Print Friendly, PDF & Email

Piazza Fontana e anni ’70, ma quali trame

Fu lotta di classe e l’abbiamo persa

Andrea Colombo

Le polemiche divampano come se la famosa bomba invece che il 12 dicembre 1969 fosse scoppiata nel 2009, e qualcuno inevitabilmente si chiede: “Ma com’è possibile che un fatto così antico laceri ancora tanto? E magari, nella sala accanto a quella dove si proietta Romanzo di una strage danno il film sulla Diaz, roba di ieri, quasi ancora d’oggi, senza che nessuno ci si accapigli?”

Sarà che quella generazione ormai attempata il vizietto di occupare il centro della scena non lo ha mai perso: ingombranti da incanutiti quanto da ragazzi? Sarà che scannarsi su piazza Fontana, ormai, non fa più male a nessuno mentre la Diaz somiglia a quel che era “all’epoca dei fatti” il 12 dicembre?

O non sarà, invece, che la riposta la offre tra le righe Eugenio Scalfari nel suo articolone, già citato in questo sito da Lanfranco Caminiti? È probabile Lanfranco abbia ragione e che sullo sfondo della diatriba repubblichese ci sia davvero una scontro interno che riguarda ben più attuali faccenduole, tipo l’opportunità o meno di sostenere a spada tratta un governo che finirà per far rimpiangere al Paese Silvio il Puttaniere.

Ma non c’è solo quello. E non c’è solo piazza Fontana. Come li tocchi li tocchi, con gli anni ’70 ti ci scotti. Il motivo è ovvio: capita perché il Paese in cui viviamo è un prodotto di quel che accadde allora, dell’esito del conflitto durissimo che si combatté in quel decennio e dei mai più modificatisi equilibri (anzi squilibri) sortiti da quella vicenda. Degli anni ’70 il presente è ostaggio. Nel senso letterale della parola.

I ragazzi di oggi possono non sapere niente di via Fani o piazza Fontana, ma se tirano un sassetto contro i blindati in piazza san Giovanni si beccano cinque anni di galera, uno sproposito che grida vendetta e che tutti accettano senza muovere un dito, proprio perché ci sono state via Fani e piazza Fontana.

Se gli italiani più di qualsiasi altra popolazione si fanno massacrare socialmente senza osare neppure un accenno di resistenza, senza “occupy” niente, tapini e sudditi come nessun altro in Europa, è per il peso, l’ipoteca e il ricatto che esercita il ricordo di quel decennio.

Di questo si parla quando si parla di piazza Fontana. Di questo parla Giordana. Di questo parla Scalfari. Non di bombe raddoppiate o triplicate dalla fantasia dei visionari.

Dicono, molto semplicemente, che se le cose sono andate come sono andate è solo per colpa di quelle mai identificate forze occulte che sviarono il naturale corso della storia italica, boicottando le magnifiche e progressive sorti che ci attendevano, ora con la strategia della tensione, ora con i golpe tentati o minacciati ora eliminando l’uomo chiave dell’architettura democratica. Il santo che di fronte a chi rinfacciava al suo partito la corruzione santamente dichiarava: “La Dc non si farà processare nelle piazze”.

Ah, se solo gli onesti e i retti avessero saputo mettersi a braccetto e resistere contro il nemico comune! I Pinelli e i Calabresi e i Moro contro i registi della strategia della tensione, contro i bombaroli, contro chi in quel dicembre 1969 aveva tessuto la tela mica contro gli anarchici e il movimento di classe, no, contro tutte le persone perbene. Contro Pinelli e contro Calabresi e contro Moro, tutti insieme e tutti martiri. Chi guidava lo Stato, chi lo difendeva, chi lo combatteva.

Con buona pace di Scalfari, che “c’era” e con sincero rispetto trattasi di una boiata. La storia d’Italia non l’ha scritta nessun burattinaio: l’ha decisa l’esito di uno scontro frontale tra quelle che allora si chiamavano classi, e se oggi la parolaccia pare offensiva si dica pure fasce sociali.

L’ha decisa la vittoria di qualcuno e la sconfitta di qualcun altro. Il Paese in cui viviamo è stato ridisegnato a misura dei vincenti. L’ombra del passato è usata con perizia acciocché i perdenti restino tali il più a lungo possibile, auspicabilmente se per l’eternità.

Checché ne raccontino Giordana e Scalfari, in quello scontro che fu feroce Luigi Calabresi e Aldo Moro stavano da una parte. Noi e Pino Pinelli dall’altra.

Add comment

Submit