Marx era consapevole della difficoltà che l’idea di classe poneva come categoria che rappresenta un insieme eterogeneo di lavoratori, perché sapeva che il proletariato era composto non solo dagli operai di fabbrica ma da tanti altri lavoratori che, al pari di oggi, avevano in comune il fatto di trovarsi nella stessa posizione nei rapporti di potere. Tuttavia, nel pieno del capitalismo industriale, la classe in termini marxiani ha rappresentato una categoria utile a descrivere l’asimmetria dei rapporti di produzione e come questi fossero...
Premettendo che l'uscita di CS dai social ebbe molte ragioni circostanziate e che continuo a pensare che i social network siano già da tempo "territorio nemico", cominciamo mettendo in rilievo l'annuncio nell'articolo: Sabato 11 Maggio alle ore 10 presso il Centro Congressi Cavour sito a Roma in Via Cavour 50/a, ci riuniremo per il decennale de L’Interferenza e sarà l’occasione, oltre che per un dibattito politico sui vari temi di politica e di politica internazionale, anche per lanciare una battaglia per la libertà di informazione, per...
I ricchi sono sempre più ricchi, i poveri sono sempre più poveri. Alla base del divario, tra gli altri fattori, anche le eredità che in molti Paesi passano di mano senza essere tassate, o quasi. Così per la prima volta in 15 anni, secondo i dati di Forbes, tutti i miliardari sotto i 30 anni hanno ereditato la loro ricchezza. Detto in altri termini: nessuno di loro ha un’estrazione socio-economica familiare differente e si è “fatto da solo”. Addio ascensore sociale: il “grande trasferimento di ricchezza” – 84.000 miliardi di dollari nei...
Il giornale statunitense Politico ha intervistato alcuni ufficiali militari ucraini di alto rango che hanno prestato servizio sotto il generale Valery Zaluzhny silurato a febbraio da Zelenski. Le conclusioni sono che per l’Ucraina “il quadro militare è cupo”. Gli ufficiali ucraini affermano che c’è un grande rischio che le linee del fronte crollino ovunque i generali russi decidano di concentrare la loro offensiva. Inoltre, grazie a un peso numerico molto maggiore e alle bombe aeree guidate che stanno distruggendo le posizioni ucraine ormai...
L’assassinio del generale Reza Zahedi in un edificio dell’ambasciata iraniana di Damasco, assassinato insieme ad altri membri delle guardie rivoluzionarie, supera un’altra delle linee rosse che normalmente hanno limitato la portata dei conflitti del Secondo dopoguerra, evitando al mondo escalation ingestibili (il mondo guidato da regole esisteva prima dell’89; dopo il crollo del Muro, le regole sono state riscritte a uso e consumo degli Usa…). Anzitutto perché Israele ha colpito un alto ufficiale di una nazione non ufficialmente in guerra....
Sul quotidiano La Stampa di ieri è stata pubblicata una significativa intervista al fisico Carlo Rovelli che ha preso posizione a sostegno delle mobilitazioni degli studenti che chiedono la sospensione della collaborazione tra le università italiane e le istituzioni israeliane. Qui di seguito il testo dell’intervista Carlo Rovelli, fisico teorico, autore dei bestseller di divulgazione scientifica “Sette brevi lezioni di fisica” e “L’ordine del tempo”, non è uno da giri di parole. Nemmeno quando le idee rischiano di essere impopolari. Di...
Riporto questo articolo di Xi Jinping uscito ieri sul L’Antiplomatico, che conferma quanto ho avuto modo di analizzare in un mio contributo apparso si Carmilla e ripreso da Sinistrainrete poche settimane or sono. Non starò a ripetermi in queste sede e in estrema sintesi, mi limito a ribadire che quello cinese non è socialismo, ma nell’ambito di un processo internazionale multipolare occorre sostenere tutte le forze e i paesi che vanno in quella direzione e che di fatto contribuiscono al declino storico e generale dell’imperialismo atlantista,...
Mi scuso con chi legge questo articolo perché era mia intenzione aprire alla grande con una congrua citazione marxiana dai Grundrisse, quella che si avvia con: «Der Krieg ist daher eine…». Poi ho assistito in TV a una pensosa trasmissione condotta dal noto filosofo con nome primaverile, Fiorello, e ho cambiato idea. Il pensatore ha introdotto la categoria post-postmoderna di Ignoranza Artificiale. A questo punto ho meditato. Grande LLM di GPR-3! Grandissimo PaLM-2 che è addestrato da 340 miliardi di parametri! Grandioso GPT-4 addestrato da un...
Terminata la lettura delle scarse 150 pp. del volume di Stefano Isola, A fin di bene: il nuovo potere della ragione artificiale (Asterios, 2023), la sensazione è di inquietudine. Il dibattito sulle potenzialità della cosiddetta “intelligenza artificiale” (AI) è salito al punto da echeggiare i temi della fantascienza sulla “rivolta delle macchine”. Impressiona il fatto che la denuncia dei rischi venga non da qualche sorta di “primitivista”, ma da imprenditori del settore e da ricercatori. “Il 49% dei ricercatori di intelligenza artificiale ha...
Aleksandr Herzen diceva che il nichilismo non è il voler ridurre le cose a nulla, bensì riconoscere il nulla quando lo si incontra. La nulliloquenza non sarebbe difficile da individuare, dato che consiste nel muoversi costantemente su categorie astratte senza mai scendere nel dettaglio concreto. Purtroppo a volte è sufficiente drammatizzare la mistificazione nel modo giusto per far cascare l’uditorio nell’illusione. Nel gennaio scorso ci hanno raccontato la fiaba sul liberista, “libertario” e “anarco-capitalista” Xavier Milei, neo-presidente...
Ieri sera nel salotto di Floris il padre di Ilaria Salis ha pronunciato le seguenti parole: “Mia figlia è in carcere perché è una donna, perché è antifascista e perché non è ungherese”. Ora, un padre direbbe e farebbe di tutto pur di tirar fuori la propria figlia dalla galera, e questo ci sta tutto ed è ciò che lo nobilita. Dopo di che se crede o meno in ciò che dice o sia solo una escamotage per aiutare la figlia non lo sappiamo perché non siamo nella sua testa e, tutto sommato, è anche irrilevante saperlo. Chiarito questo, lo spropositato...
In prima serata per modo di dire, ovviamente. Come diceva qualcuno, se campi abbastanza ne vedi di tutte le specie. Aggiungerei che finisci per vedere tutto e il contrario di tutto. Esce su Netflix Il problema dei tre corpi e improvvisamente tutti parlano di caos deterministico, il che è molto curioso ai miei occhi. È molto curioso perché mi ricordo molto bene di quando iniziai a parlare di teorie del caos. Fu nel 2016 e il partito de lascienza ci mise poco a classificare la cosa: "le teorie del caos sono un marker dell'antivaccinismo". Mi...
Quattro autorevoli personalità tedesche – Peter Brandt, storico e figlio del cancelliere Willy Brandt, il politologo Hajo Funke, il generale in pensione Harald Kujat e Horst Teltschik, già consigliere del cancelliere Helmut Kohl – hanno presentato un piano di pace (qui il testo tradotto) altamente competente e realistico su come si potrebbe porre fine alla guerra in Ucraina attraverso un cessate il fuoco e successivi negoziati di pace. Si tratta probabilmente della proposta di pace più completa e innovativa che sia stata avanzata da un...
Quando il conflitto in Ucraina passerà alla storia, le passioni si placheranno e gli storici professionisti inizieranno ad analizzare gli eventi del recente passato, rimarremo tutti scioccati: come è potuto accadere che abbiamo accettato per oro colato un'ovvia menzogna? È consuetudine ironizzare sul passato di Vladimir Zelenskyj nel mondo dello spettacolo, ricordando come simulava suonare il pianoforte con i genitali per il divertimento del pubblico. C'erano altre battute di basso livello nel suo repertorio. Ma questo fu l’inizio, e...
Il libro di Giorgio Monasterolo, Ucraina, Europa mondo. Guerra e lotta per l’egemonia mondiale, pubblicato dalla casa editrice Asterios (2024), affronta l’argomento guerra in Ucraina e quella fra Israele e palestinesi della striscia di Gaza rispondendo contemporaneamente a due domande: come scoppiano i conflitti militari e perché. E’ opportuno, sostiene, spostare l’attenzione dal “come”, dalla logica aggressore-aggredito – secondo la quale la guerra ucraina è iniziata nel 2022, con l’attacco russo e quella di Gaza nell’ottobre 2023 con il...
«Indipendentemente dalla volontà degli uomini e delle autorità che li dirigono», scrive Fernand Braudel, i fenomeni collettivi si generano, accadono, tramontano, mutano (Civiltà materiale, economia e capitalismo (secoli XV-XVIII), vol. III, I tempi del mondo, trad. di C. Vivanti, Einaudi, Torino 1982, p. 65). Una volta avviate, le dinamiche sociali e politiche vivono di vita propria, seguendo regole certo non rigide come quelle che guidano il mondo fisico ma molto forti e a volte assai simili ai principi che sottendono le trasformazioni...
Dall’intelligenza artificiale allo sfruttamento dei satelliti. Dai dati sul traffico marittimo alle operazioni di compravendita che si chiudono in millesimi di secondo. Vale tutto sui mercati finanziari, pur di vincere la gara. Arrivare per primi, avere le informazioni una frazione di istante prima degli altri. Essere i più veloci a realizzare qualsiasi operazione di acquisto o vendita. Secondo un recente articolo di Les Echos alcuni fondi analizzano le foto satellitari dei porti per monitorare il numero di container in attesa. L’analisi di...
Dopo sole 24 ore dall’orribile eccidio del 22 marzo al Crocus City Hall di Mosca, che ha provocato la morte di almeno 137 persone innocenti e il ferimento di altre 60, i funzionari statunitensi avevano attribuito la responsabilità del massacro all’ISIS-K, la branca di Daesh dell’Asia centro-meridionale. Per molti, la rapidità dell’attribuzione aveva sollevato il sospetto che Washington stesse attivamente cercando di spostare l’attenzione dell’opinione pubblica occidentale e del governo russo dai veri colpevoli – l’Ucraina e/o la Gran...
Il deficit pubblico incrementa il risparmio privato, e il debito pubblico E’ risparmio privato. Queste affermazioni, che dovrebbero essere sostanzialmente ovvietà, se non tautologie, sono nondimeno fortemente avversate dagli euroausterici. Spesso il loro tentativo di confutazione s’impernia grosso modo su quanto segue. Sì certo, il deficit pubblico mette soldi a disposizione del settore privato. Ma questi soldi rimangono in tasca ad alcuni soggetti, non a tutti. C’è chi riesce a risparmiare, magari anche parecchio, e magari utilizza il...
Il mondo è in grande trasformazione, con cambiamenti mai visti prima, come scrivono da diverso tempo i compagni cinesi. Siamo entrati in una nuova fase della storia mondiale, una fase di guerre aperte – dalla proxy war di USA-NATO-UE contro la Russia in Ucraina, al Vicino Oriente, con la guerra genocida di Israele contro la resistenza palestinese. A differenza delle guerre del precedente trentennio post-sovietico – aggressioni unilaterali USA-NATO contro Paesi e popoli che in un modo o nell’altro erano di ostacolo alla marcia...
«Le Università non possono schierarsi o entrare in guerra», ha detto giorni fa la ministra Anna Maria Bernini. «Ritengo ogni forma di esclusione o boicottaggio sbagliata ed estranea alla tradizione e alla cultura dei nostri Atenei da sempre ispirata all’apertura e all’inclusività». E’ questo il mantra ripetuto e declinato da tutti i difensori degli accordi esistenti tra università italiane e israeliane. Che non sempre si fermano sul limite segnato dalla Costituzione, ossia l’autonomia garantita degli atenei. Il loro obiettivo è stigmatizzare...
In una lunga intervista concessa alle Izvestija, il Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov si è soffermato particolarmente sul piano di pace proposto dalla Cina per il conflitto in Ucraina, dandone un’altissima valutazione. Nonostante che tale proposta sia stata avanzata oltre un anno fa, a parere di Lavrov è tuttora attuale, proprio perché è inquadrata nel complesso della sicurezza collettiva mondiale, il cui rifiuto da parte occidentale, nel dicembre 2021, aveva condotto alla crisi attuale. Sul sito REX, il politologo Vladimir Pavlenko...
Qualche giorno fa, durante una protesta davanti all’ambasciata israeliana di Città del Messico, qualcuno ha gridato degli slogan antisemiti. Era un provocatore ed è stato subito isolato. Tuttavia, la questione è delicata perché lo Stato sionista sta sfruttando l’innegabile recrudescenza dell’antisemitismo dopo l’invasione di Gaza per giustificare i propri crimini. Tale narrazione è legittimata da un fatto storico: gli ebrei sono stati vittime di uno dei più grandi massacri della storia, l’Olocausto (Shoah in ebraico), compiuto dai nazisti nel...
“Ne abbiamo abbastanza dei diktat dell’UE”. A dirlo è la 41enne eurodeputata Kateřina Konečná, leader del Partito Comunista di Boemia e Moravia (KSČM) che ha promosso una coalizione elettorale denominata “STAČILO!”, letteralmente “Basta!” con cui ricandidarsi al parlamento dell’Unione Europea in giugno. Definita come l’unica “opposizione rilevante”, la nuova coalizione ritiene che alla tradizionale divisione fra destra e sinistra occorra preferire oggi, in un’epoca storica nuova, un altro tipo di distinzione, basata su due priorità: quella...
Guardando i video provenienti da Gaza si rimane colpiti dalla ferocia dell’esercito israeliano; è percepibile in ogni gesto, persino nell’irrisione gratuita dei bambini. Non c’è alcuna giustizia in essa, alcuna coscienza etica o azione giustificata; c’è soltanto una gigantesca volontà di annichilire i palestinesi. Ferocia, crudeltà, terrore. Qualsiasi termine si usi per descrivere il comportamento dell’esercito israeliano, anche il più preciso, non sarà mai in grado di rappresentare compiutamente quello che sta accadendo realmente a Gaza. Che...
La Corte di Giustizia Internazionale dell’Aia ha ammonito Israele a permettere “senza indugio […] la fornitura… di servizi di base e di assistenza umanitaria urgentemente necessari”, cioè alimenti, medicine, carburante e altri beni essenziali. La Corte e il genocidio di Gaza È la seconda volta che la Corte, chiamata a vigilare sul crimine di genocidio, si pronuncia sulla guerra di Gaza. A gennaio emanò una sentenza nella quale richiamò Israele a prevenire il crimine di genocidio contro i palestinesi, imponendo, tra le altre cose, di cessare...
In un articolo del 23 febbraio dicevamo: «Ma il punto più interessante riguarda l’automotive (il Parlamento europeo ha bocciato la proposta sul regolamento “Euro 7”). Questa doveva essere la vera grande “rivoluzione” che avrebbe comportato, non solo il rinnovo dell’intero parco macchine, ma anche una svolta nelle abitudini quotidiane dei cittadini europei. Ebbene, che cosa è successo? Che la Cina si è lanciata prima e meglio dell’Europa sul settore, praticando con una accorta politica di programmazione a lungo periodo, che ha coinvolto le...
Alla fine degli anni ’90 scriveva il docente statunitense Mike Davis: “Se oggi Marx fosse vivo sottolineerebbe il carattere allucinatorio della visione che ha galvanizzato le masse durante le cosiddette rivoluzioni del 1989. Il miraggio verso cui milioni di persone marciavano era la cornucopia del fordismo: cioè la società dei consumi di massa, con alti livelli di salari e di consumi, tuttora identificata con lo stile di vita americano (e del Nord Europa). La sola emancipazione raggiunta dagli sfortunati cittadini dell’ex blocco di Varsavia è...
Il 24 marzo 1976 tre criminali scesero da un bel carro armato davanti alla Casa Rosada. Per iniziare le loro attività promulgarono la pena di morte per tutti coloro che conducessero attività sovversive, abolirono i diritti civili e sciolsero il parlamento. Comprensiva, la Corte Suprema stabilì che gli “atti sovversivi” sarebbero stati esclusi dalle competenze degli organi giudiziari regolari ma, per evitare eventuali perdite di tempo, vennero sospesi tutti i magistrati ritenuti non collaboranti. Nel pomeriggio furono vietati i partiti...
A sei mesi dall’inizio della guerra lampo di Israele su Gaza, l’intelligence militare dello stato occupante ha riconosciuto con riluttanza ciò che molti sospettavano: ottenere una vittoria decisiva su Hamas è un obiettivo irraggiungibile. Nonostante la retorica iniziale del primo ministro Benjamin Netanyahu di annientamento totale, la realtà sul campo racconta un’altra storia. Tzachi Hanegbi, capo della sicurezza nazionale israeliana, aveva precedentemente dichiarato che Israele si sarebbe accontentato solo della “vittoria totale”. Eppure,...
Il conflitto tra Russia e Ucraina pare impantanato in una sostanziale situazione di stallo che allontana sempre più l’ipotesi di una risoluzione militare degli eventi. I mesi passano, uno dopo l’altro e uno identico all’altro, con un portato di morte e distruzione che monta a dismisura. Nulla di tutto questo, però, pare scalfire la determinazione con cui le principali potenze occidentali perseverano nell’applicare all’Ucraina il principio del ‘vai avanti tu, che a me viene da ridere’, continuando a soffiare sulle braci di una guerra per...
Truppe, armi e propaganda, ma non solo. I soldi, non mancano mai i soldi. Quando si volesse cercare un elemento simbolico per descrivere la crisi d’identità politica e di prospettiva dell’Unione Europea, ormai estensione statunitense, c'è la vicenda del sequestro dei beni russi a seguito del conflitto in Ucraina. La vicenda in sé, infatti, presenta una miscela di subordinazione ideologica, illegittimità giuridica e incapacità politica facile da descrivere. Il Consiglio d’Europa, riunito la settimana scorsa a Bruxelles per affrontare la...
Il tentativo di ricondurre l’attentato di Mosca a una macchinazione del Cremlino, oltre che di buon gusto appare privo di fondamento logico, mancando di spiegare in modo credibile per quale ragione e con quale obiettivo il governo russo avrebbe dovuto organizzare un attentato di certe proporzioni colpendo la propria popolazione. Piaccia o non piaccia il consenso di Vladimir Putin è ai massimi storici, indipendentemente dal trascurabile e recente evento elettorale. Il quadro politico e militare non rende necessario alla dirigenza russa alcun...
Anche il più orribile dei crimini, come il genocidio a Gaza, può essere un espediente per distrarre da qualcos’altro, magari da qualche orribile segreto. Peccato che sia la stessa propaganda israeliana ad aver lasciato tracce di quel segreto. Dieci anni fa uno dei principali organi della lobby israeliana, la Anti-Defamation League, pubblicava un lungo articolo in cui ci si intratteneva con la descrizione della minaccia costituita dai tunnel di Hamas al confine tra Gaza e Israele. L’IDF (Israeli “Defense” Force; Israele si difende sempre,...
Nella visione comune educazione e violenza rappresentano i poli opposti di una questione le cui origini sono archetipiche. Il rapporto da esse intessuto può infatti essere ricondotto a quello tra civiltà e barbarie. L’educazione – si dice – è strumento della civiltà, educhiamo e siamo educati per essere civili. Già l’etimo lascia, apparentemente, pochi spazi ermeneutici, data l’origine dal latino educere, ex-ducere: condurre, tirare verso l’esterno, insomma strappare dall’ignoranza per condurre entro i sicuri confini della civiltà. La...
Sahra Wagenknecht: «Ue troppo centralista, l’Ucraina non può vincere. È vero che molti elettori della vecchia sinistra sono andati a destra, non perché razzisti o nazionalisti, bensì perché insoddisfatti» Ha fondato un partito che porta il suo nome, perché – sostiene – il principale problema dei progressisti europei è che «la loro clientela oggi è fatta di privilegiati». I detrattori la accusano di essere populista, ma il partito cresce e in alcune regioni dell’Est è la seconda o terza forza. Abbastanza da poter rompere gli equilibri della...
Alla vigilia della Prima guerra mondiale il sentimento dominante in Europa, il “topos”, era quello della improbabilità della guerra. Un sentiment che le spregiudicate prese di posizione di molti governanti europei tendono a riproporre In queste settimane si è tornati a parlare di un libro del 2013 di Christopher Clark sulla genesi della prima guerra mondiale, “I Sonnambuli. Come l’Europa arrivò alla Grande Guerra”, nel quale i leader che portarono i loro paesi in guerra vengono definiti sonnambuli. Cioè attori che incedevano irresistibilmente...
A Belgrado, quando l’Europa ha mutilato se stessa per la voglia USA di sfondare la porta jugoslava, e poi serba, verso l’Eurasia. All’ONU un voto che sembra per una tregua Gaza, ma è per salvare la pelle al mostro bellicista nelle elezioni che devono sancire la guerra degli isolani anglosassoni ai continenti-mondo. A Londra, magistrati di una corte che definiscono alta (High Court), ma che si sa popolata da cortigiani al servizio del sovrano, hanno ripetuto il rito col quale se l’erano cavata tempo fa: richiesta agli USA di fornire garanzie...
“Terza guerra mondiale?” è la domanda che ci stiamo facendo da diverse settimane e “Il fattore Malvinas” è la risposta, -anzi l’incognita- che si sono dati Daniele Burgio, Massimo Leoni, Roberto Sidoli (“Terza guerra mondiale? Il fattore Malvinas”, L’AD Edizioni 2024) in un’ordinata e dettagliatissima analisi sulla convivenza con la consapevolezza atomica dal 1945 a oggi; un libro francamente irrinunciabile se non si vuole rischiare di saltare in aria senza almeno aver compreso come siamo arrivati a questo punto. I fatti raccontati si sono...
Dalla fine del ciclo di lotte degli anni Sessanta e Settanta, è la prima volta che assistiamo alla nascita e allo sviluppo, contemporaneamente e a livello mondiale, di movimenti sociali a carattere antagonistico. Le insorgenze dei trent’anni precedenti – a eccezione del ciclo No Global da Seattle a Genova – erano di tipo «single issue» (movimenti studenteschi, lotte per la pace, contro il nucleare, per i diritti delle donne e dei gay ecc.) né hanno mai assunto – se non marginalmente – carattere anticapitalistico. Anche la marea di rabbia e di odio che oggi vediamo montare a livello globale – dalla primavera araba agli indignati di Spagna, Grecia e Israele, da Occupy Wall Street alle lotte degli operai e contadini cinesi e di altri paesi in via di sviluppo – assume solo episodicamente una natura esplicitamente antagonista, ma il radicale rifiuto di mediazioni politiche istituzionali, di ogni forma di rappresentanza, così come le pratiche di autogestione e autoorganizzazione delle lotte e l’identificazione del nemico principale nella finanza globale e nei governi, di destra e di sinistra, che ne incarnano gli interessi, sembrano condurre in tale direzione.
Le cause del processo sono già state ampiamente analizzate, per cui mi limito a richiamarle brevemente, per passare subito dopo al tema centrale di questo intervento. Decenni di controrivoluzione liberista e di finanziarizzazione dell’economia hanno spazzato via il compromesso fra capitale e lavoro fondato sul welfare. Oggi ai proletari (e alle classi medie proletarizzate) non serve leggere Stato e rivoluzione per capire che lo Stato borghese non è cosa che possa servire – anche in minima parte – i loro interessi. Del resto, non esiste nemmeno più una classe borghese capace di delegare alla politica la gestione di un «interesse generale», sia pure inteso come interesse di tutta la borghesia e non di singole frazioni di essa, esistono solo caste politiche che servono – cinicamente e alla luce del sole – gli interessi delle lobby finanziarie.
Viviamo una situazione in cui il «piano del capitale» si riduce alla creazione e al mantenimento di condizioni che consentano la realizzazione del massimo profitto in tempi brevi, in cui le politiche economiche degli Stati-nazione, anche i più potenti, obbediscono a imperativi di breve termine della finanza globale, senza riguardo agli effetti di medio lungo termine – deindustrializzazione, disoccupazione di massa, immiserimento assoluto e relativo di larghi settori della popolazione ecc. Viviamo sotto regimi politici in palese difetto di legittimazione, che hanno perso ogni parvenza – anche formale – di democraticità (vedi il diktat europeo che ha vietato ai greci di votare sulle misure «anticrisi»), regimi postdemocratici, caratterizzati da processi di personalizzazione e spettacolarizzazione di una politica ridotta a rappresentazione mediatica, dove i cittadini possono «scegliere» fra due destre che si contendono il ruolo di realizzare programmi identici.
Nessuno stupore, quindi, se da un corpo sociale martoriato riemergono spinte e umori antagonisti (stupisce anzi che non sia avvenuto prima, e con radicalità maggiore). Ciò detto, sarebbe lecito aspettarsi una fioritura di riflessioni teoriche sui seguenti interrogativi: disponiamo d’un modello organizzativo in grado di coordinare, estendere e consolidare i movimenti? Esiste un programma in grado di unificarli? Possiamo immaginare la transizione a una civiltà postcapitalista? Invece siamo costretti ad ammettere che ci troviamo di fronte a un grado zero della teoria rivoluzionaria. Appurato che nulla del genere possiamo attenderci da quanto resta del movimento operaio tradizionale (il quale, dopo la conversione delle socialdemocrazie alla retorica della «terza via», si riduce ad alcune frange sindacali e alla rissosa galassia di partitini neocomunisti), le sole componenti che tentino di balbettare qualcosa in proposito sono neoanarchici e neooperaisti. Balbettii che, ad avviso di chi scrive, sono ancora lontani dall’offrire efficaci linee guida per favorire un salto di qualità dell’azione spontanea dei movimenti.
Partiamo dai neoanarchici. Occorre essere ottusi, leggiamo nel pamphlet L’insurrection qui vient (La fabrique éditions, 2007) pubblicato qualche anno fa dal collettivo Comité invisible, per non capire che c’è del politico in ogni negazione radicale della politica. Un’affermazione cruciale, nella misura in cui pone una differenza fra la politica intesa come sistema istituzionale e il politico inteso come dimensione dell’agire sociale. La distinzione appare tanto più significativa in quanto proviene da una cultura politica che si oppone per principio a qualsiasi organizzazione partitica, in quanto anche quelle che si dicono rivoluzionarie, si dice, operano come «stati in miniatura», adottano la stessa logica di ciò che affermano di voler distruggere. Pur attribuendo la dignità del politico solo alla spontaneità dei movimenti, dunque, anche la teoria anarchica ammette l’esistenza di un’«autonomia del politico», se non come dimensione separata dal sociale, almeno come dimensione tattica dell’agire, come necessità di decidere nella contingenza di questa o quella fase determinata della lotta; o, se si preferisce, come scarto fra capacità di immaginare un futuro differente e capacità di compiere passi concreti per tradurre l’immaginazione in realtà. E occorre anche riconoscere che, rispetto alla sua tradizione, la teoria anarchica ha compiuto sforzi significativi per identificare quali modelli organizzativi, e quali pratiche di movimento potrebbero favorire un processo rivoluzionario non destinato a produrre nuove forme di dominio. Il modello è, in buona sostanza, quello dei network orizzontali fondati sui nuovi media, un modello che si vorrebbe calare dal mondo virtuale nella realtà sociale promuovendo la proliferazione di comuni. Tanto nel testo citato poco sopra, quanto negli scritti di David Graeber, per comuni si intendono dei gruppi di affinità decentrati e orizzontali che prendano decisioni attraverso rigorose procedure di consenso (mutuate dalla pratica femminista, ma anche simili a quelle delle prime comunità hacker). L’insurrezione, da questo punto di vista, non è altro che la proliferazione delle comuni, delle loro relazioni e articolazioni, una proliferazione che Graeber definisce «contaminazionismo»: i militanti che sperimentano l’esperienza dell’azione diretta diventano agenti di diffusione di analoghe esperienze, secondo un modello che evoca il concetto di diffusione virale di idee attraverso la rete. Il tutto, ovviamente, in assenza di leader e gerarchie, in quanto a decidere sono i collettivi attraverso la pratica del consensus process. Molti collettivi degli indignati sembrano funzionare effettivamente in questo modo, ed è difficile stabilire in che misura si tratti di comportamenti spontanei o del frutto dell’egemonia delle correnti politiche che stiamo qui analizzando (che pure vedono come il fumo negli occhi il termine egemonia, ma è la contraddizione in cui cade fatalmente chiunque voglia «organizzare la non organizzazione»!). Ma la vera questione è capire se il modello «funziona». Personalmente ritengo che possa funzionare solo nella fase aurorale dei movimenti, dopodiché è destinato a generare aporie irresolubili:
– Il consensus process è inapplicabile non appena le dimensioni del movimento crescono e la necessità di decisioni rapide ed efficaci si fa impellente.
– Quella dei movimenti senza gerarchie è una vecchia illusione puntualmente smentita dai fatti: anche la più ossessiva procedura egualitaria non può impedire l’emergere di personalità carismatiche, che finiscono per esercitare un dominio superiore a quello che eserciterebbero se il loro potere fosse riconosciuto e limitato.
– Si tratta di un modello inadatto a creare un fronte ampio di lotta, in quanto il vincolo dell’unanimismo fa sì che, in assenza di consenso, si producano fenomeni di forking (la pratica delle scissioni ben nota alle comunità hacker).
Infine, in assenza di una seria analisi della composizione di classe, tendono a prevalere concezioni populiste che agevolano le strategie di divisione che il potere mette in atto facendo concessioni limitate all’ala moderata del movimento.
Nell’analisi neo-operaista, viceversa, l’ordine delle priorità è rovesciato, nel senso che tutte le riflessioni sull’organizzazione nascono dall’analisi della composizione di classe. Nelle Trentatré lezioni su Lenin (manifestolibri, 2004), un testo dei primi anni Settanta ristampato in anni recenti, Antonio Negri liquidava ogni velleità di riproporre il modello del partito leninista, salvando tuttavia la genialità con cui Lenin era riuscito a costruire l’organizzazione come «consapevolezza del rapporto di forza determinato fra classe operaia e capitale». Perseguendo l’obiettivo di unificare politicamente le diversità della stratificazione di classe, argomenta Negri, Lenin aveva saputo identificare l’avanguardia di classe e organizzarla in partito (un partito, dunque, tutto interno alla classe). Senza mai confondere fra composizione politica e composizione tecnica di classe, Lenin aveva intuito che la forza dell’organizzazione era in grado di modificare la composizione stessa di classe, consentendo alle minoranze consapevoli di farsi maggioranza. In quel testo negriano, dunque, c’era ancora spazio per il riconoscimento dell’autonomia del politico, sia pure inteso come funzione, tutta interna al movimento, di semplificazione della complessità sociale, concentrazione della forza contro il nemico di classe, flessibilità tattica in relazione alle contingenze concrete. Il partito leninista, insomma, andava superato in quanto espressione organizzativa di una determinata composizione di classe (che aveva al proprio vertice l’operaio professionale) e del rapporto di forze con il capitale generato da quella composizione, ma non era minimamente messa in questione la funzione dell’organizzazione rivoluzionaria, che occorreva invece reinventare, tenendo conto dell’emergenza di una classe operaia deprofessionalizzata, unificata e omogeneizzata dalla fabbrica fordista, una nuova composizione su cui diveniva possibile costruire dal basso una inedita avanguardia di massa. Infine, pur parlando di un tendenziale superamento della distinzione fra lotta economica e lotta politica, in quel testo c’era ancora il riconoscimento che «la lotta politica non è solo lotta economica e che la lotta economica non è mai direttamente politica».
Quasi quarant’anni dopo, nelle pagine di Comune (Rizzoli 2009), il testo che completa la trilogia su Impero e moltitudini scritta da Negri con Michael Hardt, non troviamo più nulla del genere. Il dissolversi di ogni consapevolezza della specificità funzionale del politico è di nuovo il prodotto dell’analisi della composizione di classe – un’analisi che approda ora a esiti paradossali. Posto che: l’autonomia del lavoro cognitivo appare oggi il necessario presupposto della produzione capitalistica, in una fase storica caratterizzata dalle tecnologie di rete; l’oggettiva impossibilità di misurare il valore in relazione alla quantità di lavoro (essendo quest’ultimo divenuto una frazione irrisoria della potenza della cooperazione sociale e della conoscenza scientifica incorporate nei processi produttivi) fa sì che emozioni, bisogni, desideri e relazioni sociali siano divenute i soli, veri «prodotti», per cui a essere prodotto è il soggetto stesso della produzione; o meglio è il soggetto che si autoproduce nella sua autonomia da un capitale che lo controlla esclusivamente grazie alla violenza combinata di poteri politici locali e flussi finanziari globali; posto tutto ciò, ne deriva che la distinzione fra produzione economica e azione politica non avrebbe più senso. La prima, ovvia critica riguarda il ripresentarsi di un vizio inveterato della tradizione operaista: identificata la tendenzialità di determinati processi la si eleva a necessità immanente. In questo modo ogni fase di sviluppo capitalistico diventa sempre «l’ultima» e ogni strato di classe che vive sulla sua pelle il punto più alto di tensione fra forze produttive e rapporti di produzione diventa l’avanguardia destinata a seppellire il nemico di classe. Ma il vero paradosso consiste nel fatto che, in questo modo, una teoria nata come rivendicazione del ruolo strategico della soggettività approda a una visione oggettivista del processo rivoluzionario. Si rimuove il fatto che i lavoratori cognitivi, proprio perché non si vendono come forza lavoro ma in quanto soggetti, non per quello che sanno fare ma per quello che «sono», sono i più esposti all’egemonia delle ideologie neocapitalistiche (vedi la forza lavoro della New Economy americana), finendo quindi per confondere composizione tecnica e composizione politica di classe. Si «economicizza» la prospettiva rivoluzionaria, riducendola alla costituzione di una «imprenditoria del comune» (basterebbe cioè che i lavoratori cognitivi continuassero a fare quello che già fanno, liberandosi delle sovrastrutture giuridiche che li subordinano al comando del capitale). Non a caso, la transizione alla società postcapitalista viene immaginata in modo del tutto simile alla nascita della società borghese dalla società tardo feudale, postulando che «il nuovo nasce dal grembo del vecchio». Ma in questo modo si elide il carattere eccezionale della fuoriuscita da relazioni sociali fondate sul mercato: la borghesia governava di fatto economia e società già prima di abbattere l’Ancien Régime, mentre il proletariato non governa nulla, nemmeno nell’attuale fase tardo-capitalista, e il capitalismo, in assenza di assalti politicamente organizzati potrebbe sopravvivere per secoli.
Le critiche che ho appena formulato fanno capire, a mio avviso, i motivi per cui il contributo della teoria neo-operaista al dibattito sull’organizzazione rivoluzionaria appare, se possibile, ancora più debole di quello dei teorici neoanarchici. Quest’ultimi, come si è visto, compiono almeno uno sforzo per delineare un modello organizzativo, mentre gli operaisti pensano (per usare le parole di Bifo nel suo ultimo lavoro, La sollevazione, Manni 2011) che «il nostro compito non è organizzare l’insurrezione, perché l’insurrezione è nelle cose». Del resto, quel poco che viene detto, e che riguarda sostanzialmente la necessità di strutturare dal basso un processo realmente democratico, adottando modelli e procedure organizzativi che evitino di riprodurre i dispositivi del dominio, non differisce sostanzialmente da quanto dicono i neo anarchici. È sufficiente? Sono convinto di no. Penso che i movimenti siano in grado di sperimentare e scegliere da soli i modelli e le procedure da adottare per organizzarsi, così come è sempre avvenuto nella storia delle lotte di classe, dalla Comune di Parigi, ai Soviet, ai Consigli tedeschi alle nuove forme di organizzazione che sfruttano le tecnologie di rete (quelli che altrove ho chiamato cybersoviet). Ma penso anche che la classe è fuori dal rapporto di capitale solo quando e se si organizza consapevolmente per realizzare un programma rivoluzionario. Un conto è prendere atto che la «forma partito» non ha più senso, un conto è rinunciare all’esistenza di qualsiasi organizzazione in grado di accompagnare i movimenti verso un salto di qualità rivoluzionario. Nessuno pretende di rappresentare politicamente gli interessi di classe, ma è indispensabile che la classe esprima, dal proprio interno, un’intelligenza politica organizzata che svolga le funzioni irrinunciabili del politico, non della politica, vale a dire ricostruire l’unità del proletariato come parte sociale in opposizione antagonistica al capitale. Quanto agli abbozzi programmatici che la maggior parte delle componenti della sinistra radicale sembrano ormai condividere – reddito di cittadinanza, cancellazione dei debiti, espropriazione delle ricchezze accumulate dalla finanza e loro ridistribuzione, drastica riduzione dell’orario di lavoro ecc. – mi pare ovvio che si tratti di obiettivi riformisti, ancorché radicali, il cui carattere «sovversivo» nasce dalla estrema difficoltà, se non impossibilità, che le oligarchie finanziarie e i regimi politici che ne gestiscono gli interessi possano accettarli, anche di fronte a fortissime pressioni dal basso. Il metodo della governance durerà solo fintanto che i governi saranno in grado di contenere l’impeto dei movimenti, dopodiché la faccia violenta del potere tornerà a mostrarsi in tutta la sua ferocia. E allora?
Non ho qui lo spazio per affrontare questo interrogativo cruciale, per cui mi limito ad abbozzare una risposta indiretta, partendo dalle polemiche che gli eventi del 15 ottobre scorso hanno innescato sul tema violenza/non violenza. Credo francamente che si tratti di un falso dilemma, soprattutto se la discussione viene impostata in termini di principio. In un intervento sulla mia pagina facebook ho espresso un giudizio severo sui gruppi che hanno organizzato gli scontri; giudizio che non rispecchia convinzioni pacifiste di principio ma nasce da un’analisi politica:
– La violenza di piazza infligge danni ridicoli al nemico di classe, e si giustifica solo in quanto autodifesa da eventuali aggressioni.
– In un’epoca in cui le forze di repressione sono militari di professione è illusorio immaginare che possano essere indotte a solidarizzare con i movimenti, per cui ogni scontro frontale è destinato a causare sconfitte.
– Non violenza e disobbedienza civile possono rivelarsi armi poderose, a condizione che il movimento sia in grado di concentrare forze adeguate (forza e violenza sono concetti diversi, se non opposti: di quanta più forza si dispone, tanto meno occorre ricorrere alla violenza).
Nel caso del 15 ottobre l’errore è consistito nel non prendere atto che la schiacciante maggioranza dei partecipanti al corteo era contraria allo scontro, non tenerne conto ha voluto dire dividere il movimento e quindi indebolirlo. Gli indignati italiani hanno il difetto di nutrire illusioni «legalitarie» (è la critica che rivolge loro Bifo nel libro sopra citato)? Le manifestazioni sono egemonizzate da forze neo istituzionali che non vogliono collidere con i simboli del potere politico e finanziario? Benissimo, allora il compito degli antagonisti è stare in mezzo alle masse per estendere la propria influenza (o egemonia, volendo irritare i fan della politically correctness). Ma per essere all’altezza del compito occorre tornare a interrogarsi seriamente sul problema dell’organizzazione rivoluzionaria.
Enrico Grazzini è giornalista economico, autore di saggi di economia, già consulente strategico di impresa. Collabora e ha collaborato per molti anni a diverse testate, tra cui il Corriere della Sera, MicroMega, il Fatto Quotidiano, Social Europe, le newsletter del Financial Times sulle comunicazioni, il Mondo, Prima Comunicazione. Come consulente aziendale ha operato con primarie società internazionali e nazionali.
Ha pubblicato con Fazi Editore "Il fallimento della Moneta. Banche, Debito e Crisi. Perché bisogna emettere una Moneta Pubblica libera dal debito" (2023). Ha curato ed è co-autore dell'eBook edito da MicroMega: “Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall'austerità senza spaccare l'euro" ” , 2015. Ha scritto "Manifesto per la Democrazia Economica", Castelvecchi Editore, 2014; “Il bene di tutti. L'economia della condivisione per uscire dalla crisi”, Editori Riuniti, 2011; e “L'economia della conoscenza oltre il capitalismo". Codice Edizione, 2008
Salvatore Minolfi: Le origini della guerra russo-ucraina
Add comment