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idiavoli

Fenomenologia delle fake news

I Diavoli

Da Orson Welles fino a oggi, passando per Luther Blissett, il falso è stato anche strumento di lotta e di decostruzione del discorso dominante. Le fake news ci sono da tempo, tanto quanto quelle reali. È una narrazione fake che oggi le descrive come un fenomeno senza un passato, strettamente connesso ai social. I social ne hanno cambiano la diffusione, la circolazione e quindi l’impatto sociale. Il problema non sono le notizie finte, ma la delegittimazione dell’informazione, la confusione tra propaganda e verità, la diffusione di allarmi-sicurezza come strada di legittimazione del controllo

LB hero

C’era una volta Orson Welles. Per un’ora, tutta d’un fiato e senza pubblicità, un ventitreenne dal tono compunto e autorevole raccontò agli americani l’arrivo dei marziani. Succedeva alle otto di sera di una domenica qualsiasi, prima di Halloween, quella del 30 ottobre del 1938.

Era l’annuncio di un’invasione aliena, ai microfoni della Columbia Brodcasting System radio. Era “La guerra dei mondi”, radiodramma ispirato al romanzo di H.G. Wells. All’orecchio degli ascoltatori sembrò una cronaca. Ma non era altro che una beffa, un falso, una farsa in diretta radio. Per Welles era pubblico dileggio, per gli Stati Uniti una (potenziale) psicosi collettiva da gestire.

 

Il falso come strumento di lotta

Cambiano i tempi, mutano i personaggi, si trasformano i meccanismi. Arrivano i giorni di Luther Blissett, gli anni Novanta, il nom de plume collettivo. Con lo pseudonimo arriva l’attivismo culturale e virtuale, il teatro situazionautico, le derive psicogeografiche.

Si smascherano gli automatismi subdoli dell’informazione, si combattono «guerre psichiche», si usano leggende metropolitane, si ordiscono «grandi truffe», si rivendicano gli atti di sabotaggio attraverso “comunicati”. Si svelano i tic dell’industria mediatica. Si organizzano vere e proprie beffe. Si gioca sempre sul limite, al confine tra la realtà e la finzione.

luther blissett

L’obiettivo è scardinare un sistema che si nutre di percezioni, ingigantisce le minacce, si sviluppa con l’immaginazione dei lettori e cresce attraverso le rappresentazioni collettive.

Il falso è funzionale alla missione, sfrutta gli stessi strumenti del vero (o meglio, quello che diventa “vero” nel discorso mediatico). Come scriveva Luther Blissett, la guerriglia mediatica è un gioco all’inganno reciproco:

«La guerriglia mediatica non vuole svelare la “verità più vera” di cui i grandi mass media ci terrebbero all’oscuro: condizione preliminare per questa pratica bellica è l’abbandono della recriminazione e di ogni teoria del Grande Fratello, ovvero quella che vede gli operatori che gestiscono i mezzi di comunicazione di massa come astuti ed efficienti “disinformatori di regime” (…) La guerriglia mediatica non serve nemmeno a dimostrare la natura mendace dei media. (…) La guerriglia mediatica non è un modo di riappropriarsi dell’informazione nel senso di rubare spazio al sistema massmediatico “ufficiale” o di dimostrare la deformazione delle notizie esercitata da quest’ultimo. Essa è la realizzazione di un gioco all’inganno reciproco, una forma di cooptazione dei media in una trama impossibile da cogliere e da comprendere, una trama che fa cadere i mass media vittime della loro stessa prassi. Pura arte marziale: usare la forza (e l’imbecillità) del nemico rivolgendogliela contro.»

 

L'hacktivism e la guerriglia comunicativa dei blog

Poi è stata l’era delle battaglie dell’hacktivism, di Aaron Swartz e della guerriglia comunicativa che si mobilitava per fare controinformazione e decostruire le narrazioni del potere. I blog diventavano veicolo di lotta.

Lo spettro del falso e della propaganda era sempre lì in agguato. Il paradigma del fake come strumento di lotta era stato già rovesciato, ma diventava a quel punto fondamentale allenare le capacità di discernimento. Bisognava distinguere, esortava Swartz:

«I blog sono importanti perché ci aiutano ad allontanarci da questo triste spettacolo (è il 2005, si riferisce ad alcuni articoli del New York Times, ndr) e a muoverci verso una vera democrazia. I blog, naturalmente, possono contribuire a diffondere la propaganda – e senza dubbio, molti lo fanno – ma possono anche contribuire ad arginarla. I blog politici possono contribuire a trascinare la gente in politica, dire alle persone cose che non avrebbero altrimenti sentito, e portarle a organizzare progetti propri (…) Una delle cose più importanti che penso facciano i blog, però, è insegnare alla gente. I media, come ho già sottolineato, sono estremamente ottusi (non intelligenti). Ma non credo che le persone di questo paese lo siano. E una delle cose più sorprendenti dei blog è che non parlano quasi mai dall’alto in basso ai propri lettori»

 

2016: anno zero della post-verità

Alla fine ci ritroviamo catapultati nel 2016 della Brexit, della vittoria di Donald Trump alla Casa Bianca. È l’anno in cui post-truth, post-verità, diventa il neologismo dell’anno per Oxford Dictionaries.

Se da un lato le bufale continuano a esistere e a diffondersi, il falso diventa spauracchio da agitare davanti ai risultati elettorali.

Succede negli Usa dopo la sconfitta di Hillary Clinton e il trionfo del modello “razzista”, “misogino” e conservatore pro-Putin di Trump, accusato dai democratici di aver vinto grazie a una rodata macchina di fake news. Proprio lui, the big D, che accusa di falso tutti i giornalisti che indagano sul suo conto.

E oggi come in passato, a dare forza a una minaccia (o anche a crearla) sono sempre le percezioni.

«La notizia falsa nasce sempre da rappresentazioni collettive preesistenti. È fortuita solo in apparenza, o più correttamente, ciò che è fortuito riguarda l’incidente iniziale, che mette in movimento la fantasia. Ma questa messa in moto si verifica solo perché l’immaginazione è stata già preparata ed è segretamente in fermento (…) La notizia falsa è lo specchio in cui la “coscienza collettiva” contempla le proprie caratteristiche»

Lo scriveva lo storico Marc Bloch nel suo celebre saggio “Riflessioni di uno storico sulle notizie false della guerra”, uscito nel 1921.

Praticamente un secolo fa Bloch leggeva tra le pieghe di quella che sarebbe diventata la narrazione (falsa) delle fake news ai giorni nostri.

 

Dove il falso diventa minaccia la democrazia è in crisi

Siamo sempre al confine tra realtà e finzione. Restiamo sospesi e fatichiamo a riflettere lucidamente sulla profonda crisi che sta investendo la nostra democrazia.

Il dibattito pubblico sulle fake news assume tratti quasi esilaranti, ma pericolosissimi. La politica accusa i media. I media in parte sbeffeggiano i social network. Twitter e Facebook diventano il collettore delle frustrazioni collettive, oggetto di controllo, ma anche mezzo di diffusione. In quanto megafoni potenti attraggono e spaventano allo stesso tempo.

Il falso diventa minaccia, per tutti. Anzi no, perché manca il seguente passaggio logico.

«Finché ci sarà libertà di espressione ci saranno notizie false»

Le parole sono di Evgeny Morozov, sociologo bielorusso che invita qui a guardare criticamente alla questione. Quindi, che si fa? Si passa alla censura?

 

Farsi le domande sbagliate significa darsi risposte alterate: questo è il problema

Il vero discrimine è l’autenticità, quindi stabilire la differenza tra informazioni verificate e dichiarazioni prive di fondamento. Le fonti, dunque, fanno la differenza.

Il problema è che il falso, come l’odio, fa parte della democrazia. Soffocare le voci di dissenso non aiuterà a combattere il fake, ma al massimo a ridurre gli spazi di libertà e di dissenso.

La delegittimazione di tutto il giornalismo come fake – quasi fosse un blocco monolitico – da parte di politici come l’attuale inquilino della Casa Bianca, è altamente pericoloso. Lo è tanto quanto quel giornalismo che si muove su un terreno nebuloso, in cui si confondono i confini tra le fonti d’informazione e l’intelligence.

I social vengono attaccati come pionieri delle fake news (in Germania c’è chi vuole multare Facebook se non le cancella), ma anche questa è una narrazione fake.

Sono una cassa di risonanza parecchio rumorosa e garantiscono un’immediatezza di diffusione diversa dai mezzi di comunicazione del passato. In pochi secondi consentono di raggiungere un pubblico enorme.

Ma come si fa a stabilire quando i social sono espressione della volontà popolare e quando no?

Nell’era della politica fake e di una narrazione distorta, oggi più che mai serve l’informazione e la controinformazione e non regole per arginare la democrazia. Ancora con le parole di Morozov:

 «Il dibattito sulle fake news e la post-verità è solo un meccanismo di adeguamento: quello delle élite che così evitano di confrontarsi con una realtà che non controllano più».

 

Definire per decostruire le narrazioni fake

E allora, se dalle narrazioni fake ci si vuole “preservare”, occorre fare un’operazione di decostruzione dei messaggi.

Ergo, bisogna definire, delineare i contorni, uscire dalla vaghezza funzionale alle narrazioni poco chiare e capire che cosa sia davvero fake news.

Se fake news diventa tutto ciò che è virale, disobbediente e non rispecchia le esigenze di una determinata parte politica, tutto ciò che risulta scomodo anche se circostanziato e verificato, allora c’è un problema di pluralità.

Significa che il problema è la democrazia e non la propaganda (che in democrazia esiste, e ad arginarla è l’informazione). Vuol dire, paradossalmente, che c’è sempre più bisogno di chi decostruisce i proclami, di chi smonta il discorso dominante, di chi lavora sul fact-checking, di chi condivide le fonti.

E se c’è un deficit di democrazia, bisogna riflettere tanto sul giornalismo quanto sul capitalismo digitale che accumula profitto grazie alle bufale e a tutto il sistema di clickbaiting, che non riguarda solo i social o i siti considerati inaffidabili, ma che tira in ballo anche e soprattutto i media mainstream.

Le fake news ci sono da tempo, tanto quanto quelle reali. È la narrazione fake a descriverle come un fenomeno recentissimo, senza passato, venuto dal nulla e strettamente connesso ai social.

I social ne hanno cambiano la diffusione, la circolazione e quindi l’impatto sociale. Il problema non sono le notizie finte, ma la delegittimazione delle notizie, la confusione tra propaganda e verità, la diffusione di allarmi-sicurezza come strada di legittimazione del controllo.

A quel punto, fino a dove dovrebbe spingersi il controllo e dove inizierebbe la censura? Come si fa a vietare le menzogne per legge?

La fallacia del regime di post-verità e delle sue narrazioni è presto svelata. E le fake news non sono la vera minaccia. Lo è più la politica falsa e la fake informazione.

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