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Podemos e la democratizzazione della democrazia

Jordi Borja

Diego Velasquez Peasants at Table grandemIn Spagna, così come in altri paesi d’Europa, lo scenario politico si presenta vuoto, nonostante in esso si muovano fantasmi di un tempo passato, che – si spera – non potrà più tornare. I vecchi attori transitano per la scena, gesticolano senza grazia e senza senso, declamano una retorica antica che non interesserebbe e alla quale neppure crederebbe il pubblico, se vi fosse presente. In realtà, il teatro della politica è senza pubblico semplicemente perché manca l’opera. Gli attori rimangono in scena unicamente per sopravvivere, per contendersi quel che resta del naufragio. Sono i resti di una democrazia imperfetta e incompiuta, degenerata in un’oligarchia politica autistica, a volte corrotta, quasi sempre in preda all’ansia di sopravvivere: un’oligarchia economica speculativa e depredatrice senz’altro scopo che il lucro, culturalmente meschina e socialmente sfruttatrice. E la società? In fase di ricostruzione come “popolo”, l’opera che manca al teatro sta prendendo forma a partire dalla cultura e dai movimenti sociali, dalle molteplici forme del pensiero critico e delle rivendicazioni collettive, dalle organizzazioni storiche e, soprattutto, da forme organizzative del tutto nuove, anche nel linguaggio. E, ancora, dai nuovi processi di rappresentazione politica di questo popolo che inizia a emergere. Nello scenario politico spettrale compaiono nuovi attori. L’opera ancora non esiste, c’è solo una diversità nei gesti e nella grida, nelle pretese sparse e nelle necessità concrete.

Non prendiamoci in giro: esiste una coerenza di fondo nella potenza comunicativa del malessere, dell’indignazione, delle speranze, dell’esigenza di prendere coscienza e nell’espressione dei diritti negati, anche solo per omissione. L’opera vera si sta scrivendo nelle strade e ora anche nell’ambito elettorale, la non-opera che fa la sua comparsa nelle dichiarazioni di leader politici neutralizzati e sulla scena dei parlamenti e dei mezzi di comunicazione di massa.

 

La politica non tollera il vuoto: la comparsa di Podemos

L’indignazione sociale era palese sin dall’inizio della crisi (2008), così come la sua pessima gestione, prima da parte del Psoe (partito socialista) e successivamente da parte del Pp (di destra). Entrambi i partiti, che si alternavano da vent’anni, avevano perso la fiducia della maggior parte dei cittadini. Erano responsabili di politiche neoliberali, di corruzione, di perdita di contatto con l’elettorato, di  discorsi vuoti. I giovani senza speranza erano cresciuti con aspettative di progresso e  ora si vedevano destinati al precariato, al non riconoscimento dei loro studi e senza possibilità allettanti di integrazione politica o sociale. I partiti di sinistra all’opposizione, minoritari e frammentati, sopravvivevano tra gli ultimi banchi istituzionali, protagonisti di un discorso percepito come vecchio e inutile. I partiti nazionalisti baschi e catalani (centristi) erano gli unici a mantenere una certa egemonia nei loro territori ma anche questi erano pregiudicati dalle loro azioni di governo.

Il 15 maggio (15 M) del 2011 decine di migliaia di giovani invasero le piazze delle principali città, in special modo quelle di Madrid e Barcellona. Le occupazioni durarono diverse settimane, per poi passare nei quartieri e nei villaggi. Si è trattato di un processo di socializzazione politica di una generazione che fino ad allora – per la maggior parte – era rimasta ai margini della politica, senza alcun interesse per la storia e priva di un progetto collettivo. È in quest’ambiente che negli anni successivi sorge Podemos. Un gruppo composto da giovani professori della facoltà di Scienze politiche e Sociologia dell’Università di Madrid aveva deciso di raggiungere questa generazione con i mezzi di uso quotidiano. Un anno prima di Podemos erano riusciti a comprare un pacchetto di ore televisive via internet su dei canali digitali e avevano iniziato un programma settimanale che aveva guadagnato rapidamente un pubblico giovane, soprattutto nella regione di Madrid. Nel 2013 iniziò a formarsi Podemos. A partire dal 2014 si è passati a un programma quotidiano, in onda dal lunedì al venerdì alle 19.00, nel quale a predominare sono i dibattiti che coinvolgono rappresentanti della classe dirigente. In questi dibattiti si dimostrano diretti, sfrontati; denunciano quel che dice la gente per la strada, propongono misure radicali proprie del senso comune. Si fanno conoscere attraverso i social network e pubblicano alcuni libri. Per la sua capacità comunicativa, è emerso in particolar modo Pablo Iglesias, proveniente da Izquierda Unida (erede del Pce). Invitato da televisioni private (soprattutto quelle di Berlusconi) – che sono anche quelle col più ampio bacino di utenza – in pochi mesi diventa un leader mediatico. È nata una stella, manca solo il seguito.

Podemos si costituisce formalmente nel gennaio del 2014 e a maggio si presenta alle elezioni europee senza un impianto organico, avendo attecchito unicamente per via telematica nella Comunità autonoma di Madrid. Ottiene l’8% dei voti, 5 seggi. È il quarto partito spagnolo. Ottiene in breve tempo l’adesione formale di circa centomila membri via Internet e alla fine dell’anno le vengono attribuiti duecentomila iscritti.

Nel 2015, che vedrà a maggio la disputa per le elezioni municipali e regionali e a fine anno quella per le elezioni politiche, Podemos si presenta come candidato per togliere l’egemonia ai partiti fino ad allora dominanti. Ma qual è la sua proposta politica? Un partito politico non può essere soltanto espressione di un malessere. Podemos vuole cambiare la forma della politica e, allo stesso tempo, implementare nuove politiche pubbliche sociali ed economiche.

La nuova politica è già una realtà?

Podemos e altri collettivi che sono emersi come attori politici (come ad esempio Ciudadanos, a destra) si compongono di una militanza eterogenea di idee e percorsi, ma sono fenomeni generazionali. Chi si colloca a sinistra, nonostante sia critico con i partiti socialisti o comunisti, proviene soprattutto dalla socializzazione politica generata dal 15 M. Successivamente si sono aggregati militanti o ex-militanti di partiti grandi e piccoli, del movimento operaio o dei vari movimenti sociali, di quartiere, alternativi, eccetera. La sua base elettorale però è molto più eterogenea e va dall’estrema sinistra agli elettori di centrodestra, fino agli astensionisti. A destra è lo stesso. Ciudadanos si definisce di centro, le sue idee sono più vicine alla destra e una buona parte dei voti gli arriva da elettori del Pp. Ma le sue posizioni in relazione ai diritti civili e la sua denuncia della corruzione attira anche elettori di sinistra e ha preso voti anche dal socialismo ufficiale. Tutti si vogliono inserire nella nuova politica.

Che piaccia o no, la “nuova politica” è prima di tutto un “marchio”. Serve a demonizzare i partiti politici esistenti, specialmente quelli dominanti. Gli attivisti non si dichiarano di sinistra, si presentano come democratici, radicalmente democratici. Si caratterizzano per “adamismo” politico, non hanno curiosità per il passato, non si considerano eredi di nessuno, il passato o è anch’esso “vecchia politica” o è ignorato. Come scriveva Sartre, “credevo che la storia fosse una linea retta che arrivava fino a me”. La nuova politica è un marchio di successo, un ottimo strumento propagandistico per ritagliarsi un luogo privilegiato nello scenario della politica ordinaria. Il marchio però deve servire a pubblicizzare il prodotto. In questo caso l’etichetta è nata prima, nella pesantezza del malessere generato dalla crisi e dal non sentirsi rappresentati né riconosciuti dalla politica convenzionale. Il marchio ha trovato dei portavoce in grado di agganciare un pubblico variegato: Pablo Iglesias, dapprima a Madrid e successivamente in tutta la Spagna; Ada Colau a Barcellona, affermatasi in tutto il paese come leader sociale al comando della piattaforma degli sfrattati e attualmente alla direzione della sua coalizione, Ganemos; i postcomunisti, Podemos, una parte dell’indipendentismo più radicale, eccetera. Ora bisogna solo conoscere il prodotto. Che cosa faranno nel caso in cui approdassero al governo o all’opposizione.

La maggior parte della militanza proviene dal movimentismo e concepisce la nuova politica come restituzione della parola al popolo, alla cittadinanza. Non parla di classi sociali, tantomeno di individui. Il suo referente è “la gente”. I membri partecipano in molti casi per mezzo delle assemblee, dei social network, all’inizio rifiutano strutture organiche stabili e non accettano gerarchie. Questo porta a una grande difficoltà nel prendere decisioni, che conduce al rafforzamento di leadership carismatiche. Non è facile accumulare esperienze e conoscenze. Gli attivisti si dimostrano più interessati ai metodi e alla partecipazione che alla definizione di obiettivi e contenuti. Questa cultura interna si trasmette ai programmi politici. Di fronte alle questioni politiche, sociali o economiche, i leader e i programmi rispondono con strumenti come revisioni dei conti autorizzate dai cittadini, consultazioni ai collettivi interessati, sviluppo della partecipazione e irruzione della cittadinanza nelle istituzioni, referendum, leggi promosse dall’iniziativa popolare, rendimento dei conti, commissioni di controllo eccetera. Bisogna tener conto che queste nuove formazioni politiche – la cui punta dell’iceberg è Podemos – si trovano in fase di transizione dal movimentismo all’organizzazione politica con vocazione governativa. Per il momento è un puzzle che mischia ideologi come Laclau o Derrida a gocce di marxismo riformista; tradizioni libertarie e autogestionarie con il democratismo radicale anglosassone erede di Paine fino a Occupy Wall Street; la democrazia cittadina di Correa in Ecuador (Podemos si è distanziato dal “chavismo”) e “il diritto ad avere diritti” di Hannah Arendt; la cultura socioeconomica keynesiana e al contempo  l’aspirazione a modelli alternativi ideali; pacifismo a oltranza e fiducia illimitata nella gente. Alla fine si tratta di nuove realtà politiche indiscutibilmente simpatiche.

Proposte politiche e socioeconomiche

Sarebbe ingiusto criticargli la mancanza di programmi concreti: ce li hanno. Altra questione è se la loro concretezza è fattibile, sia per ragioni economiche, legali o semplicemente politiche. Podemos e i suoi equivalenti regionali o cittadini si sono ispirati o coincidono con nuove e vecchie sinistre europee e americane. I programmi, appena abbozzati o più sviluppati (come nel caso di Podemos), non sono molto diversi da quelli di Syriza, della sinistra del Labour Party, del Link tedesco o del Parti de la Gauche in Francia. E mi scuso per non aver trovato una sinistra equivalente nell’Italia attuale (che ne è stato di quei tempi in cui la sinistra europea si alimentava della sinistra intellettuale, sindacale e politica italiana?).

Se analizziamo il programma di Podemos, le proposte sono interessanti: Carta democratica europea vincolante; Stato plurinazionale e diritto alla scelta della nazionalità (principalmente riguardo ai Paesi Baschi e alla Catalogna); riforma costituzionale e del regime elettorale; abrogazione dell’articolo 135, che impone forti limiti all’indebitamento delle pubbliche amministrazioni; moltiplicazione degli strumenti di iniziativa popolare, di consultazione e di partecipazione cittadina nelle istituzioni, negli organismi e nelle imprese pubbliche; diritti e politiche di genere; diritti politici per i residenti di altre nazionalità; trasparenza dei conti a tutti i livelli; controllo pubblico e cittadino sulle imprese e gli organi di gestione dei servizi di interesse comune (acqua, energia, trasporti, sanità, educazione, eccetera); nazionalizzazione – se necessario – di servizi pubblici privatizzati e di aziende strategiche (trasporti e infrastrutture, telecomunicazioni, acqua, sanità pubblica e assistenza sanitaria, educazione e formazione, energia, industrie di base); riorganizzazione giuridica e controllo pubblico e cittadino sul suolo urbano e su quello potenzialmente urbanizzabile; sviluppo delle politiche di protezione sociale che garantiscano una vita degna a tutti i cittadini; modifica dei patti con il Vaticano in nome della laicità e degli accordi con gli Stati Uniti per le basi militari. Com’è evidente, non si tratta di un programma di governo ma di un orizzonte auspicabile verso il quale in molti casi è possibile avanzare gradualmente.

Per quanto riguarda le materie sociali ed economiche, vengono indicate le questioni prioritarie: creazione di nuovi posti di lavoro pubblici e privati e aumento degli stipendi più bassi (si discute la possibilità di imporre dei limiti ai salari alti); mantenimento delle pensioni e aumento di quelle più basse; reddito base che garantisca un minimo per la sopravvivenza (si sta discutendo il reddito di cittadinanza); revisione dei conti del debito pubblico da parte della cittadinanza; riforma della Banca centrale europea; regolazione e controllo pubblico sulle banche e sugli enti finanziari; riforma fiscale; controllo pubblico sulle multinazionali; trasformazione del modello produttivo a favore di un’economia verde; sostenibilità ecologica; servizi alle persone e miglior qualità di vita urbana e rurale.

Come potrà dedurre un lettore minimamente informato, questi programmi incontreranno resistenze enormi da parte delle imprese spagnole e multinazionali, dell’Unione Europea, dell’imprenditoria, dei redditieri, dei settori importanti della burocrazia e della magistratura, dei mezzi di comunicazione di massa e dei partiti all’opposizione. Gli ostacoli legali, economici e politici non saranno facilmente superabili. Bisogna però partire dal presupposto che queste riforme radicali non rappresentano altro che l’ampliamento dei limiti di libertà e di uguaglianza e una legittima ambizione di democratizzare e civilizzare il capitalismo.

 

Dopo le elezioni… che cosa?

Una cosa che si impara dalle cosiddette “scienze sociali” è che la pretesa di prevedere il futuro è la strada più sicura per sbagliare. Tuttavia, bisogna fare delle previsioni per preparare risposte e orientare strategie. Partiamo dalla strampalata ipotesi (che però temo non sia quella più probabile) che alle prossime elezioni locali e regionali (maggio 2015) Podemos e i suoi equivalenti vincano in alcune Comunità autonome e in alcune grandi città. Potrebbe essere a Madrid, a Barcellona, a Valencia... Insisto sul fatto che non la ritengo una previsione aberrante ma mi sembra difficile che si verifichi. Lo stesso per le elezioni politiche. Come nelle corse equestri, ci sono tre candidati alla vittoria: i due vecchi partiti dominanti e Podemos. È quel che oggi ci dicono tutti i sondaggi: Podemos può vincere.

Con un risultato simile, si potrebbero applicare i contenuti programmatici sintetizzati in quest’articolo? Non sarebbe per nulla facile e gran parte dei provvedimenti potrebbe venire ostacolata dall’opposizione politica parlamentare e dai tribunali spagnoli ed europei. Oppure verrebbero a mancare la copertura finanziaria o la capacità di gestione pubblica, senza contare le resistenze sociali, imprenditoriali e mediatiche delle quali si è già parlato.

Guardando alla storia, noteremo che i momenti di maggiore trasformazione si sono fondati su una vittoria elettorale. È il caso di Francia e Spagna nelle elezioni del 1936 e di Italia, Francia e Regno Unito dopo 1945. In questi casi, si erano verificate importanti mobilitazioni prima e – soprattutto – dopo le elezioni: occupazioni delle fabbriche da parte dei lavoratori, grandi manifestazioni, sciopero generale politico. In questo modo si è costruito il welfare state. Può succedere in Spagna? Non è impossibile. Forse non tanto nelle imprese quanto nelle piazze, non tanto per mezzo degli scioperi ma per l’occupazione delle istituzioni. Allora sarà possibile verificare se Podemos e i suoi equivalenti sono davvero capaci di orientare le mobilitazioni e assumere le sembianze di un’insurrezione cittadina pacifica. Ci sono dei momenti in cui la democrazia popolare deve insorgere al fine di ridemocratizzare una democrazia convenzionale ed esclusiva come quella attuale.

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