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25 NOVEMBRE: il personale è politico e il sociale è il privato

di Elisabetta Teghil

Il 25 novembre è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

Ma, prima di tutto, cosa significa per noi la parola donna?

La definizione biologica di donna non ci appartiene, come non ci appartiene il concetto di donna, strutturazione fittizia del patriarcato in funzione dell’asservimento e dell’oppressione.

Donna è una categoria socialmente costruita ed è un termine tutto interno al sistema patriarcale.

Ma è l’oppressione stessa che definisce l’insieme delle oppresse e comprende tutte coloro che sentono l’oppressione maschile sulle loro pelle e che questa società vuole, con sistematicità e violenza, mantenere e ricondurre nei suoi paradigmi.

La riappropriazione del termine donna avviene, quindi, attraverso la riappropriazione delle categorie di oppressione che a quella parola sono legate.

Il termine donna sarà usato, quindi, come se fosse sempre tra virgolette.


Con violenza di genere sulle donne intendiamo la violenza sessuale/economica/verbale/psicologica/fisica fino al femminicidio del maschio sulla donna.


La violenza sulle donne è frutto della società patriarcale, un sistema economico/sociale basato sul dominio maschile che ha costruito ruoli e categorie che vedono il genere femminile in funzione subalterna e di servizio, asservimento trasversale alle classi, e strutturato sul sistema binario oppressore/oppresso, trasversale ai tempi storici e che, attualmente si intreccia in maniera inscindibile con la società capitalista nella sua versione neoliberista.

Una società che vede le bambine graziose e sorridenti, le adolescenti seducenti e remissive pronte a diventare mogli, madri ma anche spietate donne in carriera.


Con violenza maschile sulle donne si intende, perciò, la violenza patriarcale esercitata dal maschio , ma anche dalle Istituzioni o da altre donne nella logica del sistema patriarcale.


Quando il maschio esercita direttamente, in prima persona, violenza sulle donna , l’inserimento nei ruoli gioca una parte fondamentale.

Infatti, in riferimento al ruolo femminile, il maschio esercita violenza sulla donna per il fatto che ricopre un ruolo a lei assegnato o perché non lo ricopre, perché non lo vuole ricoprire o perché rappresenta tutte le donne. Molto spesso le prostitute vengono uccise perché rappresentano tutte le donne “per male” .

In riferimento al ruolo maschile ,poi, il maschio esercita violenza sulla donna quando vede in pericolo la “proprietà affettiva”, quando viene messo in discussione o in pericolo il ruolo “guida” o di riferimento che la società gli riconosce e che lui stesso si autoriconosce nel contesto familiare, sul luogo di lavoro…..in qualsiasi altro contesto.

Non c’è giorno in cui una donna non venga ammazzata dal padre, dal marito, dal figlio, dall’ex, dal compagno, dal fidanzato o dall’amante.

Le donne le uccidono gli uomini, l’assassino ha le chiavi di casa, il problema non è di ordine pubblico e nessuna legge sulla sicurezza deve sfruttare i nostri corpi e le nostre morti.

Alcuni ritengono che l’aumento dei femminicidi sia dovuto all’emancipazione.

E’ una posizione da rigettare perché assolve la società ed il maschio e fa ricadere la colpa sulle donne.

Ce ne accorgiamo da tanti segnali, è in atto un tentativo di ribaltare la violenza che le donne subiscono, facendone ricadere la colpa sulle donne stesse che, nel rivendicare emancipazione, libertà e “perfino” autodeterminazione, avrebbero dimenticato la femminilità, la dolcezza e disponibilità “proprie” del genere, provocando dolore e scompaginamento nella coppia, nella famiglia, nel maschio e in loro stesse.

Ancora una volta la colpa passa dall’aggressore all’aggredita.

Ed è sempre più diffuso il ricorso, per definire e stigmatizzare i comportamenti femminili, alle categorie “patologiche” psicologiche e psichiatriche per ricondurci ancora, attraverso gli esperti e le esperte, nella definizione di” isteriche e uterine”, affibbiata alle donne in generale ed alle femministe in particolare.

Si riconosce ad una autorità il diritto di etichettare questo o quel comportamento personale, permettendo di trasformare ogni problema o emozione in una patologia che veicola il ruolo degli esperti come giudici delle faccende umane. Vengono da qui le aberrazioni dell’ ”affido condiviso” e della PAS.

Sicuramente c’è un aumento ,rispetto al passato, delle denunce da parte delle donne delle violenze subite e, quindi , della visibilità.

Ma, dato che l’aumento delle morti delle donne per mano degli uomini è un dato di fatto, sicuramente incide la modalità violenta che questa società, nella sua attuale configurazione capitalista neoliberista, ha incentivato nei rapporti tra oppressi e nei confronti di quelle/i che vengono considerate/i diverse/i o subalterne/i.

Noi siamo consapevoli che il femminicidio si è sempre perpetuato nel tempo ed è trasversale alle classi ed ai tempi storici, ma lo stillicidio a cui assistiamo ha radici in quello che succede qui e ora.


E’ una società che ha promosso la violenza delle istituzioni e dei cittadini contro i più deboli, la prevaricazione e l’aggressione come modalità di porsi con i diversi, la possibilità di scaricare sul più debole frustrazioni e impossibili rivincite: tutto questo viene sdoganato anche nel rapporto dell’uomo con la donna.

In una società che ha fatto del sopruso sostanza di vita, perché il sopruso non dovrebbe sostanziare il rapporto che gli uomini hanno con le donne e legittimare l’uso della violenza per ottenere ciò che si vuole?

E’ in questo contesto che la violenza maschile, già presente e insita nel rapporto dominante del maschio sulla donna, viene esaltata.

Oltre tutto, questa società ottiene due “ottimi” risultati: si autoassolve, scaricando la colpa sugli esecutori, e, secondo un ormai abituale strumentalizzazione, introduce forme di repressione sempre più accentuate e funzionali al controllo sociale.


Contemporaneamente, la riproposizione dei ruoli a tutti i livelli sociali, dalla scuola con la reintroduzione del preside-padrone e del cinque in condotta, al mondo del lavoro con la gerarchizzazione esasperata e la meritocrazia, alle donne con il tentativo di ricondurle al lavoro di cura, ai valori della famiglia e della maternità, porta ad una automatica riproposizione del ruolo che già il maschio si autoriconosce e cioè di parte dominante nel rapporto con la donna e al conseguente tentativo di recuperarlo ogniqualvolta lo veda in pericolo.


Negli anni settanta ,alcune in buona fede, altre in cattiva, sostenevano che l’entrata delle donne nelle Istituzioni avrebbe modificato queste positivamente. L’esperienza ci ha insegnato che non è andata così:

le donne nelle istituzioni si sono messe, insieme ai maschi , al servizio del sistema.

La soluzione non è certo rifiutare l’emancipazione, le donne fanno e devono fare, se vogliono, qualunque lavoro e lo fanno bene e male come i maschi, ma non hanno portato e non possono portare nelle Istituzioni nessun cambiamento e il giudizio politico su quello che fanno è giusto, doveroso, auspicabile e necessario.

L’emancipazione, da cui, comunque, non si dovrebbe tornare indietro, non solo non cambia la società, ma quando diventa un fine e non un mezzo, non aiuta, anzi è di ostacolo alla liberazione delle donne.

L’emancipazione ha stravolto il percorso di liberazione, confondendo piani che avrebbero dovuto essere solo strumentali, con piani di rottura con l’ordine sessista e classista stabilito, riportando la lotta femminista a modalità funzionali a questo sistema.

Anzi, facendone un fiore all’occhiello del sistema stesso.

L’emancipazione è stata, da una parte strumento di “pacificazione sociale” tra i sessi, e, dall’altra perpetuazione del dominio patriarcale proprio attraverso le donne.

Il percorso emancipatorio così come si è realizzato, ha portato le donne a legarsi profondamente con la struttura di potere e a diventare attive componenti dell’oppressione sulle altre donne e del mantenimento dei sistemi di controllo.


La violenza sulla donna viene esercitata dalle Istituzioni in ogni ambito, perché le Istituzioni sono il mezzo attraverso cui si esprime ufficialmente la società patriarcale.

In particolare, ci sono alcuni settori che hanno il compito di costruire il modello di donna che vuole questa società o di tenere le donne in una situazione mentale di soggezione e dipendenza o che hanno il compito di ricondurre alla ragione le donne che si “allontanano” dai modelli prestabiliti.


La scuola esercita una funzione di riproduzione e di legittimazione delle differenze di genere e di classe , attraverso la trasmissione dei valori dominanti, ignorando le disuguaglianze sociali e di genere e mascherandosi dietro un’apparente neutralità.

Fin dalla primissima infanzia, la scuola si pone il problema di far crescere le bambine secondo il modello approvato dalla società. Ora il modello che serve non è più quello della madre e sposa esemplare, ma di una donna che saprà conciliare figli, marito, lavoro di cura e lavoro all’esterno.


La sanità, attraverso gli esperti e le esperte (psicologhe/i, psichiatri, assistenti sociali, sessuologhe/i…..) è riuscita ad ottenere la dipendenza delle donne dagli specialisti/e del comportamento, dai medici, dalla medicina. Con la scusa di controlli, screening, campagne di prevenzione generalizzate sono riusciti a far passare il concetto che noi donne dobbiamo continuamente affidarci a qualcuno. Ci hanno fatto completamente perdere l’autonomia e la conoscenza del nostro corpo e ci hanno rese addomesticate e disponibili.


Le strutture detentive hanno il compito di riportare alla normalità coloro che sono usciti dalle” così dette” regole e lo fanno attraverso la privazione della libertà e la violenza fisica e psicologica. Le donne all’interno delle strutture detentive sono sottoposte anche a violenza specifica che va dai ricatti affettivi e psicologici alle “attenzioni sessuali”, alla violenza sessuale vera e propria.

Nelle caserme, nelle carceri, nei Cie, negli Opg le donne subiscono violenze particolarmente odiose perché effettuate in una situazione di costrizione e di impossibilità di difendersi.


E’ chiaro, a questo punto, che si pone il problema importante di come si può combattere contro la violenza maschile sulle donne.


La comprensione dei meccanismi con cui la società patriarcale/neoliberista si esprime, ci porta necessariamente a rompere con ogni meccanismo partecipativo e collaborativo.

Sono necessarie forme di autodifesa e autorganizzazione.

E’ necessario ribellarsi e aiutare le donne a ribellarsi.

E’ necessario combattere i meccanismi che, in questa configurazione sociale incentivano ed aumentano la possibilità di violenza. Per questo l’autodeterminazione delle donne non può essere svincolata da una critica a tutto campo al sistema capitalistico /neoliberista.

La società neoliberista, infatti, sdogana la violenza gerarchica per favorire i rapporti di subordinazione e mercificazione. La liberazione della donne è inseparabile dalla lotta di classe, dalla lotta per una società dove non ci sia sfruttamento e non può significare, in alcun modo, partecipazione alla gestione dell’attuale sistema di potere.

Tutto questo presuppone anche il rifiuto delle leggi securitarie e del controllo sociale, nonché il disvelamento dei meccanismi che opprimono e dividono buone/i e cattive/i, omologate/ e non omologate/i, diverse e diversi.

Di conseguenza , la lotta contro i linguaggi e gli atteggiamenti e i comportamenti sessisti deve essere accompagnata dallo smascheramento delle parole politicamente corrette come “convivenza civile”, “sereno confronto fra i sessi”, “affido condiviso”, “partecipazione e scelta responsabile”, “educazione alla convivenza”……. che strumentalizzano le lotte delle donne , confondono l’aggredita con l’aggressore e mettono sullo stesso piano chi la violenza la subisce e chi la esercita.

E’ fondamentale il rifiuto dei ruoli, in ogni campo, non soltanto di quelli che ci interessano da vicino, perché non ci sono compartimenti stagni e i cedimenti in un ambito trascinano, in un effetto domino, tutto il sociale e perché le lotte corporative sono estremamente dannose anche al nostro stesso percorso di liberazione.

E si pone la necessità di cercare di scardinare i microcosmi che perpetuano le dinamiche di sopraffazione e sono funzionali al sistema, come la famiglia, ma anche il concetto di coppia ,sia etero che non ,e la violenza esercitata dalle donne contro le altre donne, perché i meccanismi ed i valori della società patriarcale sono fortemente introiettati .

E partire sempre da noi, perché il personale è politico e il sociale è il privato.

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