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Da Napoli una via per la rottura della Ue

Italexit. Relazione introduttiva

di Giorgio Cremaschi

Napoli 1 415x260Sono convinto che in un futuro, speriamo più vicino possibile, ci si chiederà con compassione ed incredulità come sia stato possibile che le decisioni fondamentali del nostro paese, e di molti altri, siano state sottoposte al vaglio ed al giudizio meticoloso di controllori esterni. Come sia stato possibile che un parlamento eletto, seppure con un sistema truffaldino, abbia accettato di rinunciare alla sua sovranità per delegarla ad autorità esterne non elette da nessuno. E soprattutto ci si chiederà come sia stato possibile che le decisioni sul lavoro, sulle pensioni, sulla sanità, sulla scuola, sul sistema produttivo, sulle stesse regole democratiche, siano state prese in funzione del giudizio su di esse da parte di sconosciuti burocrati installati e Bruxelles dalla finanza, dalle banche, dal potere economico multinazionale. Ci si chiederà come sia stato possibile che le generazioni precedenti abbiano rinunciato a decidere sugli aspetti fondamentali della propria vita sociale, economica e politica, accettando il potere quasi assoluto di una entità astratta chiamata Europa. Entità astratta dietro la quale si sono nascosti gli interessi concreti delle élites economiche, delle classi più ricche e delle caste politiche e burocratiche di tutti paesi del continente. Tutte queste élites non avrebbero mai avuto la forza di imporre paese per paese, ognuna direttamente contro il proprio popolo, quella drammatica distruzione delle conquiste sociali e democratiche che oggi stiamo vivendo.

Da sole non ce l’avrebbero fatta a smantellare la più importante conquista dei popoli del continente, il patrimonio storico politico che l’Europa avrebbe dovuto accrescere e contribuire ad estendere in tutto il mondo: lo stato sociale. Un sistema che assegna diritti sociali, lavoro e reddito, casa, istruzione, salute, pensione, vita dignitosa e sicura, un sistema che assegna questi diritti alle persone per il solo fatto di essere cittadini dello stato. Oggi pare che anche questi diritti sociali fondamentali debbano essere conseguiti secondo il merito. Questa parola falsa ed ingannatrice, gran parte di coloro che la proclamano come nuova guida della società non meritano di stare là dove stanno, questa parola, merito, ha sostituito la parola diritto nella ideologia di regime. In fondo ci si deve meritare di vivere.

Lo stato sociale era stato sancito dalle costituzioni antifasciste del dopoguerra. Quelle costituzioni che, come la nostra, si erano date l’obiettivo non della semplice eguaglianza giuridica contenuto nei vecchi statuti liberali, ma quello della eguaglianza sociale. Eguaglianza da perseguire prima di tutto attraverso il potere pubblico, e poi con l’azione sociale diretta delle classi subalterne e dei popoli, che veniva costituzionalmente protetta. Questo sistema costituzionale non poteva piacere alla finanza internazionale. Nel 2013 la Banca Morgan aveva affermato in un suo documento ufficiale che le costituzioni antifasciste, con la loro marcata impronta sociale, erano un ostacolo verso il pieno dispiegarsi della controriforma liberista. Bisognava abbatterle e a questo è servito il nuovo mantra della politica senza alternative: lo vuole l’Europa!

La giustificazione lo vuole l’Europa, dietro la quale sono passate le peggiori sopraffazioni e ingiustizie sociali, ha quasi sostituito quella precedentemente abusata: lo vuole il mercato. Evidentemente quest’ultima era considerata non in grado di reggere. Un puro principio di interesse economico si logora, se non corrisponde agli interessi reali o confligge con essi . Il richiamo al mercato non bastava più, occorreva quindi una immagine più forte che in qualche modo comunicasse dei valori extra economici. Gramsci ha ben spiegato come il capitalismo abbia sempre bisogno di valori esterni alla pura logica del mercato , per giustificare la più feroce ricerca del massimo profitto.

Nel Medio Evo era con Deus vult, Dio lo vuole, che si giustificavano le sopraffazioni del potere. Laicamente ora si afferma che lo vuole l’Europa, ma i fini sono gli stessi che in quell’epoca apparentemente lontana.

Dietro il mito dell’Europa, dietro il messaggio nazionalista continentale che dovrebbe assorbire i nazionalismi di ogni singolo paese con l’orgoglio di essere sudditi di una superpotenza, sta un sistema di potere burocratico imperiale.

Questa è la realtà della Unione Europea, che è prima di tutto un sistema politico di potere sovranazionale progettato per distruggere le resistenze sociali e democratiche dei diversi paesi che ne fanno parte. Non c’è sciocchezza ideologica più fuorviante dell’affermazione secondo la quale il limite del progetto europeo è che esso sia solo economico e non politico. È vero sostanzialmente il contrario. Il sistema europeo è un sistema politico, costruito per agevolare il dominio dei mercati sulle nostre vite e per affermare il liberismo estremo nelle relazioni economiche e sociali. La costituzione della Unione Europea, i trattati e i patti che la istituiscono e governano, da quello di Maastricht al fiscal compact, disegnano una architettura rigorosa di un sistema di potere con scopi chiarissimi. L’articolo uno della costituzione della Unione Europea, se paragonato a quello equivalente di quella italiana, potrebbe così essere letto:

“L’Unione Europea è una oligarchia fondata sul mercato, la sovranità appartiene al potere economico e finanziario che la esercita secondo le regole della competitività e del massimo profitto.”

Questo è il vero primo articolo della costituzione europea; chi esaminasse attentamente i trattati, le loro regole i loro poteri lo troverebbe rigorosamente e coerentemente applicato. Poi, naturalmente, ci sono le coperture di facciata e qui si spreca il ricorso a quei diritti dell’uomo sul cui uso sfacciatamente ipocrita Karl Marx aveva speso il suo migliore sarcasmo.

A dire la verità oggi anche questa copertura è notevolmente a rischio. Il comportamento della ricchissima Unione Europea nei confronti di rifugiati e migranti calpesta non solo i fondamentali diritti umani, ma persino elementari regole di solidarietà. La compravendita di persone con la Turchia finanziata da miliardi di euro, di più di quelli che si negano alla Grecia, è stata decisa dai governanti democristiani e socialisti della Unione Europa e non da LePen o Salvini. La costruzione a tappeto di Hotspot, solito uso dell’inglese per coprire porcherie, cioè di campi di concentramento persino in mare per migranti, è stata sempre opera degli stessi. I muri li costruiscono tutti i governi senza distinzione di appartenenza politica. La civilissima Danimarca impone il pizzo di stato sui beni personali dei migranti, come scafisti che si facessero consegnare gli orologi e gli anelli prima di imbarcare. L’altrettanto civilissima Svezia ha programmato il rimpatrio forzato di decine di migliaia di migranti. Rimpatrio dove, a Mosul in mano all’ IS? Nelle pianure afghane? Sulle coste della Libia? Nei campi di concentramento turchi?

L’Unione Europea ha concordato con il governo Cameron, per fargli vincere il referendum e respingere la Brexit, misure restrittive per i migranti. Non solo per quelli extracomunitari, ma anche per gli stessi cittadini della Unione. Gli italiani che andranno a lavorare in Gran Bretagna non godranno degli stessi diritti sociali dei lavoratori britannici, saranno un po’ come i nostri gastarbeiter nella Germania Occidentale degli anni 50 del secolo scorso. Altro che cittadinanza europea!

Il governo europeo non può che assumere queste misure feroci contro i migranti, perché esse servono a giustificare la ferocia quotidiana verso i propri cittadini. Se si perseguono la disoccupazione di massa e la distruzione dello stato sociale, si deve necessariamente alimentare la convinzione di massa che siamo già in troppi per accogliere altri. Se in Europa ci fossero piena occupazione e eguaglianza sociale, non ci sarebbero grosse difficoltà ad aggiungere posti a tavola in mezzo a 500 milioni di abitanti. Ma quando la vita quotidiana viene minacciata dalla precarietà e dalla disoccupazione e di massa e quando i diritti sociali fondamentali sono negati a milioni di persone, il migrante viene visto come colui che viene a contendere il pane e l’elemosina del povero. Claudio Magris ha scritto che non si possono accogliere tutti, che anche un ospedale deve chiudere ad un certo punto gli accessi. Ha dimenticato che dire che gli ospedali pubblici chiudono e riducono i posti ed i servizi per le politiche di austerità europee, che la Grecia non ha più una sanità pubblica da spartire eventualmente con i migranti.

Sono le politiche di austerità normate dalla costituzione europea che producono e alimentano le guerre tra poveri per diritti sempre più scarsi e aleatori, e che spargono il seme della xenofobia e del razzismo. I partiti reazionari e razzisti sono il prodotto, a volte persino utile come spauracchio, delle politiche di rigore economico da parte dei governanti democristiani e socialisti.È dovere contrastare ovunque i rigurgiti neofascisti e razzisti, ma senza dimenticare che la loro fonte sta nel potere autoritario e liberista di Bruxelles. Se non si taglia la testa al potere che alimenta i tentacoli del razzismo, questi continueranno a riprodursi.

Oggi invece l’Europa pare avere dimenticato le ragioni sociali ed economiche del dilagare del fascismo e poi del nazismo negli anni 30 del secolo scorso. E soprattutto pare avere dimenticato che le costituzioni sociali antifasciste sono nate proprio con lo scopo di estirpare le radici economiche e sociali di quel dilagare. Oggi l’Unione Europea fa la stessa politica economica della Germania democratica di Weimar e sta facendo rinascere gli stessi mostri. Viene il dubbio che di fronte alla ferocia antisociale delle politiche economiche della Unione il comparire delle forze reazionarie non sia proprio inaspettato. Come la storia insegna esse sono sempre il Piano B del capitale.

Cameron ha minacciato i britannici che se voteranno a favore della Brexit saranno responsabili del ritorno della guerra in Europa. Sfacciato. In Europa la guerra c’è già stata con le centinaia di migliaia di vittime della distruzione della Jugoslavia, grazie alle quali l’Unione Europea ha potuto consolidare la sua espansione verso Est. La guerra c’è oggi nella Ucraina dove l’Unione Europea finanzia ed arma il primo governo del continente, che dal 1945 abbia ministri dichiaratamente nazifascisti.

E poi l’Unione Europea, da 25 anni, praticamente dalla sua organizzazione nella forma attuale, partecipa a quella guerra mondiale a pezzi di cui parla Papa Francesco. Una guerra che alimenta il terrorismo mentre proclama combatterlo, una guerra che rischia di di non finire mai perché si alimenta di sé stessa. Quanto a Cameron, egli è direttamente responsabile della catastrofe della Libia, catastrofe che oggi assieme ad Hollande, Obama ed Erdogan tenta di riprodurre in Siria.

L’Unione Europea è sempre più coinvolta nella guerra e negli affari della guerra e sempre di più si identifica con la NATO e la sua politica imperial militare. Se dovesse essere approvato il TTIP, Unione Europea e Stati Uniti sarebbero assieme in una Nato economia dopo quella militare. Eppure a sinistra è più facile dire no al TTIP e anche no alla NATO, piuttosto che affermare il no alla Unione Europea. Come se fosse possibile davvero separare le tre colonne portanti della stessa costruzione.

Oggi l’Unione Europea gestisce e alimenta tre guerre contemporaneamente. Quella militare per difendere ed estendere i propri confini e gli interessi dei propri poteri economici. Quella contro i migranti da usare come moderni iloti o da deportare a seconda delle necessità degli stessi poteri economici. Quella contro i propri popoli, che distrugge lo stato sociale nel nome della competitività e del profitto, naturalmente sempre degli stessi.

La domanda è: come si fa a fermare queste tre guerre senza rovesciare il potere tirannico che le gestisce?

Qui la sinistra in gran parte si ferma, si paralizza. Pare a quel punto che dominino le paure.

Quella che se si rompesse con l’Unione Europea tornerebbe il fascismo nei singoli stati. Ma davvero crediamo che i popoli sarebbero così deboli di fronte ad un potere tirannico locale, non sostenuto da poteri esterni? Davvero si crede che i banchieri e la Troika ci difendano meglio da svolte reazionarie di quanto potremmo fare noi stessi? Se si pensa che in fondo questa Unione Europea ci protegga dal peggio, allora siamo destinati ad esserne schiavi. Il governo greco è lì a testimoniare che la paura di rompere con la dittatura europea porta a subirne tutti i comandi. Si dice che la Grecia fosse troppo piccola per resistere da sola. Questo accusa noi e tutti popoli europei di non aver fatto abbastanza per sostenere quel popolo contro la Troika, ma non assolve la resa del governo Tsipras. C’è sempre l’alternativa di resistere a quella di collaborare con il tuo oppressore. In ogni caso non è vero che il collaborazionismo con la Troika serva a prendere tempo in attesa della grande riforma democratica dell’Europa. Questa riforma non ci sarà mai.

L’altra grande paura dopo quella politica è quella economica, che è persino più forte della prima e ha un suo totem: l’euro. L’euro non è solo una moneta, ha detto il ministro delle finanze della Germania Schauble. L’euro è la politica economica di austerità, se non c’è l’una non c’è l’altro. Il ministro più potente d’Europa ha ragione, è così ma non è ancora tutto. L’euro è anche uno strumento ideologico di consenso. Ai popoli del sud si fa credere di essere eguali ai ricchi popoli del nord perché si possiede la stessa moneta. Anche noi abbiamo il solido marco, si sarebbe detto una volta. La moneta unica alimenta l’autorazzismo dei popoli meridionali, in cui si instilla il terrore di essere ricacciati tra i popoli di pelle scura dell’altra sponda del Mediterraneo, invece che essere ammessi nel consesso di quelli ricchi e virtuosi, biondi e con gli occhi azzurri. A loro volta ai lavoratori e ai popoli del nord, i loro governi impongono di tenere fermi i salari e di non avere pretese sociali eccessive, visto che il loro sistema è ambìto ed invidiato dai popoli del sud. La deflazione salariale in Germania ha permesso al grande capitale di quel paese di far man bassa di mercati ed imprese in tutta Europa. Se i paesi più forti hanno la stessa moneta dei paesi più deboli e tengono pure sotto controllo salari e prestazioni sociali, i paesi più deboli vengono mangiati. È stata così la dollarizzazione dell’economia contro cui si sono ribellati i popoli dell’America Latina. È nazionalismo non voler essere una colonia del grande capitale tedesco? L’euro è un vincolo economico e ideologico costruito apposta per rendere irreversibili le politiche di austerità. E serve a ricattare paesi e persone. Abbiamo visto in Grecia il modo terrorista con cui è stato usato per minacciare un intero popolo. Non avrete più la moneta vera, dovrete tornare al baratto, hanno ricattato. La Grecia è rimasta nell’euro, ma i greci non hanno più euro in tasca per mangiare.

Infine c’è una paura più piccola, ma presentata spesso in maniera piuttosto arrogante. La paura di non essere sufficientemente avanzati ed aperti. Ci si dice che l’Europa è l’Erasmus che unisce gli studenti del continente. Però si dimentica che in nome dell’Europa si sta distruggendo in ogni paese la scuola pubblica. Si esalta la possibilità di viaggiare facilmente e a basso costo e la Ryan Air si è ufficialmente pronunciata contro la Brexit. Eppure se la compagnia low-cost fosse costretta ad applicare ai suoi dipendenti un vero contratto nazionale non sarebbe poi una disgrazia.

Bisogna rompere con le paure se si vuole rompere la gabbia del sistema di potere europeo.

Certo, sarebbe meglio se in tutta Europa contemporaneamente scoppiasse la rivoluzione socialista. Allora il sistema di potere dell’Unione verrebbe travolto da tutti i lati. Ma francamente non possiamo aspettare una mitica ora x. Oggi è in piazza il popolo francese contro il Jobsact di Hollande, mentre incredibilmente quello greco continua a lottare.Tutto questo segna anche una condanna senza appello per la pavidità eIl collaborazionismo di CGILCISLUIL qui da noi. Le resistenze all’oppressione sono sempre nazionali e proprio partendo da questa loro dimensione parlano a tutti e diventano internazionali. Il primo popolo che si riappropri della propria sovranità democratica diventerà esempio da emulare in fretta per tutti gli altri. Ci sarà il contagio.

La rottura che noi proponiamo parte dunque da una dimensione nazionale, e si proietta subito in un dimensione di solidarietà internazionalista e cooperazione tra tutti i popoli che fanno e faranno la stessa scelta. Ciò che va abbattuto è Il superstato imperiale europeo che schiaccia democrazia e diritti sociali nel nome del mercato. Questo è l’avversario non riformabile.

Si deve abbattere il superstato Europeo non nel nome della efficienza economica, come vaneggia una certa destra, ma nel nome della democrazia. Si tratta di riconquistare il potere democratico di decidere sulle politiche economiche e sociali, e di avere gli strumenti reali per realizzare quelle scelte. Per questo, mentre è possibile che l’Unione Europea sia governata sempre più a destra, basta conoscere la legge antisciopero dell’europeista Cameron e come essa piaccia alla Commissione Europea, mentre questa svolta a destra della Unione è possibile e in corso, non è credibile un’uscita da destra da essa.

Uscire da UE ed Euro significa e richiede adottare misure di stampo socialista, sicuramente di rottura con i vincoli del mercato globale. Le prime sono il controllo rigido del mercato dei capitali, la lotta alla evasione fiscale dei ricchi, la nazionalizzazione della banca centrale e delle principali banche. Questo fa saltare l’euro. Perché una banca centrale che la smetta di ricorrere ai mercati finanziari e stampi moneta per le attività pubbliche e l’economia, così era in Italia fino al 1981, una banca centrale di stato che riprenda a sostenere il paese, questa banca è incompatibile con il sistema Euro.

Si rompe con UE ed Euro per fare una politica economica d’assalto contro la disoccupazione di massa, per far crescere salari e redditi, per colpire le diseguaglianze sociali, per difendere l’ambiente dalla devastazione delle grandi opere.

Si rompe con la UE e l’euro, per affermare i principi della Costituzione del 1948, totalmente incompatibili con i principi e le regole della costituzione europea. Lo può fare la destra questo? No.

In America Latina è in atto uno scontro terribile tra la spinta golpista e restauratrice dell’imperialismo USA, alleato con le caste corrotte e la borghesia compradora di quei paesi, ed il fronte sociale e politico che ha guidato, anche con grandi contraddizioni, il cambiamento progressista di tutto quel continente in questi due decenni. Lì le cose sono chiarissime, la destra rivuole le dollarizzazione dell’economia e il ritorno del liberismo selvaggio guidato dalle multinazionali USA, le sinistra, più o meno radicalmente, una economia governata dallo stato democratico che abbia come obiettivo l’eguaglianza sociale. Sono nazionalisti e assieme internazionalisti i popoli e le forze che seguono questa via.

In Europa la destra ha fintamente occupato lo spazio della contestazione al potere oligarchico europeo perché la sinistra neoliberale si è ritirata da esso così come si è ritirata dal popolo, anzi in molti casi essa è stata semplicemente cooptata in quella oligarchia. Renzi, Hollande, Gabriel non sono compagni che sbagliano, sono avversari. Dopo la resa di Tsipras è chiaro che sinistra europeista diventa un ossimoro politico. Se si vuole restare europeisti si deve rinunciare ad essere sinistra sociale, popolare, di classe. Se invece si vuole restare questo tipo di sinistra, si deve rinunciare ad essere europeisti.

Ogni volta che una lotta o un movimento sociale o politico acquisiscono la dimensione e la forza per confrontarsi con il sistema di potere, questi reagisce minacciando in nome dell’Europa. A questo punto finora abbiamo visto solo giustificazioni ed arretramenti che alla fine hanno indebolito o addirittura portato alla sconfitta quel movimento, quella lotta.

È giunto il momento di cambiare registro. Di fronte a quella minaccia si deve avere la forza di rispondere: che l’Europa vada al diavolo.

Un’altra Europa è possibile solo rovesciando l’attuale sistema di potere europeo, solo rivendicando la rottura con la UE, l’euro e naturalmente con la NATO. Questa è la inevitabile la conclusione politica dei percorsi dei movimenti sociali e politici radicali che non vogliano fermarsi.

Per questo oggi ci dobbiamo schierare senza paura a sostegno della Brexit, se il popolo britannico votasse SI ad essa aprirebbe uno squarcio di speranza per tutti noi. Se invece dovesse vincere il No il potere imperial finanziario europeo, che sta spendendo tutte le sue minacce contro la scelta di rottura, ne uscirebbe rinfrancato ed incattivito contro tutti i popoli. Brexit oggi per Italexit domani, non dobbiamo avere paura di questa parola. Molti sondaggi dicono che la parola Italexit stia diventando popolare, un sentimento, di massa. Oggi questo sentimento non ha dalla sua un vero progetto politico. Ora questo progetto va costruito. Dobbiamo fare il passo decisivo di scegliere la rottura e non discutere più sul se, ma solo sul come realizzarla. La rottura è prima di tutto una scelta politica per la democrazia e l’eguaglianza sociale, per riprendere la marcia interrotta verso il socialismo; parola scomparsa dal lessico della sinistra europea, mentre paradossalmente viene assunta da un candidato alle primarie presidenziali USA.

Il Mezzogiorno d’Italia con la crisi e le politiche di austerità europee è stato già ridotto in molte sue aree a condizioni eguali o peggiori di quelle della Grecia. E in questa devastazione prosperano le mafie. Siamo qui perché pensiamo che i tanti segnali di lotta e ribellione che vengono da queste terre e da queste città, possano crescere fino a diventare l’elemento portante di un blocco sociale e politico alternativo a quello dominante. Siamo qui a Napoli perché qui c’e una realtà sociale politica che pur tra enormi difficoltà è giunta al punto di rottura con il sistema di potere del PD. Ad essa, come a tutte e tutti coloro che oggi lottano per il lavoro e il reddito, per l’ambiente, per i diritti sociali, per la democrazia, è rivolta la proposta di scegliere esplicitamente la rottura con la UE e l’Euro.

Con questa posizione partecipiamo come Eurostop alla campagna per il No nel referendum sulla controriforma della Costituzione voluta da Renzi. Siamo parte di un fronte molto vasto e anche ovviamente contraddittorio, come necessariamente deve essere per un referendum costituzionale. Proprio per questo però dobbiamo affermare che quella controriforma è la realizzazione del progetto, europeo e della finanza internazionale, di distruggere nel nostro paese la resistenza costituzionale al liberismo. La controriforma della Costituzione, assieme al Jobsact, alla legge Fornero, alle privatizzazioni, alla distruzione della scuola e dei servizi pubblici, sono state offerte da Renzi e Padoan al tavolo europeo come pegni sacrificali, in cambio di qualche miliardo di flessibilità sui bilanci per finanziare le mance da distribuire nelle campagne elettorali del presidente del consiglio. I burocrati europei hanno apprezzato e forse concesso.

Così quando Renzi affermerà che la sua controriforma la vuole e la sostiene l’Europa, dirà forse per la prima volta una cosa vera. Il fronte del No dovrà essere pronto a rispondere senza impelagarsi nella confusione, noi comunque lo faremo.

Il referendum sulla Costituzione e il più importante appuntamento che abbiamo di fronte, anzi quello decisivo. Ad esso dobbiamo dedicare tutte le nostre forze nei prossimi i mesi. Con la vittoria del No nel nostro paese si aprirà una fase nuova e per la prima volta da anni con possibilità positive. Subito dopo dovremo aggredire la modifica non sottoposta a voto, ma altrettanto grave, dell’articolo 81 della Costituzione che ha imposto il pareggio di bilancio e così costituzionalizzato l’austerità. C’è tutta una lunga china da risalire. Allora Eurostop dovrà lanciare con tutta la forza possibile la proposta dell’Italexit come passo successivo conseguente e necessario.

Ma ora dobbiamo costruire le condizioni di quella vittoria e a tale fine è necessaria la più vasta e diffusa mobilitazione di massa, che faccia uscire la campagna dagli spazi televisivi e che superi la grande disaffezione politica popolare, sulla quale invece conta Renzi per vincere.

Per questo lanciamo la proposta di concludere la mobilitazione di massa con una grande manifestazione a Roma una settimana prima del voto referendario. Una giornata per la Costituzione del 1948 che sia anche un No Renzi Day. Ogni forza democratica a antifascista venga a quella manifestazione con la sua piattaforma, noi andremo con la nostra, ci unirà il rifiuto del regime renziano, espressione ilare della Troika.

Compagne e compagni è ora finirla di piangere e di ripartire.

Comments

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Rosario
Thursday, 21 July 2016 13:35
Quoting Claudio:
Sono ovviamente d’accordo con tutte le denunce che vengono fatte sulla politica antipopolare imposta sia a livello europeo e mondiale, che a livello dei singoli stati nazionali, mentre mi trovo in completa antitesi con voi, pretesi sinistri, sulla vostra subdola impostazione, che mira soltanto a sviare l’attenzione sul vero obbiettivo internazionale ed internazionalista di lotta, che deve essere l’attuale sistema sociale borghese, dominato dalla grande finanza, il quale attacca il salario e le condizioni di vita delle classi subordinate a scala globale. Di fronte a tale forsennato attacco generalizzato, che ha riportato le condizioni salariali e sociali indietro di un cinquantennio, invece di cercare di indicare con la massima decisione e risolutezza la necessità di organizzarci internazionalmente come proletari, per fare fronte a tale attacco, invece di farvi paladini della fulgida parola d’ordine marxiana “Proletari di tutti i paesi unitevi”, rivendicate, in piena sintonia con l’estrema destra reazionaria e xenofoba, il ritorno alle sacre patrie nazionali, a quella democrazia dei padroni che li ha ingrassati col nostro sudore e sfruttamento, grazie anche, bisogna ricordarlo, alla vostra patriottarda collaborazione, Il vostro ardito e lungimirante motto è, dunque, un ritorno alla politica dei campanili: Insomma, se fosse stato per voi ,saremmo ancora agli staterelli feudali. Siete proprio dei grandi progressisti, non c’è che dire...
Volete restare in questo adorato sistema, ove avete vissuto da sfaticati privilegiati, ma forse dimenticate che è un sistema capitalistico globalizzato, dominato dalla grande finanza, nel quale si confrontano e soprattutto si scontrano interessi continentali e tra grandissime e potenti nazioni. Mi spiegate, per favore, cosa ci può fare, in un simile contesto, un Italia super indebitata, con un Sud da terzo mondo e con la sua liretta? Chi pensate che possa continuare ad acquistare il debito pubblico italiano? E se non l’acquistano che fine facciamo? Non potremmo ovviamente far altro che passare da un default all’altro, e in tale situazione secondo voi a quanto andrebbe il tasso d’interesse, quello sui mutui, e quanto ci costerebbero i prodotti energetici di cui siamo grandi importatori, e chi pensate che pagherebbe l’elevatissimo costo di tutto questo, i nostri amatissimi padroni? Temo proprio che non ci sia una sciocchezza ideologica più fuorviante della vostra, in cui anziché elevare il livello della lotta di classe, pensate di tornare allo stato nazionale, come se in questo i problemi dei rapporti tra classi sociali contrapposte si risolvessero da soli. E dal momento che, come giustamente osservate, “Il sistema europeo è un sistema politico, costruito per agevolare il dominio dei mercati sulle nostre vite e per affermare il liberismo estremo nelle relazioni economiche e sociali”, immaginate veramente di poterlo affrontare chiudendoci a riccio nelle singole nazioni, le quali continuano a vivere nello stesso contesto? Sottolineate che “L’Unione Europea è una oligarchia fondata sul mercato, la sovranità appartiene al potere economico e finanziario che la esercita secondo le regole della competitività e del massimo profitto.”, come se questo, in un sistema capitalistico dominato dalla grande finanza, fosse una cosa strana. Ma dove vivete, in terra o su un idilliaco e sconosciuto pianeta?
Concludete affermando che “La rottura che noi proponiamo parte dunque da una dimensione nazionale, e si proietta subito in un dimensione di solidarietà internazionalista e cooperazione tra tutti i popoli che fanno e faranno la stessa scelta… Un’altra Europa è possibile solo rovesciando l’attuale sistema di potere europeo, solo rivendicando la rottura con la UE, l’euro”. A me sembra che dimentichiate che il sistema capitalistico non è nato europeo ma quando eravamo in contesti nazionali, nei quali si sfruttava il lavoro salariato per far accumulare profitti ai padroni, e che questo sistema produttivo basato sulla concorrenza ha portato crisi,disoccupazione e guerre distruttrici di sopraffazione. Insomma, non mi sembra proprio che la vostra sia per così dire una grossa trovata rivoluzionaria,dal momento che proponete soltanto di restarcene buoni a farci spellare in questo odiato sistema, a voi molto caro.

Se non se ne rende conto solo il capitale può essere internazionale, a meno che lei conosca operai che vanno a fare la spesa a New York. Per quanto riguarda la liretta lei parla come un banchiere centrale
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Claudio
Tuesday, 31 May 2016 06:32
Sono ovviamente d’accordo con tutte le denunce che vengono fatte sulla politica antipopolare imposta sia a livello europeo e mondiale, che a livello dei singoli stati nazionali, mentre mi trovo in completa antitesi con voi, pretesi sinistri, sulla vostra subdola impostazione, che mira soltanto a sviare l’attenzione sul vero obbiettivo internazionale ed internazionalista di lotta, che deve essere l’attuale sistema sociale borghese, dominato dalla grande finanza, il quale attacca il salario e le condizioni di vita delle classi subordinate a scala globale. Di fronte a tale forsennato attacco generalizzato, che ha riportato le condizioni salariali e sociali indietro di un cinquantennio, invece di cercare di indicare con la massima decisione e risolutezza la necessità di organizzarci internazionalmente come proletari, per fare fronte a tale attacco, invece di farvi paladini della fulgida parola d’ordine marxiana “Proletari di tutti i paesi unitevi”, rivendicate, in piena sintonia con l’estrema destra reazionaria e xenofoba, il ritorno alle sacre patrie nazionali, a quella democrazia dei padroni che li ha ingrassati col nostro sudore e sfruttamento, grazie anche, bisogna ricordarlo, alla vostra patriottarda collaborazione, Il vostro ardito e lungimirante motto è, dunque, un ritorno alla politica dei campanili: Insomma, se fosse stato per voi ,saremmo ancora agli staterelli feudali. Siete proprio dei grandi progressisti, non c’è che dire...
Volete restare in questo adorato sistema, ove avete vissuto da sfaticati privilegiati, ma forse dimenticate che è un sistema capitalistico globalizzato, dominato dalla grande finanza, nel quale si confrontano e soprattutto si scontrano interessi continentali e tra grandissime e potenti nazioni. Mi spiegate, per favore, cosa ci può fare, in un simile contesto, un Italia super indebitata, con un Sud da terzo mondo e con la sua liretta? Chi pensate che possa continuare ad acquistare il debito pubblico italiano? E se non l’acquistano che fine facciamo? Non potremmo ovviamente far altro che passare da un default all’altro, e in tale situazione secondo voi a quanto andrebbe il tasso d’interesse, quello sui mutui, e quanto ci costerebbero i prodotti energetici di cui siamo grandi importatori, e chi pensate che pagherebbe l’elevatissimo costo di tutto questo, i nostri amatissimi padroni? Temo proprio che non ci sia una sciocchezza ideologica più fuorviante della vostra, in cui anziché elevare il livello della lotta di classe, pensate di tornare allo stato nazionale, come se in questo i problemi dei rapporti tra classi sociali contrapposte si risolvessero da soli. E dal momento che, come giustamente osservate, “Il sistema europeo è un sistema politico, costruito per agevolare il dominio dei mercati sulle nostre vite e per affermare il liberismo estremo nelle relazioni economiche e sociali”, immaginate veramente di poterlo affrontare chiudendoci a riccio nelle singole nazioni, le quali continuano a vivere nello stesso contesto? Sottolineate che “L’Unione Europea è una oligarchia fondata sul mercato, la sovranità appartiene al potere economico e finanziario che la esercita secondo le regole della competitività e del massimo profitto.”, come se questo, in un sistema capitalistico dominato dalla grande finanza, fosse una cosa strana. Ma dove vivete, in terra o su un idilliaco e sconosciuto pianeta?
Concludete affermando che “La rottura che noi proponiamo parte dunque da una dimensione nazionale, e si proietta subito in un dimensione di solidarietà internazionalista e cooperazione tra tutti i popoli che fanno e faranno la stessa scelta… Un’altra Europa è possibile solo rovesciando l’attuale sistema di potere europeo, solo rivendicando la rottura con la UE, l’euro”. A me sembra che dimentichiate che il sistema capitalistico non è nato europeo ma quando eravamo in contesti nazionali, nei quali si sfruttava il lavoro salariato per far accumulare profitti ai padroni, e che questo sistema produttivo basato sulla concorrenza ha portato crisi,disoccupazione e guerre distruttrici di sopraffazione. Insomma, non mi sembra proprio che la vostra sia per così dire una grossa trovata rivoluzionaria,dal momento che proponete soltanto di restarcene buoni a farci spellare in questo odiato sistema, a voi molto caro.
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Paolo Cragnolini
Monday, 30 May 2016 20:02
Sono d'accordo con il giudizio sull'Europa: un potere politico sovranazionale che afferma il dominio del liberismo, al quale gli stati nazionali hanno delegato quote ingenti di sovranità, contro cui si deve lottare a partire da una dimensione nazionale per stabilire una solidarietà tra gli stati ed i popoli.
Ma se vogliamo evitare di essere strumenti del dominio del potere economico sovranzionale, delle grandi multinazionali che sommergono la terra di una montagna di merci da consumare, e della ideologia che garantisce il funzionamento di questo gigantesco e funesto meccanismo, dobbiamo stare molto attenti ai passi falsi. Tre questioni sono cruciali: stato sociale, fiscal compact, migrazioni.
Lo stato sociale è una conquista dei lavoratori dell'europa occidentale, che avevano alle spalle la protezione oggettiva dell'Unione Sovietica. La grande mistificazione è di confondere una conquista, che va mantenuta quotidianamente con la lotta, ma soprattutto con la responsabilità dei comportamenti, con un diritto garantito dalla carta di una costituzione. Se vogliamo difendere lo stato sociale, dobbiamo parlare di doveri, non di diritti, ed avere la forza di prendersi qualche fischio (o tanti fischi) nelle assemblee dicendo che una classe che aspira a diventare dirigente, e non essere subalterna a chi dichiara di combattere, deve assumersi le responsabilità conseguenti. Ricordiamoci la parabola delle lotte operaie dal risveglio del 1962 alla marcia dei quarantamila. Andiamo a rileggerci gli articoli di Amendola su Rinascita dopo la sconfitta alla FIAT.
La prima responsabilità da assumersi per difendere lo stato sociale è quella della sua sostenibilità economica. Non basta eliminare le pensioni d'oro; bisogna eliminare anche sprechi, abusi, evasione, comportamenti scorretti degli stessi fruitori; bisogna garantire una gestione efficiente.
Naturalmente lo stato sociale non potrà reggersi sui soli contributi dei cittadini; vi dovrà essere un finanziamento da parte dello stato. Qui veniamo al secondo punto: il debito pubblico. Il problema non è il debito, ma gli interessi che lo Stato paga. Sono circa 80 miliardi all'anno. Nel 1995, l'anno precedente all'ingresso nell'euro, erano 200 mila miliardi di lire, in aumento: a occhio si vede la differenza. Dunque, l'ingresso nell'euro ci ha fatto risparmiare almeno 1000 miliardi di euro in spesa per interessi (gli interessi nei primi anni dell'euro erano bassissimi). Ci ha salvati da una sicura insolvenza dello stato, oppure, rinazionalizzando la Banca d'Italia e stampando moneta, ci ha salvati da una inflazione ugualmente catastrofica per le fascie più povere. E' nell'interesse dei lavoratori che ogni anno lo stato trasferisca 80 miliardi dalle entrate fiscali alla rendita da capitale? Certamente no. Ma allora il debito pubblico non deve essere ulteriormente aumentato, cioè il bilancio deve essere in pareggio, anzi in attivo per diminuire il debito fino ad azzerarlo, azzerando gli interessi.
Nel 1998 Ciampi aveva portato l'avanzo primario al 5%. Se in questi 18 anni si fosse mantenuto questo avanzo primario, la montagna del debito sarebbe dimezzata rispetto al valore attuale, e già potremmo risparmiare 40 miliardi. Qui veniamo al nodo del fiscal compact, che si compone di due affermazioni. La prima è che l'assenza di austerità è certamente una politica di destra: l'enorme spesa per interessi alimenta il peggiore capitalismo, quello finanziario, a spese del lavoro dipendente. La seconda è che una politica di austerità si può fare in due modi: di destra, scaricando gli oneri del fiscal compact sulla parte povera; di sinistra scaricando gli oneri sulla parte più ricca (e destinando alle spese sociali i primi benefici della diminuzione degli interessi). Naturalmente un fiscal compact di sinistra non è facile da gestire, ma qui, appunto, sta la capacità della sinistra di essere all'altezza di sé.
Un secondo capitolo di spesa del bilancio dello Stato è decisivo per poter fare non solo un fiscal compact di sinistra, ma anche per avere adeguati margini per intervenire sulle emergenze nazionali: il Sud, la disoccupazione, il dissesto idrogeologico. La spesa pubblica ora è di 800 miliardi, ma nel 2001 era di appena 550 miliardi. Dove sono finiti 250 miliardi? Nel 2001 è stata approvata la riforma del Titolo V, e molti ministeri sono stati moltiplicati per 20, con beneficio delle carriere politiche regionali, un'infinità di ricorsi alla Corte Costituzionale, e praticamente nessun beneficio visibile per gli altri cittadini. L'unico vero impegno per ovviare a questa catastrofe pubblica è rappresentato dalla riforma costituzionale Boschi. La formulazione originaria era assai migliore, ma il partito del localismo regionale ha lasciato il segno. Il localismo è un'altro dei dettati che il grande potere economico sovranazionele impone agli Stati, per liberarsi dai fastidiosi intralci creati dalle velleità degli stati nazionali. Dunque, il primo impegno per una sinistra vera, non vittima dei miraggi globali-locali creati dal liberismo, deve essere per una chiara vittoria del SI a ottobre.
Infine, le migrazioni vanno analizzate per i loro effetti complessivi: impoverimento ulteriore in termini di drenaggio finanziario e di forza lavoro dei già poverissimi paesi d'origine; formazione di masse di individui sradicati, privi di una prospettiva che non sia, per la larga maggioranza, quella assistenziale; degrado sociale ulteriore per i già provati stati del sud europa che li accolgono. In cambio, vi è abbondante forza lavoro di riserva per il capitalismo europeo e l'affermazione del sacro dogma liberista della incontrollata libera circolazione di uomini. I veri poveri dei paesi di origine non arrivano a possedere un dollaro, figuriamoci i 3-4000 necessari per la lotteria tragica del viaggio. Con 30 euro quotidiani, tramite le esistenti ONG, si assicura una vita dignitosa ed autosufficiente ad assai più di una persona nei paesi di origine. Si è mai pensato che una seria politica di contrasto alle migrazioni incontrollate non si fa mitragliando le imbarcazioni dei profughi, ma, per esempio, con una politica di dissuasione-informazione-aiuto nei paesi di origine, e che assai vite di più verrebbero in tal modo risparmiate e rese più dignitose?
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Francesco zucconi
Saturday, 28 May 2016 23:46
Senza un partito della nazione non c' speranza. Buttar giù Renzi, al momento, non e' una soluzione ma un'aggravamento della situazione. Per uscire dall'euro abbiamo bisogno di governi forti, che aumentino enormemente la spesa militare anche per negoziare nuovi accordi con gli USA al fine di revocare molte clausole cui sottostiamo dal 1947 in poi, oltreche' per rilanciare l'industria pesante italiana. Su cosa la puoi fondare un'autonomia reale? Tutto questo non si ottiene solo andando in piazza ma disegnando uno scenario geopolitico, economico e sociale nuovo, in cui lo Stato Italiano ritrovi, per la prima volta dal 8 Settembre 1943, la sua Indipendenza. Caro Cremaschi, l'internazionalismo operaio, al momento, e' tutto da costruire. Forse può esser forgiato in futuro, ma una media potenza nazional-popolare al centro del Mediterraneo, governata tramite una nuova alleanza con quella media e piccola borghesia sufficientemente acculturata da poter fare a meno, per far funzionare una società moderna, degli oligarchi che tiranneggiano in Europa, e' l'unica soluzione percorribile per ora. Suona fascista? Non lo è! Non si viene da un " biennio rosso", quando la violenza socialista dilagava nelle fabbriche, per le strade, contro le processioni religiose! Si viene da un decennio grigio, malmostoso e disperato. L'economia sociale di mercato tedesca e la socialdemocrazia tedesca hanno già mostrato il loro volto; il loro procedere non può che tendere a schiacciare come sotto uno stivale di piombo, tutti i vicini che, nel quarto Reich potranno al più aspirare al ruolo di subfornitori di classe 2, 3, ...
Dai! Svegliamoci! Invece di sognare il passato delle vecchie lotte operaie davanti a una
Mirafiori, che fu comunque ricostruita grazie al capitale americano, inventiamo un vero partito nazionale, che lasci ai ricchi per merito la loro ricchezza, che abbia pesante la mano pubblica nella grande industria e nel sistema bancario nazionale, che, in cambio di un liberismo sfrenato nella piccola e media impresa, e nella valorizzazione del vero merito in ambito statale, restituisca salute, cultura e diritti a tutti, immigrati compresi. Non lo puoi fare, tutto questo, ed anche molto, ma molto di meno, se non muti i rapporti di forza internazionali! Ciò porta a una nuova guerra? Non necessariamente. La cultura dei diritti, quelli veri, quelli che puoi esercitare e far valere se guadagni ogni mese abbastanza, non tornerà più, in Italia, se non si osa di più in questa direzione; ma se non vai verso questa direzione, beh, allora ad agitare le piazze, fai solo il gioco di Albione e dei suoi scherani e quelli la guerra la fanno per davvero! Se non ti poni seriamente il problema militare, politico ed economico di come fuoriuscire dall'impero, allora illudi I ceti subalterni e, come tanti prima di te, nel crederti un comunista che lotta per un mondo migliore, sei solo un apripista per una manciata di "oppressi" dalle velleità piccolo borghesi destinate, questa volta, vista la congiuntura, a rimaner tali.
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