Marx era consapevole della difficoltà che l’idea di classe poneva come categoria che rappresenta un insieme eterogeneo di lavoratori, perché sapeva che il proletariato era composto non solo dagli operai di fabbrica ma da tanti altri lavoratori che, al pari di oggi, avevano in comune il fatto di trovarsi nella stessa posizione nei rapporti di potere. Tuttavia, nel pieno del capitalismo industriale, la classe in termini marxiani ha rappresentato una categoria utile a descrivere l’asimmetria dei rapporti di produzione e come questi fossero...
Premettendo che l'uscita di CS dai social ebbe molte ragioni circostanziate e che continuo a pensare che i social network siano già da tempo "territorio nemico", cominciamo mettendo in rilievo l'annuncio nell'articolo: Sabato 11 Maggio alle ore 10 presso il Centro Congressi Cavour sito a Roma in Via Cavour 50/a, ci riuniremo per il decennale de L’Interferenza e sarà l’occasione, oltre che per un dibattito politico sui vari temi di politica e di politica internazionale, anche per lanciare una battaglia per la libertà di informazione, per...
I ricchi sono sempre più ricchi, i poveri sono sempre più poveri. Alla base del divario, tra gli altri fattori, anche le eredità che in molti Paesi passano di mano senza essere tassate, o quasi. Così per la prima volta in 15 anni, secondo i dati di Forbes, tutti i miliardari sotto i 30 anni hanno ereditato la loro ricchezza. Detto in altri termini: nessuno di loro ha un’estrazione socio-economica familiare differente e si è “fatto da solo”. Addio ascensore sociale: il “grande trasferimento di ricchezza” – 84.000 miliardi di dollari nei...
Il giornale statunitense Politico ha intervistato alcuni ufficiali militari ucraini di alto rango che hanno prestato servizio sotto il generale Valery Zaluzhny silurato a febbraio da Zelenski. Le conclusioni sono che per l’Ucraina “il quadro militare è cupo”. Gli ufficiali ucraini affermano che c’è un grande rischio che le linee del fronte crollino ovunque i generali russi decidano di concentrare la loro offensiva. Inoltre, grazie a un peso numerico molto maggiore e alle bombe aeree guidate che stanno distruggendo le posizioni ucraine ormai...
L’assassinio del generale Reza Zahedi in un edificio dell’ambasciata iraniana di Damasco, assassinato insieme ad altri membri delle guardie rivoluzionarie, supera un’altra delle linee rosse che normalmente hanno limitato la portata dei conflitti del Secondo dopoguerra, evitando al mondo escalation ingestibili (il mondo guidato da regole esisteva prima dell’89; dopo il crollo del Muro, le regole sono state riscritte a uso e consumo degli Usa…). Anzitutto perché Israele ha colpito un alto ufficiale di una nazione non ufficialmente in guerra....
Sul quotidiano La Stampa di ieri è stata pubblicata una significativa intervista al fisico Carlo Rovelli che ha preso posizione a sostegno delle mobilitazioni degli studenti che chiedono la sospensione della collaborazione tra le università italiane e le istituzioni israeliane. Qui di seguito il testo dell’intervista Carlo Rovelli, fisico teorico, autore dei bestseller di divulgazione scientifica “Sette brevi lezioni di fisica” e “L’ordine del tempo”, non è uno da giri di parole. Nemmeno quando le idee rischiano di essere impopolari. Di...
Riporto questo articolo di Xi Jinping uscito ieri sul L’Antiplomatico, che conferma quanto ho avuto modo di analizzare in un mio contributo apparso si Carmilla e ripreso da Sinistrainrete poche settimane or sono. Non starò a ripetermi in queste sede e in estrema sintesi, mi limito a ribadire che quello cinese non è socialismo, ma nell’ambito di un processo internazionale multipolare occorre sostenere tutte le forze e i paesi che vanno in quella direzione e che di fatto contribuiscono al declino storico e generale dell’imperialismo atlantista,...
Mi scuso con chi legge questo articolo perché era mia intenzione aprire alla grande con una congrua citazione marxiana dai Grundrisse, quella che si avvia con: «Der Krieg ist daher eine…». Poi ho assistito in TV a una pensosa trasmissione condotta dal noto filosofo con nome primaverile, Fiorello, e ho cambiato idea. Il pensatore ha introdotto la categoria post-postmoderna di Ignoranza Artificiale. A questo punto ho meditato. Grande LLM di GPR-3! Grandissimo PaLM-2 che è addestrato da 340 miliardi di parametri! Grandioso GPT-4 addestrato da un...
Terminata la lettura delle scarse 150 pp. del volume di Stefano Isola, A fin di bene: il nuovo potere della ragione artificiale (Asterios, 2023), la sensazione è di inquietudine. Il dibattito sulle potenzialità della cosiddetta “intelligenza artificiale” (AI) è salito al punto da echeggiare i temi della fantascienza sulla “rivolta delle macchine”. Impressiona il fatto che la denuncia dei rischi venga non da qualche sorta di “primitivista”, ma da imprenditori del settore e da ricercatori. “Il 49% dei ricercatori di intelligenza artificiale ha...
Aleksandr Herzen diceva che il nichilismo non è il voler ridurre le cose a nulla, bensì riconoscere il nulla quando lo si incontra. La nulliloquenza non sarebbe difficile da individuare, dato che consiste nel muoversi costantemente su categorie astratte senza mai scendere nel dettaglio concreto. Purtroppo a volte è sufficiente drammatizzare la mistificazione nel modo giusto per far cascare l’uditorio nell’illusione. Nel gennaio scorso ci hanno raccontato la fiaba sul liberista, “libertario” e “anarco-capitalista” Xavier Milei, neo-presidente...
Ieri sera nel salotto di Floris il padre di Ilaria Salis ha pronunciato le seguenti parole: “Mia figlia è in carcere perché è una donna, perché è antifascista e perché non è ungherese”. Ora, un padre direbbe e farebbe di tutto pur di tirar fuori la propria figlia dalla galera, e questo ci sta tutto ed è ciò che lo nobilita. Dopo di che se crede o meno in ciò che dice o sia solo una escamotage per aiutare la figlia non lo sappiamo perché non siamo nella sua testa e, tutto sommato, è anche irrilevante saperlo. Chiarito questo, lo spropositato...
In prima serata per modo di dire, ovviamente. Come diceva qualcuno, se campi abbastanza ne vedi di tutte le specie. Aggiungerei che finisci per vedere tutto e il contrario di tutto. Esce su Netflix Il problema dei tre corpi e improvvisamente tutti parlano di caos deterministico, il che è molto curioso ai miei occhi. È molto curioso perché mi ricordo molto bene di quando iniziai a parlare di teorie del caos. Fu nel 2016 e il partito de lascienza ci mise poco a classificare la cosa: "le teorie del caos sono un marker dell'antivaccinismo". Mi...
Quattro autorevoli personalità tedesche – Peter Brandt, storico e figlio del cancelliere Willy Brandt, il politologo Hajo Funke, il generale in pensione Harald Kujat e Horst Teltschik, già consigliere del cancelliere Helmut Kohl – hanno presentato un piano di pace (qui il testo tradotto) altamente competente e realistico su come si potrebbe porre fine alla guerra in Ucraina attraverso un cessate il fuoco e successivi negoziati di pace. Si tratta probabilmente della proposta di pace più completa e innovativa che sia stata avanzata da un...
Quando il conflitto in Ucraina passerà alla storia, le passioni si placheranno e gli storici professionisti inizieranno ad analizzare gli eventi del recente passato, rimarremo tutti scioccati: come è potuto accadere che abbiamo accettato per oro colato un'ovvia menzogna? È consuetudine ironizzare sul passato di Vladimir Zelenskyj nel mondo dello spettacolo, ricordando come simulava suonare il pianoforte con i genitali per il divertimento del pubblico. C'erano altre battute di basso livello nel suo repertorio. Ma questo fu l’inizio, e...
Il libro di Giorgio Monasterolo, Ucraina, Europa mondo. Guerra e lotta per l’egemonia mondiale, pubblicato dalla casa editrice Asterios (2024), affronta l’argomento guerra in Ucraina e quella fra Israele e palestinesi della striscia di Gaza rispondendo contemporaneamente a due domande: come scoppiano i conflitti militari e perché. E’ opportuno, sostiene, spostare l’attenzione dal “come”, dalla logica aggressore-aggredito – secondo la quale la guerra ucraina è iniziata nel 2022, con l’attacco russo e quella di Gaza nell’ottobre 2023 con il...
«Indipendentemente dalla volontà degli uomini e delle autorità che li dirigono», scrive Fernand Braudel, i fenomeni collettivi si generano, accadono, tramontano, mutano (Civiltà materiale, economia e capitalismo (secoli XV-XVIII), vol. III, I tempi del mondo, trad. di C. Vivanti, Einaudi, Torino 1982, p. 65). Una volta avviate, le dinamiche sociali e politiche vivono di vita propria, seguendo regole certo non rigide come quelle che guidano il mondo fisico ma molto forti e a volte assai simili ai principi che sottendono le trasformazioni...
Dall’intelligenza artificiale allo sfruttamento dei satelliti. Dai dati sul traffico marittimo alle operazioni di compravendita che si chiudono in millesimi di secondo. Vale tutto sui mercati finanziari, pur di vincere la gara. Arrivare per primi, avere le informazioni una frazione di istante prima degli altri. Essere i più veloci a realizzare qualsiasi operazione di acquisto o vendita. Secondo un recente articolo di Les Echos alcuni fondi analizzano le foto satellitari dei porti per monitorare il numero di container in attesa. L’analisi di...
Dopo sole 24 ore dall’orribile eccidio del 22 marzo al Crocus City Hall di Mosca, che ha provocato la morte di almeno 137 persone innocenti e il ferimento di altre 60, i funzionari statunitensi avevano attribuito la responsabilità del massacro all’ISIS-K, la branca di Daesh dell’Asia centro-meridionale. Per molti, la rapidità dell’attribuzione aveva sollevato il sospetto che Washington stesse attivamente cercando di spostare l’attenzione dell’opinione pubblica occidentale e del governo russo dai veri colpevoli – l’Ucraina e/o la Gran...
Il deficit pubblico incrementa il risparmio privato, e il debito pubblico E’ risparmio privato. Queste affermazioni, che dovrebbero essere sostanzialmente ovvietà, se non tautologie, sono nondimeno fortemente avversate dagli euroausterici. Spesso il loro tentativo di confutazione s’impernia grosso modo su quanto segue. Sì certo, il deficit pubblico mette soldi a disposizione del settore privato. Ma questi soldi rimangono in tasca ad alcuni soggetti, non a tutti. C’è chi riesce a risparmiare, magari anche parecchio, e magari utilizza il...
Il mondo è in grande trasformazione, con cambiamenti mai visti prima, come scrivono da diverso tempo i compagni cinesi. Siamo entrati in una nuova fase della storia mondiale, una fase di guerre aperte – dalla proxy war di USA-NATO-UE contro la Russia in Ucraina, al Vicino Oriente, con la guerra genocida di Israele contro la resistenza palestinese. A differenza delle guerre del precedente trentennio post-sovietico – aggressioni unilaterali USA-NATO contro Paesi e popoli che in un modo o nell’altro erano di ostacolo alla marcia...
«Le Università non possono schierarsi o entrare in guerra», ha detto giorni fa la ministra Anna Maria Bernini. «Ritengo ogni forma di esclusione o boicottaggio sbagliata ed estranea alla tradizione e alla cultura dei nostri Atenei da sempre ispirata all’apertura e all’inclusività». E’ questo il mantra ripetuto e declinato da tutti i difensori degli accordi esistenti tra università italiane e israeliane. Che non sempre si fermano sul limite segnato dalla Costituzione, ossia l’autonomia garantita degli atenei. Il loro obiettivo è stigmatizzare...
In una lunga intervista concessa alle Izvestija, il Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov si è soffermato particolarmente sul piano di pace proposto dalla Cina per il conflitto in Ucraina, dandone un’altissima valutazione. Nonostante che tale proposta sia stata avanzata oltre un anno fa, a parere di Lavrov è tuttora attuale, proprio perché è inquadrata nel complesso della sicurezza collettiva mondiale, il cui rifiuto da parte occidentale, nel dicembre 2021, aveva condotto alla crisi attuale. Sul sito REX, il politologo Vladimir Pavlenko...
Qualche giorno fa, durante una protesta davanti all’ambasciata israeliana di Città del Messico, qualcuno ha gridato degli slogan antisemiti. Era un provocatore ed è stato subito isolato. Tuttavia, la questione è delicata perché lo Stato sionista sta sfruttando l’innegabile recrudescenza dell’antisemitismo dopo l’invasione di Gaza per giustificare i propri crimini. Tale narrazione è legittimata da un fatto storico: gli ebrei sono stati vittime di uno dei più grandi massacri della storia, l’Olocausto (Shoah in ebraico), compiuto dai nazisti nel...
“Ne abbiamo abbastanza dei diktat dell’UE”. A dirlo è la 41enne eurodeputata Kateřina Konečná, leader del Partito Comunista di Boemia e Moravia (KSČM) che ha promosso una coalizione elettorale denominata “STAČILO!”, letteralmente “Basta!” con cui ricandidarsi al parlamento dell’Unione Europea in giugno. Definita come l’unica “opposizione rilevante”, la nuova coalizione ritiene che alla tradizionale divisione fra destra e sinistra occorra preferire oggi, in un’epoca storica nuova, un altro tipo di distinzione, basata su due priorità: quella...
Guardando i video provenienti da Gaza si rimane colpiti dalla ferocia dell’esercito israeliano; è percepibile in ogni gesto, persino nell’irrisione gratuita dei bambini. Non c’è alcuna giustizia in essa, alcuna coscienza etica o azione giustificata; c’è soltanto una gigantesca volontà di annichilire i palestinesi. Ferocia, crudeltà, terrore. Qualsiasi termine si usi per descrivere il comportamento dell’esercito israeliano, anche il più preciso, non sarà mai in grado di rappresentare compiutamente quello che sta accadendo realmente a Gaza. Che...
La Corte di Giustizia Internazionale dell’Aia ha ammonito Israele a permettere “senza indugio […] la fornitura… di servizi di base e di assistenza umanitaria urgentemente necessari”, cioè alimenti, medicine, carburante e altri beni essenziali. La Corte e il genocidio di Gaza È la seconda volta che la Corte, chiamata a vigilare sul crimine di genocidio, si pronuncia sulla guerra di Gaza. A gennaio emanò una sentenza nella quale richiamò Israele a prevenire il crimine di genocidio contro i palestinesi, imponendo, tra le altre cose, di cessare...
In un articolo del 23 febbraio dicevamo: «Ma il punto più interessante riguarda l’automotive (il Parlamento europeo ha bocciato la proposta sul regolamento “Euro 7”). Questa doveva essere la vera grande “rivoluzione” che avrebbe comportato, non solo il rinnovo dell’intero parco macchine, ma anche una svolta nelle abitudini quotidiane dei cittadini europei. Ebbene, che cosa è successo? Che la Cina si è lanciata prima e meglio dell’Europa sul settore, praticando con una accorta politica di programmazione a lungo periodo, che ha coinvolto le...
Alla fine degli anni ’90 scriveva il docente statunitense Mike Davis: “Se oggi Marx fosse vivo sottolineerebbe il carattere allucinatorio della visione che ha galvanizzato le masse durante le cosiddette rivoluzioni del 1989. Il miraggio verso cui milioni di persone marciavano era la cornucopia del fordismo: cioè la società dei consumi di massa, con alti livelli di salari e di consumi, tuttora identificata con lo stile di vita americano (e del Nord Europa). La sola emancipazione raggiunta dagli sfortunati cittadini dell’ex blocco di Varsavia è...
Il 24 marzo 1976 tre criminali scesero da un bel carro armato davanti alla Casa Rosada. Per iniziare le loro attività promulgarono la pena di morte per tutti coloro che conducessero attività sovversive, abolirono i diritti civili e sciolsero il parlamento. Comprensiva, la Corte Suprema stabilì che gli “atti sovversivi” sarebbero stati esclusi dalle competenze degli organi giudiziari regolari ma, per evitare eventuali perdite di tempo, vennero sospesi tutti i magistrati ritenuti non collaboranti. Nel pomeriggio furono vietati i partiti...
A sei mesi dall’inizio della guerra lampo di Israele su Gaza, l’intelligence militare dello stato occupante ha riconosciuto con riluttanza ciò che molti sospettavano: ottenere una vittoria decisiva su Hamas è un obiettivo irraggiungibile. Nonostante la retorica iniziale del primo ministro Benjamin Netanyahu di annientamento totale, la realtà sul campo racconta un’altra storia. Tzachi Hanegbi, capo della sicurezza nazionale israeliana, aveva precedentemente dichiarato che Israele si sarebbe accontentato solo della “vittoria totale”. Eppure,...
Il conflitto tra Russia e Ucraina pare impantanato in una sostanziale situazione di stallo che allontana sempre più l’ipotesi di una risoluzione militare degli eventi. I mesi passano, uno dopo l’altro e uno identico all’altro, con un portato di morte e distruzione che monta a dismisura. Nulla di tutto questo, però, pare scalfire la determinazione con cui le principali potenze occidentali perseverano nell’applicare all’Ucraina il principio del ‘vai avanti tu, che a me viene da ridere’, continuando a soffiare sulle braci di una guerra per...
Truppe, armi e propaganda, ma non solo. I soldi, non mancano mai i soldi. Quando si volesse cercare un elemento simbolico per descrivere la crisi d’identità politica e di prospettiva dell’Unione Europea, ormai estensione statunitense, c'è la vicenda del sequestro dei beni russi a seguito del conflitto in Ucraina. La vicenda in sé, infatti, presenta una miscela di subordinazione ideologica, illegittimità giuridica e incapacità politica facile da descrivere. Il Consiglio d’Europa, riunito la settimana scorsa a Bruxelles per affrontare la...
Il tentativo di ricondurre l’attentato di Mosca a una macchinazione del Cremlino, oltre che di buon gusto appare privo di fondamento logico, mancando di spiegare in modo credibile per quale ragione e con quale obiettivo il governo russo avrebbe dovuto organizzare un attentato di certe proporzioni colpendo la propria popolazione. Piaccia o non piaccia il consenso di Vladimir Putin è ai massimi storici, indipendentemente dal trascurabile e recente evento elettorale. Il quadro politico e militare non rende necessario alla dirigenza russa alcun...
Anche il più orribile dei crimini, come il genocidio a Gaza, può essere un espediente per distrarre da qualcos’altro, magari da qualche orribile segreto. Peccato che sia la stessa propaganda israeliana ad aver lasciato tracce di quel segreto. Dieci anni fa uno dei principali organi della lobby israeliana, la Anti-Defamation League, pubblicava un lungo articolo in cui ci si intratteneva con la descrizione della minaccia costituita dai tunnel di Hamas al confine tra Gaza e Israele. L’IDF (Israeli “Defense” Force; Israele si difende sempre,...
Nella visione comune educazione e violenza rappresentano i poli opposti di una questione le cui origini sono archetipiche. Il rapporto da esse intessuto può infatti essere ricondotto a quello tra civiltà e barbarie. L’educazione – si dice – è strumento della civiltà, educhiamo e siamo educati per essere civili. Già l’etimo lascia, apparentemente, pochi spazi ermeneutici, data l’origine dal latino educere, ex-ducere: condurre, tirare verso l’esterno, insomma strappare dall’ignoranza per condurre entro i sicuri confini della civiltà. La...
Sahra Wagenknecht: «Ue troppo centralista, l’Ucraina non può vincere. È vero che molti elettori della vecchia sinistra sono andati a destra, non perché razzisti o nazionalisti, bensì perché insoddisfatti» Ha fondato un partito che porta il suo nome, perché – sostiene – il principale problema dei progressisti europei è che «la loro clientela oggi è fatta di privilegiati». I detrattori la accusano di essere populista, ma il partito cresce e in alcune regioni dell’Est è la seconda o terza forza. Abbastanza da poter rompere gli equilibri della...
Alla vigilia della Prima guerra mondiale il sentimento dominante in Europa, il “topos”, era quello della improbabilità della guerra. Un sentiment che le spregiudicate prese di posizione di molti governanti europei tendono a riproporre In queste settimane si è tornati a parlare di un libro del 2013 di Christopher Clark sulla genesi della prima guerra mondiale, “I Sonnambuli. Come l’Europa arrivò alla Grande Guerra”, nel quale i leader che portarono i loro paesi in guerra vengono definiti sonnambuli. Cioè attori che incedevano irresistibilmente...
A Belgrado, quando l’Europa ha mutilato se stessa per la voglia USA di sfondare la porta jugoslava, e poi serba, verso l’Eurasia. All’ONU un voto che sembra per una tregua Gaza, ma è per salvare la pelle al mostro bellicista nelle elezioni che devono sancire la guerra degli isolani anglosassoni ai continenti-mondo. A Londra, magistrati di una corte che definiscono alta (High Court), ma che si sa popolata da cortigiani al servizio del sovrano, hanno ripetuto il rito col quale se l’erano cavata tempo fa: richiesta agli USA di fornire garanzie...
“Terza guerra mondiale?” è la domanda che ci stiamo facendo da diverse settimane e “Il fattore Malvinas” è la risposta, -anzi l’incognita- che si sono dati Daniele Burgio, Massimo Leoni, Roberto Sidoli (“Terza guerra mondiale? Il fattore Malvinas”, L’AD Edizioni 2024) in un’ordinata e dettagliatissima analisi sulla convivenza con la consapevolezza atomica dal 1945 a oggi; un libro francamente irrinunciabile se non si vuole rischiare di saltare in aria senza almeno aver compreso come siamo arrivati a questo punto. I fatti raccontati si sono...
1. Lo scambio capitalistico D–M–D’ (con D’>D) può presentarsi in tre modi: come capitale commerciale con cui si comperano merci a buon mercato per rivenderle più care giusto uno scambio a valori non equivalenti (quello che uno guadagna, l’altro lo perde): D<M<D’; come capitale industriale con cui si comperano mezzi di produzione e forza-lavoro per produrre merci poi vendute ad un valore superiore del valore anticipato per l’aggiunta del plusvalore ottenuto mediante lo sfruttamento del lavoro salariato: D=M...Produzione...M’=D’; infine come capitale finanziario, con cui si prestano denari per riceverli alla scadenza, senza nemmeno bisogno di transitare per le merci, maggiorati dell’interesse, così che lo scambio è di nuovo a valori non equivalenti: D<D’. Come si vede è soltanto il capitale industriale a rispettare la regola dell’equivalenza degli scambi, il che vuol dire che entrambe le parti implicate ci guadagnano perchè nuova ricchezza è creata, mentre nel capitale commerciale e finanziario ci scambi appena la ricchezza esistente.
Ora il grande storico economico Fernando Braudel ha notato che quando una nazione capitalistica egemone arriva a farsi dominare dalla dimensione finanziaria, essa ha raggiunto la propria maturità e si prepara ad entrare nella stagione dell’autunno. Ciò è successo al capitalismo olandese all’inizio del Settecento, al capitalismo britannico tra Otto e Novecento e adesso a quello americano.
A proseguire il discorso è intervenuto Giovanni Arrighi con il suo Lungo XX secolo (Milano, 1999) introducendo l’idea del ciclo sistemico d’accumulazione vissuto dal “centro” capitalistico egemone che si compone one di una fase di espansione produttiva e poi di una fase di espansione finanziaria. Una nazione arriva a porsi come luogo capitalistico centrale quando è in grado di concentrare su di sé una potenza economica e militare sufficiente a coinvolgere il resto del mondo (la “periferia”) in una strategia di sviluppo basata su di una divisione del lavoro condivisa. Durante questa fase di espansione produttiva il “centro” crea manufatti che esporta verso la periferia, che in cambio cede materie prime. L’espansione finanziaria subentra invece quando al “centro” l’investimento dei capitali si sposta dalla produzione industriale all’attività speculativa, ossia alla compravendita di titoli e quant’altro allo scopo di guadagnare, in Borsa e non più in fabbrica, invece del profitto le più comode rendite finanziarie.
Questo era già stato riconosciuto da Marx: «con l’accrescimento della ricchezza materiale si accresce la classe dei capitalisti monetari, aumenta da un lato il numero e la ricchezza dei capitalisti che si ritirano, dei rentiers, e in secondo luogo viene stimolato lo sviluppo del sistema creditizio e si accresce quindi il numero dei banchieri, di coloro che danno il denaro a prestito, dei finanzieri ecc.» (Il capitale. Libro terzo, Roma, 1965, p. 599).
Nel concreto, per Arrighi il passaggio dalla produzione del profitto al guadagno dell’interesse è indicato da una crisi-spia (avvenuta nel 1870-73 per la Gran Bretagna, nel 1971-73 per gli Stati Uniti) che «segna un punto di svolta, un momento cruciale di scelta, in cui l’agente dominante dei processi sistemici di accumulazione del capitale palesa, mediante lo spostamento, un giudizio negativo sulla possibilità di continuare a trarre profitto dal reinvestimento dei capitali eccedenti nell’espansione materiale dell’economia-mondo e, insieme, un giudizio positivo sulla possibilità di prolungare nel tempo e nello spazio la sua leadership/dominio grazie ad una maggiore specializzazione nell’alta finanza» (Il lungo XX secolo, cit., p. 283). Ma perchè c’è convenienza allo spostamento? Dipende dal confronto tra il profitto del produrre e il guadagno della finanza: quando il secondo supera il primo perchè i profitti sono caduti (ad es. per la pressione salariale dei lavoratori) oppure perchè l’interesse è aumentato (per es. per decisione dell’autorità monetaria), allora «un numero crescente di organizzazioni capitalistiche si asterrà dal reinvestire i profitti nell’ulteriore espansione dello scambio di merci e le loro eccedenze monetarie saranno dirottate dalle transazioni in merci a quelle monetarie» (idem, p. 302). Ne risulta che a guadagnarci non sono più tanto i capitani d’industria, ma quella «aristocrazia finanziaria» già descritta da Lenin nell’Imperialismo come fase suprema del capitalismo che finisce per dividere il mondo «in un piccolo gruppo di Stati usurai e in una immensa massa di Stati debitori».
E’ovvio che col passaggio al capitalismo finanziario ci siano ancora occasioni di guadagno. Eppure questo è il segnale del tramonto dell’egemonia di quel “centro” capitalistico, perché l’espansione finanziaria non è mai «l’espressione di una soluzione durevole della crisi sistemica sottostante. Al contrario, essa è sempre stata il preludio ad un aggravamento della crisi e alla definitiva sostituzione del regime di accumulazione ancora dominante con uno nuovo» (idem, p. 283). A decidere il trapasso definitivo occorre però una crisi terminale che traslochi geograficamente il “centro” capitalistico in altro luogo, come è accaduto durante la Grande Crisi del 1929-33 con il trasferimento dell’egemonia da Lombard Street (Londra) a Wall Street (New York). Così per Arrighi, se è «cruciale l’idea di Braudel dell’“autunno” come fase conclusiva di un processo di direzione nell’accumulazione, da quella materiale a quella finanziaria fino all’emergenza di un’altra guida, lo è pure l’idea di Marx che l’autunno di uno stato che sperimenta l’espansione finanziaria è anche la primavera di un altro luogo: i surplus che si accumulano a Venezia vanno in Olanda; quelli che si accumulano in Olanda vanno in Gran Bretagna; e quelli che si accumulano in Gran Bretagna vanno negli Stati Uniti. In tal modo Marx completa ciò che è insito nell’idea di autunno di Braudel: l’autunno diventa primavera in qualche altro luogo» (G. Arrighi, The winding paths of capital, “New Left Review”, 2009).
2. Con la sconfitta definitiva di Napoleone a Waterloo si sono poste le condizioni per l’affermazione della egemonia del capitalismo britannico sul pianeta. Essa è stata però materialmente sostenuta dalle due innovazioni della rivoluzione industriale e del mercato mondiale. Con la prima si tagliavano radicalmente i costi di produzione delle merci mediante sostituzione della fatica dell’uomo (e degli animali) con il “lavoro” delle macchine; con il secondo il mondo è stato ridotto ad unità degli scambi con Londra che diventata non solo la capitale della “fabbrica del mondo”, ma anche il luogo di coniazione della moneta universale: la sterlina a contenuto aureo. Di tanto doppio risultato è stato consapevole Karl Marx che nel 1858 segnalava come «il compito proprio della società borghese è quello di creare il mercato mondiale, almeno nelle sue grandi linee, e una produzione basata sulle sue fondamenta» (India Cina Russia, Milano, 1960, p. 413), mentre Frederick Engels ex post ha dettagliato: «questo mercato mondiale consisteva allora di una serie di paesi ancora prevalentemente o esclusivamente agricoli, raggruppati intorno ad un grande centro industriale: l’Inghilterra. Quest’ultima consumava la maggior parte dei loro prodotti greggi eccedenti e in cambio provvedeva alla maggior parte del loro fabbisogno in prodotti industriali. Nessuna meraviglia, quindi, se il progresso industriale dell’Inghilterra fu grandioso ed eccezionale» (Prefazione 1892 a La situazione della classe operaia in Inghilterra, Roma, 1992, pp. 28-29).
La “crisi-spia” del 1873 doveva però spingere l’accumulazione del capitale britannico verso l’investimento finanziario, convertendo gli industriali a quel gioco di Borsa in cui «i borghesi non sfruttano gli operai, ma si sfruttano fra di loro» (F. Engels, in K. Marx, F. Engels, Lettere gennaio 1893-luglio 1895, vol. 50, Roma, 1977, p. 17). Così la Gran Bretagna entrava nella sua stagione dell’autunno, come spiegava Engels nel 1894 nelle Considerazioni supplementari al terzo libro del Capitale: «dopo la crisi del 1866 l’accumulazione si è sviluppata con una rapidità sempre crescente, ed in modo tale che in nessun paese industriale, ed in Inghilterra meno che altrove, l’ampliamento della produzione ha potuto seguire quello che dell’accumulazione... Si è così accresciuto il numero dei rentiers, della gente che era sazia della continua tensione degli affari, che non desiderava dunque che divertirsi od occupare dei posti poco faticosi di direttori o di membri dei consiglio di amministrazione di società» (F. Engels in K. Marx, Il capitale. Libro terzo, pp. 48-49). Ma se la Gran Bretagna si “finanziarizzava”, già premevano sulla scena del mondo altri pretendenti come «la Francia, la Germania e soprattutto l’America che... spezzano progressivamente il monopolio industriale dell’Inghilterra. La loro industria è giovane rispetto a quella inglese, ma cresce con una rapidità maggiore di quella» (F. Engels, Prefazione 1892, cit., p. 31). Così quando Engels visitò gli Stati Uniti nel 1888, non ci mise molto a capire che lì sarebbe finito il “centro” del capitale: gli USA sarebbero diventati «il più grande stato del XX secolo» e New York la futura «metropoli della produzione capitalistica» (cit. in G. Mayer, Friedrich Engels. La vita e l’opera, Torino, 1969, p. 289). Sarebbe stata «una svolta che stupirà il mondo intero. Se gli americani incominciano, lo faranno con un’energia e una violenza a paragone delle quali noi in Europa saremo come bambini» (in K. Marx, F. Engels, Lettere gennaio 1891-dicembre 1892, vol. 49, Roma, 1982, p. 325).
3. Ha sintetizzato Peter Taylor (Forum on Hegemony and social change, “Mershon International Studies Review”, 1994, n. 38, p. 364) che «i britannici hanno creato il primo stato industriale come officina del mondo. Il primo motore è stata la produzione e l’esportazione nel mercato mondiale e, per competere, altri stati hanno dovuto industrializzarsi. Gli americani hanno creato il primo stato delle grandi imprese basato sulla società affluente: il primo motore è stata una combinazione di produzione e consumo e, per competere, altri stati hanno dovuto muoversi verso il consumo di massa». Vero: è stata proprio la società dei consumi sulla base della produzione fordista a costituire la “cifra” della egemonia capitalistica americana sul mondo nel Novecento.
E dire che gli Stati Uniti avevano cominciato come un classico paese di “periferia” che esportava materie prime ed importava manufatti. Solo a seguito della Grande Guerra, in cui non furono direttamente coinvolti, sono riusciti a mutare la loro posizione mettendosi ad esportare manufatti per i paesi belligeranti che pagavano con moneta aurea, così che al termine del conflitto si sono ritrovati possessori di consistenti riserve di oro. La seconda guerra mondiale ha ripetuto il processo e quando nel 1944 la Gran Bretagna, economicamente esaurita, ha dovuto cedere la supremazia monetaria internazionale, è stato il dollaro, convertibile in oro a cambio fisso, a sostituirsi alla sterlina quale moneta universale (con grande disappunto di John Maynard Keynes che ne morì). Ma c’era pure da ricostruire l’Europa e quale migliore occasione di servirsi proprio dei dollari, generosamente concessi dal Piano Marshall, per indurre gli europei in miseria ad acquistare le merci americane esuberanti? D’altra parte la presenza, dietro la “cortina di ferro”, di un antagonista sistemico come l’Unione Sovietica li costringeva ad abbandonare le rivalità imperialistiche che avevano insanguinato la prima metà del Novecento ed a ripararsi sotto l’unico ombrello (anche atomico) americano, assegnando così agli Stati Uniti quella posizione di superimperialismo che Kautsky aveva ritenuto possibile e Lenin no (ma Lenin aveva scritto prima della nascita dell’URSS).
Giovanni Arrighi conclude il suo Lungo XX secolo con la descrizione del ciclo di vita del capitalismo americano. Esso è stato inaugurato con l’imposizione a tutto il “mondo libero” (come si autodefiniva) di un modello di “New Deal planetario” che apriva le porte alla piena occupazione e al consumo di massa, in alternativa vincente verso quei movimenti politico-sociali che si richiamavano invece al comunismo. La liquidità monetaria necessaria ai maggiori scambi internazionali era peraltro assicurata dalle esigenze militari americane e, siccome il governo di Washington «operava come banca centrale mondiale estremamente permissiva, l’espansione del commercio e della produzione mondiali avvenne a ritmi senza precedenti» (idem, p. 388). E’ solo con la prolungata e costosa guerra del Vietnam che si è rotto il meccanismo: quando i dollari emessi per finanziarla hanno preso a superare di gran lunga le riserve auree poste a garanzia, di fronte al rischio di insolvenza non c’è stato altro rimedi (nel 1971) che togliere quella convertibilità dei dollari in oro decisa a Bretton Woods. Ma a far data sulla crisi-spia dell’egemonia americana vale anche la quasi contemporanea decisione di passare dal cambio fisso tra le monete al regime dei cambi flessibili, così che «da quel momento in poi è stato il mercato ad assumere il controllo del processo che fissava i prezzi delle monete nazionali l’una rispetto all’altra e rispetto all’oro» (idem, p. 392). Si inaugurava in questa maniera il grande gioco della speculazione finanziaria attorno al valore, sia pure virtuale, del dollaro rispetto ad ogni altra moneta e che continua tuttora con la sola differenza che l’euro ha preso il posto del marco e lo yuan si sta affacciando sulla scena.
Ma come rendere appetibile una moneta di carta senza più un contenuto metallico alle spalle? E’ stato questo il “miracolo” della reaganomics con la sua politica degli alti tassi d’interesse, così che i dollari che si guadagnavano ad esportare manufatti negli USA (come avevano preso fare l’Europa e l’Estremo Oriente) venivano prontamente restituiti al governo di Washington in cambio dei suoi più che redditizi Buoni del Tesoro. Così facendo gli Stati Uniti si sono trasformati nel paese più indebitato del mondo e questa trasformazione è stata giudicata da Kevin Phillips fin dal 1993 come il segnale più evidente della senilità dell’impero americano perchè «l’eccessiva attenzione verso la finanza e la tolleranza nei confronti del debito sono tipiche delle grandi potenze economiche nel corso delle ultime fasi del loro dominio. Esse ne preannunciano il declino economico». Siccome «solo un piccolo gruppo di popolazione nazionale può ripartirsi i profitti della borsa e dell’intermediazione finanziaria», è storicamente accertato che «la finanza non può alimentare una vasta classe media» e per questo col passaggio alla finanza «le società con ampi ceti medi perdono qualcosa di vitale e di unico. Proprio ciò che alcuni temono si stia nuovamente verificando negli Stati Uniti alla fine del XX secolo» (cit. in Arrighi, p. 411).
4. Ma qui necessita un approfondimento. Ciò che di vitale e dinamico si perde col passaggio alla finanza è, per usare una immagine ad effetto, la “pancia” della composizione di classe. La quale nel Novecento non aveva più quella forma a piramide con poca alta borghesia al vertice, la piccola borghesia nel mezzo e tanto proletariato sul fondo che era stata propria del capitalismo britannico. Invece il capitalismo fordista (o “americano” che dir si voglia) l’ha trasformata in una trottola (geometricamente: due piramidi unite per la base) con al centro una nuova e consistente “classe media” fatta di lavoratori autonomi e liberi professionisti, tecnici, impiegati e burocrati che si sono resi necessari per assicurare il consumo di massa adeguato ad una produzione diventata anch’essa di massa. E’ stata questa la realtà (e non soltanto il mito) che ha permesso l’esportabilità planetaria dell’american way of life: la casa di proprietà con giardino prospiciente, l’automobile in garage, gli elettrodomestici in ogni stanza, i figli all’università, le vacanze al mare o in montagna e la pensione al termine dell’età lavorativa. Con una ricaduta anche politica, perché «il ruolo politico della middle class, con il dispiegarsi del progresso materiale, è stato soprattutto quello di contenere la spinta sovversiva della classe operaia» (M. Gaggi e E. Narduzzi, La fine del ceto medio, Torino, 2006, p. 8), così che la “conquista dei ceti medi” era diventata la parola d’ordine della stabilità politica.
Poi è arrivata la globalizzazione dei mercati e la rivoluzione dei trasporti che hanno consentito di delocalizzare le produzioni in “periferia” per aggirare il maggior costo della manodopera al “centro”, mentre i capitali in esubero si sono indirizzati verso la speculazione finanziaria che paga bene i propri dipendenti, che però sono pochi. E così, mentre c’era chi teorizzava l’ingresso in uno stadio superiore del capitalismo che abbandonava la fatica “sporca” del proletariato per sostituirlo con il lavoro immateriale di un improbabile cognitariato, una piccola parte del ceto medio (funzionari di banca e della politica, dell’informazione e dell’intrattenimento) è stata promossa ad “aristocrazia stipendiale” al servizio di una classe di superricchi che nel mondo sarebbero appena 6000 (giusti i calcoli di D. Rothkopf, Superclass. La nuova élite globale e il mondo che sta realizzando, Milano, 2008). E tutto il resto? Per l’introdotta (ed in corso di generalizzazione) precarietà d’occupazione sta precipitando verso il basso, verso una condizione di basse retribuzioni che riporta alla luce «un modello sociale ferocemente classista e profondamente gerarchico. La disuguaglianza, prima proposta come conseguenza spiacevole ma inevitabile della selezione meritocratica del mercato, si rovescia in valore auspicabile in sé, per il quale gli uomini si dividono naturalmente in classi e devono essere distinti tra ricchi e potenti e poveri e ininfluenti, in quanto sarebbe contro natura il contrario» (A. Giannuli, 2012: la grande crisi, Milano, 2010, p. 191).
La nuova forma che la composizione di classe sta assumendo con questo strangolamento economico dei ceti medi è quindi “a clessidra” (geometricamente: due piramidi unite per la punta) o piuttosto a caciocavallo con al vertice quei superricchi con il loro codazzo di clientes, in mezzo i ceti medi superstiti che si stanno “snellendo” sempre più e sul fondo una nuova ampia base di lavoratori “usa e getta” (ma se si dice “flessibili” sembra quasi un vanto). Però tutto questo avviene solo al “centro” del sistema capitalistico, perchè nella “periferia”, dove adesso si producono i manufatti che si consumano al “centro”, gli operai e le fabbriche crescono col risultato (mai da dimenticare!) che «la produzione materiale è ben lontana dall’essere diventata una irrilevante appendice finale del processo produttivo,... anche se le fabbriche non sono più a cinquecento metri da casa, ma a migliaia di chilometri, in Cina, India o Brasile» (A. Giannuli, op. cit., p. 183). Quindi resta un proletariato mondiale ed una produzione che non è mai stata di massa come adesso e che si riversa al centro per incontrare l’equivalente consumo di massa. Ma come si può garantire una domanda monetaria adeguata se quei ceti medi in caduta verso il basso della composizione di classe vedono decurtati i loro redditi? La soluzione trovata è stata quello del credito indiscriminato al consumo da parte di banche ed istituzioni finanziari compiacenti, che però si è subito infranto precipitando la forma americana del capitalismo verso quella che, per dirla con Arrighi, è la sua crisi terminale. Che è quella che stiamo vivendo e che merita di essere seguita (ed interpretata) con più attenzione.
*"Che tempo farà n. 1", con questo titolo Giorgio Gattei caratterizzerà la sua collaborazione con il nostro giornale nella sua edizione online. Una rubrica che, come fatto efficacemente in questi anni di lavoro comune su Contropiano cartaceo, consentirà di approfondire gli aspetti teorici e politici della "scienza triste": l'economia capitalista
Enrico Grazzini è giornalista economico, autore di saggi di economia, già consulente strategico di impresa. Collabora e ha collaborato per molti anni a diverse testate, tra cui il Corriere della Sera, MicroMega, il Fatto Quotidiano, Social Europe, le newsletter del Financial Times sulle comunicazioni, il Mondo, Prima Comunicazione. Come consulente aziendale ha operato con primarie società internazionali e nazionali.
Ha pubblicato con Fazi Editore "Il fallimento della Moneta. Banche, Debito e Crisi. Perché bisogna emettere una Moneta Pubblica libera dal debito" (2023). Ha curato ed è co-autore dell'eBook edito da MicroMega: “Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall'austerità senza spaccare l'euro" ” , 2015. Ha scritto "Manifesto per la Democrazia Economica", Castelvecchi Editore, 2014; “Il bene di tutti. L'economia della condivisione per uscire dalla crisi”, Editori Riuniti, 2011; e “L'economia della conoscenza oltre il capitalismo". Codice Edizione, 2008
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