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La vita? Nasty, short and… British.

Pierluigi Fagan

Secondo il primo degli antropologi inglesi, Thomas Hobbes la vita era “nasty, brutish and short“. Il “brutish” era riferito a quell’incessante muovere guerra di tutti contro tutti che contraddistingueva lo stato di natura. Il recente numero di Science (Science 19 July 2013:  Vol. 341 no. 6143 pp. 270-273) invece, ospita un articolo firmato da Douglas Fry e Patrick Söderberg, della finlandese Åbo akademi; ne dà notizie anche le Scienze italiano e in una breve nota, Internazionale n.1010 a pg.87. I due studiosi hanno preso in esame i comportamenti di un panel di 21 diverse tribù di cacciatori raccoglitori tutt’ora nomadi dislocate in tutti i continenti. Analizzando i 148 casi di aggressione letale, vien fuori che nell’85% dei casi si tratta di aggressioni individuali per i più vari motivi, lo scontro organizzato tra gruppi sarebbe una evenienza molto rara e quasi specifica solo di alcune tribù. Lo studio conclude che la pratica della guerra sembrerebbe una acquisizione del comportamento umano molto tarda e non certo insita negli atteggiamenti diciamo così “naturali” dell’uomo. Questo va in senso direttamene contrario ai paradigmi assodati di certa antropologia anglosassone, ripresi e rimarcati dalla psicobiologia à la Pinker e dalla sociobiologia, almeno prima che E. O. Wilson si convertisse al concetto di eusocialità. Apriti cielo! Lo studio è stato bombardato da critiche. Come si fa ad assimilare il comportamento degli attuali cacciatori raccoglitori con quello dei nostri avi ? Indebito trasferimento di proprietà tra situazioni non omologabili ! Errore epistemologico grave ! Ahi! Ahi! Ahi!

Ho avuto la recente sventura di leggermi l’eccessivamente ed inutilmente voluminoso “Il mondo fino a ieri” del per altro stimabile Jared Diamond del cui Armi acciaio e malattie e Collasso (ma anche del meno noto Il terzo scimpanzé) siamo stati dichiarati fan. Beh, Diamond fa esattamente la stessa cosa per quasi 500 pagine, ovvero ci racconta di come le attuali tribù di cacciatori e raccoglitori (ma anche qualche stanziale sebbene molto “arretrato” o più polite “tradizionale”)  trattano argomenti come gli amici ed i nemici, la giustizia, la guerra, l’allevamento dei figli, il trattamento degli anziani, la religione, il mutilinguismo, la salute etc. Sia detto per inciso, a Diamond invece le guerre risultano eccome, lo sottolineano nell’articolo italiano de le Scienze ponendo il suo nome, assieme a quello proprio di E. O. Wilson e del famigerato S. Pinker, come di coloro che sono certi che l’uomo nasce sterminatore. Diamond usa lo stesso procedimento retro-proiettivo. I cacciatori-raccoglitori o i sopravvissuti delle ancora poche e sempre più rade società tradizionali sono un frame del passato, uno squarcio su come eravamo prima dell’avvento delle società complesse. Altrimenti non avrebbe dato quel titolo al suo libro.  Non mi risulta che a Diamond sia stata mossa dal main stream scientifico-accademico la stessa obiezione mossa ai finlandesi che per altro, io trovo sostanziale e pertinente (sono state mosse invece da punti di vista più alternativi). Come mai?

Il semplice fatto è che la tesi che migliaia di anni fa non si facesse la guerra, così come la tesi che migliaia di anni fa si facesse la guerra sono entrambe prive di possibilità di essere scientificamente provate, semplicemente perché non abbiamo prove di nessuno dei due casi (anche se poi “l’onere della prova” spetterebbe a chi afferma il fatto, non chi si limita a negarlo un po’ c0me nel caso di Dio). Abbiamo qualche cranio spaccato ma poteva ben essere una colluttazione tra due individui se non addirittura un rito post mortem per liberare la materia cerebrale ritenuta forse sede dello “spirito”, se non un orso cacciatore deluso dalla vuotezza del promettente recipiente trovato lì per caso anni dopo il decesso o un rito sacrificale. Certo non abbiamo mai trovato scheletri abbandonati in gran numero, come avrebbe dovuto essere nel caso di guerra campale. Le armi? Non così poi tante e molto probabilmente necessarie alla caccia. Neanche le famose pitture murali riportano casi del genere e del resto son ben poche. Allora?

La prima cosa da considerare è di natura epistemologica. La scienza ci ha liberato dal dominio della superstizione, della religione, della cattiva metafisica e gliene rendiamo il dovuto merito. Oggi però, potremmo anche cautamente liberarci dall’obbligo di essere perfettamente scientifici per poter dire qualcosa, cercare una nuova via della comprensione senza tornare allo sciamanesimo oracolare (che pure imperversa in molti campi sebbene sotto mentite spoglie, magari matematizzate), soprattutto per quei campi in cui non c’è alcuna altra possibilità altrimenti di lanciare delle tesi di comprensione. La storia del nostro più antico passato è uno di questi casi ed è un buco nero grave, perché da come eravamo potremmo per differenza con il come siamo, capire molte cose di come siamo condizionati da ciò che cambia intorno a noi.

Questo problema della scientificità lo si sente soprattutto nelle scienze sociali dove a volte è patetico il ricorso a protocolli di ricerca derivati dalla scienze dure, quasi che questi certificassero della scientificità del procedimento a prescindere dal tipo di oggetto o fenomeno che si vuole indagare. I test  di certa psicologia comportamentale sono pieni di decine di studenti universitari americani scelti come panel per rappresentare l’umanità intera. Dove neanche il più scalcinato istituto di ricerche di marketing farebbe un errore di campionamento del genere, al netto poi dei condizionamenti ambientali etc. . Desumere il comportamento degli scimpanzé in laboratorio o in un giardinetto con copertoni e finte liane approntato nel retro di un dipartimento universitario o anche in natura ma ben dopo che lo scimpanzé ha avuto comunque prolungati contatti con umani o sequestri traumatici per portarlo a giocare con i test scientifici è senza senso, eppure… . Il bello è che tutto questo si ricava “scientificamente” dal principio di indeterminazione di Heisenberg, che è nel cuore della meccanica quantistica, quindi della fisica più avanzata. Eppure.

La confusion de confusiones epistemica si celebra nell’economia moderna. Lo sferzante A. Hirschmann censurava quella che definiva una «freudiana invidia della fisica» da parte degli economisti, «ossia l’impulso a descrivere il mondo sociale ed economico mediante un sobrio e trasparente sistema di equazioni. […] Data l’importanza del ferro – simbolo dell’industria e della potenza – nell’Ottocento, per i primi economisti non era abbastanza uscirsene con una legge: doveva essere una “legge ferrea”. L’imitazione di Newton e specialmente della sua meccanica» A. O. Hirschman, Autosovversione, il Mulino, Bologna 1997, pag. 171.  Dopo le leggi ferree e quelle bronzee è arrivata la dittatura del matematese. La tua teoria non è matematizzabile? (sorriso di commiserazione)…allora non è scientifica. Va bene e se il fenomeno non è matematizzabile? La risposta non c’è ma diventa un implicito “allora non esiste”. Cioè si applica il Letto di Procuste e ciò che proprio non entra neanche stirandolo o segandogli i piedi, oplà! Scompare. Questa è sciiieeenza, direbbe Zichichi-Crozza.

Il campo del non conosciuto allora diventa … sfondo indeterminato. In cosmologia ad esempio le nostre conoscenze ci fanno pensare che l’ Universo debba per forza ospitare una certa massa dato che ci appaiono determinati fenomeni gravitazionali, poi andiamo a contare la materia visibile o intuibile (stelle, galassie, pianeti, polveri e ciotoli sparsi etc.) e scopriamo che è il 4%. Il 4%? Ed il resto? Con scientifica precisione veniamo rassicurati “è materia oscura…”, “oscura?” obiettiamo allarmati, “sì, ma non tutta, solo il 26%, il resto invece è energia oscura…”. E forse buchi “neri”… . Chiaro, no!? Mi ricorda di quando leggevo di biologia molecolare. Anche lì si presumeva che la parte di genoma attivo, quello che dà un qualche effetto fenotipico fosse l’1,5%. Ed il resto? Veniva chiamato “rubbish DNA” ovvero DNA spazzatura. Ora, voi non siete sicuramente degli scienziati evoluzionisti (ed io neanche) ma ad occhio, vi sembra plausibile che la natura trasmetta una roba che al 98,5% non serve a niente per miliardi di anni, di replicazione in replicazione? Eppure neanche 10 anni fa, questo era il mainstream della disciplina di punta della ricerca contemporanea. Anche questa era sciiieeenza.

Come mai troviamo ancora tanta metafisica, religione e mitologia anche nella scienza? Beh il discorso sarebbe lungo e forse non è pertinenza di questo articolo affrontarlo, anche perché dobbiamo tornare al punto: la guerra. Centrano comunque i paradigmi della cultura occidentale, l’ideologia, la cultura anglosassone e pensate un po’, anche il famigerato capitalismo. Ma torniamo alla guerra che invece con il capitalismo, gli anglosassoni, le ideologie e i paradigmi occidentali non c’entra proprio niente… .

A supporto dell’idea che gli antichi piccoli gruppi di cacciatori raccoglitori fossero reciprocamente aggressivi non si capisce proprio quali prove si possano portare. Il determinismo genetico non è ancora del tutto scomparso anche se si è attenuato ma è palesemente scriteriato (a parte per Steven Pinker) far discendere comportamenti articolatamente complessi dalla scrittura genetica. Lungo questa via, l’idea della guerra tra piccoli gruppi mobili spersi in grandi territori non ha proprio ragion d’essere. Non esisteva il movente, non esisteva la capacità organizzativa, troppo presente era la morte quotidiana per ogni possibile accidente per andarsela  pure a cercare intenzionalmente, non si vede quale vantaggio questa attività complessa potesse arrecare visto che era più di buonsenso spostarsi se proprio si andava a cozzare contro un altro gruppo. Quarantamila anni fa ad esempio, la densità media del nostro subcontinente era tale che sarebbero occorsi giorni e giorni di marcia prima di incontrare una altra tribù. Per immaginare i gruppi nomadi, o anche nella lunga fase del mesolitico quelli seminomadi o semi-stanziali, dediti alla guerra bisogna essere un anglosassone o un barbaro (che sono poi difficili da distinguere) e retro-proiettare la propria indole, come universale di tutta l’umanità e per giunta anche quella più antica.

Un altro studio antropologico di Science ma di dieci anni fa sosteneva che: “alcuni studiosi ritengono che i conflitti di gruppo abbiano avuto origine in ambienti marginali, dove la gente lottava per conquistare le poche risorse. Secondo Raymond Kelly, collega di Marcus, (Joyce Marcus dell’Università del Michigan che studiò l’insorgere della guerra  nelle società complesse dell’antico Messico, divise in clan e con a disposizione per altro parecchie risorse) la violenza di gruppo era invece rara nelle società di cacciatori-raccoglitori non segmentate. Il fattore cruciale per l’origine delle guerre sarebbe stata la divisione delle comunità in clan che agivano l’uno contro l’altro. Inoltre, questo sarebbe accaduto quando l’ambiente era “abbastanza ricco – spiega Kelly – da potersi permettere di avere i propri vicini come nemici“. Già perché pare che quando le cose andavano male davvero l’atteggiamento prevalente fosse invece quello della reciprocità e della condivisione tra vicini, anche solo per il calcolo per cui oggi quello che capita a te forse domani potrebbe capitare a me. La violenza organizzata giungerebbe quindi dall’ineguaglianza dell’abbondanza mal redistribuita e non dalla scarsità.

Insomma, quello che ha dato fastidio dello studio finlandese non era certo l’infrazione epistemica che pure c’è stata, ma l’attacco al paradigma hobbesiano di uno stato di natura dipinto ad icona come “nasty, brutish and short”. Questo paradigma illumina il -come siamo- secondo la cultura dominante della modernità, quella anglosassone (ovvero dove il brutish svapora nel british) oggi anglo-americana e deve per forza esser ripetuto, reiterato e giustificato di continuo per renderlo “fondativo”, così come richiesto da ogni mitologema.  Se non giustificata geneticamente o per altra via di dettato naturale, la guerra potrebbe risultare imbarazzante, sia perché evidentemente si proporrebbe come un portato della nostra incapacità primitiva a convivere in situazioni complesse, sia perché sarebbe una contro-evoluzione ovvero un epifenomeno del disagio della civiltà e non una forma atavica dalla quale non potremo mai emanciparci. In entrambi i casi la nostra hybris di occidentali-fine-della storia, uscirebbe assai ridimensionata. Il tutto potrebbe, a questo punto, riassumersi in una determinazione autobiografica della specie che ci sembra sempre più necessaria.

Noi viviamo sentendoci come giunti in cima ad un lungo percorso evolutivo e questo è forse legittimo, ma non è per niente legittimo sentirci come se fossimo arrivati alla fine dei tempi, alla fine del percorso. Noi non siamo il raggiungimento di alcun telos. Il Sole si spegnerà deflagrando silenziosamente tra circa 4/5 miliardi anni, sono nove zeri. I tre zeri dei nostri ultimi 8.000 anni di società complesse non sono neanche i primi due giorni del primo anno di asilo alla scuola del “come si sta al mondo”.

Relativizziamoci e vediamo come migliorarci che di strada da fare ce n’è parecchia… .

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