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sbilanciamoci

Neoliberismo, tecnoscienza e democrazia nell’era Covid

di Riccardo Emilio Chesta

Al contrario di quanto fa intendere il senso comune neoliberista, scienza e tecnologia non sono autonome dai rapporti di potere che informano la società. Per evitare derive tecnocratiche o populiste nella gestione della crisi Covid, occorre democratizzare entrambe

corto wenders hopper“La fede nel valore della verità scientifica è il prodotto di determinate civiltà, non già qualcosa di dato per natura”[1]. Questa frase di Max Weber, pensatore di cui ricorre quest’anno il centenario dalla morte, offre spunti di riflessione che dovrebbero aiutare il dibattito pubblico italiano a superare concezioni monolitiche del modo di operare della scienza. Negli sconvolgimenti che attraversano società, politica ed economia investite dal Covid-19, queste parole di Weber possono aiutare a superare i cortocircuiti cognitivi che caratterizzano scienza e politica così come vengono concepite in un senso comune definito dall’egemonia neoliberista e da forme di populismo che a quest’ultima dicono di opporsi.

Nell’odierno dibattito pubblico italiano, professionisti della politica e del giornalismo sembrano rivolgersi agli esperti con quell’approccio tipico che in psicologia cognitiva si definisce come “realismo ingenuo”. Si può dire che questo senso comune con cui si guarda agli esperti poggi sinteticamente su due presupposti fondamentali. Il primo è che esista una modalità immediata di vedere la realtà – sia essa riferita alla natura o alla società – ovvero che ci siano modelli e metodi di conoscenza scientifica che prescindono dalle scelte cognitive dell’attore scientifico o politico. Questo aspetto fa del realismo ingenuo nel senso comune la vera epistemologia sui cui poggia il celeberrimo motto neoliberale del “There is no alternative” nella vita politica ed economica.

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pierluigifaganfacebook

Forse non la stiamo prendendo per il verso giusto

di Pierluigi Fagan

safe image89L’altro ieri, la missione di analisti dell’IMF, di ritorno dal suo soggiorno americano, ha pubblicato questo rapporto su stato e prospettive dell’economia americana che da sola vale un quarto di quella planetaria.

Nel secondo trimestre (A-M-G), il Pil USA ha fatto -37% (lo ripeto per i distratti e coloro che saltano i dati di quantità a priori perché preferiscono le parole: “meno trentasette per cento”). Si prevede che l’economia USA tornerà ai livelli di Pil fine 2019, solo a metà 2022, forse. IMF segnala che gli USA erano già un sistema con una forte componente di povertà interna, la crisi è destinata ad allargare e sprofondare questa parte addensata nelle etnie afro-americana ed ispanica. Al momento sono 15 milioni i disoccupati ed è appena iniziata la catena di fallimenti di esercizi commerciali ed imprese che accompagnerà la lenta ma costante caduta. Ed aggiunge: “il rischio che ci attende è che una grande parte della popolazione americana dovrà affrontare un importante deterioramento degli standard di vita e significative difficoltà economiche per molti anni a venire.”.

“Molti anni a venire” , come riportato in post precedenti, viene da Nouriel Roubini e dai "miliardari invocanti tasse", quotato sulla prospettiva del decennio, magari non saranno proprio dieci anni, ma al momento le prospettive sono di crisi profonda e lunga. “Larga parte della popolazione” significa più che la maggioranza.

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effettocassandra

Covid-19: Cosa Rischiano i Bambini e i Ragazzi a Scuola?

di Alessandra Basso (TINT, Università di Helsinki), Valentina Flamini (Biologa molecolare), Eleonora Franchini (docente di scuola secondaria di secondo grado), Sara Gandini (IEO, SEMM)

PilloleDiOttimosmoVi passo qui di seguito un testo scritto da un gruppo di ricercatrici italiane che è veramente una boccata di ossigeno nello tsunami di fesserie e di bugie che ci sta sommergendo. Non un testo facile, non un testo annacquato. Un esame approfondito della letteratura scientifica. Non è un testo di opinioni, è un testo di dati e di fatti. E che arriva alla conclusione che il rischio di un ritorno a scuola per i nostri bambini è minimo o inesistente, e che -- soprattutto -- è trascurabile rispetto ai danni psicologici che i bambini ricevono standosene isolati a casa.

La cosa più bella è il successo che questo testo ha avuto. Pubblicato sul sito Facebook "Pillole di Ottimismo" è stato condiviso oltre 2500 volte in 24 ore. E' un risultato eccellente considerato il marasma che è Facebook al momento attuale. Dei circa 500 commenti, praticamente tutti sono favorevoli, molti ringraziano per la spiegazione. Soprattutto, sono genitori e mamme preoccupate per i loro bambini costretti in una situazione innaturale di isolamento e segregazione.

Come sappiamo, l'informazione pubblica in Italia è dominata da sorgenti di informazione completamente inaffidabili e di solito impegnate nel raccontarci bugie. Ma quest storia ci fa vedere come c'è ancora spazio per raccontare le cose come stanno. C'è ancora gente in grado di recepire un messaggio anche complesso quando capiscono che gli autori (le autrici, in questo caso) hanno lavorato seriamente per fare un servizio di informazione pubblica. (UB)

* * * *

I bambini non sono i più colpiti da questa pandemia, ma rischiano di essere le sue più grandi vittime”. Così apre il report delle nazioni unite dedicato all’impatto del Covid-19 sui bambini (1).

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gliasini

Pedagogia hacker trasgredire la norma tecnocratica

Intervista al Collettivo Ippolita

15 Travestimento 1975 1980 MarialbaRusso scaled e1592574339349 1320x1074Questi mesi di distanziamento sociale hanno reso evidenti e aggravato molte delle contraddizioni relative alle grandi corporation del web e all’uso e agli effetti delle tecnologie digitali nelle nostre esistenze quotidiane, su cui voi avete scritto in maniera molto lucida negli ultimi anni. Un primo tema su cui vi chiediamo un commento riguarda il ruolo politico, economico, sociale, che hanno giocato e stanno giocando corporation come Amazon, Google, Microsoft, Facebook, Apple, nel periodo del distanziamento sociale e nella gestione sanitaria e sociale della pandemia.

Mentre scriviamo i quotidiani ci dicono che circa 500mila persone hanno scaricato la app Immuni. Interessante notare che a distribuire questa app non sia un sito del Governo che ha finanziato l’operazione, ma gli store di Apple e Google, che sono società private con un fatturato che supera il Pil di molti stati nazione e che hanno delle regole interne spesso in conflitto con quelle delle democrazie occidentali presso le quali nella maggior parte dei casi non pagano le tasse.

Apple e Google, due Big tech, collaborano per la prima volta imponendo delle scelte di decentralizzazione privata sulla distribuzione di un software di Stato dedicato alla salute pubblica. Cosa diranno di ciò i fedayn della decentralizzazione? Per noi questa è la dimostrazione che la decentralizzazione di per sé non è un valore, cioè non è una garanzia di orizzontalità democratica e si sposa benissimo con il liberismo senza regole delle corporation tecnologiche.

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mateblog

Il virus dell'occidente

di Stefano G. Azzarà

Stefano G. Azzarà: Il virus dell'Occidente. Universalismo astratto e sovranismo particolarista di fronte allo stato d'eccezione, mimesis, 2020

IMG 5916 1024x724La pandemia ha fatto emergere le contraddizioni delle società capitalistiche - stremate da decenni di politiche neoliberali all’insegna della guerra ai salari e ai diritti delle classi subalterne, delle privatizzazioni, della deregulation e dello smantellamento del Welfare - che le hanno rese sempre più disuguali. Incapace di immaginare un modello di società diverso e certo della propria eternità, l’Occidente ha creduto che il “virus cinese” colpisse solo i paesi arretrati o ritenuti autoritari e che mai potesse diffondersi nelle efficienti e trasparenti società liberali. Invece di prendere sul serio l’esperienza di altre realtà che hanno gestito meglio l’emergenza grazie alla capacità dello Stato e della politica di guidare l’economia e la produzione subordinando gli interessi privati a quelli della maggioranza, ha negato loro ogni riconoscimento, fino a procurarsi da solo un rischio estremo per eccesso di hybris. A questa incapacità suicida di aprirsi all’altro non è sfuggito il dibattito filosofico: sia le posizioni dirittumaniste astratte ispirate al liberalismo universalista, sia il sovranismo particolarista e populista – che del liberalismo rappresenta non l’alternativa ma una scissione conservatrice – condividono infatti di fronte allo stato d’eccezione il suprematismo occidentale, con il rifiuto di elaborare un universalismo concreto e di pensare una diversa configurazione del rapporto tra individuo, società civile e Stato ma anche dei rapporti tra le nazioni.

“Proprio il mancato riconoscimento dell’altro… ha impedito il riconoscimento della realtà stessa; impedendo al contempo di prendere le necessarie precauzioni ed esponendo l’Occidente a un rischio autoprocurato per eccesso di sicurezza e per presunzione di civiltà: in una parola, per hybris”.

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Coordinamenta2

“La salute e un par de scarpe nove”

di Elisabetta Teghil

scarpe nuove… Quanno c’è ‘a salute c’è tutto
Basta ‘a salute e un par de scarpe nove
Poi girà tutto er monno
E m’accompagno da me

Tanto pe’ cantà- (E.Petrolini 1932) Nino Manfredi 1970

La lucidità di pensiero è stata destabilizzata da un virus, il Covid-19. Improvvisamente (quasi) tutti e tutte tre mesi fa, sinistra di classe compresa, sono stati colti/e dalla paura della malattia e del contagio. Il <qui si muore> è stata la risposta secca e anche violenta a qualsiasi tentativo di analisi e di riflessione sulla propaganda terroristica e sul controllo asfissiante messo in atto dal sistema di potere a cui non si è mai accompagnata, guarda caso, nessuna indagine degna di questo nome sulle cause reali e sulle ragioni della propagazione del virus soprattutto in Lombardia. C’è in ballo la salute, la salute è la cosa più importante è stato il refrain di questi mesi.

Ma che cos’è la salute? Cosa significa essere in salute, mantenersi in salute? La salute fisica e mentale, poi, sono inscindibili e sono il risultato dell’equilibrio del nostro essere. Non stiamo qui ad indagare posizionamenti e teorie, ci perderemmo nei meandri di una discussione senza fine ma sicuramente la salute non è legata ad una specifica malattia piuttosto dipende dalla qualità della vita e anche della morte in quella che sembra una contraddizione ma non lo è. E la qualità della vita proprio perché non dipende dalla presenza o dall’assenza della malattia non è altro che il rapporto intercorrente tra i nostri desideri e la possibilità di realizzarli, tra il nostro senso della vita e la rispondenza reale che a questo senso viene data.

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ospite ingrato

Note su una falsa fine del mondo

di Andrea Cavazzini

apocalypse 2570868 340Un’epidemia è un processo naturale relativamente banale: se ne può morire, certo, ma non più che di mille altre cause. Questo fatto non basta perciò a farne un evento, la cui portata dipende dal modo in cui è percepito, dalle risposte cui dà luogo, dalle ragioni o sragioni che le motivano. La crisi sanitaria mondiale del 2020 rappresenta meno una nemesi della Natura contro società inconsapevoli, che non la rivelazione, e l’intensificazione, di loro aspetti e tendenze. È peraltro il caso di tutte le Grandi Paure note attraverso i secoli: l’Anno mille, la jacquerie nel 1789, la guerra atomica negli anni Cinquanta… Ogni volta, vi sono certo dei fatti reali alla base di tali accessi di angoscia e di panico, ma questi ultimi e i loro effetti obbediscono a logiche proprie, spesso senza comune misura con i dati oggettivi. È così che in siffatte crisi ci troviamo confrontati principalmente a noi stessi, cioè alle società in cui viviamo e che le nostre azioni riproducono, ai loro rapporti di proprietà e di potere, alle loro ideologie e credenze: tutto ciò che costituisce, secondo la tradizione dialettica, la seconda natura, la quale nella specie umana sostituisce la prima, proiettando su questa i propri fantasmi e temendone il ritorno nella penombra dell’orrore mitico.

Si può così supporre che il vero evento sia meno l’epidemia che non il consenso di autorità politiche e sanitarie, di istituzioni statali e sovrastatali, di esperti e comunicatori, verso un lockdown mondiale che Marco D’Eramo definisce sulla «New Left Review» un «esperimento di disciplinamento sociale senza precedenti».1 Attuato con entusiasmo dai decisori e approvato o subito passivamente dalle popolazioni, è forse questo esperimento l’aspetto veramente inaudito di questa crisi, il fatto destinato ad avere delle implicazioni durevoli e profonde.

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carmilla

I don’t live today: scene dalla guerra di classe in America (e non solo)

di Sandro Moiso

military policeWill I live tomorrow?
Well I just can’t say
But I know for sure
I don’t live today

(I don’t live today – Jimi Hendrix, 1967)

“Certo che c’è la guerra di classe, ma è la mia classe, la classe dei ricchi, che la sta facendo e la stiamo vincendo.” (Warren Buffett, 2006)

Gli eventi delle ultime settimane negli Stati Uniti hanno sicuramente costituito un severo monito, soprattutto per chi, come il finanziere Warren Buffett, uno dei tre uomini più ricchi del mondo, poteva crogiolarsi in un illusoria vittoria definitiva della propria classe su quella degli oppressi.

Le notizie di tali eventi hanno fatto rapidamente il giro del mondo e, esattamente come le lotte contro la guerra in Vietnam degli anni Sessanta, hanno infiammato le piazze dei paesi occidentali e di altri continenti.

La forza delle manifestazioni, il timore suscitato dal loro rapido diffondersi, la capacità di risposta politica dimostrata dai manifestanti (in grado di utilizzare tanto la violenza quanto l’abilità di influenzare mediaticamente e politicamente l’opinione pubblica nazionale e internazionale), la strategia messa in atto collettivamente nelle strade e nelle piazze hanno costituito una brutta sorpresa per un potere politico e finanziario che da anni si pensava ormai vincitore nel confronto con i subordinati di ogni colore e credo.

La richiesta improvvisa e radicale dello scioglimento delle forze di polizia o almeno di un loro radicale ridimensionamento e di una sostanziale revisione dell’uso della forza ad esse consentito è stato un passo di portata storica, non soltanto per i movimenti americani ma anche per quelli che in ogni angolo del mondo si oppongono ormai da anni alle violenze poliziesche e, più in generale, dello Stato nei confronti di chi difende, sul fronte opposto, gli interessi di classe, ambientali, di genere e appartenenza culturale e etnica.

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antiper

Tra mercati antichi e rotte globali

Commento a “Sulla situazione epidemica” di Alain Badiou

di Antiper

comis comisIl filosofo francese Alain Badiou ha scritto qualche tempo fa un intervento sulle conseguenze della pandemia SARS-2 in cui formula una serie di interessanti osservazioni con cui può essere interessante confrontarsi.

Dice Badiou

Non ho trovato dunque nient’altro da fare che provare, come tutti, a sequestrarmi in casa mia, e nient’altro da dire se non esortare tutti a fare altrettanto. Rispettare, su questo punto, una rigida disciplina è tanto più necessario in quanto è un sostegno e una protezione fondamentale per tutti coloro che sono più esposti: certo, tutto il personale medico curante, che è direttamente sul fronte, e che deve poter contare su una ferma disciplina, ivi comprese le persone infette; ma anche i più deboli, come le persone anziane, in particolare quelle in EPAD (European Prevention of Alzheimer’s Dementia) o immunodepresse; e inoltre tutti coloro che vanno al lavoro e corrono così il rischio di un contagio.

Si tratta di una domanda che tutti si sono posta: è giusto sequestrarsi in casa durante la pandemia, ovviamente, avendone la possibilità? Si noti che qui il filosofo francese dice “mi sono sequestrato” e non “sono stato sequestrato” (come forse avrebbe detto uno come Agamben) ponendo così il sequestro nei termini di una scelta, sia pure obbligata, e non di un obbligo subìto.

Come è noto le cose non stanno esattamente come le pone Badiou perché, a dire il vero, non si poteva far diversamente che “sequestrarsi in casa”, dal momento che le misure varate dai governi prevedevano multe salatissime ai contravventori e pattugliamenti delle città (fino al ridicolo degli elicotteri in azione su tetti di casa e spiagge deserte). Quello che Badiou intende dire, evidentemente, è che quella del lockdown è stata una scelta condivisibile.

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znet italy

I gilet gialli e l'invenzione del futuro

di Pierre Dardot e Christian Laval

GiletGialli6La rivolta dei Gilets Jaunes è stata interpretata e analizzata molte volte in molti modi, a volte del tutto contrastanti. E’ stata largamente considerata, dalla destra specialmente e dalla maggior parte dei media dominanti, come un movimento quasi fascista, un forma di delinquenza collettiva incontrollabile, in una parola una minaccia alla democrazia e alle istituzioni esistenti.

Ma anche tra i generalmente simpatizzanti con i movimenti sociali, tra cui molti attivisti della sinistra, sono rimaste molto forti riserve nei confronti di nuove forme di azione politica e diffidenza riguardo a persone che quadrano politicamente, a volte inducendo anche a rifiutare sostegno a quelle che considerano lotte “impure”, “confuse” o “inaffidabili”. Che i Gilets Jaunes ispirino tali reazioni mostra la misura in cui il movimento ha sorpreso, imbarazzato, disorientato e persino preoccupato le persone. I Gilets Jaunes, in altre parole, sono un movimento che ha scosso gli schemi prestabiliti e i criteri di una “sociologia politica” ben consolidata.

Il principale fattore che ha scatenato le proteste, l’”imposta sul carbonio” sui carburanti, ha indotto alcuni a pensare che i Gilets Jaunes siano virulenti antiambientalisti che difendono il diritto degli automobilisti di inquinare il pianeta. Una cosa è certa: questa rivolta popolare è un evento politico che è significativo, considerando quanto a lungo è durato, quanto diffusamente è stato appoggiato dalla popolazione, quanto ha provocato e continua a provocare effetti sia politici sia sociali.

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lafionda

“La disinformazione felice”

di Carlo Magnani

Una interpretazione culturale delle fake news a proposito di un libro di Fabio Paglieri

la disinformazione felice cosa ci insegnano le bufale fabio paglieri copertina“Cercava la verità e quando la trovò ci rimase male, era orribile, deserta, ci faceva freddo”. (E. Flaiano)

1. Fake news e voti poco graditi

Il dibattito pubblico ha da tempo individuato nelle fake news circolanti sulla Rete un facile bersaglio attorno al quale consolidare un pensiero conformistico e sostanzialmente ricco di banalità. Il mainstream giornalistico e politico è mobilitato più o meno dal 2016 contro la disinformazione che caratterizzerebbe la comunicazione online. L’Unione europea, tramite la Commissione, ha istituito una task force di esperti che di concerto con le grandi piattaforme digitali, mediante l’adozione di protocolli che assegnano rilevanti funzioni proprio ai grandi operatori del web, mira ad azioni di monitoraggio e di controllo dei contenuti che vengono diffusi dagli utenti. Francia e Germania hanno approvato leggi che disciplinano, rispettivamente, la comunicazione politica online durante le campagne elettorali e la rimozione immediata di contenuti dalla Rete qualora siano valutati illeciti. Attualmente nel Parlamento italiano riposano quattro disegni di legge di iniziativa parlamentare che mirano ad istituire, con varie articolazioni, una Commissione parlamentare sulla informazione tramite Internet. E si potrebbe continuare.

A volere leggere in chiave squisitamente politica l’allarme generale sulle fake news, si potrebbe notare che nel 2016 si verificano tre eventi elettorali che rovesciano tanto le previsioni quanto le aspettative delle élite economico-politico dominanti: il referendum Brexit, l’elezione di Trump e infine il referendum costituzionale italiano. Lo sconcerto planetario degli sconfitti è tale che subito parte la caccia alle streghe: i terribili hacker russi in primo luogo, poi i vari untorelli del web che avrebbero traviato intere popolazioni, le quali solo due anni prima erano invece un esempio specchiato di saggezza (come ad esempio il corpo elettorale nostrano delle europee del 2014).

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lafionda

Alle radici dell’aumento della brutalità razzista delle polizie

di Salvatore Palidda

Floyd protests usa 7 scaledDa oltre due decenni si assiste a una continua riproduzione di violenze razziste e persino assassinii da parte di agenti delle polizie[i]. Non è casuale che questi fatti siano particolarmente frequenti negli Stati Uniti ma anche nelle banlieues francesi, in Inghilterra e sebbene con meno frequenza anche in Italia, Spagna, Belgio e laddove la presenza di neri, ispanici, nordafricani e immigrati di diverse origini si configura come oggetto di violenza del dominio liberista neocoloniale.

Questa escalation delle violenze poliziesche è la conseguenza di un processo di militarizzazione della polizia statunitense che comincia come reazione ai movimenti per i diritti civili, poi, ancora di più nella strategia di counterinsurgency sviluppata negli anni 60 e 70 perneutralizzare il Black Power movement e continua con la Revolution in Military Affairs (RMA) lanciata nel periodo di Reagan[ii]. Questa “rivoluzione” è la traduzione di quella liberista che ha instaurato la conversione militare del poliziesco e quella poliziesca del militare, il continuum fra le guerre permanenti su scala mondiale e la guerra sicuritaria all’interno di ogni paese. Da allora c’è stata una gigantesca recrudescenza dell’azione repressiva delle polizie con modalità da guerra contro immigrati, marginali, manifestanti e in generale oppositori al trionfo liberista (da Seattle al G8 di Genova e poi ancora sino alle mobilitazioni contro i summit del G7 o G20 così come contro le grandi opere vedi in Italia casi TAV, TAP ecc.).

Alcuni osservatori e ricercatori hanno provato a spiegare la recrudescenza di violenze razziste negli Stati Uniti con la deriva che ha caratterizzato la cosiddetta guerra allo spaccio di droghe (tesi in parte alimentata anche da alcune serie tv fra le quali The Wire[iii]).

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maggiofil

Un “capro espiatorio” per il Covid-19

di Uber Serra, con Giorgio Gattei

5950122xQuando una comunità viene minacciata nella sua stessa sopravvivenza fisica da lotte intestine, ma anche da guerre o da calamità naturali, ha tre modalità possibili di tenuta:

1) sottomettersi alla volontà di un Tiranno (il “Leviatano”) – e questo è Hobbes;

2) aderire di comune accordo ad un Contratto (la “Volontà generale”) – e questo è Rousseau;

3) scatenare la violenza contro una Vittima (il “Capro espiatorio”) – e questo è Girard.

* * * *

Uber Serra

Insegna René Girard (qui si rinvia a Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo del 1978, ma c’è anche La violenza e il sacro del 1972 e Il capro espiatorio del 1982) che tutto ciò che chiamiamo “cultura” trae origine, e quindi può essere spiegato, dal concetto di desiderio mimetico, nel senso che tutti gli uomini per loro natura tendono a desiderare le medesime cose. Si tratta di una vera e propria legge universale del comportamento umano, una invariante culturale in base alla quale, siccome viviamo in un ambiente di penuria, ciascuno di noi desidera egoisticamente e realisticamente ciò che l’altro possiede, così da imitarci l’un l’altro nel medesimo desiderio di appropriazione (“appropriazione mimetica”): «se un individuo vede uno dei suoi congeneri tendere la mano verso un oggetto, è subito tentato di imitarne il gesto».

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ilpedante

La norma invisibile

di Il Pedante

coronavirus 1200 ok 690x362Nel merito della proclamata epidemia di questi mesi sono state spese parole autorevoli ma finora poco o per nulla definitive, sempre atteso che possa darsi un «definitivo» nelle cose della scienza. In quanto al metodo è stato invece più facile identificarvi l'ultima metamorfosi di una crisi ininterrotta che da almeno vent'anni reclama deroghe ai precedenti etici e giuridici per risolvere emergenze ogni volta inaffrontabili con gli strumenti del prima. Se tentassimo una tassonomia delle eccezioni condensatesi in questo breve periodo, quella attuale ricadrebbe nella fattispecie dell'attacco terroristico. Non tanto per il terrore che integra già la fenomenologia dell'emergenza, quanto più per i prodotti propri del collegato momento riformante: instillare la paura del prossimo come latore di rischi invisibili e mortali → rinforzare i dispositivi di sorveglianza → limitare le libertà che attengono alla sfera fisica.

Le misure straordinarie di volta in volta adottate nell'evo della crisi perpetua lasciano sempre un sedimento irreversibile nella legge e nella percezione di ciò che è ordinario. E in questo loro spingere ogni volta più in alto la piattaforma su cui si innesteranno le eccezioni successive, in questo qualificarsi non già degli eventi, ma delle reazioni agli eventi come incrementalmente «senza eguali», anche nella loro versione sinora ultima non sfuggono alla regola di ogni ultima versione, di superare cioè le applicazioni pregresse in ogni dimensione possibile.

Il primo prodotto in elenco si specchia oggi, direi in maniera radicale, nel dispositivo del «distanziamento sociale» che fa della negazione della prossimità e del suo comandamento (Mt 22,39) una norma generale.

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doppiozero

In che scuola vogliamo tornare?

di Girolamo De Michele

abbandono scolasticoIn autunno, sul banco delle novità della biblioteca del liceo in cui insegno, c'era un libro adesso famosissimo, Spillover di David Quammen. L'ho tenuto in mano a lungo, sfogliandolo e leggiucchiandolo; l'amico bibliotecario mi ha chiesto se volevo prenderlo in prestito (mi conosce, e sa che di solito se tengo in mano un libro per un tot poi me lo porto a casa); ci ho pensato su, e poi gli ho risposto: magari in estate, adesso non ho il tempo di leggerlo. E poi, mi sono anche detto: una volta letto, dove trovo il modo di parlarne in classe, io che insegno storia e filosofia? Fatto è che il tempo di leggerlo (è un librone, anche se divulgativo), fra lezioni da preparare, compiti da correggere, e un mare di impegni burocratici da sbrigare, forse non lo avevano neanche le/i collegh@ di scienze.

Poi è arrivata la pandemia, il manifesto ha intervistato Quammen, e di colpo tutto il mondo dell'informazione ha "scoperto" Spillover: e a me è rimasto l'amaro in bocca per non averlo letto e non averne parlato, che sarebbe stato utile, eccome. Potrebbero obiettarmi: ma se l'aggiornamento è un obbligo, leggere un libro per farne argomento didattico non è ottemperare a un obbligo di servizio? La risposta è: no, non lo è. Se leggo un libro e imparo qualcosa, non è riconosciuto come aggiornamento. Se invece (com'è accaduto) c'è una "giornata di studio" nella quale la star dell'evento è una funzionaria del ministero la cui unica referenza è stata per anni l'aver co-firmato (ma col proprio cognome in piccolo) un libro assieme all'ex ministro Berlinguer – ma che, a dispetto di ciò, ha incarichi su incarichi: beh, quello sarebbe aggiornamento. Perché, un po' come le banane, quel convegno aveva il bollino: quello della piattaforma SOFIA. Per la cronaca: non ci sono andato (e questo mi ha causato qualche problema).

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cambiailmondo

Covid-19: «rivelazioni» e conferme di giugno

di Marinella Correggia

Intorno al Covid-19 si susseguono da mesi colpi di scena, rivelazioni e successive rettifiche. Grande è la confusione sotto il cielo. Ma non siamo ai tempi di Mao e quindi la situazione non è affatto eccellente. Cerchiamo di collegare alcuni puntini

covid e soldi 11. Oms: «Il contagio da parte di asintomatici è molto raro»…anzi «non sappiamo». Maria Van Kerkhove, direttrice del team tecnico dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per la risposta al coronavirus (1), lunedì 8 giugno osa affermare: «Ci sono casi di persone infettate che sono asintomatiche, ma i paesi che stanno monitorando in modo dettagliato i contatti non stanno trovando da questi casi una trasmissione secondaria». Gli «esperti di salute pubblica» insorgono, capitanati dall’Harvard Global Health Institute. E così l’Oms aggiusta il tiro il giorno dopo: «La maggioranza dei casi di trasmissione che conosciamo si verifica, con le droplets, da parte di chi ha sintomi. Ma ci sono persone che non sviluppano sintomi, e non abbiamo ancora risposta sulla questione di quanti infettati non abbiano sintomi». Alcune ricerche stimano la probabilità di infezioni da asintomatici (e più spesso pre-sintomatici) con modelli probabilistici, senza documentare direttamente la trasmissione. Comunque la frase rivelatrice dell’esperta dell’Oms è: «Per ogni risposta che troviamo alle domande, ne sorgono altre dieci». La risposta è sempre: dipende (dalle circostanze): un luogo chiuso affollato e in una zona ad alta carica virale è un caso specifico, non generalizzabile (vedi ai punti 10 e 12).

 

E a proposito dei modelli probabilistici..

2. «Falliti i modelli epidemiologici, meglio non usarli più nelle decisioni politiche». Il virologo Guido Silvestri, ribadendo – sulla sua rubrica social Pillole di ottimismo – quanto aveva già affermato circa il fallimento dei modelli matematici nel prevedere l’andamento reale dell’epidemia, spiega (2):

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rizomatica

Screen New Deal

di Naomi Klein

Isolamento fisico come laboratorio vivente di un avvenire – altamente redditizio – deprivato per sempre di qualsiasi contatto fisico

MOSHED 2020 3 23 17 50 14 1Nel corso del briefing quotidiano sul coronavirus del governatore di New York Andrew Cuomo di mercoledì 6 maggio, per alcuni brevi istanti, la cupa smorfia che ha riempito i nostri schermi per settimane si è rapidamente trasformata in qualcosa che assomiglia a un sorriso.

«Noi siamo pronti, ci siamo completamente dentro», ha ciangottato il governatore. «Siamo newyorkesi, quindi siamo aggressivi su questo problema, siamo anche ambiziosi a tale riguardo (…) Ci rendiamo conto che il cambiamento non soltanto è imminente, ma può essere veramente un amico se facciamo le cose come vanno fatte. »

L’ispirazione per queste vibrazioni insolitamente positive veniva dalla visita in video dell’ex CEO di Google Eric Schmidt, che si è unito al briefing del governatore per annunciare che sarà a capo di un panel per reinventare la realtà post-Covid dello Stato di New York, con un’enfasi sull’integrazione permanente della tecnologia in ogni aspetto della vita civile.

«Le priorità di ciò che stiamo cercando di seguire» , ha dichiarato Schmidt, «riguardano la sanità a distanza, l’apprendimento da remoto e la banda larga (…) Dobbiamo cercare soluzioni che possano essere usate adesso e poi accelerate per utilizzare la tecnologia e per fare le cose al meglio». Per non avere dubbi sul fatto che gli obiettivi dell’ex presidente di Google fossero del tutto benevoli, il suo sfondo video presentava una coppia di ali d’angelo d’oro incorniciate.

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micromega

Homo homini virus? Spazio urbano e disuguaglianze in tempo di pandemia

di Nicolò Bellanca

GettyImages 1202557009 800x533Nel ragionare sugli scenari post-pandemia, ciò che accadrà nelle città è decisivo. Non soltanto perché il 55% della popolazione planetaria è urbanizzato; né soltanto perché dalle città proviene il 75% del PIL globale, ottenuto consumando più di due terzi dell’energia e provocando il 70% delle emissioni inquinanti.[1]Ma anche e soprattutto perchénei contesti urbani è più facile, relativamente a contesti nazionali o sovranazionali,impostare e condurre grandi battaglie a favore dell’eguaglianza.

Questa tesi non è banale e, per (provare a) dimostrarla, occorrerebbe scrivere un intero libro.[2]Qui essa sarà saggiata lungo due tappe espositive: nella prima, illustreremo che cosa è successo nel corso della pandemia; nella seconda, valuteremo la portata di alcune idee e sperimentazioni sociali, che in anni recenti hanno cercato di realizzare forme radicali di rigenerazione urbana.

Le misure di “distanziamento sociale”, o meglio di “isolamento spaziale”, sono state il modo più diffuso per contenere il contagio virale. Ma se, assecondando questo approccio, ognuno di noi deve allontanarsi dagli altri, in quanto gli altri possono contaminarlo, il contesto più pericoloso dal quale fuggire è quello in cui massimamente si addensano le relazioni intersoggettive: la città. La ragione è apparentemente ovvia: accatastare le persone l’una sopra l’altra in palazzi e uffici, e imballarle in bus e vagoni della metropolitana, crea un terreno fertile ideale per le malattie trasmissibili.[3]In termini di filosofia sociale, la pandemia è stata quindi affrontata con il criterio per cuiHomo homini virus(l’uomo è veleno per l’uomo): la forma d’intervento più appropriata, per “svelenire” la società, consiste nello spezzare o almeno nel sospendere i nessi tra le persone, e tra le persone e i luoghi di vita.

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labottegadelbarbieri

Dio non gioca a DAD

di Francesco Masala

Con a seguire articoli di Giovanni Carosotti, Rossella Latempa,  Davide Viero, Martina Di Febo, Paolo Mottana, Enrico Euli, Federico Bertoni, Giorgio Agamben

100Le lodi delle magnifiche sorti e progressive della didattica a distanza le lascio fuori da questo spazio, perché a essere larghi, di tutte le considerazioni possibili, quelle a favore sono al massimo il 5%.

Sento già gli entusiasti della dad (sempre minuscola) fremere, chi si contenta frema e goda.

Mi ricordano quei chirurghi che, alla domande dei parenti del malato, rispondono che l’operazione è andata bene, ma il paziente è morto.

Per la dad è lo stesso, l’operazione, per chi voleva guadagnare, in tutti i sensi, è andata bene, peccato che la scuola è morta, per quest’anno.

Ho avuto accesso ai risultati di un questionario inviato alle studentesse e studenti delle scuole superiori.

Indico alcune risposte significative.

Alla domanda che cosa ti piace di più della dad le risposte più frequenti sono state: non devo uscire e sto a casa in pigiama, e poi si studiano molte meno cose che a scuola.

Chiunque può capire perché qualcuno ami la dad, motivi chiaramente di ordine culturale, non ci sono dubbi.

Alla domanda se è più facile imbrogliare i docenti a scuola o con la dad, il 99,9% delle studentesse e degli studenti (senza mettersi d’accordo) risponde che con la dad è più facile imbrogliare (quale docente non ha visto ombre di genitori, gli occhi verso il telefonino o il libro, se la videocamera era accesa?)

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doppiozero

La società giusta di Thomas Piketty

di Francesco Guala

tumblr ly7rorh4671qk0go1o1 12801Nel corso della storia le guerre e le epidemie hanno periodicamente sconvolto le strutture economiche e sociali create dall’uomo. Secondo la maggior parte degli studiosi questi shock hanno avuto un effetto sia distruttore che equilibratore, spazzando via enormi ricchezze e quindi riducendo le disuguaglianze accumulatesi nel tempo. Oggi non sappiamo ancora quali saranno gli effetti del Coronavirus. C’è chi sostiene che i ricchi sono meglio attrezzati ad affrontare gli sconvolgimenti innescati dal contagio, e che quindi le disuguaglianze aumenteranno ulteriormente nel prossimo futuro. Altri invece intravedono la possibilità che una società più giusta ed equilibrata possa emergere dalla crisi.

Thomas Piketty è uno di questi. Circa sette anni fa usciva nelle librerie di mezzo mondo la traduzione di un voluminoso libro intitolato Il capitale nel ventunesimo secolo. Sarebbe diventato uno dei fenomeni editoriali del decennio, con centinaia di migliaia di copie vendute, elogiato da celebrità e premi Nobel. Nonostante le dimensioni (circa mille pagine), Il capitale nel ventunesimo secolo è un esempio interessante di scienza sociale accessibile al lettore medio. Utilizzando decine di grafici e pochissima teoria, Piketty sostiene una tesi molto semplice: dopo un periodo di declino nella parte centrale del ventesimo secolo, la disuguaglianza nell’accumulazione del capitale, all’interno della maggior parte dei paesi del mondo, è tornata ad aumentare in maniera vertiginosa, e continuerà a farlo.

Nel contesto della recessione seguita al crollo dei mercati finanziari, il successo del Capitale nel ventunesimo secolo non è difficile da spiegare. Il messaggio principale — la disuguaglianza è aumentata molto — è accompagnato da un’altra tesi largamente condivisa: la disuguaglianza è aumentata troppo, e dobbiamo intervenire rapidamente per invertire o almeno fermare questo trend.

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autaut

Andrà tutto… come prima

di Alessandro Di Grazia

StranamoreAl punto in cui siamo dire ancora qualcosa di sensato sulla pandemia appare cosa piuttosto impervia. Approfitto di questo intervento leggermente fuori tempo per fare qualche riflessione che esula necessariamente, viste le mie scarsissime competenze, dal piano strettamente epidemiologico e sanitario.

Al di là dei tentativi di identificare alcuni nodi che hanno caratterizzato questo tempo – penso ad Agamben, a Esposito o a Badiou solo per citare alcuni esempi significativi – cercherei piuttosto, al netto delle emergenze, dei numeri e delle curve di diffusione, di cogliere alcuni aspetti sintomatici.

Il cosiddetto lockdown, ha fatto emergere infatti certi discorsi che hanno attraversato non solo i politici, che di professione si incaricano di utilizzare determinate retoriche, ma soprattutto la società civile e l’opinione pubblica, e che hanno messo in luce un diffuso sentimento di disagio per il nostro stile di vita.

La quarantena ha obbligato un po’ tutti, eccetto ovviamente chi svolge le professioni sanitarie, a riconsiderare criticamente la dinamiche in continua accelerazione della nostra vita, cosa che comporta una certa dose di iniquità. Una sorta di strisciante mistica della lentezza ha così invaso le nostre menti, tanto da farci considerare il virus oltre che un pericolo, anche come un’occasione provvidenziale, un aiuto a riumanizzare le nostre giornate.

Su una direttrice affine si sono articolate le riflessioni che hanno evidenziato il nesso tra abusi ambientali e insorgenza della pandemia. Per l’ecologismo, e non solo, questo evento era atteso.

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nuovadirezione

Il welfare nella pandemia e dopo la pandemia

di Paolo Borioni

body covidasrggerwr5t 1Se vi è una chiara e durevole eredità nel contagio pandemico è la rinnovata dimostrazione di quanto il welfare, la sicurezza, la condivisione dei rischi e il rilancio economico siano interconnessi. Una pandemia simile, che ha condotto già alla stasi l’economia mondiale per un anno intero, rischia di avere conseguenze di lungo periodo nel senso di livelli di crescita nulli o irrilevanti. La realtà che, senza mutamenti drastici, potrà proporsi è l’effetto combinato di un passato a bassa crescita, dello shock da virus, del sempre possibile ritorno del contagio e del protrarsi, per quanto sempre più ridotto, delle misure anti-virus.

A questo va aggiunto che, dopo il momento, ancora lontano, in cui il contagio potrà dirsi scongiurato, attendono i medesimi assetti sociali prodotti dall’economia di questi decenni: ceti dipendenti e medi con capacità di spesa e sicurezze vilipese. Ciò perché, nel momento in cui ufficialmente scatterà il dopo-pandemia, ci attenderà pur sempre una globalizzazione concentrata sul motore dell’apertura dei mercati, ma dimentica dell’altro motore ancora più fondamentale costituito dalla somma delle domande interne. In aggiunta, va scongiurato che lo sviluppo, dopo il Covid, dimentichi l’altra e maggiore sfida, che è quella climatica e ambientale. Ad esempio, l’ansia potrebbe condurre verso una disastrosa esplosione del trasporto privato.

Per nuova egemonia del welfare va dunque inteso non solo il grande potenziamento, come diremo ampiamente, di una sanità che sconfigge le ansie, ma anche la scelta strategica più generale per il consumo pubblico, senza escludere i trasporti.

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officinaprimomaggio

Lo sguardo del drone su Milano

di Sergio Bologna

bo875Demolire il mito del “modello Milano”. Sembrerebbe una buona cosa, se fatta con ragionamenti di spessore in grado di recuperare quella stagione irripetibile di pensiero critico al quale alcuni docenti della Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano hanno dato il loro contributo negli anni Settanta con la rivista Quaderni del territorio. Aggredire il “modello Milano” con superficialità fa soltanto il gioco di quelli che hanno governato la città nei suoi periodi più bui. Si viene indotti a queste riflessioni da un lato da certe prese di posizione (v. l’articolo di Lucia Tozzi su Lo stato delle città, n. 3, ottobre 2019), dall’altro da letture come Against Urbanism di Franco La Cecla che, pur mettendo in risalto alcuni percorsi perversi delle politiche urbane e la mitologia degli “archistar”, è ancora largamente insufficiente ad affrontare determinate problematiche tipiche degli spazi metropolitani.

Probabilmente lo sguardo dell’urbanista ha acquistato la valenza di “sguardo generale” alla fine dell’Ottocento, quando i piani regolatori urbani hanno iniziato a fare scuola e quindi i suoi criteri di giudizio si sono poco alla volta imposti come scienza della città e della società che la vive. È indubbio che molte trasformazioni sociali nella città possono essere ricondotte a scelte urbanistiche, è indubbio che la disposizione dell’abitare determina in maniera notevole le stratificazioni sociali ma è altrettanto vero che l’epoca che stiamo attraversando, in particolare l’epoca che ha visto la nascita dell’informatica e di Internet, ha prodotto degli agenti di trasformazione sociale che sembrano assai più potenti del fattore urbanistico nel cambiare le persone e il loro modo di pensare e di agire.

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scienzainrete

Sorvegliare e pulire: eccessi da sanificazione

COVID-19/Epidemiologia

di Donato Greco

covid pulire sorvegliarePaura del contagio da superfici, oggetti, tastiere di computer, borse della spesa, abiti… Una certa giustificazione c’è: ottimi lavori scientifici dimostrano che, in condizioni sperimentali controllate, il maledetto SARS-CoV-2 riesce a sopravvivere per un certo tempo [1-2-3]. E tuttavia, la probabilità di infettarsi toccando superfici, tastiere, maniglie, sedili è infinitamente piccola, risibile nella vita reale.

Anche una certa logica scientifica c’è: SARS-CoV-2 è un virus a trasmissione respiratoria e col suo respiro un infetto, anche asintomatico, emette miliardi di quegli ormai famosissimi droplets, le microgoccioline di vapore acqueo che possono anche veicolare cellule epiteliali del nostro apparato boccale, cioè un epitelio in continuo rinnovamento. Queste goccioline restano sospese nell’aria per un certo tempo per poi cadere a terra o sulle superfici che circondano l’infetto. Alcune di queste goccioline contengono anche cellule dove è attiva la replicazione del virus.

Così, un malcapitato può avere la sfortuna di raccogliere con le mani queste goccioline fresche, prima che si disidratino con la conseguente morte del loro contenuto. E tuttavia, raccoglierle con le mani ancora non garantisce l’infezione al malcapitato, nemmeno se si mette le mani in bocca: infatti il virus non si trasmette per via cutanea né per via orale, basta la saliva a farlo fuori! Tuttavia il nostro sfortunato cittadino potrebbe creare inavvertitamente un aerosol sbattendo le mani (o in altro modo a me sconosciuto) o, meglio ancora, potrebbe sfregarsi gli occhi, allora sì permettendo l’introduzione nel suo organismo di cellule ancora vive (ma quante?). Insomma infettarsi raccogliendo il virus da una superficie richiede una sequenza di improbabili eccessive, sfortunatissime, rare combinazioni.

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sbilanciamoci

Covid ed economia: ciò che si sa, ciò che ci aspetta

di Vincenzo Comito

Dalla caduta del Pil all’aumento del debito, della povertà e delle disuguaglianze, fino alle trasformazioni del lavoro, della produzione e dei mercati internazionali: ciò che sta succedendo nel mondo a causa della pandemia. E ciò che possiamo ragionevolmente attenderci nel prossimo futuro

coronavirus economia di guerraDa diversi mesi si moltiplicano gli scritti sulle conseguenze del coronavirus: si diffondono le previsioni, si moltiplicano appelli, speranze o previsioni più o meno negative. Nessuno può veramente sapere cosa succederà nei prossimi mesi e anni. In questo contributo ci limiteremo a individuare alcuni, e solo alcuni, tra i fatti economici e sociali che stanno accadendo e che è molto probabile che accadano nel prossimo futuro.

 

Caduta del Pil, disoccupazione, povertà

Il Pil. È indubbio che il Pil di moltissimi paesi cadrà ulteriormente nei prossimi mesi, e ancora forse nei prossimi anni, sino al caso probabilmente estremo, almeno nel breve termine, dell’India, paese per il quale Goldman Sachs stima come plausibile una riduzione del Pil del 45% nel secondo trimestre del 2020. L’economia del Sudafrica dovrebbe contrarsi del 23,5% nello stesso periodo, secondo la banca Absa. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, la Fed valuta che una ripresa piena dell’economia ci sarà soltanto verso la fine del 2021. È poi noto che per l’Italia le previsioni sono di una caduta del Pil nel 2020 intorno al 9,5%, mentre per l’Eurozona in generale, secondo la BCE, dovrebbe oscillare tra l’8% e il 12%.

La Banca Mondiale stima che, a livello mondiale, il Pil si ridurrà del 5% nel 2020 (Wheatley, 2020). Faranno plausibilmente eccezione alcune realtà asiatiche, dalla Cina alla Corea del Sud, paesi che, avendo vinto rapidamente il virus, sono ora in rilevante ripresa, sia pure ancora con qualche problema qua e là. Notizie molto recenti ci dicono poi che, almeno in Europa, si assiste con lo scoppio della pandemia a un forte aumento dei risparmi delle famiglie, una misura precauzionale che potrebbe però contribuire a rallentare la ripresa.