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eticaeconomia

Oltre l’austerità, il futuro dell’Euro

In margine a una lezione di Paul De Grauwe

di Mario Tiberi

Mario Tiberi dà un resoconto delle “Lezioni Federico Caffè 2015”, tenute da Paul De Grauwe, sul futuro dell’Eurozona. Tiberi ricorda le critiche di De Grauwe alle politiche di austerità, nate da un‘analisi inadeguata della recessione, troppo centrata sulla crisi dei debiti sovrani, e responsabili di molte conseguenze negative. L’alternativa è una politica fiscale espansiva, sorretta dalla piena affermazione della BCE come prestatore di ultima istanza. Tiberi conclude sottolineando la sintonia del ragionamento di De Grauwe con valutazioni presenti nei lavori di Caffè

kandinskij moscaGli allievi di Federico Caffè,  appartenenti al Dipartimento di Economia e Diritto della Università di Roma “La Sapienza”, hanno deciso, oramai da molti anni, di onorare la sua memoria con una serie di lezioni annuali, a lui intitolate e rivolte a studiosi e studenti. Le lezioni – che si avvalgono del contributo della Banca d’Italia, dove Caffè ha ricoperto importanti incarichi – sono tenute da autorevoli economisti stranieri ed italiani e intendono approfondire argomenti cari a Caffè: economia del benessere e teoria della politica economica; problemi epistemologici; moneta e finanza; occupazione e politiche sociali; questioni internazionali. Le lezioni sono state tenute, tra gli altri, da tre premi Nobel (Solow,  Stiglitz ed  Arrow) e da alcuni dei più prestigiosi economisti italiani (Sylos Labini, Graziani  e Pasinetti).

Il relatore di quest’anno,  è stato il Professor Paul De Grauwe.  Belga di nascita, De Grauwe ha ricoperto incarichi prestigiosi, prima all’Università di  Lovanio e,  attualmente, come John Paulson Chair in European Political Economy, presso la London School of Economics. Egli è ben conosciuto anche in Italia, in parte grazie al suo manuale “Economia dell’Unione monetaria” che è un testo d’esame in numerosi corsi universitari.  Non è un caso, quindi, che molti studenti abbiano contribuito ad affollare l’Aula  della Facoltà di Economia, dove De Grauwe, il 10 e 11 dicembre, ha svolto le sue lezioni su un tema a lui congeniale: ”Il retaggio della crisi dell’Eurozona e il futuro dell’euro”.

De Grauwe è partito dalla considerazione che  l’Eurozona ha vissuto una propria crisi ancora negli anni successivi al 2010, quando ha sperimentato tassi negativi di sviluppo del proprio Pil, mentre altri Paesi – ad esempio gli Stati  Uniti e il Regno Unito, che fa parte   dell’Unione europea ma non dell’Eurozona –  hanno mostrato chiari segni di essere usciti dalla  “grande  crisi” scoppiata nel 2007.

Si tratta di una crisi specifica che è stata  contraddistinta impropriamente, secondo De Grauwe, come crisi dei “debiti sovrani”, la cui entità in valore assoluto e rispetto al Pil, ha raggiunto in alcuni Paesi dell’Eurozona dimensioni tali da creare allarme nei gruppi dirigenti dell’Eurozona, a cominciare da quelli tedeschi. Questa dimensione, già rilevante in alcuni Paesi dell’Eurozona, come la Grecia e l’Italia, si era, di fatto,  accentuata in seguito al diffuso ricorso alla spesa pubblica da parte di molti Governi europei impegnati a  fronteggiare la ”grande crisi”.

De Grauwe ha offerto una spiegazione delle scelte operate dalle istituzioni europee basata non sugli schieramenti politico-sociali presenti nell’Eurozona, ma sulle idee economiche  che hanno determinato tali scelte.

Da questo punto di vista egli ha denunciato l’enfasi eccessiva posta sull’andamento del debito pubblico dei vari Paesi peraltro non collegata alla coesistente dinamica del debito privato: entrambi questi debiti, ha sostenuto De Grauwe,  possono ricevere una spinta verso l’alto in conseguenza dell’alternarsi di fasi positive e negative del ciclo economico, connaturato all’instabilità delle economie capitalistiche.

Un altro elemento determinante, non del tutto indipendente dal precedente, è il punto di vista  secondo cui se la dinamica del sistema  procura inevitabilmente il formarsi di Paesi creditori e Paesi debitori, in termini di bilancia dei pagamenti,  il compito di provvedere al riequilibrio debba comunque ricadere soltanto, o prevalentemente,  sui Paesi debitori “cattivi” piuttosto che sui Paesi creditori “buoni”.

Se ciò non spiega tutto fornisce, tuttavia, una buona chiave di lettura per comprendere come, a livello delle istituzioni europee si sia affermata la cosiddetta linea dell’austerità, che si è tradotta, ad esempio, nell’affermazione del pareggio di bilancio come criterio di riferimento della finanza pubblica, rispolverando così l’idea prekeynesiana della finanza pubblica neutrale. Al riguardo, non basta, infatti, per salvarsi l’anima che, come è avvenuto per l’Italia – dove uno straordinario e incomprensibile  zelo ha portato il Parlamento a  costituzionalizzare tale principio –  si affermi che il principio va applicato “ tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico”.

Come l’esperienza sta dimostrando la formula del pareggio di bilancio è un ingrediente fondamentale della linea dell’austerità, che si alimenta, inoltre, dell’ossessivo richiamo alla necessità, soprattutto nei Paesi debitori, di realizzare le “riforme di struttura”, espressione eufemistica con cui si invocano interventi sul mercato del lavoro, volti ad ottenere una significativa flessibilità dei salari verso il basso. L’interventismo keynesiano, che non ha mai negato la dovuta attenzione alle condizioni dell’offerta, viene così amputato del braccio dell’espansione della domanda, e da ciò scaturisce un generalizzato messaggio restrittivo per tutta l’area dell’Eurozona.

Si compie così quello  che De Grauwe definisce un classico “errore di composizione”, perché una politica economica restrittiva, che può avere una qualche ragionevolezza se ad applicarla è un Paese singolo,  diventa dannosa se viene estesa a tutti i Paesi che fanno parte di un’area economica regionale comune, qual è, o dovrebbe essere,  l’Eurozona.

Ed ecco, quindi, come dice De Grauwe,  che dobbiamo misurarci con le ricadute negative  sui Paesi dell’Eurozona nei quali  gli interventi sul mercato del lavoro, pur talvolta utili, essendo accompagnati da una politica fiscale restrittiva, non hanno consentito di realizzare la necessaria svolta nell’andamento delle variabili macroeconomiche: alcune situazioni di finanza pubblica, come è il caso clamoroso della Grecia, si sono aggravate; perdura la drammatica presenza della disoccupazione, in questo caso non solo in Grecia ma in molti altri Paesi dell’Eurozona; la dinamica dei prezzi, non solo è ben al disotto dell’obiettivo del 2% con cui è stata contrassegnata ufficialmente la stabilità dei prezzi nell’Eurozona, ma ha perfino suscitato i ripetuti allarmi della Banca Centrale Europea (ECB) rispetto al rischio di una deflazione, particolarmente temibile per il sistema delle imprese così come per gli Stati indebitati.

Insomma un quadro decisamente favorevole all’attivazione di una politica di espansione della domanda attraverso investimenti pubblici a livello comunitario e nei Paesi dell’Eurozona, almeno  quelli creditori nei loro conti con l’estero. De Grauwe, nella seconda delle sue lezioni, ha delineato i punti essenziali di un programma economico di tale natura, con l’autorevolezza che gli spetta, essendo uno dei maggiori esperti mondiali sul funzionamento delle aree valutarie ottimali, quale l’Eurozona potrebbe e dovrebbe essere, almeno per coloro che credono nel futuro dell’Unione Europea (UE).

Innanzi tutto De Grauwe  apprezza il passaggio al Quantitative Easing (QE), da parte della ECB, che ha dato così un chiaro segnale espansionista alla sua politica monetaria; tuttavia l’affermazione di un chiaro indirizzo a favore della crescita nella politica macroeconomica, all’interno dell’Eurozona, richiede altre misure. Solo così diventerebbe possibile procedere ad un mix espansionista della politica monetaria e fiscale, come hanno potuto fare, con buoni risultati,  gli stessi  Paesi dell’UE, che sono al di fuori dell’Eurozona – primo tra tutti la Gran Bretagna –  oltre che gli Stati Uniti. Restando sul sentiero tracciato da De Grauwe, che  sorprendentemente  non prevede il possibile ricorso anche a manovre sul tasso di cambio tra l’euro e le altre principali valute mondiali,  si incontra la decisa convinzione sulla necessità di rafforzare la funzione di prestatore di ultima istanza della BCE in direzione della sottoscrizione di titoli pubblici emessi come eurobond e/o titoli nazionali; punto nodale del confronto in corso in Europa, in sede politica ed accademica. In questo modo De Grauwe vede emergere la funzione di garante della stabilità finanziaria, accanto o anche prioritaria rispetto alla stabilità dei prezzi, avvicinando così un po’ di più l’assetto istituzionale della BCE a quelli ben consolidati della Federal Reserve e della Bank of England, da sempre svincolati dall’esclusivo obiettivo della stabilità dei prezzi.

De Grauwe non esclude la possibilità di porre dei limiti all’esercizio di tale funzione per contenere i rischi di comportamenti avventurosi da parte dei vertici della BCE, che possono tradursi,  in circostanze particolari, in spinte inflazionistiche; proprio sul terreno dei possibili rischi di “azzardo morale” da parte dei responsabili della politica economica,  De Grauwe, da un lato insiste sulla necessità di orientare in senso espansionistico la politica fiscale – che, peraltro,  necessita  di un indispensabile coordinamento a livello centrale – e, dall’altro, non esclude l’adozione di regole che sostengano i vantaggi di tale coordinamento, seppure  lasciando rischiosi margini di manovra ai singoli Paesi.

In questo ambito merita, tuttavia, di essere ricordata una  forte affermazione di De Grauwe: pensando anche a situazioni estreme nelle quali la ECB si trovasse ad operare come prestatore di ultima istanza nei confronti di scivolate di titoli pubblici, egli sostiene che “la Banca Centrale alcune volte può anche avere perdite e non guadagni, se tali perdite possono essere utili a perseguire la stabilità finanziaria”.

Altrettanto rilievo, in tema di ”azzardo morale”, merita l’affermazione, non priva di originalità,  secondo cui occorre tenere distinto l’organo, il cosiddetto “supervisore”, che deve provvedere alla liquidità del sistema da quello che deve prendersi cura dei comportamenti provocati dall’” azzardo morale”.

De Grauwe non si è sottratto, infine, a fare conoscere la sua opinione sul possibile contesto istituzionale da realizzare sul piano politico per incorporare più facilmente le sue indicazioni a favore di un’ Eurozona effettivamente capace di operare come un’area valutaria ottimale: “il successo nel lungo periodo dell’Eurozona dipende dal proseguimento del processo di unificazione politica”.

L’estensore di questa nota, allievo di Federico Caffè, rileva con soddisfazione quanto lungimiranti fossero alcune valutazioni del suo Maestro, delle quali ha ritrovato il sapore nelle Lezioni di De Grauwe:

  • la preferenza, per ragioni economiche e sociali, di politiche monetarie flessibili rispetto a politiche salariali flessibili;
  • la preoccupazione insistente per la distorsione nelle soluzioni adottate nelle fasi di squilibrio tra Paesi, collocati all’interno di istituzioni internazionali, nelle quali tendono sistematicamente a prevalere le posizioni dei Paesi creditori rispetto a quelle dei Paesi debitori;
  • l’allarme, infine, per le asimmetrie esistenti nei mercati finanziari: “Occorre agire anche nei confronti di coloro che intendono dirigere i risparmi verso le attività finanziarie, mediante un’opera informativa che illustri il carattere ingannevole e fraudolento delle promesse (alle quali essi si trovano esposti) di ingenti guadagni e di rapida moltiplicazione dei propri averi”.

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