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Superstizioni di seconda e terza mano. Complottismi e affini

di Sebastiano Isaia

the cabinet of dr caligari imageA Pierluigi Battista l’ultima genialata complottista che ha avuto come protagonista una senatrice pentastellata non è proprio andata giù:

«”La grande truffa dell’allunaggio”, l’11 settembre voluto dalla Cia, fino alla riduzione della magnitudo dei terremoti per contenere i rimborsi. È lunga la serie delle bufale. La senatrice Enza Blundo non ce l’ha proprio fatta, è stato più forte di lei, il crampo complottista è dilagato in lei senza argini. […] La sindrome cospirazionista non perdona, ti prende all’improvviso, d’istinto. Come quella che ha catturato un altro deputato grillino, e svariate migliaia di seguaci di un sito negazionista molto in voga, a proposito della “grande truffa dell’allunaggio”, che invece i complottisti ritengono essere stato una messinscena in uno studio anziché sulla vera Luna. Come quella di un altro deputato grillino, Carlo Sibilia, convinto che da una centrale oscura, da una Spectre malvagia, sia partito l’ordine di inquinare il Pianeta con le scie chimiche. O il complottismo dei microchip che la Cia avrebbe nottetempo introdotto nei corpi di milioni di cittadini ignari. […] Attraverso la senatrice Blundo, sinora quasi sconosciuta nelle cronache della politica, ha parlato dunque uno spirito del tempo molto diffuso e molto variegato, così persuasivo che quasi ci sarebbe da credere a un complotto che spiega tanta popolarità. Ma in questi giorni non fa ridere, mentre sull’Appennino le case crollano e la gente piange. […] Il complottismo, del resto, ha la forza che ha perché fornisce risposte semplici e coerenti a qualcosa che ancora appare misterioso e indecifrabile».

In buona sostanza, e sintetizzando concetti che spesso amo impastare nei miei modesti scritti, il complottismo è la perfetta metafora di una totalità sociale che si dà alle spalle degli individui e contro la stessa possibilità di una loro esistenza autenticamente umana. Lo spirito del tempo di cui parla Battista è dunque lo spirito del Capitale? Certamente, almeno su questo punto nutro pochi dubbi. «Oggi ho visto lo spirito del mondo a cavallo», disse una volta Hegel evocando la straordinaria personalità storica di Napoleone; oggi questo spirito lo possiamo ammirare in guise molto meno eroiche, ovunque la miseria sociale dei nostri tempi ha modo di manifestarsi con particolare forza e ricchezza di contraddizioni – e non di rado con singolare bizzarria. Come sempre, in questi casi vale la tesi che ci suggerisce di vedere nel caso eccezionale la manifestazione dell’intima natura della cosiddetta normalità.

«Il complottismo ha la forza che ha perché fornisce risposte semplici e coerenti a qualcosa che ancora appare misterioso e indecifrabile»: su questo punto pare non vi siano dubbi in chi ha voluto cimentarsi con l’argomento qui trattato. Scrive ad esempio Michela Serra:

«Morti gli ideali collettivi, il complottismo offre un comodo surrogato, magari da consumare davanti a un video nella propria stanzetta: il mondo è nelle mani di pochi burattinai cattivi, noi siamo solo la moltitudine dei burattini. È un’autoassoluzione; è la celebrazione definitiva della morte della politica; ed è anche la rinuncia a ragionare e confrontarsi. […] Il complottismo non è una risposta utile né lecita. È una parodia della verità. La verità è un traguardo durissimo, che quasi sempre ci sfugge davanti al naso dopo una rincorsa interminabile. Confezionare, ciascuno per sé, una verità tascabile, comoda, da sventolare in faccia al mondo facendo finta che noi abbiamo capito tutto e gli altri niente, non è una risposta al conformismo e alla morte della politica. Ne è, anzi, la perfetta conseguenza. Per questo non amo il complottismo: perché amo (amavo?) la politica».

Anch’io non amo il complottismo, e anch’io nutro per la politica una forte passione: si tratta di vedere di quale “politica” andiamo cianciando io e Serra. Ho il sospetto che la politica di cui parla il noto intellettuale progressista ha molto a che fare con le cause che rendono così appetibile, così piena di fascino la merce complottista. E non intendo riferirmi solo, o essenzialmente, a cause di natura politico-ideologica, il che farebbe ristagnare la riflessione nella schiuma dei fatti, ma a processi sociali più profondi e strutturali, che peraltro lo stesso Serra evoca con una certa precisione:

«Quella rete di rapporti – come, meglio di ogni altro, ha spiegato Marx – non è innocente o “neutrale”. È un campo di battaglia. È intrisa di violenza, di oppressione e di dominio. Sfruttatore e sfruttato, ricco e povero, padre padrone e famiglia sottomessa, il mondo pullula di ingiustizia e sopraffazione. Ma è una violenza – come dire – orizzontale e diffusa, che attraversa le nostre vite, il nostro lavoro, l’assetto sociale, il nostro modo di produrre e di consumare. Forse metterla in discussione è troppo faticoso (anche personalmente), perché implica un coinvolgimento di ognuno di noi negli eventi della storia».

Probabilmente questo accade perché abbiamo imparato ad arredare così bene la cella esistenziale chiamata vita quotidiana, che facciamo fatica solo a concepire un diverso, e soprattutto migliore, modo di vivere: davvero la smisurata potenza del Dominio ci crea a sua immagine e somiglianza. L’identificazione dei dominati con i rapporti sociali di dominio è alla base di quegli atteggiamenti irrazionali, individuali e di massa, che anche la psicanalisi freudiana ha cercato di spiegare, non raramente con successo – ossia in modo fecondo, stimolante per chi intende capire le dinamiche interne al «campo di battaglia» chiamato società capitalistica.

La violenza sistemica di cui parla Serra, con una rassegnazione (travestita da “pensiero critico”) che esprime soprattutto la sua concezione del mondo e la sua funzione politica (entrambe al servizio dello status quo sociale), è un dato strutturale della nostra esistenza, e noi riusciamo a cogliere solo le sue brusche accelerazioni, le sue improvvise impennate, le scosse telluriche che ci portano a un livello più alto di disumanizzazione, al quale presto ci adattiamo, anche facendo ricorso a qualche “aiutino” chimico. E chi non riesce a “evolvere”? È pregato di accomodarsi nell’apposito contenitore dei rifiuti! «Hai parlato di “aiutino chimico”: insinui forse che le case farmaceutiche sono alla testa di una cospirazione economica? Io per la verità lo avevo sempre sospettato. Maledette multinazionali degli psicofarmaci!» Il complottista è sempre in agguato. Ciò non toglie il fatto che una cospicua fetta dell’economia prosperi grazie alle magagne che il “Sistema” dona con generosità alla gente. Il “Sistema” ci rende difficile la vita, è vero, ma ci dà anche i mezzi per affrontare meglio le difficoltà che esso stesso crea; basta pagare. Intere professioni vivono di magagne esistenziali, e il mercato del disagio sociale è in perenne espansione, è un mercato che non conosce crisi. Più che di complotto, parlerei di astuzia del Dominio. Un’astuzia che paghiamo a carissimo prezzo, in tutti i sensi.

A rischio di perdere qualche amicizia, devo confessare la mia personale antipatia nei confronti del “complottista”, qui inteso appunto come colui che rimane vittima delle teorie complottiste; il razionalista che c’è in me, infatti, è oltremodo restio a comprendere come delle persone mediamente intelligenti – e sicuramente più intelligenti del sottoscritto: lo so, ci vuole poco! – possano aggrapparsi con tale ferocia e con un fervore degno davvero di miglior causa a tesi e argomenti che susciterebbero la più crassa delle risate persino in un bambino, se solo egli avesse qualche minuto del suo preziosissimo tempo da perdere appresso alle farneticazioni esternate dai cacciatori di complotti. Per fortuna il razionalismo alberga in me in forma residuale; e tuttavia l’antipatia permane, forse come traccia emotiva di un atteggiamento mentale che considero comunque largamente superato. Il ragazzino ateo ha da tempo lasciato il posto a una più adulta personalità “filosofica”. Almeno lo spero!

Com’è noto è quasi impossibile convincere un “complottista” circa l’assurdità delle tesi che difende; i sostenitori del Grande Complotto amano ribattere ai loro denigratori: «Se parli con i mafiosi, ti diranno che la mafia non esiste». E la Massoneria potrà mai confessare al mondo di essere alla testa dei più grandi complotti dell’ultimo secolo? Infatti, come si legge su un blog “complottista”, almeno «dal 1969 [cioè dal preteso allunaggio] la bandiera della massoneria sventola su buona parte delle truffe mediatiche organizzate in danno dell’umanità». Per non parlare della famigerata lobby ebraica, la quale passerebbe volentieri attraverso i camini, piuttosto che confessare la verità sul millenario complotto giudaico orchestrato contro il mondo intero, oggetto delle perverse brame di potere e di ricchezza dei figli di Israele. Dagli anni Settanta del secolo scorso decine di scienziati sono all’opera, soprattutto negli Stati Uniti, per smontare tutte le teorie complottiste in circolazione, con scarsi risultati, a quanto pare. Per aiutare a valutare l’attendibilità (o l’infondatezza) di diverse note teorie del complotto, il fisico David Robert Grimes

«ha elaborato un’equazione che dimostra quanto sarebbe difficile mantenere segrete cospirazioni su larga scala, se fossero vere. “Anche un complotto che coinvolge solo poche migliaia di persone sarebbe inevitabilmente smascherato nel giro di decenni. Nel caso in cui partecipassero centinaia di migliaia di persone, invece, avverrebbe in meno di cinque anni”, ha concluso Grimes. Brutte notizie per le teorie complottiste più longeve di internet». (Il Post).

Siamo proprio sicuri? L’equazione anticomplottista mi appare piuttosto come l’ennesima prova di superstizione scientista, tanto più risibile, in quanto chiama in causa la feticistica potenza predittiva della matematica. Secondo la giornalista del Washington Post Caitlin Dewey (articolo del 18 dicembre 2015 dedicato alle «bufale su internet»), «Oggi la sfiducia verso le istituzioni è altissima, e i pregiudizi a livello cognitivo sono sempre molto forti: chi crede alle bufale online spesso è solo interessato a leggere informazioni che corrispondano alle sue idee, anche quando sono palesemente false». Chi accusa un malessere esistenziale di qualche tipo (cui la scienza medica non lesina definizioni e non manca di classificare, con un grado di puntualità tutto da verificare), non cerca la verità («Ma cos’è poi la verità?»), ma una qualche forma di consolazione immediata, di rapido effetto, qualcosa che dia soddisfazione omeopatica al veleno che ha in corpo. «Quando la società soffre – scrisse una volta Émile Durkheim – sente il bisogno di trovare qualcuno a cui attribuire il suo male, qualcuno su cui vendicarsi delle sue delusioni». Non c’è niente da fare: il demagogo, il populista, il complottista godrà sempre di un notevole vantaggio sul rivoluzionario: la società, infatti, lavora per i venditori di fumo.

Chi riceve sberle “esistenziali” da tutte le parti, e che spesso neanche fa in tempo a capire da quale direzione arrivano i ceffoni, e perché, facilmente accede all’idea che poteri occulti stiano effettivamente tramando contro la sua e l’altrui felicità, se non riesce a trovare spiegazioni razionali che siano in grado non solo di spiegargli le ragioni della sua triste condizione, ma anche – direi soprattutto – di appagarlo emotivamente, di procurargli una qualche forma di gioia, una ricompensa che almeno ne stemperi le pulsioni più distruttive – sovente autodistruttive. D’altra parte è la “modernità” che ha spinto gli individui verso un uso sempre più economico del pensiero, il quale è invitato dall’intera prassi sociale a cercare soluzioni “pragmatiche” (a portata di mano, usa e getta) ai problemi quotidiani, cosa che certamente non sviluppa le loro capacità critiche, né li sprona a cercare il «vero senso della vita» al di là delle pappe concettuali predigerite preparate dal “Sistema” per assistere il bravo cittadino dalla culla alla bara. Il kit di sopravvivenza esistenziale contiene ogni genere di roba, e francamente mi appare ozioso, oltre che testimonianza di un’assoluta incomprensione della situazione, discriminare fra la roba “buona” e quella “cattiva”: come diceva Totò, ognuno si arrangia come può! Ho complottato a favore della rima?

Contro la «sindrome del complotto» Umberto Eco escogitò la cosiddetta «prova del silenzio»:

«Se la navicella americana non fosse arrivata sulla Luna c’era qualcuno che era in grado di controllarlo e aveva interesse a dirlo, ed erano i sovietici; se pertanto i sovietici sono rimasti zitti, ecco la prova che sulla Luna gli americani ci sono andati davvero. Punto e basta» (1).

L’argomento addotto da Eco non fa una grinza, ma solo se considerato dal versante di chi è già convinto dell’avvenuto «grande passo per l’umanità», per chi già deride le panzane complottiste, mentre chi aderisce alla tesi cospirazionista della «grande truffa» rimane sulle sue posizioni, magari sostenendole con nuovi – e ancor più “bizzarri”, diciamo così – argomenti, tali da confermare quel noto detto: la realtà supera sempre l’immaginazione. E poi, il fallimento di una sola tesi complottista avrebbe come conseguenza il fallimento dell’intera “concezione” complottista, la rottura di tutta la catena dei complotti; come le ciliegie, una confutazione tira l’altra. Occorre dunque negare, negare sempre, chiudersi a riccio, alzare le difese, anche dinanzi alla prova più schiacciante, più evidente: soprattutto dinanzi a essa. «Io ci credo proprio perché la cosa sembra assurda, inverosimile»; d’altra parte chi orchestra complotti è bravo nel far passare per pazzi visionari i nemici del “Sistema” – qualsiasi senso il paranoico adoratore di complotti attribuisca a questa parola magica: “Sistema”. Per uno che riesce a saltar fuori  dal circolo vizioso cospirazionista (2), almeno dieci sono pronti a rimpiazzarlo nella lotta contro i Poteri Forti, contro le Versioni Ufficiali propalate dai media di regime.

Il “complottista”, dunque, raramente abbassa le difese psicologiche che lo tengono lontano dall’«evidenza scientifica», e chi ha bisogno dell’irrazionale per padroneggiare con la testa e con il cuore una realtà altamente irrazionale si rivolge senz’altro al mercato delle “bufale”, e le stesse pubblicazioni scientifiche tese a smascherare le bufale complottiste gli appaiono come la più evidente conferma del Grande Complotto orchestrato dal “Sistema” contro l’umanità in generale, e contro la sua persona, in particolare.

La stessa scienza, che sghignazza in faccia ai teorici del complotto, si mostra a sua volta impotente e meritevole di scherno dinanzi al processo sociale capitalistico, che per l’essenziale essa non è in grado di comprendere. Un solo esempio.

«La tecnica è destinata al dominio perché il sottosuolo essenziale della filosofia degli ultimi due secoli mostra che l’unica verità possibile è il divenire del tutto, in cui viene travolta ogni altra verità e innanzitutto la verità della tradizione dell’Occidente, che pone limiti all’agire tecnico. [ …] Lo scopo dell’Apparato tecno-scientifico planetario non è il benessere cristiano, capitalistico, comunista, democratico dell’umanità, ma è l’aumento indefinito della potenza. […] Lo scopo dell’Apparato – ossia della forma suprema della volontà di potenza – non è l’”uomo”: l’”uomo” è mezzo per l’incremento della potenza; tuttavia, come il capitalismo, che prima ancora della tecnica ha già come scopo qualcosa di diverso dall’”uomo” [si tratta per caso del profitto?], riesce a dare a quest’ultimo un benessere superiore a quello dei movimenti che, come il socialismo reale, si propongono invece di avere l’”uomo” come fine, così, e anzi in misura essenzialmente superiore, accade nell’Apparato, dove ancora più radicalmente del capitalismo l’”uomo” non è assunto come fine».

Così la pensa il filosofo Emanuele Severino, il quale fra l’altro si è specializzato nella “scoperta” di realtà già da tempo ampiamente denunciate – un solo esempio: «Assistiamo a una formidabile avanzata del Capitalismo. L’economia comanda la politica» (Il Fatto, 15/12/2013). Ma va?

L’idea fissa del complottista compulsivo, che vede cospirazioni dappertutto, è il “Sistema”; l’idea fissa di Severino è l’«Apparato». Entrambi sono vittime di una totalità sociale che l’umanità non controlla razionalmente, ma subisce come una Potenza estranea e ostile, come un tempo i nostri antenati subivano i “capricci” della Natura. Il feticismo tecnologico impedisce al noto filosofo di scorgere nell’«Apparato tecno-scientifico planetario» non più che la prassi sociale capitalistica dispiegata al suo più alto e verace livello, la reificazione dei rapporti sociali di dominio e sfruttamento che informano quella prassi. L’illuminismo scientista degrada verso forme primitive di concettualizzazione del mondo. Sull’inversione feticistica della realtà rimando ai miei post dedicati al tema – l’ultimo dei quali ha come titolo Capitalismo 4.0. Tra “ascesa dei robot” e maledizione salariale.

Nel Capitalismo i fenomeni sociali non appaiono immediatamente nella loro nuda realtà, per quello che essi rappresentano veramente sul piano storico e sociale, ma quasi sempre si presentano al nostro sguardo in guise – o “veli” – che ne occultano appunto l’autentico significato. Ciò non a causa di complotti o della cattiva volontà di qualcuno, ma in grazia della stessa natura dei vigenti rapporti sociali. Ad esempio, sembra che nella compravendita di capacità lavorativa sia in questione un mero scambio fra chi vende il lavoro e chi lo acquista, e che il tutto si risolva in una più o meno equa retribuzione (denaro-salario) e in una più o meno sostenibile durata della giornata lavorativa. La realtà sottostante allo scambio ci dice invece che a prescindere – ma fino a un certo punto! – dal livello salariale e dal numero di ore lavorative pattuite contrattualmente, lo scambio lavoro-salario è in sé un rapporto di dominio (che trova nella sfera politico-istituzionale la sua più puntuale espressione nello Stato) e di sfruttamento, tant’è vero che il discorso sulla sostenibilità dell’accordo («un equo salario e un equo tempo di lavoro») cade quando il profitto non è più garantito. È dunque il profitto che regola la relazione di compravendita del lavoro e che informa l’uso di esso, cosa che giustifica anche l’«Apparato tecno-scientifico planetario» che tanto inquieta Severino. Di più: il rapporto capitale-lavoro non trasforma solo il lavoro vivo (“il capitale umano”) in una merce, ma l’intera esistenza del lavoratore è mercificata, visto che i suoi bisogni sono quantificabili in termini di somma dei prezzi dei beni e dei servizi necessari alla sua esistenza. La capacità lavorativa dunque non è che il valore d’uso (ciò che il capitale usa e consuma produttivamente) della merce-lavoratore, mentre il salario corrisponde al prezzo della vita del lavoratore, una vita abbassata dunque a valore di scambio. Dietro questo rapporto di sfruttamento, che aliena il lavoratore dal suo prodotto e ne reifica l’esistenza (il lavoratore come bio-merce), non c’è alcun complotto, nessuna malafede, nessun inganno, nessuna frode; c’è invece una peculiare struttura classista della società.

Anche la psicoanalisi ha imparato a leggere il fenomeno – qui inteso come ciò che appare immediatamente – come sintomo che rimanda ad altro, a una causa o a una costellazione di cause che bisogna cercare nelle strutture profonde delle esperienze, le quali non mancano mai di lasciare durevoli tracce – o cicatrici – in quella che chiamiamo comunemente psiche. Occorre «aprirsi un varco capace di farci accedere alle massime profondità», diceva Freud. Insomma, non bisogna arrestarsi a ciò che la società e gli individui pensano di se stessi, come insegnava Marx, ma bisogna appunto scavare nella dura crosta dell’apparenza se si vuole cogliere la vera natura dei problemi sociali e individuali (una distinzione che occorre prendere sempre con molta prudenza), comprenderne la dinamica interna e il loro rapporto con la totalità sociale/esistenziale.

Sospettare delle apparenze, non appagarsi della prima impressione, non dare per scontato ciò che così ama invece presentarsi agli occhi delle “masse” (il cui tasso di critica è notoriamente assai basso): è, credo, l’atteggiamento adeguato al mondo che ci ospita. Perché quasi niente è mai come sembra, e quasi mai la Cosa che ci sta dinanzi ci confessa spontaneamente la verità riguardo alla sua natura e alle sue relazioni – spesso molto “scabrose” – con il resto del mondo. Tutto questo ovviamente non ha nulla a che vedere con la diffidenza paranoica riscontrabile in gran parte dei complottisti. Scrive Gianfranco Morrai:

«I diritti come mistificazioni di interessi (Marx), i valori come espressioni del risentimento (Nietzsche), la morale come sublimazione del sesso (Freud). I maestri del sospetto hanno lastricato la nostra civiltà della dietrologia: “io non ti credo, dimostramelo; perché ciò che tu chiami X, in realtà, guardato sotto e dietro, altro non è che Y”. Lo aveva capito l’intelligenza luciferina di Giulio Andreotti: “A pensar male si fa peccato, ma il più delle volte ci si indovina”» (Italia Oggi).

Sciocchezze di simile volgare conio possono nascere solo nella testa di chi ha una conoscenze di terza o quarta mano delle opere di Marx, di Nietzsche e di Freud. La concezione critico-rivoluzionaria del “complottista” di Treviri non ha nulla a che fare con le “forze del Male” in lotta contro le “forze del Bene”, ma la millenaria storia delle società divise in dominanti e dominati. Per Marx il motore della storia è la lotta di classe; per il complottista il motore della storia è il complotto organizzato da pochi a danno dei molti.

Nel discorso marxiano il “complotto” (3) può avere una qualche legittimità solo come metafora della totalità sociale, la quale ci si dà come risultato di qualcosa che sfugge, per l’essenziale, al nostro controllo; noi non produciamo coscientemente quel risultato, ma piuttosto lo subiamo come se ci fosse stato imposto dall’esterno da qualcuno (non particolarmente compassionevole nei confronti dell’umano), nonostante nulla è esterno alla nostra prassi – a meno di non prendere in considerazione il Deus ex machina che tanto piace anche al complottista, il quale ha denti troppo deboli per poter masticare una fenomenologia sociale alquanto dura. Anche l’«Apparato tecno-scientifico» di cui straparla Severino ha a che fare con la complessa dialettica sociale qui solo abbozzata. Parafrasando il titolo di un bel film di Massimo Troisi: Pensavo fosse un complotto, e invece era il Capitale!

Una volta Adorno disse che «L’occultismo è la metafisica degli stupidi»: le persone attratte dal messaggio spiritistico dei medium «cercano nell’aldilà quello che hanno perduto in questo mondo, e vi trovano solo il proprio nulla» (Minima moralia). Penso che si possa dire qualcosa di analogo a proposito della dietrologia complottista: essa è la “teoria critica” dei poveri di spirito, per così dire. Le tesi e le argomentazioni complottiste mi procurano qualche minuto di divertimento, come quando ascolto una barzelletta o la battuta di un comico, ma il complottismo come fenomeno sociale credo sia invece un oggetto da indagare seriamente, e dialogare con il complottista, se non abbiamo nulla di meglio da fare per qualche minuto, ci offrirebbe quantomeno l’opportunità di capire meglio cosa è in grado di fare agli individui questa società disumana. Anziché prendere in giro le “teorie” complottiste, esibendo a nostra volta l’arrogante sicurezza che giustamente ridicolizziamo quando abbiamo a che fare con gli amanti del genere, dovremmo piuttosto riflettere su una società che rende possibile il successo di tali “teorie”. È la luna che va osservata, non dimentichiamolo mai, non il dito che la indica. Cosa hanno perso gli uomini in questo mondo, e perché? Perché ai loro occhi il nulla può spesso apparire in guisa di affascinante quanto ipnotica profondità (abissale, cosmica, storica, scientifica, esistenziale)?

Come scriveva sempre Adorno nel 1962 (Superstizione di seconda mano), «Nei tempi in cui incombe la minaccia della catastrofe sono mobilitati tratti paranoidi» della personalità degli individui. Di tutti gli individui che hanno la ventura di vivere in questa società, nella presente epoca storica. La fuoriuscita dell’uomo dalla minorità di cui egli stesso è l’artefice: in questo, secondo Kant, si compendia il significato ultimo dell’illuminismo. Il progetto illuminista non poteva non fallire, giacché esso affidava l’emancipazione universale degli individui a una rivoluzione antropologica (culturale, morale, etica) che lasciava intatta quella struttura classista che li sequestrava (e li sequestra) nella dimensione disumana del lavoro sfruttato, reificato e alienante, che li tiene inchiodati alla croce degli interessi (economici, politici, geopolitici) che nulla a che fare hanno con ciò che da sempre evoca la parola umanità. Insomma, dal mio punto di vista gli acchiappacomplottisti mi appaiono l’altra faccia di una moneta che andrebbe messa al più presto fuori corso.


Note
(1) U. Eco, Come vincere l’ossessione dei complotti fasulli, La Repubblica, 27 Giugno 2015.
(2) «Una volta ero anch’io un complottista. Sia chiaro: non uno di quei complottisti che credono ad ogni minima stupidaggine circoli in rete purché sotto ci sia scritto “Condividete prima che lo censurino” o “I media di regime questo non ve lo dicono”. No, io ero un complottista su un tema molto specifico: l’11 settembre, per l’appunto. Disgraziatamente, per un periodo della mia vita ho avuto troppo tempo libero a disposizione e troppi modi stupidi di utilizzarlo. Quando ancora sapevo molto poco della vicenda, se non gli aspetti più noti, mi capitò di imbattermi in uno dei tanti video cospirazionisti sul tema che circolano su YouTube. Come capita a molti, lo trovai interessante e pensai che la storia che raccontava avesse una sua logica ed una sua coerenza. A quei tempi ancora non lo sapevo, ma questo dipende in gran parte dal fatto che chi realizza questi video ed elabora queste teorie è particolarmente abile nel tessere una trama nella quale fatti veri ed assodati vengono mischiati ad altri fortemente distorti, per arrivare ad elementi inventati di sana pianta. Il prodotto di questa operazione è potenzialmente micidiale. Quando qualcuno non si crea problemi ad “aggiustare” le informazioni per fare in modo che ciò che viene detto aderisca perfettamente ad una tesi, il racconto che ne viene fuori appare perfettamente logico e coerente, quasi inattaccabile. In parte, questo è dovuto anche all’utilizzo di determinate parole in un determinato contesto, per far apparire normali cose che normali non sono e viceversa. Un perfetto esempio è quello dell’espressione “versione ufficiale”, utilizzata con molta nonchalance dai complottisti dell’11 settembre. […] Io so bene quanto sia appagante essere un complottista, per averlo vissuto in prima persona. So bene quanto sia gratificante la sensazione di essere riuscito ad arrivare ad un livello di conoscenza superiore, irraggiungibile dai “poveri idioti che si bevono le idiozie di regime”. Eppure, un giorno ho preferito iniziare a credere a quei fastidiosi dettagli chiamati “fatti”. E allora ho iniziato a fare le domande “giuste”: dove sono le prove? Dove sta scritto? Puoi dimostrarlo? Su cosa si basa questa congettura?» (Confessione di un complottista pentito). Si può sempre sperare che l’atteggiamento critico del “complottista pentito” si applichi su “fatti” un po’ più decisivi.
(3) Scriveva Karl Popper: «Vi è una concezione filosofica della vita molto influente, secondo cui tutte le volte che accade qualcosa di veramente negativo in questo mondo (o che non ci piace) vi deve essere qualcuno che lo ha fatto. Questa concezione è molto antica. […] Nel pensiero cristiano più tardo, il Diavolo è responsabile del male, nel marxismo volgare è il complotto di avidi capitalisti ad impedire l’avvento del socialismo e l’attuazione del paradiso in terra» (K. Popper, Come io vedo la filosofia e altri saggi, p. 29, Armando, 2005).
Ciò che l’apologeta del Capitalismo Ayn Rand fa dire a John Galt, il personaggio centrale del suo romanzo La Rivolta di Atlante (Leonardo Facco, 2002), illustra bene sia il significato di «marxismo volgare», come il concetto marxiano di feticismo («velo monetario») richiamato sopra: «E così tu pensi che il denaro sia alla radice di tutti i mali? Ti sei mai chiesto quali sono le radici del denaro? Il denaro è un mezzo di scambio, che non può esistere se non esistono le merci prodotte e gli uomini capaci di produrle. Il denaro è la forma materiale del principio che se gli uomini vogliono trattare l’uno con l’altro, devono trattare scambiando valore con valore. Il denaro non è lo strumento dei miserabili, che ti chiedono il tuo prodotto con le lacrime, né dei pescecani, che te lo tolgono con la forza. Il denaro è reso possibile solo dagli uomini che producono. È questo che tu chiami male?». Ma, direbbe Marx, il denaro è in primo luogo espressione di un peculiare rapporto sociale di dominio e di sfruttamento! Il denaro è la creazione più sofisticata  di un processo economico-sociale che ha il lavoro salariato (e dunque la ricerca del profitto) come centro-motore. Cosa che tanto il “marxista volgare” che odia il potere demoniaco del Denaro mentre santifica il duro lavoro, quanto la liberista che nel Capitalismo vede solo «merci prodotte e uomini capaci di produrle» (ma non il rapporto sociale che dà senso storico-sociale a entrambi) non possono comprendere.
Ma concludiamo la citazione di Popper: «La teoria che vede nella guerra, nella povertà e nella disoccupazione il risultato di una cattiva intenzione, di qualche sinistro piano, aderisce al senso comune ma è acritica. Ho chiamato questa teoria acritica del senso comune la teoria cospiratoria della società. È largamente condivisa e sotto forma di ricerca di cospiratori ha ispirato molti conflitti. Lenin, sostenitore della teoria cospirativa, era un cospiratore come Mussolini e Hitler. Ma gli obiettivi di Lenin non furono realizzati in Russia, e nemmeno quelli di Mussolini in Italia o di Hitler in Germania. Tutti costoro erano cospiratori perché credevano acriticamente ad una teoria cospiratoria della società». Attribuire a Lenin concezioni cospirative e accostarlo senz’altro a Mussolini e a Hitler, questa sola operazione, che denota un tasso assai alto di superficialità storica e politica, è sufficiente a squalificare ai miei occhi il pensiero sociologico del filosofo viennese.

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ndr60
Tuesday, 15 November 2016 15:43
Trump crede che l’11/09 non sia stato adeguatamente investigato e ha intenzione di andare a fondo di esso. “Prima di tutto, l’inchiesta iniziale è un disastro totale e deve essere riaperta”, ha detto.
“Prima di tutto, l’inchiesta iniziale sull’11 Settembre è un disastro totale e deve essere riaperta” Trump ha annunciato ai sostenitori. “Come fanno due aerei a colpire tre edifici nella stessa giornata? Non ho mai digerito il fatto che non si è menzionata la distruzione dell’edificio 7 nel documento a pagina 585”, ha spiegato, parlando dell’edificio 7 World Trade Center 7, anch’esso crollato – inspiegabilmente – durante gli attacchi dell’11 settembre.

Ohibò, gli statunitensi hanno un presidente complottista...
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