema della ricostruzione di un partito popolare e di classe dopo la liquidazione del PCI, che ereditasse la parte migliore dell’esperienza comunista in Italia e rappresentasse un punto di ripresa di una visione mondiale del processo di trasformazione socialista.

La spinta emotiva per il crollo dell’URSS e lo scioglimento del PCI hanno portato a conclusioni affrettate su come reagire e questo spiega gli insuccessi registrati fino ad ora da coloro che hanno scelto la via del partito qui e subito. La valutazione è, peraltro, oggettiva e prescinde necessariamente dal grado di serietà o meno con cui questi tentativi sono stati condotti.

C’è bisogno, dunque, di ripartire da una analisi oggettiva delle cose per capire le difficoltà e i problemi da affrontare. L’analisi è tanto più necessaria quando si parla di paesi dell’occidente capitalistico, e tra questi l’Italia, dove l’urto delle contraddizioni è mediato da un sistema politico e da una condizione sociale che deve tener conto del ruolo dell’imperialismo e dei frutti che esso porta comunque alla società che lo esprime. Ricordiamoci a questo proposito ciò che Lenin sosteneva a proposito della classe operaia inglese.

Prescindendo però da considerazioni storiche, per cogliere i dati essenziali delle contraddizioni che vivono oggi anche i paesi capitalistici e porle alla base di un percorso di ricostruzione politica e organizzativa, bisogna necessariamente riferirsi all’insieme della dinamica del sistema imperiale occidentale senza cui non è possibile tracciare una strategia che punti a un processo di trasformazione del sistema economico e sociale anche in Italia.

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cumpanis

Guerra, crisi capitalista ed esigenza dell’unità delle forze comuniste, antimperialiste e anticapitaliste

Adriana Bernardeschi intervista Alberto Fazolo

Intervista ad Alberto Fazolo, giornalista, saggista, economista, militante politico antifascista e comunista. Esperto di questioni internazionali, ha vissuto due anni nel Donbass ed è autore, tra l'altro, del libro "In Donbass non si passa. La Resistenza antifascista alle porte dell'Europa", un reportage dai fronti di battaglia del Donbass, in vendita su diversi portali e-commerce

IMMAGINE INTERVISTA FAZOLO 696x928Ci troviamo all’apice della crisi del modello di sviluppo capitalista, una crisi strutturale a quel sistema economico che come già successo in passato trova la sua remissione (sempre temporanea) attraverso politiche di guerra (palliativo della sovrapproduzione) e attraverso la messa in scena della faccia “cattiva” del capitalismo, quella delle destra eversiva in grado di minare il sistema democratico per raggiungere i suoi scopi di massacro sociale. Di fronte a questo scenario, le recenti elezioni politiche hanno dato conferma della complessiva debolezza delle forze che si propongono di superare questo sistema in senso progressista, e del prendere vigore invece di quelle reazionarie e postfasciste, che raccolgono il malcontento popolare sempre più disorientato perché troppe volte tradito da chi avrebbe dovuto rappresentarlo.

* * * *

Quali sono stati, a tuo parere, gli errori più cruciali della sinistra di classe che hanno condotto a questo risultato di estrema debolezza?

R: Secondo me sono stati fatti degli errori sia di metodo che di merito, e alcuni errori sono un po’ a metà strada fra merito e metodo. Analizzare gli errori è un passo necessario per potersi migliorare risolvendoli e non ripetendoli in futuro. Secondo me il primo gravissimo errore di metodo è stato quello di accettare le regole del gioco imposte dall’avversario, e l’avversario in questo caso è lo Stato nelle sue massime espressioni, quindi Mattarella e Draghi, che hanno imposto delle elezioni in un momento in cui non ce n’era assolutamente bisogno perché Draghi aveva comunque un’ampissima maggioranza parlamentare che gli consentiva di guidare un governo senza nessuna apprensione.

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machina

Nota introduttiva alla ristampa di «classe operaia»

di Antonio Negri

0e99dc 7d6b29fed9df4fac9d177cb614a250a5mv2Nel 1979 Machina Libri decideva di ristampare «classe operaia», affidando l’introduzione a Toni Negri. Riproponiamo qui il testo per dare seguito al dibattito ex post su quell’esperienza, perché esso non si limita affatto a uno scritto di circostanza. Al contrario, Negri riflette criticamente sui limiti e sulle impasse di «classe operaia», per non tramutarla in un’inutile reliquia o in un vacuo simbolo di rassicurazione «in tempi così atroci». In particolare, sostiene che la trasformazione della composizione di classe e del soggetto di riferimento, ossia il passaggio dall’operaio massa all’operaio sociale, necessita nuovi strumenti per affrontare le inedite ambiguità e contraddizioni che le lotte hanno fatto emergere.

* * * *

Perché ristampare «classe operaia»? La decisione non è stata mia: alcuni compagni ritengono utile intraprendere questa iniziativa e mi chiedono di fare una introduzione. Debbo comunque rispondere alla proposta, in maniera affermativa o negativa. Tanto vale dunque fare l’introduzione. Ma solo per argomentare: che cosa?

Il mio consenso o il mio dissenso. Sfoglio le pagine della rivista: mi ci ritrovo, il mio ricordo ci si ritrova. Quante riunioni, quante amicizie fatte e disfatte, quante giornate di tipografia (sì, perché eravamo io e Manfredo Massironi a impaginarla e a farla in tipografia per un paio d’anni). Quante emozioni. Dunque, «classe operaia» va ripubblicata; per quale ragione? Perché è la dimostrazione di una nobile ascendenza delle posizioni politiche che gran parte del movimento svilupperà negli anni successivi? Perché è, con i «Quaderni rossi», la solida pietra sulla quale una nuova corrente del pensiero politico italiano, marxista e proletaria, è venuta costruendosi? E non sono in Italia?  Perché dunque ha una particolare importanza scientifica e le persone che hanno collaborato alla sua fattura, fanno – in una maniera o nell’altra – parte della storia del movimento proletario chez nous?

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marx xxi

La requisitoria di Sahra Wagenknecht e i suoi limiti

di Marx XXI

Sahra1Il titolo del libro di Sahra Wagenknecht – dirigente storica della Linke, partito di cui è stata vicepresidente dal 2010 al 2014 – rischia di suscitare aspettative eccessive: Contro la sinistra neoliberale (Fazi editore) evoca infatti una svolta radicale, una presa di congedo netta e senza tentennamenti da ciò che le sinistre – non solo la tedesca, bensì tutte le sinistre occidentali – oggi rappresentano. Ci si aspetterebbe, insomma, di leggere una condanna senza appello, del tenore di quella contenuta nella lettera aperta di Hans Modrow alla Linke che abbiamo rilanciato su questa pagina https://socialismodelsecoloxxi.blogspot.com/2022/02/lettera-di-hans-modrow-alla-linke-hans.html

Viceversa il punto di vista della Wagenknecht è più sfumato e contraddittorio. Non che manchino accenti durissimi nei confronti di quella che l’autrice definisce “sinistra alla moda”: come vedremo fra poco, la sua requisitoria è lunga, dettagliata e argomentata, così come è corretta la sua analisi delle radici di classe del fenomeno politico in oggetto. A lasciare perplessi è però il tentativo di tracciare un confine fra neoliberalismo “di sinistra” e liberalismo tour court; un approccio che legittima l’idea secondo cui il liberalismo di sinistra tradizionale, o liberal socialismo, non è il grembo che ha partorito l’attuale sinistra neoliberale, bensì qualcosa di completamente diverso, un patrimonio di idee e valori da cui si potrebbe trarre il materiale per rifondare una “vera” sinistra. Ma procediamo con ordine.

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nicomaccentelli

Programmi

di Nico Maccentelli

We Can Do ItHo preso le sintesi(1) dei programmi di due liste che intendono porsi in opposizione e alternativa politico-sociale ai governi fin qui avuti nel nostro paese e qui mi fermo, capirete poi il perché. I programmi sono di Unione Popolare per De Magistris e Italia Sovrana e Popolare. Li riporto qui sotto:

Partiamo da quello di Unione Popolare. Ebbi a suo tempo a criticare i testi del Brancaccio, di Tomaso Montanari e Anna Falcone, che intendevano ricostruire una sinistra alternativa al sistema vigente, ma senza mai nominare gli attori di questo sistema, mai un avversario, mai un nemico. Il risultato era una pappa melensa di buone intenzioni intrisa di giustizia sociale, ambiente pulito, parità di genere, diritti civili. Tuttavia persino quei testi, così come i programmi di Coalizione Civica e di altre listarelle della sinistra “radicale” in quota al PD per alleanze, erano meno vaghe, generiche, prive di sostanza del programma di UP.

Prendiamo alcune parole d’ordine: “Ricompensare e rispettare il lavoro”: che cosa vuol dire? Tutto e niente. Anche il padrone che usa i caporali per i campi di pomodori ricompensa il lavoro: a due euro l’ora… e allora? Mah, si poteva dire salario minimo a 10 euro, che viene detto ma nelle vertenze (e la questione della comunicazione immediata è una delle tare degli autoreferenziali…), abolire leggi come il jobs act, ripristinare l’art 18 e ampliare i diritti e le tutele sul lavoro, un governo che non guarda i profitti ma la piena occupazione, il reddito, il salario… macchè, due righe per non dire nulla sul lavoro.

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cumpanis

La “questione comunista” e la fase che viviamo

di Fosco Giannini

50735“Si abbonda nei dettagli, quando a mancare è l’essenza”. È una citazione di Luigi Pintor, che invita noi comunisti italiani a non perderci in mille fumisterie, ma andare all’essenza delle cose. E tale essenza è la seguente: il movimento comunista italiano versa, oggi, in una crisi profondissima, una crisi innanzitutto teorica, ideologica e conseguentemente sociale e politica, una crisi enorme di radicamento, di militanza, di capacità di elaborazione tattica e strategica. Tutto ciò in forte e nefasta controtendenza con lo stato delle cose del movimento comunista, antimperialista e rivoluzionario mondiale che, in questa fase, governa circa un quinto dell’intera umanità e agisce positivamente su oltre la metà della popolazione mondiale e su tanta parte degli Stati del mondo.

Una crisi, questa del movimento comunista italiano, che si manifesta nel pieno della sconfitta strategica del sistema capitalista, platealmente incapace di uscir fuori dalle gigantesche contraddizioni – sociali, economiche, politiche, culturali – da esso stesso prodotte se non attraverso l’acutizzazione dello sfruttamento operaio generale e internazionale, sulla spoliazione dei popoli e attraverso le guerre.

In sintesi: è lo stesso, attuale, contesto storico e internazionale a rendere oggettivamente necessaria la presenza del partito comunista in Italia, necessitato il suo ruolo politico e sociale. Sarebbe lo stesso quadro mondiale a favorire l’unificazione e il rafforzamento del movimento comunista italiano, se ciò non fosse scientemente impedito dalla presunzione e dalla cieca ostinazione alla divisione praticata dai diversi gruppi dirigenti comunisti italiani.

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cumpanis

Rivoluzione e Partito comunista

di Renato Caputo (Collettivo La Città Futura)

Perché non si può realizzare il fine senza il mezzo indispensabile alla sua realizzazione, né il mezzo è effettivamente tale senza il fine al quale è necessario

IMG 20220720 173842Come è nota la scienza politica moderna si fonda sul pensiero di Machiavelli, al centro del quale vi è la radicata convinzione che un grande obiettivo divenga praticabile – non rimanendo una mera utopia – solo nel momento in cui si individuano e si mettano a frutto i mezzi indispensabili alla realizzazione di tale grande ideale. Nella nostra epoca quest’ultimo, naturalmente, non consiste più nella fondazione di un moderno e unitario Stato nazionale – grande obiettivo e ideale storico dell’epoca di Machiavelli – ma nella realizzazione di uno Stato socialista quale necessaria e indispensabile fase storica di transizione da una società capitalista e/o imperialista a una società comunista. Per poter seriamente e conseguentemente operate in funzione di questo grande ideale e renderlo praticabile necessariamente abbiamo oggi bisogno – come peraltro ci insegna già Gramsci – di un mezzo indispensabile, cioè di quello che il più significativo marxista e comunista italiano definiva il “moderno principe”. In effetti, come argomenta già Gramsci, suffragando la propria tesi con una grande raccolta di dati e di esempi storici, nella nostra epoca il soggetto rivoluzionario non può più essere un grande personaggio storico universale, come il Principe, ma un soggetto collettivo, cioè il partito politico effettivamente rivoluzionario, il partito comunista.

Non a caso la prima grande battaglia politica condotta da Marx e da Engels è stata volta a trasformare la Lega dei giusti nella Lega dei comunisti e la loro prima grande opera teorica della maturità ha portato alla realizzazione di un efficacissimo strumento, indispensabile al passaggio dal socialismo utopistico al socialismo scientifico, cioè la realizzazione di un grande Manifesto del partito comunista.

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cumpanis

Senza partito comunista non c’è rivoluzione

di Alessandro Testa

IMG 20220801 105021 1024x768"Senza un’avanguardia che operi per sostenere la classe nel suo faticoso cammino verso l’acquisizione di una sua coscienza propria e quindi, verso la comprensione dei suoi reali interessi e finalmente verso una lotta senza quartiere contro l’inumano e alienante modo di produzione capitalistico e contro le sue sovrastrutture – Stato, modelli sociali, cultura (o meglio “dis-cultura”) – di quale rivoluzione si potrebbe mai sognare?"

Riprendiamo in queste brevi note alcune delle riflessioni, di grande profondità teorica e importanza pratica, poste dal compagno Valentini, proponendoci di chiosarle con qualche commento che possa, nello spirito di franchezza dialettica propria della discussione ideologica marxista leninista, esaminarne la portata ed eventualmente sottolinearne eventuali criticità o punti meritevoli di approfondimento.

Valentini pone sin dall’inizio una considerazione forte e piuttosto tranchant: a suo avviso più che di comunismo bisognerebbe – in questa fase storica – parlare piuttosto di rivoluzione. Il suo incipit, forte e deciso, è questo:

“Quando sostengo la necessità di un nuovo soggetto politico per l’Italia e per l’Europa non ripropongo la questione comunista, anzi uso raramente la parola comunista e solo in occasione di riferimenti storici. Sono fermamente convinto che non è tramite il rilancio di un movimento comunista che si possa uscire dalla situazione di subalternità al pensiero liberale”.

Come tutti gli intellettuali di vaglia, Valentini supporta la sua idea con dovizia di riflessioni e puntuali citazioni di Marx, Engels e altri giganti del pensiero comunista, citazioni che per non dilungarci non riportiamo qui, rimandandovi alla lettura del saggio integrale del compagno, pubblicato in un precedente numero di Cumpanis.

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cumpanis

Questione comunista o questione della rivoluzione in Occidente?

di Sandro Valentini

A partire da questo intervento inviatoci dal compagno Alessandro Valentini, apriamo un dibattito sulla fase attuale del movimento comunista in Italia e il ruolo del Partito Comunista

copertina 16Comunista o rivoluzionario?

Quando sostengo la necessità di un nuovo soggetto politico per l’Italia e per l’Europa non ripropongo la questione comunista, anzi uso raramente la parola comunista e solo in occasione di riferimenti storici. Sono fermamente convinto che non è tramite il rilancio di un movimento comunista che si possa uscire dalla situazione di subalternità al pensiero liberale. Non è che non consideri le esperienze in cui i comunisti svolgono un ruolo importante, decisivo, strategico. Per esempio in Cina, in Russia, in Vietnam, a Cuba e in altri paesi, ma non è un caso che queste esperienze, tolte delle eccezioni, siano vive, influenti, contino in paesi non occidentali e siano espressione di complessi processi storici, che piaccia o no, si riflettono e pesano nello scenario internazionale.

D’altronde occorre avere in mente la storia. Lenin trasforma la fazione bolscevica del Partito socialdemocratico russo in Partito comunista e fonda sulla spinta dell’Ottobre l’Internazionale perché è certo del trionfo anche in Occidente, nel breve periodo, della rivoluzione. I partiti comunisti non nascono dunque per condurre una battaglia di lunga lena, non era questa la prospettiva indicata dai comunisti russi, ma per fare da subito la rivoluzione in quanto imminente. I partiti comunisti, solo alcuni anni dopo la loro nascita, che tra l’altro coinciderà con la loro sconfitta in Europa, cercheranno – e solo pochi ci riusciranno – di riorganizzarsi per darsi una politica di lungo respiro, che avrebbe dovuto tenere conto del ripiegamento del Pcus, con Stalin, sul socialismo in un solo paese.