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Una risposta a proposito del M5s

di Aldo Giannuli

Esaurite le scadenze che mi hanno tenuto maggiormente occupato, lasciando che si accumulassero “sulla scrivania” del sito molte questioni, mantengo la promessa di intervenire sui temi di cui mi si era fatta richiesta. Intanto, ringrazio sia Angelo che Lorenzo per avere introdotto la discussione, rispettivamente, su Venezuela e Ucraina come meglio non si sarebbe potuto; dirò anche la mia su queste due questioni, prima però mi tocca occuparmi del M5s, e delle sue “purghe” interne, dato che qualcuno mi ha accusato di doppiopesismo. Nessun doppio peso: vengo al merito della questione.

Il riferimento ovviamente è alle espulsioni in corso dal gruppo parlamentare. Che io sia –per usare un eufemismo- fortemente perplesso su certe procedure sommarie, si sarebbe potuto capire anche dalle due righe di post scriptum al pezzo “Buone notizie per la lista Tzipras”. Ma, sfogliando indietro le pagine di questo blog, è facile rinvenire diversi pezzi sulla stessa questione (ad esempio “Grillo perché vuoi rovinare tutto?”), per cui la mia posizione in merito non credo possa far nascere dubbi in chiunque sia in buona fede. Ma cerchiamo di approfondire la questione.

Non c’è dubbio che siamo ad un momento di svolta della nostra vicenda politica nazionale, come lo fu “mani pulite”: la Seconda Repubblica agonizza ma non si decide a morire ed il suo ceto politico cerca la salvezza in una ennesima manovra di ortopedia elettorale e con il trasformismo renziano. Con il 1993 si è affacciato in Italia un nuovo ceto politico ancora più corrotto di quello che andava a sostituire, ma soprattutto, assai meno capace ed ancor più subalterno alle influenze straniere, questo ceto vuol restare al posto di comando nonostante il suo conclamato fallimento come classe dirigente.

In un primo tempo, il centro destra berlusconiano ed il centro “sinistra” riunito intorno al Pds-Ds-Pd mantenevano alcune delle differenze ereditate dai precedenti partiti di riferimento. Poi, man mano, il blocco di centro “sinistra” è andato diventando sempre più il riflesso speculare dell’altro, assimilandone linguaggi, cultura politica, modelli organizzativi ecc; ora con la breve ma non irrilevante esperienza del governo Letta e con il partito “personale” di Renzi, che trasforma il Pd in una nuova Forza Italia, il processo si è compiuto ed il ceto politico dominante appare un composto perfettamente liscio ed omogeneo.

Non c’è una sola questione sulla quale si registri una differenza sostanziale fra i due partiti, salvo che sulle solite lamentele Pd sul conflitto di interessi alle quali, però, il Pd non fa seguire alcun atto concreto, limitandosi ad un uso propagandistico della questione. Pd e Fi sono “i ladri di Pisa”: litigano di giorno, ma poi vanno a rubare insieme di notte.

Il giochino è durato abbastanza ed è riuscito ad infinocchiare gran parte dell’elettorato che si riuniva nelle due “anti-tifoserie” nazionali (gli odiatori del Cavaliere e gli allergici agli eredi del Pci) ed entrambe si illudevano di star sostenendo una qualche alternativa all’altro.

Purtroppo per l’allegra cricca di palazzo, è sopraggiunta una crisi economica devastante che ha azzerato i margini di compravendita del consenso ed ha portato allo scoperto l’insostenibilità di un sistema che, alla ben conosciuta rapina capitalistica, somma gli inauditi privilegi, gli abusi e le vere e proprie ruberie del ceto politico più infame della storia unitaria di questo paese. Neppure i fascisti furono tanto miserabili quanto questi di oggi.

L’urto della crisi nel 2011 demolì il governo Berlusconi, cui succedette il disastroso governo Monti. Le elezioni del 28 febbraio 2013 hanno spezzato il monopolio di potere dell’asse Pd-Pdl, facendo emergere un terzo incomodo che contende la maggioranza ad entrambi. Di fronte a questo ed alla sua fin troppo rigida indisponibilità a trovare mediazioni che ne offuscasse l’identità alternativa, il ceto politico ha avuto una crisi che lo ha portato a liquidare le residue ambiguità, per approdare ad un esplicito esito di destra con il governo Letta prima e con la segreteria Renzi dopo.

L’ex Pci concludeva la sua ingloriosa parabola affidando le sue due massime espressioni pubbliche a due ex democristiani  (ex?). La saldatura dei partiti di sistema si è compiuta ed i primi frutti apertamente eversivi (riforma elettorale in spregio alla Corte Costituzionale e questione Bankitalia) si sono subito manifestati. L’aperto disegno è quello di superare la crisi di consenso blindando il “duopolio imperfetto” con una legge super-truffa che consenta di marginalizzare l’opposizione montante e gestire senza disturbi la svendita di questo disgraziato paese.

Qui si pone il problema del M5s, del ruolo che può avere e della sua adeguatezza ad esso.

Grillo (e con lui la gran parte del movimento) pensa che:

a- il ceto politico dominante non abbia più alcuna radice viva e stia per cadere come una foglia secca, da un momento all’altro (“Sono Mooorti!!” ripete appena può)

b- ceto politico che,  però, pur di non rinunciare ai suoi privilegi, non risparmierà i peggiori colpi di coda, per cui siamo in una situazione di “guerra”

c- pertanto è necessario che il Movimento mantenga la massima compattezza, non tollerando alcun dissenso, così come non sarebbe tollerato, nel pieno di un’ azione militare, che un comandante di reparto mettesse in discussione le indicazioni di combattimento.


Il suo rigore disciplinare è la diretta conseguenza di questa visione delle cose. Personalmente, pur essendo convinto che siamo ad un momento di svolta, in cui si decide se l’albero cade da una parte o dall’altra, penso che le cose non siano così ma siano molto più complicate.

In primo luogo, penso che battere il trasformismo del ceto politico, sia necessario ma non sufficiente e che il passaggio ad un diverso sistema non sia automatico ed avverrà in più passaggi molto complessi e contraddittori. Per ora si tratta di sconfiggere il tentativo di bloccare la crisi di consenso del sistema e mantenere aperta la porta al cambiamento.

In secondo luogo, non è detto che alla fine di questa disgustosa seconda repubblica berlusconiana, succeda una terza repubblica migliore della precedente: proprio la fine della prima repubblica e l’avvento della seconda ci avvertono che c’è sempre una possibile alternativa peggiore.

Qui dobbiamo produrre un’ architettura di potere diversa, basata realmente sulla sovranità popolare e produrre una nuova classe dirigente. Né l’una né l’altra cosa si fanno in due minuti, ma richiedono processi di formazione e maturazione che hanno i loro tempi. E, soprattutto, richiedono un dibattito politico segnato da una grande libertà intellettuale. Le metafore militari applicate alla politica sono spesso pericolose e sempre letali quando prese troppo alla lettera.

Io credo che il M5s sia un pentolone nel quale ribollono gli ingredienti più diversi, le istanze più contraddittorie, pezzi delle culture politiche più distanti. Tutto vero, ma che vi aspettavate? Dopo un ventennio di deserto della politica, in cui i media hanno smesso di fare informazione e fanno solo manipolazione del consenso, i partiti hanno smesso di avere qualsivoglia dibattito politico per ripregare solo sulla più volgare spartizione di potere, i sindacati sono diventati appendici degli uffici anagrafici e fiscali, gli intellettuali si sono dati al più sfrenato opportunismo non era possibile altro.

Anche i partiti che si proponevano come opposizioni al sistema (tanto per essere chiari: Rifondazione Comunista e poi, via via, Pdci, Sel ecc.) si sono appiattiti nella più squallida routine burocratica, non hanno prodotto un grammo di discorso politico e non hanno formato nessuna classe dirigente.  Al massimo, hanno fatto da piedistallo al Narciso di turno e persino Paolo Ferrero è potuto assurgere al ruolo di leader nazionale!

Ed adesso che volete? Pretendete che il nuovo soggetto politico di opposizione sorga come Minerva armata dal cervello di Giove? Se lo credete davvero, cambiate erba: quella che usate vi fa male.

Dunque, è inevitabile misurarsi con un fenomeno ampiamente contraddittorio che avrà molte evoluzioni e cambiamenti e con esiti ancora largamente imprevedibili. Personalmente ho scelto di restare fuori perché molte cose non mi convincono a cominciare dal modo con cui si forma la linea politica e si scelgono i parlamentari (o portavoce o come diavolo volete chiamarli). Iniziamo da questo: insomma, mettiamo pure che queste uscite siano davvero tutta colpa dei dissidenti a cui preme solo tenersi l’intero stipendio (non ci credo, ma concediamolo), se anche fosse così bisognerebbe porsi qualche domanda sull’efficienza del sistema con cui sono stati scelti: se in 11 mesi dalla proclamazione gli espulsi si avviano allegramente al 10% sul totale, vuol dire che qualcosa non va. A questo ritmo, a fine legislatura saranno la metà. E dunque, qualche motivo per ripensare il meccanismo delle parlamentarie, forse, ci sarebbe. Stesso discorso sul modo con cui si determina la linea politica fra intermittenti consultazioni con line e le ininterrotte uscite di Grillo.

Prendiamo l’esempio recentissimo della sua uscita contro l’Unità italiana: quando mai il movimento ne ha discusso? Ma, lo stesso Grillo, quando mai se ne è occupato o magari ci ha scritto qualcosa? Sulla base di quali analisi si basa questa proposta? Tutte domande inutili: Grillo fa dell’agitazione, lancia slogan e proposte per vedere l’effetto che fanno.

Questa volta ha pensato ad un affondo in direzione dell’elettorato leghista in vista delle europee, ma fra tre settimane non se ne ricorderà più neanche lui. In questo modo, spregiudicatamente, tiene banco ed impone la sua presenza. D’accordo, la cosa può funzionare elettoralmente, ma è così che si costruisce un progetto politico per il paese? Però è anche vero che non mancano momenti di approfondimento come la conferenza sull’Europa svoltasi a Roma il 1° marzo o l’esperimento che stiamo facendo insieme sulla legge elettorale. Per cui, anche qui, le cose sono molto meno lineari di quanto non sembri.

Pertanto, ho scelto di non fare parte del movimento ma di offrire le mie modeste conoscenze per contribuire a questo processo di maturazione. Non so se funzionerà, non so sino a che punto ne sono capace, ma ci provo e vediamo che succede. E, dunque, non è che non veda le attuali insufficienze del M5s, i molti aspetti criticabili, le tendenze preoccupanti che emergono (piuttosto, altri mi sembrano molto meno attenti alle magagne del proprio partito di riferimento). E non mi pare di tacere critiche anche aspre. Ma, il punto è questo: oggi, piaccia o no, il M5s è l’unico strumento che abbiamo a disposizione per combattere questo sistema politico.

Non lo è certamente l’innocua lista Tzipras, sia per l’improvvisazione da cui muove, sia per la prevedibile debolezza elettorale sia, cosa più importante di tutte, per l’estrema debolezza della sua proposta politica che sfuma nelle vaghezze dell’”altra Europa” che, intanto, però si tiene questa Europa tecnocratica ed elitaria.

Il 27 maggio sera, in Italia, i conti si faranno su quanto sono avanzati o arretrati M5d, Fi e Pd. Il resto non conterà.

E qui occorre aver presente che: il M5s è uno strumento imperfetto e criticabilissimo, ma il Pd è un nemico da battere. La lista Tzipras? E’ ininfluente.

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