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sebastianoisaia

La redicalizzazione del male

Ovvero il sistema mondiale del terrore

di Sebastiano Isaia

«Il Centro è dappertutto» (Nietzsche). Esattamente come il Dominio

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La disputa sulla natura della «Terza guerra mondiale a pezzetti» si fa di giorno in giorno sempre più stucchevole, ma anche sempre più sintomatica della realtà che stiamo vivendo – e subendo. Scrive ad esempio Giuliana Sgrena sul Manifesto:

«Sostenere che quella in corso non è anche una guerra di religione sarebbe come negare la storia, dalle Crociate in poi, e abiurare i testi sacri delle religioni monoteiste. Certo il papa fa il suo mestiere e usa la religione per predicare la pace. Del resto non c’è dubbio che dietro la religione si nascondano altri interessi: economici, geopolitici, di potere. Ma si può dire che la religione è estranea alle lotte di potere? Non lo è e non lo è mai stata, è sempre esistito nella storia un intreccio perverso tra lotta politica e religione. Lo scontro in Medio Oriente tra la corrente sunnita (guidata dai wahabiti sauditi) e quella sciita (con a capo l’Iran) dell’islam non riguarda solo la religione».

Ora, almeno da due millenni a questa parte non c’è stato un solo evento storico e un solo fenomeno socialmente rilevante che non abbiano assunto una più o meno precisa fisionomia politico-ideologica, non importa se a sfondo laico (per parlare solo dell’ultimo secolo: nazionalismo, “socialismo”, nazionalsocialismo, razzismo, ecc.) o religioso. Da sempre l’ideologia è un potente strumento di potere al servizio delle classi dominanti, ma non è certo la «sovrastruttura ideologica» usata per mobilitare, cementare, galvanizzare e turlupinare le masse (e le truppe) che definisce la natura sociale di un conflitto, ed è per questo che parlare di una «guerra di religione» o di una «guerra di civiltà» è una menzogna utile solo ai protagonisti del conflitto (Stati nazionali, centri di potere più o meno “convenzionali”, strutture di potere regionale e sovranazionali). Su questi aspetti rinvio al mio ultimo post.

Dire che la guerra odierna «è anche» una guerra di religione, per un verso non spiega l’essenziale di questo conflitto, la posta in gioco che lo giustifica e che lo motiva, le sue cause contingenti e remote; e per altro verso si presta assai bene alla strumentalizzazione politico-ideologica da parte dei soggetti in campo, i quali naturalmente hanno tutto l’interesse a intorpidire le acque, a nascondere le vere cause della contesa. Ad esempio, l’imperialismo francese ha facile gioco, oggi, nel convincere l’opinione pubblica nazionale che la presenza militare della Francia all’estero è un’opera di bene che serve la causa della pace e della Civiltà, e che ritirarsi dai teatri caldi del Medio Oriente e dell’Africa equivarrebbe appunto a una sconfitta della pace e della Civiltà, significherebbe «darla vinta ai terroristi».

Scrive il filosofo francese Michel Onfray (che ci tiene a esibire il suo ateismo, forse anche per non alimentare pericolosi equivoci):

«Perché abbiamo problemi di terrorismo oggi? I musulmani sono mica degli imbecilli. Si porta una guerra a casa loro, in Afghanistan o in Mali, facendo tutto il possibile per massacrarli, li si uccide a decine o centinaia ma allo stesso tempo si vorrebbe che queste persone fossero gentili. Non sono gentili, naturalmente, ma hanno ragione. […] I bombardamenti non impediranno il terrorismo sul suolo francese ma lo faranno aumentare. […] La nostra politica islamofoba  è la stessa di George Bush, che decise di fare una crociata, il famoso asse del bene, dell’Occidente contro l’Islam, l’asse del male. […] La Francia c’è sempre stata quando bisognava picchiare sui musulmani: in Afghanistan, in Iraq, in Libia, in Mali. Sarebbero quattro milioni i musulmani morti dalla prima guerra del Golfo ad oggi, in nome di una battaglia per i diritti umani contro la barbarie. E si vorrebbe che l’Islam non vendicasse i suoi morti? […] Per ridurre il costo del lavoro e proletarizzare la manodopera, l’Europa ha visto di buon occhio un’immigrazione massiccia. Ma questo proletariato potenziale, poi, ha iniziato ad ambire a un impiego reale. Parigi si è svuotata del suo popolo, rigettato nelle periferie dagli Anni Settanta. La città è diventata sociologicamente tossica. E le banlieue delle zone di non diritto, dove la droga e i traffici di ogni tipo sono moneta corrente, senza che la polizia possa opporsi. In un mondo dove i soldi fanno la legge, non averne ti trasforma in paria. Alcuni di questi paria sono diventati vettori di una rabbia canalizzata dall’Islam radicale. Da noi esiste un laicismo assimilabile a una religione. […] Ogni invito a riflettere su questo è stato considerato dalla stampa benpensante (Libération, Le Monde, Le Nouvel Observateur, Mediapart e Les inrocks) come una “lepenizzazione” di quelli che invocavano questo dibattito».

Detto questo, non vanno sottaciuti due aspetti fondamentali del problema: 1. la guerra, “fredda” o “calda”, diretta o “per procura” tra le Potenze regionali (Turchia, Iran, Iraq, Arabia Saudita, Egitto, Israele), anch’essa presentata come guerra a sfondo religioso (sunniti contro sciiti, salafiti contro islamisti moderati, musulmani contro ebrei); 2. le divisioni sociali che ovviamente esistono (eccome!) anche nel mondo musulmano, ed è per questo che è sbagliato parlare solo in termini di «musulmani», come fa in parte Onfray (quando cita l’Afghanistan, l’Iraq, la Libia e il Mali), cosa che rischia di far precipitare l’analisi della situazione nella logica dello scontro di religione/civiltà: «Noi occidentali contro i musulmani». «Noi» chi? «Loro» chi? Naturalmente quest’ultimo aspetto è importante solo per chi si sforza di promuovere un punto di vista internazionalista fra gli sfruttati del pianeta, affinché essi possano superare i pregiudizi nazionalistici, religiosi, razziali, “culturali”, ecc. che non gli permettono di riconoscersi come una sola classe mondiale in grado di portare l’intera umanità fuori dalla disumana dimensione del Dominio. Certo, se l’anticapitalista/internazionalista considera la realtà sociale quale gli si presenta oggi a livello mondiale, non deve certo sentirsi confortato nel suo impegno e nella sua speranza, tutt’altro. D’altra parte l’impotenza sociale e politica dei dominati non muta di un millimetro i termini del problema, mentre orienta la sua soluzione a favore di un peggioramento della situazione complessiva.

Dal mio punto di vista la religione laica/laicista messa in campo dal “fronte occidentale” non è meno reazionaria di quella “messa a valore” dal Nemico islamico: entrambe le religioni (o ideologie che dir si voglia) militano a favore di interessi che impediscono radicalmente la possibilità di un’autentica esistenza umana. La tempesta nichilista infuria su tutto il globo terracqueo, a Ovest come a Est, a Nord come a Sud. È il Sistema Mondiale del Terrore che ci tiene in ostaggio, ovunque nel pianeta, anche se la sua fenomenologia è ovviamente diversa nelle differenti aree geosociali, cosa che rende a volte difficile cogliere il filo nero che attraversa quel Sistema. Questo scritto anche in radicale (occhio: anche chi scrive si è alquanto radicalizzato!) opposizione con i difensori della Civiltà Occidentale, non importa se concepita da “destra” o da “sinistra” (*).

Che ha da dire, ad esempio, il filosofo della scienza Giulio Giorello, «noto per le sue posizioni libertarie e laiche», sulla natura del terrorismo di “matrice islamica”? È presto detto:

«Io vedo circolare un sacco di analisi che applicano alla questione i vecchi canoni marxisti. Badi bene non di Marx ma dei cascami ideologici delle teorie di Marx. Come dire: si cerca sempre la spiegazione sociologica, economica si discute di imperialismo. Non nego che esistano anche queste questioni. Ma qui il nocciolo è religioso, la religione è centrale, non è sovrastruttura. Io non ho simpatia per i monoteismi, lo ammetto, ma qui mi pare evidente che siamo di fronte ad un monoteismo intransigente ed aggressivo che non tollera l’esistenza di concorrenti ed è ora di prenderne atto e di assumere posizioni ferme e decise. La religione islamica non è la sola a praticare l’intolleranza ma di certo la pratica» (intervista rilasciata a Il Giornale, 27 luglio 2016).

Una prima considerazione: Giorello non fa riferimento a una particolare interpretazione (“fondamentalista”, “radicale”) dell’Islam, ma alla «religione islamica» in quanto tale, ossia «a un monoteismo intransigente ed aggressivo che non tollera l’esistenza di concorrenti». In buona sostanza, siamo ancora all’Islam “puro e duro” del VII secolo, all’inizio della fondazione dell’impero islamico. E come la mettiamo con l’Islam “secolarizzato”, con l’Islam che, come il Cattolicesimo, è sceso a patti con la modernità capitalistica? Certo, dal punto di vista del Califfato Nero si tratta di un falso Islam, di una professione di miscredenza, se non di ateismo, di kāfir; e dal punto di vista di Giorello? Diciamo che la posizione del noto filosofo appare un po’ anacronistica, ma solo un pochino, diciamo.

Detto en passant, non ha alcun senso contrapporre, come fanno anche molti storici, la predicazione “pacifista” di Gesù a quella bellicosa di Maometto, perché completamente diverse furono le condizioni storico-sociali che li videro agire come profeti. Ancora una volta si cerca di spiegare il carattere bellicoso del Corano (vogliamo parlare del Vecchio Testamento?) astraendo dalle condizioni storiche e sociali che videro nascere l’Islam come potente fattore di espansione e di sviluppo del mondo arabo.

Quando scoppiò la Grande Guerra, i politici e gli intellettuali al servizio della Triplice Intesa non negarono certo, al pari di Giorello, gli aspetti “strutturali” del conflitto, ma anche loro posero al centro della scena l’aspetto “sovrastrutturale” di esso, ossia il retroterra barbarico della Germania celato dalla sua sviluppata capacità economica, tecnica e scientifica, e la necessità per l’Occidente di difendere la sua superiore Civiltà. Scriveva ad esempio Ernesto Bertarelli nel 1916:

«Tutto il pensiero tedesco mi è apparso fasciato di acciaio e pronto all’incendio. […] Per quanto alta e potente, la scienza teutonica ha un sapore barbarico, mentre la sapienza latina sia pur povera e modesta riluce di una iridescenza divina. […] La Civiltà Occidentale è nata in Grecia e a Roma, non certo nelle fredde e barbariche selve tedesche!» (E. Bertarelli, Il pensiero scientifico tedesco, la Civiltà e la Guerra, p. 3, Treves, 1916).

Forse il filosofo della scienza «noto per le sue posizioni libertarie e laiche» sorriderebbe leggendo le frasi appena citate; ma allora, quando si trattò di legittimare e giustificare “scientificamente” la carneficina dinanzi alle masse mandate civilmente al macello, quelle parole non facevano ridere nessuno. Beninteso, dall’altra parte del fronte, politici, intellettuali e artisti tedeschi, dal Parlamento, dai giornali, dalle cattedre universitarie e dai teatri, spiegavano al “popolo” la necessità di spezzare la schiena alle vecchie Potenze che si opponevano alla creazione di uno «spazio vitale» per una Germania diventata finalmente grande e cosciente della propria funzione storica. Allora gli autentici marxisti di tutto il mondo non ci pensarono su due secondi nello stilare la loro sentenza politica, soprattutto in opposizione alla socialdemocrazia che aveva votato i crediti di guerra nel famigerato agosto del 1914: trattasi di una guerra imperialista, da tutte le parti in conflitto, di «una guerra di interessi, per i soldi, per le risorse naturali, per il dominio dei popoli», per dirla con Papa Francesco, il quale non ha alcun interesse, almeno in questo momento, a scendere sul terreno dello scontro tra religioni o tra civiltà.

«Quando parlo di guerra parlo di guerra sul serio, non di guerre di religione». Molti sono rimasti scandalizzati dalle parole di buonsenso profferite dal Papa più amato dai progressisti (il quale già deve sopportare la ridicola accusa di essere un “marxista”); scrive ad esempio Vittorio Macioce

«Non ci si ammazza per la fede, ma per gli affari o per il potere. Le guerre di religione sono solo apparenza, una scusa. È l’economia che muove le sorti dell’umanità. La religione è una sovrastruttura ideologica. Non che la metafisica non sia importante, ma il sale del materialismo storico è lì. La storia come sviluppo dei rapporti di produzione e distribuzione. È il socialismo scientifico firmato da Marx ed Engels. […] Il Papa si ascolta. Si rispetta. E si può azzardare una domanda: Santità, ma chi sono gli altri? Chi la vuole questa guerra? Qui c’è gente che ammazza a caso: negli stadi, nei caffè, nei concerti, nei centri commerciali, nei giorni di festa, per strada e ora nelle chiese. E dicono di farlo nel nome di Allah e per l’islam. Magari è un abbaglio o una droga, ma per chi muore non fa differenza. Il rischio però è che si finisca per dare ragione a Marx fino in fondo. “La religione è il sospiro della creatura oppressa, è l’anima di un mondo senza cuore. La religione è l’oppio del popolo"».

Vade retro, Marx! Anche sulla religione come «oppio del popolo» rimando a Guerra e rivoluzione.

Molti intellettuali “politicamente corretti” sostengono che la religione islamica c’entra poco o niente con il terrorismo di “matrice islamica”? Ebbene, secondo Ernesto Galli della Loggia (Corriere della Sera) «Le cose stanno ben altrimenti»:

«”I jihadisti – ha scritto Tahar Ben Jelloun, conosciutissimo teorizzatore dell’Islam tollerante all’interno di un’auspicata tolleranza universale – prendono a riferimento dei versetti che erano validi all’epoca della loro rivelazione ma oggi non hanno più senso”. Già. Ma mi chiedo: e chi è che lo decide quali versetti del Corano continuano ad “avere senso” e quali invece sono per così dire passati di moda? Chi?».

Azzardo una risposta: il processo storico-sociale, in generale, e, in particolare, i soggetti sociali-politici-ideologici eventualmente interessati a usare strumentalmente questo o quel versetto. È lo stesso intellettuale che conferma questa tesi: «Dovremmo una buona volta porre anche il problema dell’Arabia Saudita, l’Arabia Saudita è il vero cuore della violenza terroristica islamista perché ne è di gran lunga il maggiore finanziatore. Da anni tutti gli osservatori lo dicono e lo scrivono, sicché la cosa è in pratica di dominio pubblico». Ora, l’Arabia Saudita sostiene «la violenza terroristica islamista» in vista di precisi obiettivi geopolitici, per difendere un determinato assetto di potere sociale e istituzionale, o per realizzare quanto prescrive il Corano? Anche un bambino saprebbe rispondere a questa domanda.

«Da Riad», è sempre Galli della Loggia che scrive, «proviene il fiume di soldi con cui negli ultimi decenni l’élite saudita ha acquistato in mezzo mondo (ma di preferenza in Occidente, naturalmente) partecipazioni azionarie, interi quartieri residenziali, proprietà e attività di ogni tipo. Trascurando nel modo più assoluto qualunque solidarietà islamica – ai disperati, spessissimo musulmani, che ogni giorno tentano la traversata del Mediterraneo, da loro non è mai arrivato un centesimo – ma curandosi solo di arricchirsi sempre di più e di mutare a proprio favore la bilancia del potere economico mondiale».

Esatto! Da secoli le classi dominanti di tutto il pianeta sanno bene come mettere sul piatto della «bilancia del potere economico mondiale» le vite dei dominati, come usarne le speranze, le passioni, le frustrazioni, le invidie, le umiliazioni, gli odi e quant’altro di “sovrastrutturale” genera sempre di nuovo la società classista. «E in ogni caso non vuol forse dire quanto scrive Ben Jelloun che comunque in quel testo ci sono parole e precetti che si prestano e magari incitano ad un certo uso della violenza?» Ma il nostro intellettualone ha mai letto la Bibbia? Non mi si dica adesso che Geova disprezzasse la Sacra violenza!

«Certo, tutti sappiamo che il monoteismo in quanto tale intrattiene un oscuro rapporto con la violenza. Ma fa qualche differenza o no – mi chiedo ancora sperando di non incorrere per questo nell’accusa di islamofobia – fa qualche differenza o no se nel testo fondativo di un monoteismo i riferimenti alla violenza ci sono, espliciti e ripetuti, e in un altro invece sono del tutto assenti? Fa una differenza o no, ad esempio, se i Vangeli non registrano nella predicazione di Gesù di Nazareth alcuna azione o proposito violento contro coloro che non credono?».

Ma questo ha forse impedito in passato l’uso dei Vangeli per conseguire obiettivi di dominio e di sfruttamento di uomini e nazioni? Non mi risulta. L’invito evangelico a porgere l’altra guancia non ha impedito nei secoli passati che si massacrasse e torturasse nel Misericordioso nome di Nostro Signore. Le Crociate rappresentarono forse un uso insensato dei Vangeli? Facile scriverlo adesso! Allora la cosa appariva del tutto legittima, oltre che Santa: «Dio lo vuole!» Oggi in Occidente le classi dominanti usano altre ideologie per conseguire la difesa e il rafforzamento dello status quo sociale. E qui Galli della Loggia, sostenitore dell’Imperialismo, pardon: della Civiltà occidentale (con incluso monoteismo cristiano) è chiamato pesantemente in causa.

Ritorniamo a Giorello:

«L’Occidente deve reagire con maggior decisione. Naturalmente bisogna saper colpire nel modo giusto, ci sono anche islamici in fuga dai fanatici. Mi risulta che l’Isis abbia uno Stato, territori, città. Partiamo da lì, leviamoglieli, non risolverà la questione ma è un inizio. E iniziamo anche a dire che non siamo più disposti ad accettare la tolleranza verso gli estremisti nei Paesi arabi. Questi Paesi non possono pensare di sfruttare la tecnologia occidentale e basta. La nostra tecnologia è figlia del pensiero scientifico e della laicità e della pluralità, non si può staccarla dal pacchetto».

Come si vede, anche il filosofo della scienza si pone dal punto di vista dell’«Occidente», cioè a dire, e mi scuso per il mio paleo-marxismo, dal punto di vista degli interessi economici e geopolitici dell’Imperialismo italiano, francese, tedesco, americano e così via. Chi si pone su una prospettiva autenticamente anticapitalistica non può invece che denunciare e combattere in blocco il Sistema Mondiale del Terrore. Il pensiero (scientifico, filosofico, politico e giuridico) borghese ebbe una straordinaria pregnanza emancipativa all’epoca del tramonto dell’ancien régime, nel momento in cui cioè le classi che investivano nel commercio, nell’industria e nella finanza imposero nuovi rapporti sociali, nuovi metodi di lavoro e di sfruttamento della natura, ma anche una nuova mentalità, una nuova concezione del mondo; oggi invece l’intero «pacchetto», quello che a Giorello appare come il migliore dei “pacchetti” possibili, puzza di putrefazione lontano un miglio. Ragionare storicamente – e “dialetticamente” – significa cogliere il cambiamento di funzione storica che nel tempo subiscono la “struttura” e la “sovrastruttura”: ciò che un tempo appariva e agiva come un eccezionale fattore rivoluzionario e comunque di progresso, oggi potrebbe assumere una diversa e financo opposta funzione. In ogni caso, non sarò certo io a rinfacciare al filosofo della scienza un’assoluta mancanza di visione rivoluzionaria.

Scrivevo quattro mesi fa:

«In miei diversi post ho sostenuto l’idea secondo cui l’intera umanità è ostaggio e vittima del sistema mondiale del terrore, ossia, detto in termini più “tradizionali”, della società capitalistica mondiale. È vero: siamo in guerra. È una guerra per il profitto, per le materie prime, per il Potere comunque concettualizzato (economico, scientifico, tecnologico, ideologico, geopolitico, militare, in una sola parola: sociale), per la sopravvivenza – ad esempio, di vecchi equilibri sociali e geopolitici: è soprattutto il caso del Medio Oriente “allargato” e dell’Africa. In questa guerra sistemica ognuno combatte con le armi (comprese quelle ideologiche: dai “sacri e inalienabili” diritti dell’uomo agli imperativi categorici a suo tempo stabiliti dal Misericordioso Profeta arabo) e con gli eserciti (compresi diseredati e frustrati d’ogni tipo) di cui può disporre. Il fatto che una persona possa usare il proprio corpo come un vettore per esplosivo non è certo una novità introdotta dai terroristi di “matrice islamica”: il kamikaze non è precisamente un’invenzione degli adoratori di Allah».

Provo adesso a chiarire meglio il concetto che ho cercato di esprimere ricorrendo alla locuzione, evocativa quanto generica, di Sistema Mondiale del Terrore. Ogni pretesa di saturare il problema qui affrontato è da me esclusa in partenza, in linea di principio e come “scelta metodologica”; concepisco, infatti, i miei scritti come dei contributi a un’analisi critica del vigente dominio sociale. Ovviamente tocca al lettore valutare la qualità di questo sforzo.

Sistema: la Cosa di cui si parla si struttura appunto come un sistema, compatto ma al contempo estremamente mutevole e contraddittorio, oggettivo come la materia “dura e pesante” ma anche impalpabile e sfuggente come sanno esserlo le sostanze “eteree”; si tratta di un sistema  costituito da diversi soggetti: classi sociali, Stati, organismi nazionali e sovranazionali di vario genere, organizzazioni politiche, strutture militari, agenzie ideologiche (come la Chiesa), e così via. Soggetti riconducibili tanto a modelli “convenzionali” quanto a formazioni “non convenzionali”, e come sempre sono i competitori più forti che decidono la qualifica politico-istituzionale da attribuire ai tanti attori che popolano la scena dei conflitti sociali e geopolitici; tocca a loro definire se stessi, i loro amici e i loro nemici. Su questo aspetto ritornerò tra un momento. Come qualsiasi sistema che si rispetti, anche quello di cui trattiamo in queste righe è composto da molti sottosistemi, più o meno complessi, i quali interagiscono reciprocamente secondo leggi che non contraddicono ma piuttosto confermano la totalità sistemica di cui essi sono momenti funzionali. Solo alla luce della totalità le singole parti acquistano un significato autentico, ed è per questo che comprendere o meno la natura storico-sociale del Sistema fa la differenza tra l’essere ciechi e impotenti dinanzi alla realtà o, viceversa, approcciarla ad occhi spalancati, con ciò che ne segue – o che ne potrebbe auspicabilmente seguire – sul piano della prassi.

Mondiale: è la dimensione geosociale e geopolitica di questo sistema, e corrisponde esattamente alla dimensione del Capitalismo del XXI secolo. Il sistema di cui si parla abbraccia dunque l’intero pianeta e l’intera società: nulla si colloca al suo esterno, tutto è parte organica di esso, compreso ciò che potrebbe annientarlo. A questo punto il lettore potrebbe dire, con qualche legittima delusione: «Ma qui per “sistema” si intende nient’altro che la società capitalistica!». Esatto! Si tratta appunto del sistema capitalistico colto nella sua complessa, dinamica, tumultuosa, contraddittoria e, connotato ancora più essenziale, almeno per chi scrive, disumana totalità.

Terrore: in che senso il Sistema Mondiale qui sommariamente delineato è terrorizzante, è immerso nel terrore, è terroristico (in senso lato e in senso proprio)? Vediamo.

Un’azione violenta che provoca decine, centinaia o migliaia di morti può venir rubricata come azione di guerra oppure come azione terroristica a seconda del soggetto politico-istituzionale, nazionale o sovranazionale, chiamato a giudicarla politicamente e giuridicamente. Ad esempio, il caccia francese che bombarda una postazione nemica in Libia o in Mali “passa” come una legittima azione bellica presso il governo francese e i governi suoi alleati; viceversa, la ritorsione a questo attacco condotta anche con armi “non convenzionali” (una cintura esplosiva fatta esplodere in un bar da un kamikaze, ad esempio) viene subito rubricata dal governo di Parigi e dai suoi alleati fra i “disumani attentati terroristici”. Da un lato il missile intelligente, espressione di un’evoluta Civiltà, dall’altro un’incivile e rozza tecnologia militare. In entrambi i casi si ricorre all’esplosivo per uccidere il Nemico; tuttavia, ciò che conta è il criterio di legittimità politico-giuridica che orienta l’azione dei soggetti reciprocamente ostili. E così, ciò che da un lato appare come un eroe, come un martire (laico o religioso, cristiano o musulmano, occidentale o mediorientale che sia), dall’altro assume le truci e odiose sembianze del «bastardo terrorista». In generale, ciò che fa testo storicamente è l’opinione dei vincenti, come ben sappiamo soprattutto dopo la Seconda carneficina mondiale – o Guerra di liberazione dal nazifascismo, secondo i trionfatori di allora.

Va da sé che chi è autore di considerazioni simili a quelle che vado facendo, ha ottime possibilità di “passare” a sua volta per un “oggettivo fiancheggiatore dei terroristi”, e come tale potrebbe essere sanzionato da chi detiene il monopolio del diritto e della violenza – due facce della stessa medaglia. Ciò non mi impedisce di affermare che, dal mio punto di vista, un’azione violenta tesa a uccidere persone è per definizione un’azione terroristica, e difatti i bombardamenti aerei della Seconda guerra mondiale avevano fondamentalmente l’obiettivo di terrorizzare la popolazione inerme delle grandi città, di spezzarne la volontà di resistenza, di fiaccarne l’orgoglio nazionale, e per questa via costringere i Paesi nemici alla resa incondizionata.

Ma dobbiamo riflettere anche su una violenza e su un terrore d’altro tipo, che solo a certe condizioni assumono l’aspetto sanguinoso che ci presenta la guerra guerreggiata, attacchi terroristici “non convenzionali” compresi. Ammettiamolo: questa società trasuda da tutti i pori disumanità, violenza, odio, paure, angoscia, frustrazioni, invidia, disagio (economico, ideale, psicologico, esistenziale, in una sola parola sociale) e tanto altro ancora. Scriveva lo storico Jacob Burckhardt in una lettera del 1846: «Le difficoltà del nostro tempo sono troppo grandi e non si può lasciare che gli uomini facciano da sé: essi hanno bisogno di uno stampo generale, affinché ciascuno si adatti in ogni caso a quel mostro che è la vita moderna». Nel frattempo, la «vita moderna» non ci appare certo meno mostruosa di quanto non apparisse a Burckhardt 170 anni fa. Tutt’altro! Come reagiamo oggi al Moloch che ci minaccia da tutte le parti, che rischia di stritolarci materialmente e psicologicamente a ogni istante? Cerchiamo in qualche modo di adattarci alla situazione, mediante una sempre più sofisticata – ma anche sempre più delicata e precaria – strategia di sopravvivenza, la quale naturalmente si avvale anche di supporti farmacologici, psicologici, “culturali”, e via di seguito. Il nostro sistema identitario (l’analogia con il sistema immunitario è tutt’altro che casuale) è sottoposto a periodici bombardamenti, e l’esistenza più che liquida, secondo la celebre metafora proposta da Zygmunt Bauman qualche anno fa, appare molto spesso gassosa, volatile come il valore di una cattiva azione quotata in Borsa. La precarietà esistenziale corrode il corpo e lo spirito, e la risposta sociale e individuale a questa condizione chiama in causa appunto mille strategie, mille comportamenti adattivi. Opporre resistenza al sistema come singoli individui, significa candidarsi al disastro, il quale è per definizione sempre dietro l’angolo. In una recente canzone, Vasco Rossi dice che voler cambiare il mondo è praticamente impossibile, mentre la vera rivoluzione consiste nel cambiare se stessi. Ebbene, per me le cose stanno esattamente all’opposto: si fa (diciamo si farebbe) prima a rivoluzionare il cattivo mondo, che a cambiare le nostre cattive abitudini, i nostri cattivi sentimenti, la nostra “oggettiva” cattiveria. Non ho mai dato alcun credito alla tesi secondo cui per cambiare il mondo occorre prima capire e cambiar se stessi, e poi pian pianino…

«A questo proposito confesso che il tanto celebrato apoftegma Conosci te stesso mi sembrò sempre sospetto, come un’astuzia di sacerdoti segretamente stretti in un’intesa, i quali volessero confondere l’uomo con una pretesa impossibile e stornarlo dall’attività rivolta al mondo esterno per impegnarlo in una falsa contemplazione interiore. L’uomo conosce se stesso solo in quanto conosce il mondo» (J. W. Goethe).

Quando riflettiamo sull’uomo («che non è ancora un uomo»), prima di stilare l’infausta sentenza diamo un’occhiata anche al mondo che lo ospita. Come avvocato d’ufficio del non-ancora-uomo avrei molte attenuanti da far valere!

In questo contesto esistenziale possiamo parlare solo di gradi diversi di “sanità mentale” o di “pazzia”, e rimane apertissima la disputa tra chi sostiene che il massimo livello di integrazione sociale corrisponde al massimo grado di alienazione/disumanizzazione dell’individuo, e chi invece pensa che l’individuo non socialmente abile, il non integrato, lo “sfigato” (secondo il cinico, e proprio per questo verace gergo giovanile) sia tale in grazia di tare psicologiche o/e intellettuali. La storia passata e recente, nonché la cronaca quotidiana, ci mostrano quali sanguinosi percorsi è in grado di imboccare l’individuo accecato dalla rabbia, dall’odio più o meno assoluto e indiscriminato, dalle angosce; la disperazione si aggrappa a tutto, come una volta la speranza. Su come lo stalinismo internazionale abbia dato il suo escrementizio contributo all’uccisione della speranza rinvio ai miei post dedicati al tema.

«Una famiglia in rovina, un lavoro perduto, un’umiliazione subita, una furia contro il vicino di bancone in birreria, un desiderio sessuale frustrato, un maltrattamento della polizia, cose di piccolo gusto che ieri avrebbero riempito le fosse e le celle di piccoli malviventi e piccoli disperati, oggi sono quotate in Borsa: possono far strage all’ingrosso, partecipare alla gloriosa avanzata del Califfato e dell’Apocalisse, mettere una bandiera nera sul cofano del proprio camion a noleggio. Chi sarà più disposto a considerare per sé un antico, solitario e desolato suicidio quando ne può fare uno strepitoso martirio e tenere in scacco il mondo?» (A. Sofri, Il Foglio, 16 luglio 2016).

Personalmente credo che chi non precipita nell’abisso della follia, come carnefice o come vittima, dovrebbe ringraziare la buona sorte, anziché ergersi a giudice dell’altrui follia e dispensare certificati di sanità mentale a destra e a manca. Io scorgo nei rapporti di esistenza della nostra epoca una terrorizzante assenza di umanità (**). È dunque la radicalizzazione della disumanità la chiave che permette di capire anche la “radicalizzazione” ideologico-religiosa di molti giovani? Sicuramente è una chiave che apre una porta molto importante alla comprensione di molti fenomeni sociali, tutti riconducibili all’esistenza del Sistema Mondiale del Terrore.

«È il momento di prendere la paura e trasformarla in forza di agire», sostiene Giorello. Agire ovviamente per difendere i sacri «valori occidentali» – da Atene a Roma, passando per la Grande Rivoluzione Francese del 1789. Io mi chiamo fuori da questa civilissima guerra. «Ma questo si chiama tradimento, diserzione, disfattismo!» Ma chiamatelo come volete! Io lo chiamo semplicemente punto di vista umano.


Note
(*) È appunto il caso della Sgrena, impegnata in una “battaglia culturale” di stampo laicista, come attesta anche il suo ultimo libro (Dio odia le donne, Il Saggiatore, 2016): «I fondamentalismi non sono solo nell’islam ma in tutte le religioni monoteiste. […] Senza voler fare una nuova esegesi, ho voluto scrivere un libro fondato sulle fonti e non solo sui comportamenti attuali. La scoperta è stata che, effettivamente, tutte e tre le religioni sono solo un alibi per il patriarcato» (Left). Magari scriverò qualcosa in proposito, chissà; qui mi limito a segnalare, sapendo di sfiorare un campo “eticamente” minato, il “bizzarro” e pericoloso approccio al problema tentato da Nadia Ali, 25 anni, porno star bandita dal Pakistan dopo aver girato alcune  scene a “luci rosse” in abito islamico: «Io sono islamica praticante, credo nella pace e nei sani principi, nell’essere umili, felici, grati» (Dagospia). E io chi sono per giudicarla!
(**) A proposito di radicalità nichilista! Ecco una parte dell’interessante intervista rilasciata al Corriere della Sera da Olivier Roy: «Mohamed Bouhlel non andava mai in moschea. L’uomo che si è lanciato con un Tir sulla folla del 14 luglio beveva alcol, era depresso e picchiava la moglie, il padre in Tunisia dice che era pazzo. Ma le autorità francesi parlano di attentato islamista, e l’Isis ieri lo ha rivendicato. Quindi gli 84 morti di Nizza sono l’opera di un folle, un attacco dello Stato islamico, o entrambe le cose? Il grande orientalista francese Olivier Roy da tempo sostiene la tesi di una “islamizzazione del radicalismo”: secondo lui persone disadattate, nichiliste o squilibrate finiscono per abbracciare la causa jihadista perché “è oggi l’unica davvero radicale sul mercato”, quella che garantisce il maggiore grado di rifiuto del mondo.
Professor Roy, il ministro Cazeneuve dice che l’assassino “si è radicalizzato molto rapidamente”. Questo conferma la sua tesi? “Mi pare di sì. Bouhlel è un musulmano non praticante, non politicizzato, con una personalità disturbata, condannato per atti di violenza. Poi, bruscamente, commette un attentato legato all’Isis, sceglie di inscrivere la sua violenza nella narrativa dello Stato islamico. Sono convinto che la sera del 14 luglio pensasse di andare in paradiso, come appunto un martire islamista. Ma non è alla fine di una traiettoria religiosa che è passato al terrorismo. Chi commette questi attentati non ha alle spalle una vita di stretta osservanza religiosa”.
È questo il tratto che accomuna l’attentatore di Nizza a quelli di Parigi e Bruxelles?
Sì, queste persone di solito passano alla violenza terroristica molto rapidamente e senza che il loro entourage se ne renda conto. Conducono una vita più o meno normale fino a poco prima dell’attentato. A gennaio 2015 i fratelli Abdeslam vanno in discoteca, nell’agosto 2015 uno dei due si fa vedere armato su Facebook, a novembre fanno l’attentato di Parigi. I motivi possono essere vari, nel caso di Nizza c’è la componente psichiatrica, ma il punto comune è questo: non sono diventati terroristi in seguito a una radicalizzazione della loro pratica religiosa. Semmai accade il contrario: l’improvvisa islamizzazione del loro disastro personale”.
La sua tesi viene sospettata di sminuire il ruolo della religione. Pensa che l’Islam non c’entri con gli attentati?
Niente affatto, non ho mai detto che la religione non ha niente a che vedere con gli attentati. Dico che non è il salafismo, l’integralismo islamico, che porta al terrorismo jihadista. Provoca altri problemi: per esempio rende complicato il vivere insieme, e i salafiti sbagliano a non esprimersi chiaramente quando ci sono attentati. Ma di solito non è tra le loro file che troviamo i terroristi”.
Se il terrorismo deriva da una islamizzazione di problemi vari, la minaccia è più grave?
Proprio così, perché diventa davvero complicato individuare i possibili terroristi. Non tutti i terroristi sono pazzi, ovviamente, ma qualsiasi pazzo oggi può ispirarsi all’Isis e improvvisarsi suo soldato. Una volta i matti pensavano di essere Napoleone, oggi pensano di essere l’Isis. Lo Stato islamico fornisce loro la copertura ideologica e l’incitamento ad agire. L’Isis è in grado di organizzare attentati complessi, ma è capace anche di accontentare chi vuole suicidarsi finendo in prima pagina”».

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