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Intervista a Franco Soldani*

di Davide Dell'Ombra

GRAEBER Democrazia occidentale COVER ALTADavide DellOmbra: Quando cominciai, quattro anni fa, a interessarmi ai Suoi scritti, recensendo per SWIF i due volumi di Le relazioni virtuose (Uniservice 2007), mi colpirono subito due aspetti della Sua riflessione sul mondo della conoscenza: il primo aspetto riguarda la sensazione, già leggendo quell’opera e in seguito altre, di entrare in un circolo epistemico dal quale riesce difficile uscire, quello in cui ogni conoscenza scientifica e financo filosofica, nessuna esclusa, essendo «preformata dal capitale», risulta necessariamente falsa e inattendibile. A quel punto appare arduo ogni tentativo di risalire la corrente e, uscendo dal circolo vizioso, tuffarsi nella «realtà». Il secondo aspetto riguarda invece la pressoché totale assenza, ancora in quell’imponente scritto del 2007, di un riferimento preciso al pensiero di Marx, nonostante si facesse ampio ricorso a esso in generale. Questo secondo aspetto non potei fare a meno di sottolinearlo nella recensione ma, con grande piacere, ho notato che nel Suo ultimo lavoro, Colonialismo cognitivo (Faremondo 2011), Lei ha provveduto ampiamente a soddisfare la mia curiosità su quel particolare (si vedano le pagg.27 e segg.). Per riassumere, cosa secondo Lei Marx ha intuito dei rapporti tra cultura, società ed economia e cosa invece dei suoi scritti va considerato, come si usa dire, ‘superato’?


Franco
Soldani:

Intanto Dell’Ombra la ringrazio di avermi concesso l’opportunità di poter discutere con lei di questioni che neanche sfiorano la mente di coloro che rappresentano la cultura ufficiale (in genere il mondo dell’Accademia istituzionale, per non dire poi degli attuali Megamedia, divenuti ormai una sorta di Dipartimento della Propaganda dell’Occidente, sulla scia originaria del resto della Congregatio partorita nel 1640 dalla Chiesa di Roma). Diciamo pure che non esistono per questi soggetti. Le persone comuni, poi, ne sanno ancora meno. Se per me è dunque un’occasione gradita, per lei è senz’altro un merito.

Detto quello che andava detto, che d’altra parte era solo un prologo, entriamo pure in medias res.

Si potrebbe cominciare da una constatazione.

Il pensiero di Marx è come una sorta di ganga concettuale che contiene non pochi cristalli di conoscenza. Tra l’altro proprio nel senso etimologico della voce tedesca Gang: vena metallifera, filone aureo, ma anche sentiero, via da percorrere, strada con multipli incroci e segnavia. Questi cristalli vanno estratti dal loro grembo proprio come in una miniera cognitiva: si estrae il diamante separandolo dallo sterile ed eliminando quest’ultimo.

Purtroppo lo sterile non si fa eliminare tanto facilmente dalla scena, giacché a differenza di quello geologico viene continuamente riprodotto in tutte le salse dalla pubblicistica accademica odierna e come una perfida fenice intellettuale rinasce continuamente dalle sue ceneri. Si vedano ad es. i francesi Renault e Duménil con il loro LireMarx, oppure gli italiani Tomba Massimiliano, Nicolao Merker, ecc., per non menzionare poi gli anglosassoni e gli stessi tedeschi. Tutta saggistica rigorosamente istituzionale. Che tragica ironia! Marx che dà lavoro (ed emolumenti) a chi lo imbalsama. Nato per sovvertire lo stato di cose esistente, il pensiero dei classici è ora divenuto il cemento accademico che si prende cura del suo sistematico consolidamento.

Ovviamente ciò viene fatto dagli agenti dei dominanti e dall’Accademia per avvolgere di spesso fumo il contesto, per secernere di continuo dei cliché e metterli al posto dell’originale, in una sorta di clonazione o emulazione solo dell’inganno, in modo che non si possa discernere alcunché sotto quelle mentite spoglie e il fenotipo possa prendere tranquillamente il posto del suo genoma. Il che è come dire che il figlio (di un adulterio, tra l’altro) genera il padre. Per nostra fortuna, l’inganno a nostro danno non è un monolito d’acciaio. Qualcosa traluce comunque e s’intravede dietro le sue fattezze fittizie. Del resto, se siamo qui a parlarne, ciò dimostra che qualche crepa in quell’edificio artefatto, per quanto sia stato fatto ad arte, è comunque diventata visibile.

In ogni modo, se prescindiamo da queste condizioni al contorno, che rendono tuttavia ancor più difficile quel lavoro, penso che esista in effetti nella complessa concezione di Marx ed Engels (ovvero, per intendersi, i classici) una sorta di nucleo cellulare che dovrebbe essere accantonato senza indugio tanto è infausto. Come si dice, prima ce ne liberiamo, meglio è. Si tratta del materialismoontologico (MO). Questa categoria in effetti è letale. Si è comportata nei confronti del pensiero di Marx un po’ come i virus fanno nei confronti della cellula ospite. Una volta accomodatasi all’interno del pensiero dei classici ha cominciato a snocciolare i suoi significati e a generare una serie di nozioni che hanno poi preso il sopravvento sui loro concetti più originali, fin quasi a farli sparire o a renderli irriconoscibili. I marxisti del Novecento, indifferentemente filosofi o economisti, hanno poi fatto di questa icona la chiave di volta delle loro dottrine, ortodosse ed eterodosse, rendendo così il guasto irreparabile.    Si pensi in proposito, giusto per limitarci a tre o quattro preclari esempi, al principio d’esistenza o tesi di materialità di Althusser (<<non si può conoscere che ciò che è>>, congiunto col <<primato dell’essere sul pensiero>>) oppure al Manualedieconomiapolitica di Antonio Pesenti, che è stato per anni una sorta di vademecum della cultura marxista in Italia ed in particolare del Pci (<<l’economia politica è comprensione della realtà qualeessaè e una scoperta delle leggioggettive a cui il suo sviluppo obbedisce>>). E certo si potrebbero citare, sullastessafalsariga, i diversi compendi  di economia politica pubblicati dal dopoguerra in tutto l’Occidente e persino in Russia e nella Cina di Mao, a partire da quello di Ernest Mandel del 1962 (Traitédéconomiemarxiste) ai due volumi di Xu He del 1975 (Trattatodieconomiapolitica).Dappertuttoimedesimistereotipi.

Oltretutto, si tenga conto del fatto che tutta questa saggistica non fa altro che continuare una tradizione che da Déville, via Kautsky, alla Luxemburg e oltre risale quanto meno alla socialdemocrazia tedesca di fine Ottocento e alla II e III Internazionale. Se Marx aveva definito il cristianesimo la religione specifica del capitale perché come quest’ultimo era cosmopolita, del pari si potrebbe forse dire che l’economia politica è la scienza dei marxismi perché questi ultimi l’hanno resa internazionale e le hanno affibbiato il dono dell’ubiquità.

Se tutto ciò è successo, vi sono ovviamente delle ragioni. In primo luogo, la colossale impresa intellettuale dei classici. Elaborare un sistema di pensiero alternativo a tutta la cultura pregressa dell’Occidente non era uno scherzo. Ciò li ha obbligati a scegliere una linea di demarcazione concettuale rispetto a tutto il resto che hanno poi identificato nei solidali principi del succitato MO. Purtroppo tale distinzione si è rivelata illusoria e inesistente. Ma vi è di più.

In secondo luogo, infatti, i classici, convinti di poter rendere in tal modo oggettiva la loro interpretazione delle cose, han finito col mutuare dalla scienza dell’epoca le cinque (dicesi 5) caratteristiche del loro MO, che in effetti rappresenta la variante sociale del realismo scientifico del tempo. Conviene riassumerle brevemente per capire quali possano essere i vincoli e i limiti che hanno poi inoculato nella loro concezione del mondo.

 I caratteri del MO

1. La realtà esterna al pensiero umano,

2. L’anteriorità della natura rispetto al soggetto: la materia è eterna,

3.  L’indipendenza del reale dall’osservatore,

4. Il carattere oggettivo del mondo fisico,

5. si potrebbe infine aggiungere anche un’ultima duplice caratteristica a tale quartetto: la natura processuale e in divenire perenne della Natura emergente o facente tutt’uno con lo status immutabile e sempiterno dell’Universo.

Insomma, Parmenide ed Eraclito in uno.

Prescindiamo per un momento dalle funzioni antibibliche e antiteologiche che i classici credevano tutte queste caratteristiche svolgessero. Ciò che ora pare più interessante mettere in rilievo è un intero grappolo di circostanze.

Inprimoluogo, il fatto che mediante tale modello Marx ed Engels pensavano di poter dedurre l’esistenza anche in società di processi necessarieinevitabilidi sviluppo analoghi o identici secondo loro a quelli che la scienza studiava in natura. Se fosse stato vero, questa simmetria avrebbe messo fuori causa tutte le altre spiegazioni della società basate su ragioni e intenzioni arbitrarie (utopismo, progetti di riforma calati dall’alto: l’ingegneria sociale tra ‘700 e ‘800, contratti sociali, ecc.). Non solo.

Avrebbe anche permesso loro di capovolgere la tendenza degli economisti, i portavoce ufficiali e gli ufficiali ideologi della grande borghesia del tempo, a fare della produzione capitalistica un fatto di natura eterno e trasformare invece il mdpc in una società naturalmente destinata, in conseguenza dei processi innescati dalle sue leggi interne, a decadere ineluttabilmente e trapassare così in un diversa forma di organizzazione della convivenza civile. Comesivede,Marxhacercatodiritorcerecontrogliideologidelcapitaleiloroargomentieditrasformareunapologianellalbadiunprossimotramontoinsitonellecose.

Dal punto di vista di questi molteplici intenti, il MO incorpora al proprio interno tanto il materialismo storico, quanto il socialismo scientifico.

Insecondoluogo, l’alleanza con la scienza ha consentito ai classici di far affiorare dal loro pensiero anche un intero set di nozioni indispensabili all’analisi del mdpc come la differenza tra superficie e motore più profondo, la distinzione tra essenza e apparenza su cui si basa ogni conoscenza del mondo, la doppia (duplice-ambigua) natura dei soggetti, il carattere altamente sofisticato delle forme fenomeniche del capitale, la distinzione tra storia pregressa e storia contemporanea del capitale, e in genere una folla di altri concetti ancora che sarebbe qui troppo lungo elencare e spiegare. Ci si può accontentare, credo, di questa constatazione. Tenendo presente anche il fatto che ciascuna nozione sopra menzionata rappresenta una sorta di ipertesto, con una sua coerente trama interna, che apre di continuo la lettura di nuovi altri documenti.

Nondimeno, interzoluogo, queste acquisizioni, come tutte le medaglie, nascondevano un rovescio e un’insidia di non poco momento. Insieme a quei due frutti, i classici hanno purtroppo messo dentro al loro cesto e poi mangiato anche la famosa mela avvelenata dell’Occidente. Incorporando le scienze naturali del tempo nella loro concezione, essi hanno purtroppo assimilato anche tutti gli stereotipi che la comunità scientifica dell’epoca secerneva dalla propria brillante testa a fini di legittimazione del suo status e della sua funzione aristocratica nel contesto dei saperi societari. La scienza così, come si voleva che fosse, è divenuta in Marx ed Engels conoscenza oggettiva dell’universo, patrimonio generale dell’umanità, spiegazione razionale del mondo fisico, sistema super partes di pensiero, descrizione impeccabile delle grandi leggi di natura, sapere senza tempo ovvero, come ebbe a dire lo stesso Marx, <<un prodotto intellettuale dello sviluppo storico generale nella sua quintessenza astratta>>, che in quanto tale era da considerarsi indipendente da alcunché, precisamente come l’oggetto di cui rendeva conto e di cui rifletteva la natura nella nostra mente.

Inquartoluogo, per converso una simile immagine della scienza, così confortevole anche per il senso comune oltre che per gli scienziati, ha naturalmente rappresentato un’invidiabile rampa di lancio tramite cui far decollare negli eterei spazi siderali dell’irrefutabile e del certo la natura incontrovertibile dei cinque principi fondamentali del MO, che sono divenuti in tal modo delle icone laiche di primaria importanza. Corroborati potentemente da quel ritratto agiografico dell’impresa scientifica, si sono trasformati anch’essi in presupposti indiscutibili e da non più discutere dell’intera nostra comprensione dell’universo materiale. Ma non basta ancora.

Insieme e in simbiosi con questi effetti pirotecnici, ed anzi con solo questo scopo in mente, i cinque postulati del realismo fisico in questione, forti dello status ormai conquistato, continuamente e attivamente coltivato del resto, tramite amorevole cure parentali, dalla comunità scientifica che lo aveva messo al mondo, hanno fatto sparire come neve al sole la crux delle origini(quel vespaio dell’Occidente che Ernst von Glasersfeld raccomandava di scansare come la peste). L’hanno letteralmente cancellata dalla scena, resa invisibile e financo impensabile, giacché – proprio come la teologia definisce Dio – hanno dichiarato la natura visibile causasui, circostanza che l’ha fatta così diventare un universo increato e infinito senza limiti di tempo e di spazio, facendola collimare per di più con l’unico mondo esistente e osservabile da parte del soggetto umano.

Inoltre, tutto ciò doveva essere mandato ad effetto dalla scienza occidentale. Le si presentava in effetti come un imperativo categorico indispensabile, perché solo così sarebbe riuscita a seppellire negli eterni silenzi del nulla il fatto che tanto l’intero set di presupposti del suo realismo, quanto tutti i suoi complessi sistemi di conoscenza costruiti nel corso dei secoli su tale fondamento risultavano essere nient’altro che assunzioni indimostrabili a priori della nostra mente, sofisticati universi allegorici del nostro pensiero in divenire che constavano e constano solo di materia cognitiva.

Una simile eventualità logicamente, oltre ad essere temuta come una calamità intellettuale ed aborrita da tutti quanti, non era neanche lontanamente immaginabile da parte della comunità scientifica occidentale che viveva quella evenienza come un incubo di cui liberarsi a tutti i costi e al più presto, senza fare economia di mezzi. E infatti ve ne hanno profuso àfoison.

Daunaparte, infatti, se fosse emersa alla luce del sole avrebbe mandato in frantumi il mito dell’oggettività su cui si era fino ad allora assiso il suo rango e avrebbe ridotto in polvere il suo primato. Un evento letteralmente inconcepibile per tutto l’Occidente. O la scienza è neutrale o non è, ci fa sapere Boncinelli, aforisma odierno che è tuttavia valido, alla lettera, anche per il suo esordio nella e con la società contemporanea.

Dallaltraparte, se si fosse verificata una tale (s)ventura, evento visceralmente avversato quanto il precedente, sarebbero affiorati alla luce del giorno anche i suoi profondi legami di parentela col modo di produzione capitalistico e la scienza si sarebbe rivelata quello che in fin dei conti è sempre stata: la più potente macchina intellettuale dell’intera società mai messa in campo dai dominanti per cementare la loro egemonia sul complesso degli individui. Queste sue funzioni diventano forse più chiare se si fa mente locale al ruolo svolto dalla scienza nel prender forma dei processi della sussunzione e nella nascita dei sistemi automatici di macchine nel corso dell’Ottocento, due discontinuità che hanno stilato l’atto di nascita della società capitalistica come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi.

Viste le cose dalla loro parte, sia la scienza sia il capitale, da buoni parenti stretti, avevano dunque tutto l’interesse comune a soffocare sul nascere, a seppellire nel più profondo dei mari e a disperdere al vento, se possibile più delle ossa degli eretici, persino la più remota memoria anche solo virtuale di quella possibilità. Per questo insieme di ragioni i succitati cliché salvavita dovevano essere inoculati nella mente anche delle teorie alternative, dei nuovi paradigmi eventualmente emergenti dal seno della società. Lungi dal rappresentare soltanto degli innocui luoghi comuni, quegli stereotipi hanno funzionato invece e continuano tutt’ora a funzionare come una sorta di securitysystem concettuale che vieta preventivamente l’accesso di ospiti indesiderati nella fortificata cittadella della scienza occidentale. Sono potenti password secretate che invece di aprire il regno della conoscenza, ne sprangano con sette sigilli qualsiasi porta d’ingresso e murano con cemento armato tutte le eventuali crepe delle sue ciclopiche mura. E i fatti finora, purtroppo, hanno dato ragione ad entrambi. Avevano visto giusto e sono stati lungimiranti. D’altro canto, non bisogna dimenticare che dispongono di risorse a non finire e di grandi mezzi spropositati a cospetto di chiunque li contesti. E i cliché sono come la superficie del mdpc per il suo motore più interno: non solo rendono invisibile  la sua natura più autentica, ma mostrano precisamente il suo opposto. Il falso o l’inganno che questa mediazione secerne diventa verità e concordanza con l’effettivo stato delle cose. Anche qui sembra di nuovo di sentir parlare il nipote di Rameau (il versatile prototipo del conte De Maistre!): <<niente è più utile ai popoli della menzogna, niente più nocivo della verità>>.

In quinto luogo, a seguire in linea retta da tutto quello che il tabù delle origini ci ha rivelato, la natura sostanzialmente apocrifa del pensiero scientifico che si è vista, del tutto falsa rispetto alle immagini di comodo propalate dall’Occidente presso l’opinione pubblica internazionale per i fini anzidetti, si è dunque riversata per intero nel pensiero dei classici. Questi ultimi, in altre parole, hanno quindi incorporato nelle loro interpretazioni anche una colossale impostura, che ha poi finito col mettere al margine, in un denso cono d’ombra, sia nelle loro spiegazioni delle cose, sia ancor più nel marxismo successivo, il set sovversivo di categorie prima additato e che si trova comunque incastonato, ormai sepolto è vero sotto un cumulo di scorie ma la cui luce balugina ancora nel buio, nelle loro analisi più originali. Quel grappolo di idee può ancora diventare la lampada che non ci farà maledire le tenebre.

Sceverare quelle categorie dal materiale sterile in cui sono state interrate e sprofondate, valorizzarle ed usarle per nuove spiegazioni del mondo, richiede ed esige naturalmente che prima venga messo in discussione il MO. È questa potente formazione ideologica, infatti, ad aver mediato e reso possibile quell’interramento. O la si dissolve, oppure sarà molto difficile riuscire nell’impresa di dare ai classici, e soprattutto al pensiero più sofisticato di Marx, il posto che gli spetta nella nascita di un nuovo paradigma della società capitalistica. Per di più, giusto per dire del cimento a cui si va incontro, spezzare la soffocante tutela del MO per poter respirare finalmente una folata d’aria fresca, oltre ad domandare la confutazione dei grandi miti della razionalità scientifica, esige anche che si sappiano indicare soluzioni alternative al suo realismo scientifico (e alle sue molte varianti, fenotipi diversi di un unico genoma).

Se quest’ultimo, come si è visto – per le note e dirimenti ragioni – è integralmente falso, non può più servirci in alcun modo. Deve dunque essere sostituito da un differente set di principi totalmente distinto dai suoi cliché. Tutto ciò, va da sé, c’impone tanto di dare un addio definitivo all’intera cultura dell’Occidente, quanto di prendere le distanze dal realismo ordinario della vita comune, due impegnativi passi sia oltre le dighe foranee in periglioso mare aperto, sia però fuori anche della logica versatile e dentro un altro universo di pensiero. Se la barca anela al mare, come dice il poeta, non la si può rinchiudere nel porto: meglio, molto meglio è alzare le sue vele e prendere i venti del destino dovunque questi la spingano.

 

DD: Come interpreta dunque il rapporto tra scienza e politica? Che tipo di influenza esercita il capitalismo, nelle sue forme più pervasive, sull’attuale configurazione delle scienze ‘esatte’? E quale in quelle cosiddette ‘morbide’? Lei davvero ritiene che all’interno delle élite scientifiche occidentali non ci siano diverse voci?

FS

Intanto penso che sia meglio fare una netta distinzione tra politica e capitalismo, se con quest’ultimo intendiamo il modo di produzione capitalistico (mdpc). Inoltre, conviene distinguere anche il termine “politica” dal principio volontà che governa l’agire intenzionale, guidato dalla preventiva conoscenza delle condizioni al contorno, dei soggetti sociali. Questo è potere reale o la decisione al potere (DAP). Chi fa “politica” non decide e chi decide non fa “politica” visibile. Ciò disegna come minimo due livelli di realtà: quella superficiale visibile da tutti e che lo stesso sistema presenta come la sola esistente, come se tutto avvenisse nel suo dominio; quella più profonda e pressoché invisibile al comune intelletto, schermata e protetta dalla prima in genere tramite i Megamedia (sui quali torneremo).

Come spiegava a suo tempo Benjamin Disraeli, più volte Primo Ministro in Gran Bretagna in epoca vittoriana, <<i governi non governano, bensì controllano soltanto la macchina dell’esecutivo, giacché sono controllati essi stessi da una mano invisibile>> (che non era certo la hiddenhand, allegoria comunque significativamente teologica, di Adam Smith o degli economisti, alias il mercato). In questo contesto, la “politica” non è l’arte del governo né ha niente a che vedere col bene comune, l’interesse collettivo e simili finzioni: è innanzitutto una macchina dellinganno che oggi in particolare funziona a pieno regime, sulla scia tra l’altro del principio volontà, del decisionismo intenzionale o libero arbitrio con cui si identifica l’esistenza dei soggetti.

Il ceto politico funziona come un comitato d’affari per conto terzi, cioè per conto delle classi dominanti, che all’occorrenza possono direttamente prendere nelle loro mani il governo e la direzione degli affari pubblici. I veri decisori sono i vertici delle Giant Firms e delle Giant Banks – insomma il grande capitale finanziario, mai all’apice della sua potenza come oggi – che tramite i loro uomini e i loro centri di potere (CFR, Trilateral, etc.) tirano le fila dietro le quinte di tutto quanto: sono essi, tramite eventualmente i loro funzionari di alto rango, che fanno nascere scene multiple di realtà mediante i loro arcana imperii, le diverse agenzie di intelligence di cui dispongono, ecc. Infine, come si vedrà, tutti questi personaggi non fanno altro che incarnare il principio determinante del capitale, la logica immanente dell’ordine sovrano sottostante ai loro contegni e alle loro decisioni discrezionali.

Le istituzioni ufficiali del potere politico e della Repubblica, col suo personale tutto intero (la nota “casta”), sono sempre stati, al massimo, dei fiduciari legati da un totale rapporto di dipendenza nei confronti del loro committente (e nel nostro paese non ha mai avuto un volto nazionale). Oggi poi, in Italia e nel mondo a partire dagli USA, i veri decisori si sono installati al comando della cosa pubblica e dello Stato, mostrando al colto e all’inclita quali sono gli interessi che contano davvero.

Se teniamo presenti alla mente questi distinguo e i diversi livelli di realtà che disegnano, bisogna poi dire che la loro fonte è precisamente il mdpc. È la sua logica interna, in altre parole, la causa che secerne quelle distinzioni. Più avanti proverò a spiegare perché debba essere così. Senza di essa comunque, va da sé, non si possono comprendere quei suoi effetti complessi, se il principio di causalità ha senso anche in società.

Del resto, non si creda che la “politica” rappresenti solo una sorta di Flatland repubblicana. Qui conviene forse tenere a mente Borges (Librodesueños): <<Todo en el mundo está dividido en dos partes, da las cuales una es visble y la otra invisible. Aquello visible no es sino el reflejo de lo invisible>>. E si sa che gli oggetti riflessi dagli specchi possono essere deformati, capovolti, rimpiccioliti e in un certo senso falsati. Possono essere anche mostrati al contrario. Con quel che ne consegue in termini di fedeltà all’originale.

Anche se la DAP lo vorrebbe far credere, e avendo il monopolio dell’informazione purtroppo ci riesce, resta il fatto che la “politica” rappresenta anch’essa un mondo a più livelli – uno visibile l’altro di norma invisibile: l’agire in segreto tramite gli arcanaimperii e le cd agenzie di intelligence – a cui competono funzioni attive e di primo piano nel dare forma agli avvenimenti sociali. Il rapporto di dipendenza che la vincola alla DAP, insomma, non la rende mai completamente passiva, ma implica al contrario una sua mobilizzazione efficace.

Questo fatto è stato ulteriormente dimostrato del resto anche nell’ultima guerra di aggressione del nostro paese contro la Libia, di concerto con la Nato e tutto l’Occidente, in conclamata violazione del diritto internazionale e persino della Costituzione italiana. L’aspetto paradossale della cosa, oltretutto, è il fatto che è stato lo stesso Presidente della Repubblica, in teoria il supremo custode della nostra Carta fondamentale, a rendersi protagonista di quella infrazione, col consenso naturalmente delle altre istituzioni legali (sindacati dei lavoratori compresi). Per non parlare poi della “opposizione fittizia” e del “dissenso fabbricato” (alternativi, antagonisti, pacifisti, ambientalisti, ecc.), che sono ormai soltanto delle agenzie governative.

I Megamedia, invece, giusto per dire come sia facile capovolgere la realtà quando si hanno grandi mezzi a propria disposizione, presentano unanimemente Napolitano come un padre della patria (e se questa è l’ultimo rifugio delle canaglie..), circostanza che ci fa toccare con mano il teatro dell’assurdo a cielo aperto in cui siamo precipitati. Siamo immersi fino al collo nella più totale illegalità a nostro e altrui danno, ma viviamo apparentemente liberi in una società fondata sul rispetto delle regole del gioco (il loro, naturalmente). In parallelo il nuovo governo Monti è l’espressione più fedele dell’attuale temibile Sistema Quadrilaterale (copia analogica di quello statunitense e più in generale occidentale, forse addirittura ancora più conforme al capitale finanziario odierno dei precedenti, in quanto andato al potere per decreto e nomina presidenziale!): Chiesa, Finanza/Grande Industria, Militari (a livello oltretutto atlantico o Nato) e Accademia.

Qui siamo ben oltre il comitato d’affari della borghesia di ottocentesca memoria: siamo alla gestione in prima persona, senza intermediari o fiduciari, del potere pubblico e del bene comune da parte delle stesse classi dominanti, che avendo optato per un più esplicito management diretto dei loro affari hanno ormai saltato la tradizionale fase della finzione giuridica e della fittizia rappresentanza democratica (che d’altra parte ha sempre ospitato nel proprio seno giuridico-formale la sovversione della sua impalcatura legale e costituzionale: Napolitano docet, del resto in perfetta continuità con la politica del Pci durante il caso Moro).

Nondimeno, benché la DAP abbia sempre intrattenuto un rapporto molto stretto con la scienza e ne abbia indirizzato la ricerca, soprattutto da quando questa si è istituzionalizzata con le grandi Società ufficiali della seconda metà del Seicento, non si può dire che ne abbia veramente preformato la natura. La questione è molto più complessa, anche perché nel mdpc i soggetti, come dice il loro stesso nome, sia calcano da scena da attivi primi attori, sia sono assoggettati ad una diversa fonte che si media nei loro variopinti contegni.

Del resto, se non fosse così, se si immaginasse il contrario e si pretendesse di poter prendere le mosse dall’esistenza del libero arbitrio soggettivo come da un saldo suolo già dato, si cadrebbe nell’assurdo di far cominciare l’analisi del mondo e la sua interpretazione da un presupposto non spiegato e dunque ignoto. Il che non può essere. Come diceva il grande Juan de Mairena, infatti,<<nada puede ser lo contrario de lo que es>>.

La scienza, d’altro canto, ha potuto fare a meno di una diretta tutela da parte della DAP (senza opporre resistenza alcuna ovviamente alle sue ingiunzioni: si pensi ai Jasonstatunitensi ad esempio) perché, come si è visto in precedenza, ha avuto agio di mediare da sola la sua natura apocrifa avvolgendola nei diversi e spessi strati di nebbia della sua logica versatile (Love). Quest’ultima, tramite i suoi stereotipi, ha infatti potuto sia presentarsi di fronte alla pubblica opinione sotto le mentite spoglie delle suo opposto, sia mettere in campo un munifico set di concetti flessibili che le hanno poi permesso di assumere le più diverse identità.

In effetti, forse vale la pensa soffermarsi un attimo su questa pressoché sconosciuta proprietà del pensiero scientifico. Si tratta infatti di un aggiuntivo carattere che la mette in grado di realizzare, in sinergia con tutti gli altri, ulteriori performance intellettuali. Detta Loveconsta infatti di una molteplicità di volti che le permettono ogni volta di comparire di fronte ai suoi interlocutori:

  • ora come conoscenza oggettiva della natura (realismo classico),
  • ora come determinismo aperto all’indeterminismo (Max Planck),
  •  ora come costruttivismo radicale (Heinz von Foerster, Ernst von Galsersfeld),
  • ora come sistema convenzionale di concetti,
  • ora come autopoiesi conoscenza della nostra conoscenza (Humberto Maturana),
  •  ora come teoria fisica a impronta olistica (David Bohm),
  • ora come paradigma del caos ordinato (Ilya Prigogine e la sua scuola),
  • ora come teoria fisica del caso emergente dalla natura (meccanica quantistica),
  • ora come cosmologia del Big Bang,
  • ora come modello fisico della creazione di materia outofnothing,
  • ora come platonismo matematico (Alain Connes),
  • ora come teoria delle catastrofi (René Thom),
  • ora come neurobiologia della conoscenza (Gerald Edelman),
  • ora come conoscenza voilée (Bernard d’Espagnat),
  • ora come…una qualsiasi combinazione di queste tendenze

(eventualità del resto favorita e resa possibile dal fatto che ciascuna di esse rappresenta un set eclettico di assunzioni della mente).

Quali siano le funzioni concettuali di questa selva contraddittoria di strade che si biforcano in continuazione senza andare da nessuna parte è presto detto. Ve ne sono perlomeno quattro.

►Prima di tutto, rendere quasi impossibile alla gente comune una chiara comprensione delle cose. A quanto pare, la scienza ha ragionato come Sun Tzu o sulla sua scia: la situazione è confusa quindi eccellente. È l’arte di volgere gli argomenti del nemico a proprio favore. L’opinione pubblica, contrariamente a quello che le si vuol far credere, non deve poter comprendere cosa è veramente la scienza. Deve solo nutrirsi di cliché. Ciò spiega la profusione della pubblicistica popolare (per non parlare dei programmi TV dedicati alla scienza: un vero e proprio tripudio delle banalità).

►In secondo luogo, lo scopo della loro esistenza è quello di poter affrontare contemporaneamente una varietà di controversie. Questo le rende ogni volta possibile alternare gli argomenti e quindi in un certo senso di aver sempre ragione nei confronti di ogni eventuale impugnazione. È il vantaggio della ridondanza rispetto alla specializzazione. È infatti suo tramite che la fisica ha potuto far evolvere le sue forme di legittimazione nel corso del tempo.

►In terzo luogo, servono a presentare la comunità scientifica alle moltitudini planetarie come il regno della libera discussione, della democrazia intellettuale, del libero confronto dei diversi punti di vista: una sorta di idillica agorà aristocratica del pensiero in cui troneggia esclusivamente l’amore per la ricerca della verità. Un quadro, quest’ultimo, capovolto rispetto alla sua natura più autentica, in cui impera il principio d’autorità e l’arroganza, insieme d’altro canto alla frode, al crimine, ecc.: (e questa è la fonte prima dell’indegno spettacolo che ci squaderna oggi il nepotismo accademico italiota, circostanza che tuttavia prova almeno il fatto che gli scienziati non sono uomini migliori degli altri, per nulla).

►Infine, e sopra a tutto, motivo principale della loro proliferazione è occultare e far sparire dal novero delle cose intelligibili fino a renderla invisibile e financo inesistente la crux, eminente per la scienza, relativa allo status più autentico del suo pensiero. La sua natura integralmente apocrifa, nel sofisticato senso di Juan de Mairena, doveva assolutamente essere mediato in maniera complessa e labirintica per poter diventare irriconoscibile ed essere se possibile cancellato dalla faccia della terra. Persino Asterione, il figlio delle stelle, si perdeva nelle mille stanze del suo palazzo, figuriamoci i comuni mortali in quello scientifico! Questo esito era ed è una questione vitale per la scienza, giacché da esso dipende la sua stessa sopravvivenza tanto come ragione guida dell’Occidente e del mondo intero ormai, quanto come chiave di volta fondamentale – in tutti i sensi: militare, economico e simbolico più in generale – del mdpc.

L’intento naturalmente inconfessabile dell’intera impresa, va da sé, è quello di far convergere le differenti fittizie opinioni o interpretazioni o paradigmi verso un fine comune e un solo approdo: la tutela e la corroborazione degli stereotipi ufficiali, la presentazione della scienza nel suo complesso all’uomo della strada come conoscenza super partes e neutrale, spiegazione disinteressata e avalutativa delle grandi leggi dell’universo fisico e della natura nel suo insieme. Come si vede, il disegno complessivo è davvero sottile e si avvale di una pluralità di grandi mezzi finanziari e massmediatici (Network, Accademia, Stampa, opinion makers ufficiali, ecc.) che lo rendono irresistibile e degno della grandeur dell’Occidente e della sua fonte prima: il capitale.

Questo finale risvolto della cosa, che aggiunge al già vasto arsenale della scienza una ulteriore risorsa, ci mette in condizione di rispondere forse con migliore cognizione di causa alle sue due ultime domande relative alla <<diverse voci>> presenti all’interno della comunità scientifica odierna. Queste certo ci sono e debbono esserci per poter dar senso allo stesso effetto ridondanza, ma hanno adottato da sempre lo stesso emblema della Costituzione statunitense: E pluribusunum (e così tra l’altro ragione politica e razionalità scientifica si congiungono in un solo significativo simbolo).

Da questo punto di vista, la Love, oltre a conseguire i risultati prima visti, aggiunge anche un finale tocco surreale alla sua presenza sulla scena. Conformementedelrestoallanaturadelleformefenomenichedelcapitale. Non solo fa sparire alla vista degli individui i caratteri indesiderati della scienza e a presentare loro per converso, e simultaneamente, delle finzioni, ma così facendo sparisce essa stessa in quanto artefice di quei risultati, diventando in tal modo l’incarnazione postuma di un’idea di Hegel. Se la equipariamo infatti, per le delicate e cruciali funzioni che svolge, ad una sofisticata mediazione intellettuale, di essa si possono allora ben predicare gli stessi attributi della categoria principe del maestro di Stoccarda: <<ciò che è come mediatore sparisce, e così, in questa mediazione stessa, è tolta la mediazione>>. Si pone nel suo togliersi e si toglie nel suo porsi. Ergo: <<il fondamento dell’esistenza è la mediazione sparita; e viceversa solo la mediazione sparita è insieme il fondamento>>. Aveva tutte le ragioni del mondo, Hegel, a definirla astuta!

La Lovedella scienza, in pratica,ha ricalcato nel suo modusoperandi e nel suo sistema d’idee lo stesso carattere delle forme fenomeniche del capitale ed ha fatto di quel processo di rappresentazione del tutto particolare la cifra del suo pensiero eclettico. Ciò le ha procurato un vantaggio evolutivo senza precedenti rispetto a tutti gli altri saperi societari (che infatti tendono a imitarne, con relativo successo a quanto pare, la logica, giustificati in questo dalla comune parentela con il loro illustre congiunto: fanno pur parte tutti della stessa famiglia!). D’altro canto, questo fatto, per converso, costituisce ovviamente un’altra prova della sua simbiosi col mdpc. Hegel, come si è visto sopra, ne è l’icona filosofica per eccellenza.

 

DD: Cosa lega, secondo Lei, la scienza alla teologia?


FS
:

Per quanto possa apparire paradossale, penso che vi sia una corrispondenza quasi punto per punto tra i due domini. Non è stato del resto Paul Davies, l’insigne capofila della NewPhysics, a dirci che <<tutti gli scienziatiaccettano una visione del mondo essenzialmente teologica>>? Si tratta di una concordanza del resto sia dottrinale, sia istituzionale. Visti da questa ultima prospettiva, sono entrambi due regni gerarchici. Sono entrambi arroganti. Sono entrambi due regimi monocratici. Sono entrambi ermafroditi. Sono entrambi cosmopoliti. Entrambi hanno agito e agiscono in segreto. In entrambi v’è il dolo, la frode, il crimine, l’abuso. Entrambi sono sistemi di potere. Entrambi sono due regni ecumenici e internazionali. Entrambi sono due regni dei simboli: spirituali nell’una, matematici nell’altra. Sono entrambi potenti macchine dell’inganno (ho cercato di documentare questo stato delle cose nel saggio Gli inganni della propaganda intellettuale odierna).

Dal punto di vista dottrinario, invece, la scienza è la Chiesa dei laici. La teologia è la Chiesa del credente. Per poter anche solo accettare una cosa così sorprendente, bisogna uscire naturalmente dagli ordinari modi di ragionare. Quando la si è capita, caso mai ci si indigna, ma non ci si stupisce più. Del resto, è la stessa scienza a riconoscere e persino a rivendicare come un titolo di merito la parentela di sangue in oggetto.

Vale la pena a questo proposito ricordare qui l’opinione di Max Planck, con la cui opera scientifica nel 1900 ebbe inizio la fisica quantistica: <<la scienza e la religione mirano, dopotutto, allo stesso scopo, il riconoscimento di un intelletto onnipotente che regola l’universo>>. Oggi i suoi eredi, nelle persone di premi Nobel come Georges Charpak e fisici internazionali del calibro di Roland Omnès, giusto per menzionare solo due nomi di rilievo di una folta schiera altrettanto preclara, sono divenuti persino più espliciti, sostenendo che le leggi di natura di cui parla la scienza rilevano dal sacro e dal trascendente. Del resto, questi preclari rappresentanti della comunità scientifica occidentale non fanno altro che continuare una tradizione che risale, con Galileo e Newton, all’alba della loro professione.

In un certo senso, un qualche Divino Architetto doveva essere presupposto anche dalla scienza se questa prendeva le mosse, come ci ha spiegato in modo esemplare Thomas Henry Huxley in pieno Ottocento, da un inconoscibile ordine sovrano dell’universo che governava poi le regolarità dei fenomeni naturali e dava un fondamento legisimile agli stessi test d’esperienza, la suprema courtoflastresort come viene oggi definita, della dimostrazione scientifica e al mondo della vita umana. L’aspetto ulteriormente paradossale dell’intero affaire è il fatto che oggi, ad avviso di René Thom e del fisico statunitense Nick Herbert, la scienza non si distingue nemmeno dalla magia, giacché i fenomeni quantistici avrebbero messo in evidenza un’azione istantanea a distanza tra eventi fisici che annulla il tempo e lo spazio, rivelando un’interconnessione subitanea di tutto con tutto. Vivremmo, insomma, in un universo olistico in cui ogni parte è immediatamente, senza alcuna interposta mediazione, il tutto.

C’è poco da meravigliarsi del fatto che la scienza, a dispetto di tutti gli argomenti a contrario della propaganda, che rivelano solo l’esistenza di un clamoroso conflitto d’interessi, non sia affatto laica (ci si dovrebbe stupire del contrario, caso mai, visto come stanno le cose), che molti scienziati credano in Dio e uno di loro, Nicola Cabibbo, diriga attualmente addirittura la Pontificia Accademia delle Scienze con sede nella Città del Vaticano (ho descritto questo paradosso di nuovo nel mio Gliingannidellapropagandaintellettualeodierna). Chissà cosa ne penserebbe oggi Galileo. Per non parlare poi di Giordano Bruno.

Anche ammesso che non sia forse confessionale, il loro Artefice è lo stesso una icona trascendente che fa parte integrante della forma mentis scientifica e nasce da questa ultima. Ed è per questa ragione più profonda, ignota al grande pubblico, che un fisico di fama internazionale come Frank Tipler ha potuto affermare che se Dio esiste, prima o poi la fisica lo troverà. La mia impressione è che non sia affatto necessario andare molto lontano per scoprirlo. Lo hanno già in casa. Dovrebbero solo guardarsi meglio intorno.

Oltretutto, non si creda che la professione di fede laica da parte di biologi, fisici e matematici, sia realmente sincera. E dico questo spezzando una lancia in loro favore, si badi bene, giacché prendo le mosse proprio dalla premessa che siano troppo intelligenti per non rendersi conto dell’effettivo stato della questione. Devono mentire all’opinione pubblica, in altre parole, proprio perché sanno come stanno le cose. È per questo che spesso e volentieri si esibiscono, navigati come sono, in alcuni saggi di maestria nell’uso pubblico, a mezzo stampa e TV di norma, della Love. Gli ultimi a cui mi è capitato di assistere li ho descritti nel saggio succitato (ma mi era già capitato di parlarne nel mio Ilpensieroermafroditadellascienza). In fin dei conti, per i singoli e la loro comunità è anche un problema di conservazione della specie: professione, cattedre, emolumenti, ruolo, prestigio, rango intellettuale, difesa a spada tratta della corporazione, sono tutti valori per i quali si può, e in un ceto senso si deve, ingannare il pubblico. Cosa diceva del resto il Grande Inquisitore di Dostoevskij al suo prigioniero parlando della <<debole schiatta>> dei comuni mortali? <<Mentiremo agli uomini per il loro bene>>. Tra parenti, del resto, ci si intende. Ma non è ancora finita.

Paradossalmente, gli scienziati che affermano che la scienza ospita nel proprio seno la presenza di Dio né si trovano in contrasto con il presunto laicismo di tanta parte della loro comunità (giacché sappiamo che quest’ultimo è solo una finzione apocrifa in cui si dissimula una identica natura), né minano affatto, cosa forse ancora più sorprendente, l’indipendenza della scienza dalle confessioni religiose. È vero, piuttosto, il contrario. Non a caso il proverbiale pragmatismo, alla bricoleur, della scienza è famoso.

L’apparente aspetto teologico della scienza non compromette infatti in alcun modo né il suo status né la sua autonomia perché esso ha il suo rovescio. Se non fosse stato così, probabilmente non sarebbe mai emerso alla luce del sole. Il sovrumano incorporato nella meccanica quantistica, la scuola dominate attualmente nella fisica odierna, ha infatti il delicato ma cruciale compito di liquidare la crux delle origini, tanto dando loro le fattezze di un inconoscibile oggetto di culto, quanto confinandole in un cielo arcano che rimarrà per noi sempre un mistero inintelligibile. Ecco il tornaconto essoterico di quelle dichiarazioni di principio. Da questo punto di vista, i fisici attuali sono il Kant dei nostri giorni (moltiplicato per la forza del loro numero e della corporazione).

Cancellare l’eminente problema rappresentato dalla fonte delle nostre conoscenze, significava e significa tuttora per la scienza scongiurare in anticipo il rischio di veder emergere la natura integralmente congetturale del suo pensiero e il fatto che esso consta di un unico, grande sistema di assunzioni indimostrabili della nostra mente. La posta in gioco di tale partita era ed è talmente elevata che si è sempre stati disposti a tutto pur di sventarla. Se fosse venuta a galla, infatti, avrebbe significato la fine della scienza come l’abbiamo conosciuta finora. Tutto sarebbe tramontato: l’oggettività in primo luogo, e a seguire tutto il folto corteo di attributi che l’accompagna (il suo carattere super partes, la sua neutralità, la sua indifferenza ai valori e agli interessi di parte, ecc.). Tutto ciò spiega adabundantiam perché si sia fatto e si faccia continuamente ancor oggi un uso massiccio, coi grandi mezzi della propaganda odierna, della Love e del suo dotatissimo arsenale concettuale.

Tanto per dire della sottile simmetria reciproca che corre tra i due domini un questione, basti pensare al fatto che la teologia fa la stessa cosa della scienza. Anch’essa, infatti, mette all’indice dei frutti proibiti ogni eventuale pretesa dell’uomo di poter conoscere l’Altissimo o di potersi immaginare uguale a lui, perché se lo comprendesse scoprirebbe di essere lui stesso Dio. Potrebbe essere l’inizio della fine per il Cristianesimo. Di qui i draconiani divieti di Ilario di Poitiers, le mille scomuniche e i mille crimini, mai incorsi nel rigore delle leggi temporali del resto, contro questo attentato alla sacra maestà del Re dei Cieli e al suo potere sovrano.

Da questo punto di vista, si potrebbe anche dire senza andare molto lontani dal vero che la scienza è una variante dissimulata della teologia. È la teologia in abito secolare. Perché altrimenti, come ci faceva notare tempo addietro il biologo Richard Lewontin, dovremmo stare attenti alle <<imposture emergenti dall´interno delle istituzioni scientifiche>>? D’altro canto, se la teologia alberga dentro la scienza fino a fare tutt’uno col suo pensiero, si potrebbe altrettanto bene sostenere che la teologia è una forma di scienza. Pare che si abbia in effetti a che fare con un Giano bifronte o con due diversi profili di uno stesso volto. Se questa doppia identità entra irrimediabilmente in conflitto col senso comune e con l’immagine tradizionale della razionalità scientifica, ciò dipende ovviamente dalla irresistibile forza degli stereotipi che sono stai inoculati nella mente individuale in pratica col latte materno (tramite i sistemi formativi di base, l’istruzione superiore, ecc.).

Come si è visto, infatti, i cliché rendono impossibile pensare diversamente dai significati di cui constano. Hanno pressoché la stessa natura di quella che Watzlawick chiamava self-sealing logic, vale a dire dati set di spiegazioni che si sottraggono alla confutazione. Tanto più poi lo sono e insieme lo diventano quanto più sono continuamente instillati nella mente dei singoli tramite la martellante propaganda dei Megamedia (la comunità scientifica stessa, in primis, che li secerne dal proprio grembo, i grandi Network, Accademia, Stampa, ecc.).

La distinzione tra i due regni passa piuttosto attraverso le diverse funzioni che esercitano nell’ambito della riproduzione del capitale. L’una opera prevalentemente, ma non esclusivamente, nell’universo allegorico del mondo simbolico degli uomini, mettendo capo al <<dominio della loro coscienza>>, come dice il Grande Inquisitore, esercitato dalla gerarchia ecclesiastica. Un prerequisito indispensabile, questo, per poter far funzionare a pieno regime la monarchia confessionale vaticana, visto che l’uomo di fede secerne dalla propria testa il proprio pastore di anime. Da questo punto di vista, il monarca di Roma è lo specchio di se stesso, visto che riflette sulla terra un celeste potere regio reso etereo dai Sacri Testi del Cristianesimo autenticati e corroborati dai Padri della Chiesa perché quest’ultima potesse secernere dal suo seno gerarchia e autorità per poter celebrare la sovranità di Dio e dichiararla sacra e inviolabile, in modo da poter mettere nelle sue mani un governo spirituale e temporale degli uomini ricevuto direttamente dall’Altissimo. Padreterno►Bibbia-►Padri della Chiesa ►Vaticano ►Monarca romano►Dio, disegnano il circolo virtuoso di questa sorta di autopoiesi noumenica o trascendentale in cui ogni creatura di questa divina famiglia secerne se stessa e quindi l’intera parentela.

Il campo d’azione dell’altra è invece direttamente il cuore tecnologico del mondo degli affari e dell’economia capitalistica, nel delicato sistema di macchine dei processi produttivi – manifatturieri, finanziari, commerciali, ecc. – e dell’organizzazione razionale del lavoro a livello internazionale per l’estrazione maggiore e più intensa possibile di plusvalore dai produttori immediati. Senza contare la sua insostituibile funzione nell’industria degli armamenti e nel sistema di basi militari mondiale, necessari complementi anche dell’imperialismo odierno a guida USA e a quanto sembra motore bellico dello stesso sviluppo economico.

Nondimeno, se per un momento facciamo astrazione da queste circostanze, si può comunque constatare il fatto che i rapporti tra scienza e teologia sono cablati da numerosi altri ponti. Dal punto di vista della dottrina, ad esempio, hanno in comune la natura circolare ed ermafrodita dell’animo umano, come diceva Cusano, l’inganno perpetrato a danno di terzi, la beatificazione delle origini a scopi di censura preventiva, la disinvolta presentazione della loro natura apocrifa come ricerca oppure rivelazione della verità, l’altrettanto disinvolta descrizione di se stessi come regno della conoscenza oggettiva e della comunione con l’assoluto, e chi più ne ha più ne metta.

Nondimeno, certamente una cosa singolare è l’atteggiamento di scienza e teologia di fonte al libero arbitrio (LA) dell’uomo. Qui più che la constatazione di un terreno condiviso da entrambe, davvero significativa è la dimostrazione  surreale del modo, simmetrico e difforme ad un tempo, in cui viene trattato questo comune presupposto.

La prima infatti, bene o male, benché abbia alternato diverse volte nel corso della sua storia determinismo e indeterminismo della natura, lo celebra oggi come una caratteristica addirittura <<ontologicamente irriducibile>> della nostra specie, come ha dichiarato Frank Tipler, sulla scia del resto della comunità scientifica nel suo insieme, e ne fa in definitiva l’apologia definendolo con il fisico quantistico Henry Stapp <<l’essenza dell’uomo>>.

Ciò facendo, d’altra parte, non si rende conto di provare i suoi legami di sangue col mdpc, giacché i soggetti sovrani (<<sovrano è colui che decide>>, dice Schmitt, l’ideologo di questa logica) sono precisamente creature per eccellenza del capitale e i funzionari attivi a cui viene demandata la funzione di riprodurre l’intero sistema. D’altro canto, non si creda che l’interpretazione in causa sia innocente come potrebbe sembrare. Anche questa medaglia, come tutto nel mondo contemporaneo, ha il suo rovescio. La presentazione della libertà di scelta come causasui ha infatti il compito di cancellare qualunque altra spiegazione della sua esistenza e di fare in pratica delle decisioni individuali, che la nostra mente secerne come un bruco il suo filo, l’unica fonte delle condotte dei singoli. Così, un effetto diventa causa di se stesso e sparisce nel nulla, insieme con la sua dipendenza da tale fondamento, la ragion d’essere che lo ha messo al mondo e gli ha conferito il ruolo suddetto. Soluzione invero molto comoda, questa, per poter scongiurare in anticipo qualunque sempre possibile, ma altamente indesiderata, scoperta dell’effettivo stato delle cose.

La seconda, invece, condanna il LA dei soggetti con la predestinazione e tramite Sant’Anselmo attribuisce tutte le nequizie che ne discendono all’essere umano stesso, facendone un’altra dimostrazione e una prova provata del peccato originale che l’affligge (assolvendo nel contempo il Padreterno, e tramite Lui la Chiesa, da ogni corresponsabilità). Il Grande Inquisitore al contrario, invertendo le cose, affibbia a Dio la colpa di aver concesso agli uomini il LA e quindi lo accusa di essere la causa indiretta delle nostre sventure. Di qui la sua drastica terapia per la nostra debole schiatta (per di più sediziosa) che ha sempre provocato delle calamità naturali attraverso l’esercizio di quella sua facoltà di scelta.

Sarebbe del tutto inutile far notare all’Altero Vegliardo, naturalmente, che anche tutte le sue deliberazioni discendono in linea retta, paradosso dei paradossi, da un’arbitraria decisione del suo intelletto. L’esecrazione del LA, in altre parole, prende le mosse da un decreto del soggetto! Come tutto del resto nel dominio della teologia, visto che l’intero creato è per i Sacri Testi un libero atto di creazione da parte di Dio. D’altro canto, lo stesso originario passaggio del Cardinale nel campo del <<tremendo spirito>> è avvenuto sulla base di un suo deliberato proposito e di una sua autonoma volontà. Del resto, la logica della teologia è dispensata dal rispetto del principio di coerenza. Altrimenti non sarebbe quello che è.

D’altro canto, la sua prima invettiva gli era indispensabile per poter corroborare le sue funzioni temporali e la sua stessa autorità spirituale, giacché l’esistenza comunque di una Chiesa e di una gerarchia talare sotto l’insegna del <<terribile spirito>> aveva comunque bisogno di un gregge da guidare con un nodoso bastone pastorale. In pratica, pur invertendo di segno la natura del dono di Dio, il Grande Inquisitore riesce comunque a scaricare sugli uomini tutta la scelleratezza delle loro azioni e a fare della stessa esistenza del Soglio di Pietro, e quindi indirettamente dell’Altissimo e di un sistema temporale di potere, un elemento necessario della loro vita ecumenica. Di fatto, ottiene gli stessi risultati del precedente disegno pur prendendo le mosse da un’apparente atto d’accusa, sommamente eretico a prima vista, nei suoi confronti. Sarà un caso che alla fine il Grande Vecchio liberi il prigioniero?

Insomma, per l’uno Dio ci dà in dono il LA ma siamo noi che ne abusiamo. Per l’altro, Dio ha sbagliato a darci il LA perché non ne eravamo degni e ne abbiamo approfittato. Gira e rigira, positiva o negativa che sia la concessione del LA, i colpevoli di tutto, vittime designate diventate rei e peccatori, alla fin fine siamo sempre noi. E in tutti e due i casi il fine è sempre lo stesso: legittimare l’esistenza di un regno confessionale che secerne se stesso tramite Dio e necessita di una moltitudine di fedeli che giustifichino e nello stesso tempo siano in grado di secernere le sue funzioni episcopali. Se non hai sottomano ciò di cui hai bisogno, inventatelo! Anche nella teologia evidentemente ha corso, alla grande, una Lovespecifica per i bisogni della gerarchia ecclesiastica!

La Chiesa, come si vede, ha fatto del LA, che la corona di Roma esercita liberamente nei confronti del proprio gregge e delle sedizioni (chiamate una volta eresie) che nascono di tanto in tanto dal suo seno, la ragion d’essere della propria giurisdizione spirituale, nel mentre lo ha privato, così come ha fatto la scienza, di qualunque altra origine che non sia quella divina di Dio, in maniera che non lo si possa più discutere. Del resto, facendone una potenziale insidia, le cui conseguenze nefaste ricadono in ogni caso esclusivamente sugli uomini, lo ha ulteriormente sottratto ad ogni altra eventuale analisi problematica, giacché senza la tutela del Sacro gli individui rischiano sempre di incamminarsi sulla via della perdizione. Il Divino ovvero la Chiesa, in questo caso, agisce dunque due volte in una. Prima conferendo uno status cultuale al LA, poi facendo del male e dei tormenti che questo secerne dalla propria natura il fondamento di un ritorno nelle braccia di Dio per poterne scansare in qualche modo le conseguenze funeste. E così tutto va per il meglio nel migliore dei mondi teologici possibili!

Ovviamente, anche la soluzione in questione, per quanto sia forse più perfida ancora di quella scientifica, non fa altro che mostrare, al di sotto dei suoi diafani veli, i profondi legami che la stringono alla nascita del capitale e alla inedita logica ricorsiva che quest’ultimo ha reso possibile creando a sua volta tutte le precondizioni sociali perché potesse allignare nel cuore degli uomini, per usare qui una significativa allegoria del tenebroso Cardinale. D’altro canto, se la ragione scientifica emerge dal mdpc e porta impressa nei suoi sistemi di pensiero la sua impronta, anche la teologia, poiché è scienza in forma teologale, non potrà che subire la stessa sorte e rivelarsi per quello che è sempre stata in quest’epoca: una potente macchina spirituale al servizio, oltre che dei suoi selezionati funzionari vaticani, della riproduzione della società capitalistica di cui è divenuta creatura.


DD
: Qual è il rapporto tra politica e accademia?

FS: Alla luce anche di quello che si è detto prima, direi che è un rapporto intimamente funzionale. A patto che con politica si intenda, come ho precisato in precedenza, la DAP, con tutti i distinguo già visti. Le classi dominanti occidentali, sulla scia dell’aristocratico Joseph De Maistre, hanno infatti ben presto compreso che alle loro società erano indispensabili dei sistemi d’istruzione inferiori e superiori in grado sia di formare il loro futuro personale dirigente, sia soprattutto di preformare anche la mente dei dominati, fornendo loro una cultura di base conforme ai loro interessi di lungo periodo. Detti sistemi, oltretutto, rappresentano una evoluzione ancora più sofisticata del pensiero del conte di Chambéry.

Da questo punto di vista, la nascita della scuola pubblica, al contrario di quanto si potrebbe e vorrebbero farci pensare, non è mai stata un semplice fringe benefit del sistema capitalistico e del suo sviluppo, un frutto della civiltà o una conquista delle classi popolari. La questione non è riducibile a questi termini, che sono sostanzialmente fuorvianti. Anche questa medaglia invero, immancabilmente, ha il suo rovescio.

Ogni volta infatti che imparavano a leggere, scrivere e far di conto, le moltitudini assimilavano anche tutti gli argomenti della propaganda, impliciti ed espliciti, che venivano somministrati loro. E non parlo solo delle ideologie di fine Ottocento e inizio Novecento (il letale quartetto di De Maistre:religione, patriottismo, tradizione e pregiudizio). È tutta la loro visione della realtà naturale e sociale che riceveva il suo imprinting dai sistemi di conoscenza che venivano inoculati nella loro testa. Pensare e poter pensare solo entro i confini del loro mondo predefinito faceva tutt’uno.

Osservate le cose in retrospettiva, ci appare logico dal punto di vista dei dominanti che dovesse essere così, giacché il loro disegno partoriva dei soggetti che sia nel presente sia nel futuro avrebbero potuto ragionare solo con il set prefissato o preconfezionato di categorie – scientifiche, storiografiche, filosofiche, etiche, politiche, ecc. – che si era propinato loro.  Se si è il sistema, ben difficilmente se ne potrà uscire. E difatti, benché le passate generazioni dell’Occidente abbiano attraversato diverse congiunture storiche e siano saltate ogni volta in epoche differenti, e quasi tutte drammatiche, le nuove (e noi con esse) sono ancora al suo interno. Purtroppo lo saranno anche quelle avvenire se non si imbocca una nostra originale road not taken(non ancora almeno).

Se poi si guardano le cose dal punto di vista dei sistemi accademici propriamente detti, sostanzialmente le università e gli atenei per i figli della borghesia in ascesa o già costituitasi in classe dominante, essi sin dalla loro nascita sono stati concepiti del resto come istituzioni elitarie (gerarchia, rapporti di potere, dipendenza dal Monarca di turno, rango accademico, ecc.) a cui spettava il compito di sfornare solo funzionari professionali – soprattutto scientifici, in quanto divenuti indispensabili allo sviluppo industriale ed economico – atti a secernere e a clonare poi, tramite i loro fenotipi studenteschi che avrebbero figliato a loro volta i propri padri, la cultura ufficiale della società, la sola ammessa. Di pari passo con queste sue funzioni, l’accademia in questione svolgeva ufficiali compiti di supporto anche del potere regio presso l’opinione pubblica internazionale.

Esemplare a questo proposito il caso di Max Planck e dell’intera facoltà di Berlino, umanisti in testa, in occasione dello scoppio del primo conflitto mondiale. Come è noto, infatti, i 93 preclari scienziati berlinesi che firmarono il famoso “Aufrufandie Kulturwelt” (Appello al mondo della cultura), redatto dallo scrittore Ludwig Fulda ma suggerito dalla intelligence della marina tedesca nella persona del capitano Heinrich Lohlein per conto di un ufficio della propaganda di guerra del governo di allora, lo fecero con plurimi intenti politici. Dalla apologia del Kaiser, innanzitutto, alla esaltazione dell’assoluta unità tra il militarismo prussiano e la cultura tedesca, dalla difesa della civiltà europea contro le <<Orde russe>> alla unità tra popolo ed esercito (<<Deutsches Heer und deutsches Volk sin eins>>), per non parlare poi della difesa della nazione nei confronti di <<mongoli e negri sguinzagliati contro la razza bianca>>.

Facciamo astrazione, per un momento, dal fatto che questo documento della propaganda di guerra era la risposta prussiana ad analoghe iniziative delle altre grandi potenze occidentali (si veda a questo proposito Arthur Ponsonby, Falsehoodinwar-time.PropagandaliesoftheFirstWorldWar). Vale solo la pena notare che, oltre a tre premi Nobel per la fisica e la chimica, congiunti con altri scienziati loro colleghi del resto, l’elenco dei firmatari comprendeva anche il nome di Ernst Haeckel, uno dei fondatori della biologia evoluzionista, che nel corso dell’Ottocento si presentava invece come un “materialista” darwiniano e così ad esempio era conosciuto da Marx ed Engels.

Ora, lo storico statunitense Daniel Gasman, nelle sue numerose monografie dedicate alla questione (tra le tante, è da leggere almeno The scientific origins of National Socialism), ha ampiamente dimostrato che il naturalista Haeckel è stato uno dei precursori ottocenteschi dell’ideologia nazista e come tale si è distinto per darle una sorta di imprimatur scientifico, nel solco del resto di una tradizione tipicamente occidentale se si pensa, senza andare troppo lontano, al medico tedesco Johann Friedrich Blumenbach (sul quale si veda almeno <<Il geometra della razza>> di Stephen Jay Gould). Non ci sono dunque solo Wagner, l’aristocratico conte e diplomatico Joseph  Arthur de Gobineau (a sua volta stretto amico di Alexis de Tocqueville!), Houston Chamberlain (genero di Wagner e figlio di un ammiraglio inglese educato in lingua francese a Ginevra, un altro rampollo della casta militare imperiale di sua Maestà britannica!), ecc., alle spalle del regime di Hitler come si potrebbe credere e probabilmente si è creduto leggendo solo William Shirer e il suo The rise and fall of the Third Reich. A monte si intravede anche la lunga ombra della scienza.

Con la evoluzione dei media tradizionali (stampa, cinema, radio e poi nel periodo postbellico soprattutto grandi Network globali e Internet), il ruolo e le funzioni dell’Accademia (Akka) nella formazione delle nuove generazioni sono divenuti ancora più dirimenti perché adesso i Megamedia (MeMe) odierni hanno in pratica il monopolio dell’informazione e quindi decidono in anticipo come e intorno a che cosa la gente comune può ragionare. Decidono persino quello che può conoscere e il modo in cui può farlo. Se si pensa al fatto che i ¾ dell’output mondiale dei media è statunitense, si avrà forse un’idea più precisa della cosa. Si ricordi, inoltre, che i MeMe in questione han sempre mutato pelle in simbiosi con la massiccia presenza di agenti a contratto CIA al loro interno (per una documentazione di questo fatto,mi permetto di rinviare il lettore al mio Ilportodellenebbie). Si è trattato, in altre parole, di una evoluzione pilotata e non di un mutamento spontaneo.

In questo contesto, l’Akka statunitense e poi a seguire occidentale ha ulteriormente messo a disposizione del potere politico i suoi servigi, come cento anni prima hanno fatto <<der 93 deutschen Wissenschaftler>> (come recita l’Aufruf), in occasione degli avvenimenti dell’11 settembre 2001, su cui magari ci soffermeremo più avanti. In pratica, tutta l’elite che conta del sistema accademico statunitense agli inizi del 2002 ha pubblicato un documento – What Werefightingfor – di sostegno alla guerre di aggressione scatenate dall’allora presidente Bush Jr. contro il Medio Oriente, con argomenti tra l’altro che sembrano la fotocopia dei loro esimi colleghi d’oltreoceano, adattati ovviamente ai nuovi tempi (ho commentato questo scritto nel mio 11 settembre e<<full spectrum dominance>> del 2006 per cui non vi insisto oltre). Della serie, quando la voce del padrone chiama…

Nondimeno, giusto per toccare con mano il peso della scienza nel mondo contemporaneo, il famoso Leviatano contro cui mise in guardia Eisenhower nel 1961 alla fine del suo mandato, che però al contrario di quanto si crede di norma ancora oggi riteneva indispensabile mantenerlo e rafforzarlo, è divenuto oggi il complesso militare-industriale-accademico statunitense, in cui un ruolo preminente viene svolto naturalmente dalla elite scientifica (attualmente, infatti, ben l’80% dei fisici usciti dal sistema universitario negli Stati Uniti lavora oggi nella più grande economia militare dell’intero pianeta!). Del resto, il fatto è stato comprovato, oltre ogni ragionevole dubbio, come si dice, anche dal fenomeno illustrato dalla studiosa Ann Finkbeiner nel suo The Jasons. The secret history of sciences post war elite.

Alla luce di questo complesso di elementi, si può forse meglio capire come l’Akka sia divenuta una istituzione basilare nel sistema di potere odierno. Incaricata di selezionare all’inizio il personale dirigente dei dominanti, con la scolarizzazione di massa e l’accesso all’istruzione superiore anche dei ceti popolari, è arrivata infine a preformare perfino la mente delle moltitudini e ad intervenire direttamente anche negli affari socio-politici della società, prendendo apertamente partito a favore dei suoi occulti committenti (il tutto di concerto ovviamente con le altre agenzie del consenso fabbricato ad arte).

Oltretutto, bisogna tener presente alla mente il fatto che sul Vecchio Continente, perlomeno dal secondo dopoguerra in poi, sono state le floride Foundationsstatunitensi a ricostruire da capo a fondo i sistemi universitari europei, selezionando così, tramite i singoli governi, tutto il personale universitario e no degli atenei nazionali. E si badi bene che non è stato loro necessario procedere alla formazione e alla cooptazione poi di tutti i nuovi docenti nel sistema in via di costruzione. È stato semplicemente sufficiente mettere a capo dei diversi atenei (nel senato accademico, nei consigli di facoltà, ecc.), e in particolare dei più importanti, i loro fiduciari (Rettori, Presidi di facoltà, ecc.) e di conseguenza far dirigere poi i differenti istituti interni alle diverse facoltà da loro agenti di secondo grado per così dire (ordinari, associati, assistenti detti comunemente portaborse, allievi-pupillo, ecc.), che hanno poi innescato una reazione a catena cooptando a loro volta i propri successori. Il sistema continua a funzionare del resto allegramente nell’antico modo avito ancora oggi.

D’altra parte, questo sistema si rivelerà cruciale quando nel corso dei decenni postbellici ad esso, sulla scia delle stesse misure adottate negli Stati Uniti e su loro preciso input, verranno affidati compiti di mascheramento degli agenti dei servizi di intelligence che nelle diverse congiunture verranno chiamati a svolgere nuovi ruoli di rilievo nell’ambito dei vari gruppi eversivi (“di destra” e “di sinistra”). Si tratta di un salto di qualità reso possibile anche dal meccanismo sopra descritto. E comunque si ricordi che nella stagione della “strategia della tensione”, tanto per intenderci, i sottufficiali del generale Dalla Chiesa frequentavano i corsi universitari, si laureavano, diventavano docenti essi stessi: diveniva insomma impossibile distinguerli dagli studenti ordinari. Oltretutto, questi agenti rappresentavano il personale di un solo apparato dello Stato, mentre come è noto quando si ragiona di servizi di sicurezza si ha a che fare con numerosi apparati, tra l’altro tanto istituzionali quanto occulti (come ad esempio <<Lanello>> la cui storia, per quanto possibile, è stata ricostruita e documentata, almeno in parte, da Stefania Limiti nel volume LAnello della Repubblica).

Come ci hanno spiegato gli studiosi del fenomeno – in volumi ad esempio quali IlgolpediviaFani di De Lutiis; Il sequestro di verità di Aa. Vv.; Il Noto servizio di Aldo Giannuli –, diversi intellettuali del sistema accademico sono stati trasformati in agenti di tipo superiore aventi compiti d’indirizzo e di elaborazione ideologica all’interno delle organizzazioni di cui avevano preso la guida insieme ad altri agenti, più operativi e quasi sempre coinvolti in fatti di sangue, con i quali formavano un team coperto. Sopra ad essi, ovviamente, la mente politica, anch’essa a forma di piramide, con più teste e di natura internazionale, che governava il gioco complessivo tirando le fila dell’insieme e tessendo la trama, una vera e propria ragnatela a forma di labirinto, dei suoi disegni strategici.

 

DD: 11 settembre 2001. Per Lei cosa significa quell’evento? Va collegato ad altri?


FS
: Certamente nella storia del Novecento vi sono almeno due altri casi che ricalcano, in parte perlomeno e su scala individuale questa volta, il modus operandi utilizzato nel 2001. Mi riferisco in primo luogo all’assassinio del presidente Kennedy nel 1963, in merito al quale una prima lettura, giusto per diradare le nebbie in cui si è subito avvolto l’avvenimento, dovrebbe essere, a mio avviso, il volume di David Lifton, Best evidence. Disguise and deception in the assassination of John F. Kennedy.

Il caso è esemplare perché mostra all’opera i multipli depistaggi messi in moto dai vertici politici e militari dell’epoca, nonché dal personale delle loro agenzie di intelligence, di cui paradossalmente il presidente statunitense era l’autorità ufficiale massima, il Commander in Chief dell’intera macchina bellica dello Stato, per accreditare un’unica versione di comodo dei fatti e dei responsabili dell’accaduto. Tra l’altro, affidando ai loro agenti il compito di alterare la scena del crimine, manomettere le foto e i filmati, condurre false autopsie, predisporre persino la soppressione dell’imputato (Lee Oswald), fabbricare prove false, insomma una serie di multipli crimini ulteriori nel crimine maggiore e per dare a quest’ultimo il suo tocco finale: in proposito è indispensabile vedere il volume di Tom Wilson, Adark, deeper truth.  Oltretutto, qui si dimostra come il personale politico anche ai più alti livelli sia spendibile a piacimento da parte dei veri dominanti che agiscono dietro le quinte, come lo stesso Disraeli ci ha in precedenza detto a chiare lettere, e certamente lui doveva intendersene!

L’altro fatto ci riguarda più da vicino ed è rappresentato dal caso Moro. Le strategie nel frattempo, quindici anni dopo, in ragione del mutato contesto, si sono affinate, tramite la “strategia della tensione” sono state create delle condizioni al contorno propizie e i 55 giorni del sequestro hanno permesso ai perpetratori (Perp) una gestione mediatica dell’intera vicenda senza pari forse fino a quel momento per impatto emotivo e manipolazione della pubblica opinione (le cui uniche fonti erano quelle dei MeMe del tempo: Stampa e TV sostanzialmente). Per sperare di poter capire qualcosa di quel lontano avvenimento, ignoto alla nuove generazioni ma che ebbe allora un’eco internazionale prolungata, è indispensabile leggere e compitare i numerosi volumi che Sergio Flamigni ha dedicato all’affaire. Si vedrebbero all’opera anche qui, fondamentalmente, gli stessi meccanismi utilizzati a Dallas. E d’altra parte è logico, se la regia dietro il delitto, come è ragionevole dedurre dalle numerose prove disponibili e dalla documentazione ormai accumulatasi nelle mani dei ricercatori, è stata statunitense.

Basti dire che uno degli “esperti” antiterrorismo chiamato dall’allora ministro dell’interno Francesco Cossiga nei Comitati di crisi istituiti al Viminale, di concerto naturalmente con l’allora primo ministro Giulio Andreotti, era un uomo del dipartimento di Stato USA: Steve Pieczenick. Ciò è logico se si pensa al fatto che qualcuno della \ atlantica doveva pur supervisionare l’operazione. Quanto questi funzionari di alto rango siano competenti e continuino a svolgere le loro funzioni, con invidiabile professionalità, anche quando sono fuori servizio, ci è ulteriormente dimostrato poi dal fatto che nella saggistica che secernono continuano a fuorviare e depistare l’opinione pubblica fabbricando anche a posteriori nuovi mondi di fumo. Come conclamato esempio di questa circostanza si veda l’esemplare saggio di Emmanuel Amara, Abbiamo ucciso Aldo Moro, che contiene la ricostruzione degli eventi da parte dello stesso Pieczenick, corroborata a sua volta dalle ricostruzioni degli stessi brigatisti! Chiamereste voi la nebbia a chiarirvi le cose?

Si può tuttavia avere un’idea dello spartiacque che ha rappresentato se si pensa al fatto che la sua tragica conclusione con l’uccisione dell’ostaggio, essa stessa del resto sia altamente simbolica sia necessaria per sopprimere la testimonianza oculare del presidente DC, estremamente pericolosa per i Perp, tanto ha permesso al suo partito di rimanere al potere per almeno venti anni ancora, quanto ha infine portato alla dissoluzione del Pci, che era uno degli obiettivi primari dell’intera cospirazione. Il suo lungo declino, si noti la cosa, sia è cominciato allora, sia è stato innescato e poi protratto dagli stessi dirigenti comunisti dell’epoca, che con le loro opzioni pubbliche hanno coadiuvato i loro liquidatori senza in apparenza comprendere né il disegno a loro danno, né l’agire in segreto dei soggetti politici istituzionali con cui interloquivano. Esemplare, a questo proposito, è la lettura de libro di Ugo Pecchioli, all’epoca alto dirigente del Pci, Tra misteri e verità. Storia di una democrazia incompiuta. La storia di questo suicidio assistito o eutanasia dissimulata, per dirla in termini clinici, deve tuttavia ancora essere scritta.

Tanto per dire del carattere paradossale e innaturale della cosa, bisogna ricordare che lo stesso Cossiga, uno dei registi italiani dell’affaire Moro, durante il sequestro invitava a pranzo al Ministero dell’Interno la stampa per <<parlare di tutto>> amabilmente, ci fa sapere Valentino Parlato del “Manifesto”, presente a quegli incontri, come in una seduta conviviale. E la tradizione è continuata anche dopo la conclusione della vicenda, se è vero come è vero che nella primavera del 1980 Berlinguer incontrò ancora Cossiga in una cena di lavoro riservata a casa di Pecchioli per prendere conoscenza delle sue spiegazioni in merito alla sua condotta. Non è surreale che il segretario del più grande partito di opposizione dell’epoca e il responsabile di un quotidiano che si definiva “comunista” pendano dalle labbra di uno dei Perp per reperire informazioni atte alla comprensione di un crimine di Stato? Chiedereste mai voi ad un falsario conclamato denaro sonante?

Personalmente, vedo quattro sole possibili spiegazioni del fenomeno. O gli interlocutori dei Perp erano degli emeriti ingenui, ma allora non si capisce come abbiano fatto a ricoprire quei ruoli di rilievo (e poi un Candido nel Novecento pare davvero inverosimile per definizione). Oppure i Perp sono stati di un’astuzia infinita, tale da far sparire dalla scena visibile il loro reale status e le loro effettive funzioni, per cui neanche un Einstein della “politica” avrebbe mai potuto capire le cose. Oppure ancora vi è stato un tacito patto di connivenza tra “sinistra” del tempo e Perp che prevedeva anche la simulazione di conflitti d’opinione inesistenti, nel più classico stile della opposizione fittizia. Oppure, infine, una chiara comprensione del reale stato della questione è stata resa impossibile dalla cultura pregressa degli attori sociali che avrebbero dovuto invece avere chiare le condizioni al contorno dell’affaire. In effetti, se si èil sistema, la sua facciata istituzionale in questo caso, pare difficile poterne uscir fuori o veder bene dentro la sua logica più interna. Tanto per non privarci di nulla, si potrebbe in ultimo anche contemplare la possibilità che vi sia stata una alchemica combinazione delle diverse alternative. In effetti, non si escludono affatto l’un l’altra. Lascio al lettore la libertà di scelta.

Certo è che a leggere le argomentazioni di tali personaggi in volumi come Abbiamo ucciso Aldo Moro o Tra misteri e verità, giusto per citare degli esempi eclatanti, pare davvero di assistere ad una pièce di Ionesco, tanto le cose diventano via via sempre più surreali, in cui i Perp, al servizio dell’Alleanza Atlantica, si trasformano in testimoni obiettivi degli eventi e i destinatari ultimi delle loro macchinazioni diventano i più zelanti supporter di queste ultime, come provato dalla famosa “linea della fermezza” sostenuta dal Pci di allora <<per la salvezza dello Stato democratico>>, come ebbe a dire Giorgio Amendola (sostenuto da Ingrao e altri) in occasione di una riunione della Direzione di questo partito il 16 marzo 1978.

Per quanto riguarda il 9 11, così definito dai ricercatori statunitensi, direi che i Perp si sono comportati da degni epigoni del pensiero occidentale. L’hanno persino portato a vette finora ignote (sia criminali in primo luogo, sia paradossalmente filosofiche). Nel senso che hanno superato persino il vescovo Berkeley e il suo albero inesistente per l’osservatore che non l’ha udito né visto cadere in mezzo alla foresta (cosa che in fin dei conti semplicemente segue da esseestpercipi). I Perp, infatti, proprio mentre le Twin Towers (TT) si dissolvevano a mezz’aria han fatto vedere e udire agli osservatori quello che non esisteva, vale a dire un crollo gravitazionale spontaneo a seguito degli impatti e dei conseguenti incendi. Tutto questo si comprende meglio credo se si fa mente locale al fatto che una schiera di documenti e di ricerche ha ormai ampiamente dimostrato la natura completamente falsa della spiegazione ufficiale.

Del resto, han potuto fare quello che hanno fatto, naturalmente, sia perché hanno mascherato la disintegrazione totale dei due enormi edifici con lo schianto (presunto finora) degli aerei contro le TT, la congiura degli attentatori arabi, il sequestro degli aerei in volo, ecc., sia perché hanno fabbricato da subito, prima di ogni indagine forense, la pancake theory grazie ai professionisti dell’Accademia (la PT è una creatura del Prof. Thomas Eagar, docente di material sengineering al famoso MIT di Boston), solleciti e pronti al servizio (non per niente sono profumatamente pagati!), sia perché hanno subito mobilitato a supporto della spiegazione ufficiale un colossale apparato della propaganda fornito di grandi e imbattibili mezzi: Network globali, stampa, radio, ecc., insomma l’impero planetario dei MeMe, che ha finito per imprimere nella mente dell’opinione pubblica internazionale (ma gli arcana imperii russi e cinesi sapevano invece tutto!) un’unica versione degli avvenimenti e col cancellare qualunque altra possibilità.

Questa constatazione, tra l’altro, ci segnala una profonda trasformazione del potere dei dominanti mediante il nuovo ruolo e la nuova dimensione assunta oggi dai MeMe. Loro tramite, infatti, e attraverso il fatto che ¾ dell’output mondiale dell’informazione viene da questa fonte, è divenuto possibile per l’elite al comando delle società occidentali preordinare il futuro, trasformare il domani in un oggi virtuale e anticipare il tempo avvenire, liberandoli dai numerosi vincoli che prima ne condizionavano scelte e azioni.

Alla luce di questi mutamenti, la storia oggi non è più, se mai lo è stata, quella che si immaginavano ai loro tempi Marx ed Engels: stati di cose non voluti da nessuno e risultati finali di previ processi per così dire rappresi in un dato sistema di fatti emersi da rapporti di forza antecedenti e dai conflitti tra le forze in campo. Tanto meno la storia può essere oggettiva (neanche come risultante di un parallelogramma geopolitico o sociale, come se la immaginava Engels oppure come prima di lui la pensava dall’altro lato Marx in quanto realtà sensibile e mondo dell’esperienza di contro al grande Pensiero Metafisico dell’Occidente: Divino, Logica, Teologia, Provvidenza, Volontà di Dio, ecc.) oppure dovuta a processi contingenti di sviluppo (aleatori, non programmati, occasionali, casuali, ecc.) o a un incontro/scontro di certi soggetti politici nazionali e internazionali con in testa certi disegni geopolitici (Imperi, Stati, Eurasia VS America al giorno d’oggi,  ecc.). Tanto meno la storia poi è mai stata quell’oggetto indipendente – tutto fatti e dati – che la storiografia ufficiale si è immaginata (prendesse poi questa o meno la forma della “lunga durata”, un profilo événementiel, ecc.). Tutt’altro nel mondo odierno. Da questo punto di vista, la nottola di Minerva, nel frattempo fattasi scaltra, inizia il suo volo alle prime luci dell’alba piuttosto che sul far del crepuscolo! Evidentemente anche gli animali allegorici della filosofia evolvono e apprendono dall’esperienza, proprio come autentiche specie naturali.

Oltretutto, non si può davvero fare a meno di notare il fatto che il grande Edward Carr, decano degli storici anglosassoni contemporanei, già negli anni ’60 del secolo scorso aveva chiarito che <<l’interpretazione dell’osservatore predetermina ogni fatto della storia>>, per cui semplicemente <<the commonsense view of history is,ofcourse,untrue>>: <<The belief in a hard core of historical facts existing objectively and independently of the interpretation of the historian is a preposterous fallacy>>.

Da questo punto di vista, simmetrico del resto a quello emerso dal seno della scienza e della filosofia, da un lato, ogni cosiddetto stato di cose visibile nel mondo sociale – qualunque esso sia sul piano storico: dalla “questione ebraica” alla cosiddetta finanziarizzazione dell’economia – porta l’impronta del soggetto che ne rende conto, e la sua spiegazione di conseguenza incorpora quindi tutte le sue idiosincrasie, i suoi variopinti pregiudizi, e non tutti gradevoli, le sue ideologie, la sua cultura, l’intero suo sistema d’idee pregresso in altre parole.

Se tutto ciò annulla l’apparente indipendenza e oggettività dei cd fatti, dall’altro lato per contro mette al loro posto le interpretazioni preconfezionate dell’osservatore di turno (anche se quasi sempre l’ideologia si incarica poi di presentarle come conformi al reale stato delle cose). Ma se questi, a sua volta, rappresenta un soggetto la cui mente (insieme alla sua esistenza) è stata in origine preformata dal capitale, il vincolo in questione finisce col diventare addirittura doppio oppure, se si vuole, la natura predeterminata del suo pensiero raggiunge un suo secondo livello in genere invisibile all’intelletto ordinario.

In ultima analisi, allora, siamo messi di fronte perlomeno a tre circostanze:

sia i fatti storici non esistono,

►sia ogni oggetto o avvenimento reale è preordinato dal soggetto,

►infine, la stessa sua natura è l’effetto di un’altra causa a lui ignota e lui stesso è l’incarnazione di una differente ragion d’essere.

In merito a tale questione, oggi gli Stati Uniti, tramite la voce di Karl Rove (consigliere politico di Bush Jr.) e Lloyd Blankfein (CEO della Goldman Sachs, la banca d’affari più grande del mondo), davvero sono un caso esemplare (ho brevemente illustrato la logica di questi due funzionari del capitale nel mio Le lezioni del capitale). La storia, nelle condizioni attuali del XXI secolo, può e deve essere fatta emergere bydesign dai grandi attori globali sulla scacchiera planetaria, perché oggi i dominanti debbono poter contare in anticipo su condizioni al contorno decise da loro stessi e aventi le caratteristiche volute o meglio conformi ai loro scopi. Non ci si può più affidare, se mai lo si è fatto nel passato, all’attesa delle cose o allo sviluppo spontaneo degli eventi e al fortuito.  Il futuro piuttosto deve nascere adesso, deve essere previsto e anticipato – portato alla luce e realizzato ora, nel mondo presente del tempo attuale – come se lo si stesse già vivendo ed esso scorresse sotto i nostri occhi. Così ragionano le classi al potere, la nuova aristocrazia finanziaria e industriale odierna, e con i grandi mezzi di cui al momento dispongono, in primis il monopolio dell’informazione tramite i Megamedia e i loro servizi di Intelligence (supportati da Echelon, sistemi satellitari di spionaggio, informatori a migliaia, personale specializzato – diplomatico, politico, miliare, tecnico, ecc. – nei 6 continenti, ecc.), possono agevolmente conseguire i loro fini strategici.

Non è più necessario adesso aspettare gli eventi né intervenire a posteriori dopo che sono accaduti per indirizzarne il corso. Neppure è necessario provare a farli accadere in modo conforme a dati fini. Fatto salvo il fatto che tutte queste opzioni sono ancora sul tavolo delle possibilità per i dominanti, che come navigati bricoleur non scartano mai niente e tengono a disposizione tutte le opportunità a loro portata (e sono una legione!), la novità è data oggi dal fatto che le condizioni al contorno di cui hanno bisogno vengono di norma efficacemente predisposte, in anticipo e by design, dagli stessi MeMe e dalle agenzie di intelligence, che in simbiosi creano dei mondi di fumo –  id est appropriati scenari artificiali studiati e programmati a tavolino – atti al raggiungimento di dati fini.

Detti scenari contengono poi sia gli ingredienti giusti per poterli conseguire (apparenti dati reali, fabbricazioni di apparenti fatti, nascita di organizzazioni tipo Al Qaeda, uso di agenti professionali e assettipo Bin Laden, Jibril oggi in Libia oppure il CNT, ecc.), sia la loro legittimazione preventiva di tipo giuridico e diplomatico-politico (voti del Consiglio di sicurezza, appoggio del Segretario generale ONU, solidarietà atlantica Nato, ecc.). Non vi è chi non veda la novità introdotta da queste trasformazioni.

Mediante il monopolio mondiale del flusso di informazioni, i dominanti USA  e più in generale dell’Occidente preformano e predeterminano siagli eventi di cui hanno bisogno al momento, svincolandosi così tendenzialmente perlomeno dai limiti della congiuntura indotta ad arte o emersa dalla storia (con la sua aura aleatoria e i suoi rischi impliciti), due fonti non completamente affidabili o molto meno dei nuovi mezzi, sia l’opinione pubblica metropolitana e internazionale, che potrà ragionare solo con le notizie fornite e vedere solo immagini funzionali, sia infine mandano messaggi criptati (per noi) e ad un tempo espliciti (per loro) ai potenziali concorrenti esteri (i paesi Bric o qualunque altra coalizione di volenterosi) che insieme a loro e contro di loro (e talvolta in alleanza con loro, a seconda degli interessi in gioco, con la flessibilità indifferente a qualsiasi etica tipica della Realpolitik) calcano la scena planetaria.

Gli stessi soggetti hanno poi bollato, per completare l’operazione e dargli un autentico finish conclusivo, qualunque altra interpretazione alternativa dei fatti, per quanto documentata essa fosse, come fondamentalmente insana e paranoica, in modo da confinare gli scettici e chiunque avesse dei dubbi anche solo ipotetici o li manifestasse anche solo nel suo animo nel campo della malattia mentale e della devianza, della instabilità emozionale (questo è Barnard!), in maniera da screditarli del tutto (anche con la derisione, la compagna di merende della insania) in maniera preventiva e confinarli nell’ambito della psicopatia e dell’esoterico. Questo tra l’altro è un aspetto multiplo in sé della questione.

Secondo la Dr. Judy Wood, infine, l’intero affaire potrebbe avere anche un altro, più sottile e inquietante risvolto. Se fosse vera la sua interpretazione, infatti, se fosse vero che le TT sono state rase al suolo e disintegrate dall’uso di una qualche Direct Energy Weapon (DEW) in possesso dei militari, allora anche l’alternativa spiegazione della loro distruzione completa tramite demolizione controllata con esplosivi convenzionali (termite, termate, ecc.) diverrebbe una copertura per i Perp e tutti i controversi segnali emersi dalle testimonianze dei vigili del fuoco, di semplici cittadini, di testimoni oculari e dalle riprese video (booms di esplosioni, squibs, simmetria delle disintegrazioni, velocità di caduta, e i numerosi altri fenomeni osservati), diventerebbero delle prove a protezione e tutela paradossalmente dei Perp! Davvero una logica diabolica. Intanto il lavoro della Wood va avanti e nei prossimi mesi vedremo se le sarà possibile approdare a nuovi risultati. Consiglio intanto a tutti di leggere il suo Where did theTowesgo?

Nondimeno, i fini geopolitici e strategici che i Perp volevano raggiungere mettendo in piedi questa infernale macchinazione a danno delle moltitudini mondiali e a monito anche dei potenziali concorrenti emergenti (India, Cina, Russia, Brasile) sono sufficientemente chiari: main mise sulle risorse energetiche, occupazione manu militari di intere aree geografiche strategiche, potenziamento ed espansione delle loro basi militari nel mondo, obiettivo questo di per sé già fondamentale visto il peso e l’importanza dirimente delle industrie belliche nell’economia complessiva USA (la più grande del pianeta e decisiva per la realizzazione del plusvalore su scala globale), ecc.,

Nel far questo, i Perp ci hanno quanto meno messi di fronte ad una serie di rivelazioni cruciali. Ci hanno infatti squadernato davanti agli occhi perlomeno due effetti: sia sul piano giuridico-costituzionale interno, facendo a pezzi la loro Costituzione e qualunque altra immaginaria Grund norm occidentale, sia sul piano internazionale, riducendo in stracci il diritto internazionale e calpestando qualunque altro sistema normativo vigente nei rapporti tra le nazioni (Convenzioni di Ginevra, ecc.), imponendo così a tutta la comunità internazionale il ricorso alla forza nella (presunta) risoluzione dei conflitti come ai bei tempi degli imperi con l’annessa coorte di tutti icrimini contro la pace e il diritto delle genti conseguenti.

Oltretutto, i Perp ci hanno mostrato anche come l’ordine legale apparente che governa la convivenza civile nazionale e le cd regole democratiche del gioco politico (e l’aggressione alla Libia è stata per noi italici, grazie al Presidente della Repubblica, il supremo custode della Costituzione: ah l’ironia della storia!, un’altra prova eclatante di tutto ciò) ospiti sempre al proprio interno, e la veda nascere dal proprio grembocome una sua seconda natura, la sovversione periodica, occasionale e determinata dalla congiunture storiche attraversate dal capitale, del proprio intangibile sistema, presunto avalutativo e indifferente ai valori (id est interessi di parte), di principi e norme giuridiche (la famosa macchina del diritto di Kelsen).

In pratica, in questo contesto, i Perp ci hanno portato davanti agli occhi la logica pura di potere sottesa (e sempre in stato di veglia) alla convivenza civile, la decisione infondata e arbitraria che regge l’intera impalcatura formale della società, lezione che vale più di mille trattati costituzionali e giurisprudenziali (i cui Manuali tra l’altro ignorano sempre, non a caso evidentemente, se gli accademici e i cattedratici sono parte in causa dello sporco gioco e sono anch’essi il sistema, come ha dimostrato ultimamente anche Giannuli nel suo Come funzionano i servizi segreti, esistenza, ruolo e funzioni degli arcana imperii nella costituzione degli Stati e del potere politico occidentali).

La forza del disegno dei Perp si vede anche negli effetti indotti dagli eventi nel mondo intellettuale marxista, dei progressisti, dei liberal-democratici, ecc. Tutti questi soggetti sociali, infatti, si sono schierati subito con la spiegazione ufficiale, circostanza che ci mostra a chiare lettere quanto la logica e la natura del mdpc sia in grado di fabbricarsi – sia intenzionalmente tramite i propri agenti a pagamento (agente di Iª fascia), sia involontariamente, attraverso la cultura di origine e la forma mentis pregressa dei soggetti odierni guidati dalle loro buone intenzioni e funzionanti quindi in modo spontaneo e naturale come agenti (di IIª fascia) del sistema – il proprio dissenso funzionale interno oltre che il proprio consenso attivo delle masse e delle moltitudini planetarie.

Conformandosi alla versione governativa, in modo attivo tra l’altro, tutti quegli ambienti siahanno supportato l’interpretazione del governo Bush, siahanno bollato anch’essi, di riflesso, gli scettici e le interpretazioni alternative come insane e paranoiche, siasi sono allineati alla versione di comodo dei Perp e sono dunque, nel migliore dei casi, caduti di peso e in toto nel loro inganno proprio indossando le vesti migliori: quelle dei critici intransigenti del sistema odierno delle cose (che senza saperlo – e questo nella migliore delle ipotesi – servono gli interessi del potere che in apparenza deplorano e stigmatizzano), e il fatto che ad una parte dell’opinione pubblica mondiale appaiano sotto queste (s)mentite spoglie rinforza e corrobora per i Perp l’effetto a loro favorevole, in un virtuoso circolo vizioso a forma di spirale (giacché tali individui si presentano di norma come gli alfieri della democrazia e dei diritti dei popoli, i difensori della forma costituzionale dello Stato e del sistema repubblicano).

Da questo punto di vista sono le personificazioni perfette del famoso aforisma di Hegel: di un potere che sparisce mentre si pone. Per i marxisti di tutte le scuole e di tutte le variopinte tendenze immaginabili, vale più o meno la stessa cosa, con laggravante che questi personaggi si presentano sulla scena come fieri avversari del capitalismo, come gli oppositori più intransigenti del nuovo imperialismo statunitense, e perciò si definiscono antagonisti, “rivoluzionari” (da operetta), dissidenti, ecc. ecc., e così facendo servono ancor meglio dei precedenti i loro segreti padroni. Cosa si può pretendere di più da un soggetto che mentre combatte strenuamente il proprio acerrimo nemico fa di tutto (per di più, al colmo del paradosso, usando le stese armi fornitegli proprio da quest’ultimo) per spianargli la strada e preparare il proprio interramento? Nulla evidentemente. E così sia e così è stato. Da questo duplice punto di vista, sia gli apparenti critici dell’Occidente ma fautori della democrazia e riformisti/miglioristi odierni, sia gli inflessibili e tetragoni oppositori del capitalismo, in tutte le loro salse, si sono rivelati del tutto funzionali (e in molteplici astuti modi e variegate forme) ai disegni delle classi dominanti attuali. Un bel risultato davvero!!

 

DD: Ancora nel Suo ultimo libro, Lei dà a intendere che la società capitalistica muove i primi passi ben prima del momento storico in cui Marx l’aveva individuata nei suoi scritti. In certi altri punti, Lei asserisce che, comunque, l’intera formazione culturale dell’Occidente è stata viziata dalla mistificazione: «Dall’antica sapienza greca delle origini del mito, dal pensiero presocratico fino alla filosofia classica ellenistica e oltre, l’intera ragione dell’Occidente si è presentata sulla scena sociale della storia con tutte le fattezze di una ragione apocrifa che nelle sue diverse narrazioni degli inizi [...] ha sempre messo al mondo una colossale finzione intellettuale tesa a scongiurare la scoperta dell’integrale natura conoscitiva delle maestose rappresentazioni iconografiche della sua fertile immaginazione onirica» (pag. 170). Questo è proprio un esempio del primo aspetto della Sua riflessione cui all’inizio ho fatto cenno. Ne aveva in parte discusso nel volume del 2009,  ma potrebbe spiegare meglio qual è il valore ‘onirico’ su cui la conoscenza dovrebbe secondo Lei fondarsi? E la filosofia sarebbe dunque un sistema preformato integralmente dal capitale?

FS: Cominciamo dalla prima questione, vale a dire dalla conoscenza onirica: che cos’è e che cosa significa. Questo primo oggetto, ignoto al grande pubblico e di cui non si sente mai parlare per la verità, incorpora nel proprio seno diversi turning point, per così dire, e diversi livelli. E tutti dirimenti.

In primo luogo, onirica è la spiegazione stessa della scienza ed emerge da questa fonte. Sono cioè gli stessi addetti ai lavori e i suoi professionisti, in particolare l’italiano Giulio Tononi e lo statunitense, premio Nobel per la medicina, Gerald Edelman ad aver definito la scienza un processo onirico e allegorico di conoscenza. Diciamolo con le stesse parole dei due scienziati: <<Ciò che sogniamo è ciò che conosciamo, e ciò che possiamo conoscere è solo ciò che possiamo sognare>>. Ho prodotto un’ampia documentazione di questo fatto nel mio Il pensiero ermafrodita della scienza. Ciò vuol dire, in breve, che tutto quello che conosciamo nasce dalla mente e riguarda i suoi oggetti di pensiero: comprendiamo sempre meglio solo quello che emerge da questa fonte e tutto il nostro sapere consta solo di stoffa cognitiva, per quanto il sano buon senso della vita quotidiana sembri dimostrare il contrario. Nondimeno, a dispetto del loro apparente conflitto, i due punti di vista sono paradossalmente del tutto complementari.

L’interpretazione in causa, del resto, era stata anticipata già alla fine degli anni ‘60 dalla scuola dell’autopoiesi di Maturana. Questi infatti già all’epoca ci aveva spiegato che <<niente esiste al di fuori dei nostri domini di conoscenza>>. Oltretutto, se è vero che <<senza osservatori non esiste nulla, e con gli osservatori tutto ciò che esiste esiste nella spiegazione>> del soggetto, ecco che il mondo intero nel quale siamo immersi non può essere nient’altro che <<un’entità cognitiva>> e un universo di distinzioni partorito dalla nostra fervida immaginazione concettuale.

Dunque, che le creature del nostro pensiero, tutti i grandiosi sistemi d’idee dell’Occidente, abbiano natura onirica è una statuizione che ha origine dall’interno della comunità scientifica odierna e da questa riceve il suo imprimatur.  In secondo luogo, tuttavia, anche questa è una medaglia addirittura con un suo doppio verso.

Il rovescio positivo della tendenza testé vista è infatti la completa liquidazione della crux relativa alla ragion d’essere specifica del nostro pensiero e dunque la cancellazione dei suoi legami col capitale.

Nella misura in cui la conoscenza sia vien vista emergere esclusivamente dalla nostra testa e constare solo della sua natura biologica, sia vien vista secernere l’intero mondo interpersonale degli individui e mettere nelle loro mani, tutta intera, la responsabilità personale e umana di quello che realizzano, ecco che non vi è più alcuna necessità di andare alla ricerca di altre cause (né fisiche né sociali). In tale affresco, anzi, queste ultime tanto vengono fatte coincidere con il determinismo biologico del nostro organismo, quanto quest’ultimo diventa poi a sua volta la fonte da cui emergono la società e i legami interpersonali tra i singoli, in un completo capovolgimento delle cose.

Per quanto sia sofisticata, questa impostazione ha tuttavia anche un suo rovescio altamente indesiderato per la scienza. Essa implica infatti la fine del realismo fisico e di ogni materialismo ontologico, un evento che fa sparire nel nulla la conoscenza oggettiva della natura e di conseguenza uno dei miti originari più importanti di tutta la cultura occidentale. Probabilmente, il costo è stato giudicato troppo alto ed ecco perché il paradigma di Maturana è stato accantonato dalla comunità scientifica attuale in favore delle scuole di fisica ancora dominanti. Tuttavia, perlomeno due cose sono evidenti: tanto il fatto che l’autopoiesi, e con essa la variante di Edelman, restano parte integrante della logica versatile della scienza, quanto il fatto che la natura ricorsiva del pensiero emerge comunque anche dal seno della scienza ufficiale e dal di sotto dei suoi stereotipi. La maschera non riesce a coprire completamente il volto.

Stando le cose come stanno, in terzo luogo, l’impronta onirica della conoscenza, nel significato sopra precisato, costituisce anche un prezioso segnavia per l’eventuale nascita di un’altra forma di pensiero in grado di distinguersi dai primi due punti di vista sopra messi in rilievo, dai fini che si volevano raggiungere loro tramite e dai  rompicapo che l’impresa ha sollevato. Anche se l’accezione scientifica di conoscenza onirica è del tutto falsa in ogni caso, resta pur sempre vero il fatto che anche ogni forma di realismo fisico, classico o quantistico, marxista o liberal-borghese, rappresenta oggi un principio di ragione del tutto fittizio – e tale dimostrato paradossalmente dalla stessa scienza – rispetto ai significati che gli sono stati attributi dalla tradizione occidentale. Il che spiana la strada alla ricerca di un nuovo fondamento del pensiero. Esiste in effetti un’altra, più specifica, accezione di conoscenza onirica o anche ricorsiva.

In quarto luogo, infatti, il carattere onirico delle creature della nostra mente non si identifica affatto né con la loro natura solo cognitiva, né soltanto allegorica. In un certo senso, è possibile andare oltre sia il timore di David Bohm di veder sparire tutto nella perfetta coincidenza di pensiero ed essere, sia la parallela e complementare, benché apparentemente contraria, tendenza di Maturana a vedere in quella uguaglianza l’inizio di ogni cosa. Inutile dire che tale mira avversa anche chi avrebbe voluto fare dell’onirico-cognitivo l’unica fonte di tutto quello che c’è.

In pratica, è possibile sia smascherare e portare alla luce gli inconfessabili intenti della logica versatile della scienza, sia dar vita ad una differente interpretazione della conoscenza nell’epoca del capitale che non abbia più niente a che fare con le fittizie spiegazioni prima prese in esame. Al contrario, tanto deve diventarne la critica più radicale, quanto deve tracciare una netta linea di confine rispetto alla loro impostazione. Benché si presenti quasi come una missionimpossibile, se ne può quanto meno delineare il profilo.

In ultimo, infatti, si può dire che la conoscenza onirica nasca dalla originaria identità tra uomo e natura. La loro relazione, si badi bene, non è di analogia, somiglianza, concordanza, equivalenza e simili. Sono propriola stessa cosa. Ciò vuol dire che non c’è nessuna differenza di genere tra loro. Non si distinguono. Sono come due genomi assolutamente coincidenti. Sono uno in due. E tuttavia dal loro grembo, proprio come nel regno vivente e la differenziazione cellulare, secernono anche la loro unità, vale a dire dei loro interni distinguo da cui poi emerge una realtà visibile – e dunque una storia (con le sue tipiche epoche discontinue) – tipicamente umana. Nella ovvia impossibilità di poter dimostrare, argomenti alla mano, come si dice, una tale interpretazione, mi limito a tratteggiarne i contorni generali.

Se li si trovasse esotici rispetto all’ordinario modo di ragionare, si avrebbe perfettamente ragione. Lo sono senz’altro. Del pari, se risultassero ardui da intendere. Se invece risultassero oscuri sarebbe solo colpa mia. Anche in questo caso, però, ci sarebbe poco da meravigliarsi. Come diceva Novalis, infatti, <<ogni nuovo inizio è maldestro>>. Tanto più, si potrebbe magari aggiungere, quanto più i nostri incerti passi calcano per la prima volta una terra incognita e forse un altro continente dello spirito. Vediamo. 

I caratteri dell’identità

Luomo è natura personificata, ma la natura stessa, di cui il nostro pensiero è figlio, è una nostra assunzione, è una creatura cognitiva della nostra mente. Se la natura sincarna negli uomini, il nostro pensiero la mette al mondo. Allunisono. A questo punto, conviene compendiare questi numerosi passi di danza in una sorta di balletto intellettuale. Nel modo seguente         La Natura si personifica nell’individuo e si rende umana. S’incorpora dunque anche nel suo pensiero, nei mondi onirici che questo secerne: dunque anche in quella Natura che esso assume come esistente. Ne è il figlio, ma anche il padre. Il soggetto, per contro, si oggettiva tramite il suo originario status biologico e la sua appropriazione delle cose materiali di cui si nutre e mediante cui si riproduce: le due cose in una. La Natura s’incarna negli individui e loro tramite diventa una creatura senziente. D’altra parte, gli uomini, in quanto materia ordinata e organizzata, diventano a loro volta un organismo naturale. Sono la Natura nel suo aspetto umano. La Natura diventa soggetto, ma l’uomo si oggettiva e assume lo stesso status della sua fonte. È natura in forma secolare, ma il soggetto, attraverso la successione delle generazioni, ne è l’incarnazione sempreverde. Con le loro gambe la Natura cammina, ma con la loro specie gli uomini la fanno diventare sia pensiero e sistemi di conoscenza in progress, sia società e organizzazioni umane in sviluppo: tramite le loro forme di convivenza la fanno nascere e rinascere in continuazione e devolvere nel loro mondo. Il tutto d’un solo colpo.

 

  1. 1.     Noi lapersonifichiamo,

 

  1. 2.     ma per contro suo tramite ci oggettiviamo,

 

  1. 3.     noi la spieghiamo ai nostri consimili e la rendiamo dunque intelligibile anche a se stessa,

 

  1. 4.     noi la presumiamo reale e dunque assumiamo che esista,

 

  1. 5.     noi diciamo o presumiamo di esserne lincarnazione,

 

  1. 6.     ergo: siamo noi a presupporre tutto quanto e quindi la possiamo conoscere solo tramite il nostro pensiero,

 

  1. 7.     infine anche la distinzione tra ordine sovrano e fenomeni empirici, di cui abbiamo bisogno per poter supporre di vivere in un mondo ordinato e dare un senso alla nostra vita, è figlia di un nostro atto di ragione,

 

  1. 8.     persino se supponiamo che non esista, la natura deve esistere, giacché lo stesso cervello che secerne quellenunciato (Minsky: <<la mente è quello che il cervellofa>>), in quanto è materia organizzata, è obbligato a presupporre un principio dordine alla base della sua esistenza,

 

     1. 9. del resto, in quanto secerne dei pensieri razionali e intelligibili da parte degli altri uomini, e nel contempo fa esperienza di se stesso e del proprio essere materiale, il soggetto è costretto a immaginare lesistenza di un logos sovrano delluniverso: mondo ordinato, intelletto logico e specie umana neanche esisterebbero probabilmente senza quel sostrato eterno.

Se parliamo noi, parla la Natura. E nella misura in cui questa parla, siamo noi che parliamo. Non v’è modo di distinguerci. Dire che noi siamo la Natura o che la Natura è noi equivale a dire la stessa identica cosa. Ognuno è se stesso e l’intero rapporto, e anche il proprio sviluppo, la propria evoluzione discontinua nel corso del tempo. Il divenire umano si chiama storia, ricorrente emergere di date epoche specifiche della società e periodica formazione discontinua di sistemi di convivenza sociale. Quello della natura si identifica coi grandi cicli del tempo e le successioni cronologiche osservabili nel mondo reale. Da questo duplice punto di vista, è ammissibile che lo sviluppo storico conosca delle cesure e dei salti d’epoca da uno stadio all’altro. Che io lo deduca del resto da un esame del passato geologico, paleontologico, paleogeografico, biometrico, ecc., della terra e del vivente oppure da un’analisi dello sviluppo sociale è in fin dei conti la stessa cosa.

Il reale evolve di sicuro in forme discontinue e dunque è possibile che nel corso delle epoche passate sia emersa una società con caratteristiche peculiari del tutto differenti rispetto a quelle pregresse e che ne hanno preceduto il debutto sulla scena del mondo, e anche rispetto alle condizioni preliminari che ne hanno innescato la nascita. Questa formazione economico-sociale del tutto specifica, connotata da propri processi di riproduzione interni e mai visti prima in Occidente, è precisamente il mdpc. È dunque logico che la sua interpretazione faccia emergere delle categorie del tutto originali e con caratteristiche che non potevano esistere in periodi anteriori. Altrimenti non sarebbe una società specifica. Questo spiega anche perché le sue caratteristiche siano così ardue  da intendere e quando le si presenta nel corso della dimostrazione esse appaiano agli occhi degli osservatori, in genere, sotto vesti surreali e a prima vista incomprensibili tanto sono inconsuete e differenti dal mondo ordinario della vita quotidiana degli individui (che sono precisamente una personificazione della sua ragion d’essere più intima, della logica più profonda – il principio determinate del capitale – che ne governa nascita, riproduzione e tendenziale tramonto: probabilmente è anche per questo che in generale resta ostico a tutti capire a fondo le cose e immaginarsele differentemente, con mente differente).

Insomma, a quanto pare esistono dunque almeno cinque (5) fondamentali distinguo entro l’identità uomo-natura:

 Un cartogramma di sintesi

Se si tengono presenti queste sofisticate correlazioni, allora si può dire che mentre con la sua attività cognitiva disegna mondi della mente, in un certo senso l’uomo crea l’universo. In questa accezione determinata (non come il vaso sotto le mani del vasaio):

►gli fornisce un affresco cognitivo in cui il soggetto comprendendo se stesso,  nella misura almeno in cui secerne i prodotti della sua mente in complessi quadri di pensiero, spiega simultaneamente la natura in quanto è materia fisica incarnata in un dato organismo vivente: tramite noi la Natura si osserva allo specchio della propria ragione, del suo più intimo logos sovrano senza che questo disegno sia mai completamente realizzabile;

► d’altra parte, riproducendo se stesso mediante l’assimilazione dei materiali indispensabili alla sua esistenza bio-fisica evoca in vita nuovamente la natura, ne perpetua i grandi cicli materiali (demografici e storici) e rende possibile in continuazione la prima attività intellettuale, il proseguimento e la successione in progress dei nostri/suoi sistemi di conoscenza, in pratica all’infinito su scala umana (ovviamente se non avvengono catastrofi o estinzioni di massa della nostra specie).

D’altro canto, se a questo punto prendiamo in considerazione la seconda domanda –  La filosofia sarebbe dunque un sistema preformato integralmente dal capitale? –, la risposta non può che tenere conto di quanto venuto in precedenza alla luce del giorno. Non solo la filosofia è, oggi, integralmente preformata dalla logica del capitale sin nel suo midollo osseo, come qualunque altra disciplina della società odierna del resto, ma sin dai suoi inizi è sempre stata un inganno conclamato a danno degli uomini.

Nondimeno, come ormai ci è noto, è necessario distinguere. Una cosa è la filosofia classica delle origini. Un’altra, del tutto diversa, è quella attuale. Soprattutto da quando si è professionalizzata ed è divenuta una disciplina accademica, cioè stabilmente integrata nell’ordine gerarchico e cattedratico del sapere ufficiale. Nelle condizioni date, non c’è scampo di norma, poiché èil sistema e non una sua parte relativamente autonoma. Sappiamo, credo, cosa si debba pensare allo stato attuale delle cose dell’Akka.

Il Logos originario dell’Occidente con i suoi quattro significati fondamentali – 1. Principio di coerenza, 2. Principio dell’intendersi reciproco; 3. Ordine del mondo, 4. Pensiero supremo di pensiero – ci si presenta come la sintesi e la fonte di un programma concettuale insito sin dagli esordi nella esistenza e nello sviluppo della civiltà classica.

Perlomeno dalla fine dell’epoca arcaica (VII secolo a.C.), prima con Parmenide ed Eraclito e in seguito soprattutto con Aristotele e l’Ellenismo, via la prova ontologica di Sant’Anselmo, fino alla Summa teologica di Tommaso d’Aquino e la Scolastica più in generale, e poi ancora con Cusano per arrivare a Galileo e Newton, proseguire con gli Illuministi e, via i sensisti (Condillac, Cabanis, ecc.), concludere infine con i materialisti del Settecento (Helvetius, La Mettrie, d’Holbach, ecc.), i positivisti dell’Ottocento e il loro scientismo – per marcare solo con alcune pietre miliari significative un processo millenario –, l’intera cultura delle nostre società non è mai stata altro che una ininterrotta narrazione del falso e una consumazione senza fine del dolo a nostro solo danno.

Non è ovviamente che detto sviluppo sia stato una linea retta senza alcuna discontinuità di rilievo. Al contrario. Quando con la cosiddetta rivoluzione scientifica del Seicento e l’alba del modo di produzione capitalistico – non a caso evidentemente, se è vero che per Marx il capitale <<inaugura unepoca>> intera nella vita dell’Occidente – i saperi hanno cominciato a professionalizzarsi e istituzionalizzarsi (nascita della RoyalSociety nel 1662, della AcadémiedesSciences nel 1634, ecc.), le condizioni al contorno si sono persino inasprite, giacché la produzione di cultura, ora soprattutto scientifica, è stata sin da quel momento consegnata nelle mani di un establishment accademico che ne ha acquisito il monopolio, paradossalmente ufficializzando l’inganno e rendendolo persino legale e conforme a diritto.

In questa congiuntura, tra l’altro, persino i grandi tenori del passato sono stati incorporati nel nuovo sistema e sono stati trasformati, malgréeux, in rappresentanti e alfieri della nuova mistificazione, in archetipi del sapere razionale per eccellenza e classici della retta ragione (lo stesso Marx, del resto, definirà lo Stagirita <<un gigante del pensiero>> ). Per provare a respirare un’aria più salubre, non ci resta che consegnarla in blocco alla pattumiera della storia, per quanto iconoclasta possa sembrare questa opzione. Come in tutti gli addii definitivi e meditati, nessun rimpianto, se non quello di non averlo fatto prima. Berreste voi forse un bicchier d’acqua fresca dalle mani di chi vi ha avvelenato i pozzi?

L’aspetto paradossale dell’intero affaire, come nel caso anche della scienza, è dato tuttavia dal fatto che il logos classico ha finito col secernere imposture fino a constare solo di queste per ragioni evolutive ed ecologiche. Si è infatti presentato sulla scena delle società arcaiche come una specie naturale dal punto di vista intellettuale. Si è dunque trovato subito a confronto, per poter sopravvivere e riprodursi, con un ambiente circostante già occupato all’epoca da temibili competitori, dal pensiero selvaggio in generale: mitologia, cosmogonia, animismo, teogonia. Per poter conseguire in qualche modo un successo evolutivo, si è dovuta servire, proprio come fanno gli organismi viventi col mimetismo dei diversi generi, dell’inganno iniziale, mentendo perfino a se stessa e poi agli altri. Nel far ciò si è comportata proprio come una moderna teoria scientifica alla Bachelard: ha dovuto prima demolire per poter poi far posto alle sue nuove costruzioni dello spirito.

Qui conviene però fare un’altra distinzione. Nella filosofia originaria, i classici hanno seminato nei loro scritti molti elementi che ci fanno comprendere la natura fittizia dei loro pensieri. Vale qui quello che Borges diceva della letteratura: <<Noi abbiamo sognato il mondo. L’abbiamo sognato resistente, misterioso, visibile, onnipresente nello spazio e fisso nel tempo; ma abbiamo consentito nella sua architettura tenui ed eterni interstizi di assurdo per sapere che èfalso>>.

Da questo punto di vista, il logos classico, così come la scienza odierna, non è un blocco di acciaio e qualcosa traluce sempre dal suo interno. È come se a volte, mentre i classici e gli scienziati ci descrivono la loro attività intellettuale, insieme a loro parlasse sotto traccia e a volte in modo esplicito, in doppia voce, anche un loro istintivo alter ego più critico: la voce della verità che emerge, spinta alla luce del sole da un senso di colpa inconfessabile, dal loro animo più profondo.

Ovviamente, lo si può capire e intendere anche se solo per un attimo si è sfuggiti al suo charme, se ci si è sottratti in qualche modo al suo incanto e sortilegio. L’unico problema, come ci ha spiegato Thom (e lo scienziato francese si definiva un aristotelico!), è che se non si ha dapprima il concetto di un oggetto, neanche lo si riconoscerà.  Oltretutto, per i classici era un problema di sopravvivenza di una specie appena nata. Per potersi imporre sulla cultura pregressa delle loro società, dovevano prima di tutto mentire a se stessi e credere (proprio come fa un devoto nei confronti della fede) che la nuova ragione discorresse di oggetti realmente esistenti e distinti dal suo ordine di pensiero, per quanto questi ultimi fossero concepiti in termini di inesprimibile, ineffabile, indicibile, ecc.

E l’aspetto oltremodo paradossale della cosa è che dovevano essere presentati così, giacché la loro natura onirica doveva essere sprofondata nell’inconoscibile affinché le sue origini dalla nostra mente potessero sparire dalla scena e diventare invisibili, neanche pensabili da parte nostra, un divieto salvavita necessario alla nuova razionalità nascente che si è somministrata da sola le sue cure parentali. Altrimenti la loro creatura non avrebbe neanche visto la luce. Dunque, ammesso che credessero in quello che dicevano, fossero cioè in buona fede, mentivano senza saperlo. Se no, a maggior ragione dovevano fingere per poter condurre in porto un’ impresa che in un certo senso faceva epoca, perché permetteva di far entrare l’Occidente, in parte almeno, in un mondo più secolare se così si può dire rispetto al suo passato (evento che forse connota il passaggio dalle comunità agrarie, coi loro riti magici ed esoterici legati ai cicli della terra, alla polis e alla vita urbana, in cui certo degli antichi ambienti naturali esisteva ben poco).

Nondimeno, probabilmente in maniera non intenzionale, ma indotto a ciò dalle circostanze della sua nascita, coi suoi stessi argomenti il logos occidentale ci addita anche una verità sottostante che preme da sotto la superficie per emergere alla luce del sole (e Aristotele senza volerlo, o volendolo?, ce ne rende edotti col suo motore immobile, che è “pensiero di pensiero”). Si tratta di un’avvertenza criptica che ci vien data comunque, di un segnale o di segnali in codice che ci vengono inviati: è la nascita potenziale di un altro pensiero. Oltretutto, non bisogna dimenticare che è anche la scienza stessa a farci sapere quelle cose, a mettere a nudo la sua natura più profonda in una sorta di inconscio atto mancato. In questo senso, essa stessa prefigura il suo futuro tramonto, per ora ovviamente solo virtuale (ma quando avverrà veramente, solo la sorte lo sa).

Del resto, non si creda che l’inganno abbia solo forma intellettuale e si abbigli soltanto delle vesti della filosofia e della scienza. Anche un’altra potente agenzia lo secerne come un bruco il suo filo di seta. Il potere politico dei dominanti, infatti, come si è visto, quotidianamente produce dei mondi di fumo che intenzionalmente e bydesign avvolgono la vita degli individui in una fitta nebbia per rendere la loro esperienza nel tempo e nella storia sociale un viaggio nell’ignoto, tra l’altro sotto le mentite spoglie di un realismo dell’esistenza tanto fittizio quanto ahimè efficace. Se poi si fa mente locale all’universo simbolico della teologia, i giochi sono fatti.

Tuttavia, se quello che si è detto sopra vale forse per i classici, non vale più per l’attuale stato delle cose. Ciò è logico in fin dei conti se si pensa all’esordio nella storia del mdpc. L’accademia e il mondo professorale dei cattedratici, gli odierni scolastici, non ha alcun interesse per la conoscenza, tanto meno ovviamente per la verità. Sono lì per svolgere altre funzioni. Tutto il resto non gli compete. Nondimeno, come diceva Marx degli economisti (o forse pensava a se stesso?), ogni tanto qualche singolo <<può soggettivamente elevarsi>> al di sopra della palude, ma rappresenta pur sempre l’eccezione che conferma la regola.

Anche nei dipartimenti odierni di filosofia senza distinzione di specialità, così come tra i diversi individui che li frequentano e li dirigono, vige un sistema di potere che governa la vita della comunità e impone a tutti le sue regole arbitrarie, le sue priorità, i suoi piccoli e grandi ricatti, il suo malcostume, gli interessi privati e di parte, persino l’illecito e financo il crimine. Sono dati del resto desunti anche dalla cronaca e dall’attualità. Non è una contraddizione in termini che questa filosofia (ma forse sarebbe meglio definirla in altro modo) parli di amore per la verità e discetti di etica? E se è vero che exfalsoquodlibet, non dobbiamo dedurne che anch’essa, infrangendo il principio di coerenza, si condanna da sola a confermarsi e a rivelarsi soltanto un sistema di imposture?

E questo, si badi bene, discende da quello che realmente, nella vita e nel dominio dell’esperienza, la filosofia è, non quello che di solito viene somministrato all’opinione pubblica, un’immagine che non corrisponde in niente agli stereotipi che essa stessa secerne dal proprio seno per coprire, con una foglia di fico, le sue nudità. E non è affatto questione di disciplina. La stessa cosa, infatti, avviene nella scienza, come hanno ampiamente documentato e dimostrato i diversi volumi di Judson, Broad-Wade, Ruesch, ecc. A dispetto del fatto che, come ha tenuto a precisare Ann Finkbeiner, <<nel mondo della scienza le regole siano basate sulla logica>>. Decisamente agli scienziati non manca la vena umoristica!

Se poi la si mette a confronto con quello che ha detto un fisico statunitense della propria professione –  <<Science isn’t. It’s just us boys>> – allora le cose si inaspriscono ancor più, giacché gli uomini di cui consta oggi la filosofia (e la scienza) sono precisamente quelli sopra descritti. A questo punto, <<beato chi crede>>, come dice il poeta, <<che la realtà sia quella che si vede>>.

Giusto per aggiungere paradosso a paradosso, in fin dei conti, la court of last resort della scienza falsifica completamente lo status sia della fisica attuale, sia dell’odierna filosofia, giacché è l’esperienza stessa a mostrarci e a provare che entrambe non corrispondono affatto al loro Selbstporträt. Se oltre a questi dati di fatto desumibili dalla realtà che abbiamo sotto gli occhi, si prendono in considerazione le ragioni dottrinarie, per così dire, anche se l’analisi in questo caso diventa più impersonale, le condizioni al contorno cambiano ben poco.

Sin dal suo esordio sulla scena dell’Occidente, la filosofia ha mentito prima di tutto a se stessa e poi anche ai suoi fruitori o interlocutori.  Anche senza voler andare troppo lontano, basti pensare al motore immobile di Aristotele (forza motrice trascendente dei nostri cieli mondani) o <<pensiero di pensiero>> (in questa sua formula essoterica lo Stagirita ci rivela l’effettivo status del suo ordine sovrano) oppure al mito della caverna e al Mondo delle Idee di Platone, il quale non poteva non sapere che questo suo cielo intellettuale era una creatura del suo pensiero (e anche se non lo sapeva mentiva ugualmente a se stesso e a tutti gli altri). Ammesso e non concesso che i classici dell’epoca fossero uomini migliori degli altri, del che è lecito dubitarne, fosse anche solo per un elementare principio intellettuale di precauzione (vedi ad esempio il programma di eugenetica di Platone nella sua Repubblica e il suo appello al segreto per poterlo gestire nella migliore maniera possibile all’insaputa dei dominati!).

Del resto, se persino la scienza, il regno della conoscenza oggettiva e impersonale per eccellenza dell’orbe terracqueo ha a suo fondamento e consta di un intero set di assunzioni della mente e di creature apocrife della nostra testa fatte di materia onirica, si potrà mai sostenere poi che esiste qualcosa come un presunto materialismo ontologico oppure un altrettanto immaginario realismo fisico? Se la mente è quello che il cervello fa, del pari la realtà – il mondo esterno, l’universo, il cielo stellato sopra di noi e la legge morale dentro di noi, gli infiniti e innumerevoli mondi di Bruno, la materia vivente e inorganica, la Natura in tutta la sua maestosa vastità – è precisamente ciò che emerge dai processi cognitivi innescati e attivati da quella macchina biologica che noi siamo.

Non solo l’uomo è quello che pensa (anche quando assume date condotte e prende delle decisioni tangibili), ma il suo pensiero è l’unica cosa che c’è (Maturana, Edelman, Tononi, Shakespeare, Machado, e in definitiva tutti quanti). Nondimeno, come si è visto in precedenza, è anche possibile andar oltre questa prima constatazione e statuire che l’intero macrocosmo e la sconfinata sfera della conoscenza umana, e noi che ne siamo la personificazione vivente che la secerne, non è altro che l’incarnazione dello stesso Universo, la soggettivazione intelligente e senziente dell’intero cosmo. Da questo punto di vista, la natura diventa un organismo mediante noi e quindi si umanizza. Nostro tramite comprende se stessa e noi ne siamo lo specchio cognitivo, l’intelletto cosciente che mentre ne descrive le grandi leggi parla al proprio alter ego e gli permette di capirsi. D’altro canto, tramite la materia vivente di cui consta l’uomo diventa un ente oggettivo e assume lo status di seconda natura, divenendo esso stesso il mondo fisico da cui è nato. È questo stesso universo sotto forma di creatura razionale in grado di ragionare e di costruire nuove galassie e costellazioni di galassie la cui stoffa consta comunque di pensiero.

Quando si dice dunque che la mente crea la propria realtà, bisogna intendere questo enunciato nel suo duplice sofisticato significato, altrimenti si cade nei più insolubili rompicapo e in stereotipi banali, muti e fuorvianti insieme dal punto di vista della spiegazione delle cose. In sintesi, la nostra mente è l’universo e l’universo è la nostra mente. Le due cose in una. Metafora sublime del passaggio dell’identità dei due domini nella loro unità, e viceversa. Ognuno contiene al proprio interno il proprio opposto. Ciascuno è se stesso e allo stesso tempo il suo contrario. Se dico identità e pari natura, dico distinzione. Se dico differenziazione, dico perfetta uguaglianza. Entrambe le cose al contempo e d’un colpo solo.

Queste considerazioni finali, per quanto provvisorie, ci mettono ora in grado di tener conto delle sue tre altre impressioni da lei esplicitate, Dell’Ombra, nella sua prima domanda. Erano già legittime e pertinenti all’inizio, ma ora forse le possiamo osservare sotto una luce diversa. Per comodità le distinguo in questa tripletta:

A)  alla lettura di testi come Le relazioni virtuose, Il pensiero ermafroditad ella scienza e Colonialismo cognitivo, <<il primo aspetto riguarda la sensazione di entrare in un circolo epistemico dal quale riesce difficile uscire>>;

B)   inoltre, se le analisi dei suddetti volumi sono vere o descrivono stati di cose reali, <<ogni conoscenza scientifica e financo filosofica, nessuna esclusa, essendo “preformata dal capitale”, risulta necessariamente falsa e inattendibile>>;

C)  infine, se si tiene conto di tutto ciò <<appare arduo ogni tentativo di risalire la corrente e, uscendo dal circolo vizioso, tuffarsi nella “realtà”>>.

In merito alla prima questione, quello che dal mio punto di vista posso dire, tenendo conto anche in questo caso della documentazione disponibile, è che non esiste alcun fuori. Sin dalla nostra nascita, siamo dentro il mondo della mente e vi restiamo fino alla nostra dipartita. Anche scavalcando mille steccati (fatti apposta, del resto, soltanto per essere saltati, nota von Hardenberg), che inevitabilmente delimiteranno solo confini interni. Le metafore “entrare dentro” e “uscire fuori” hanno senso a mio avviso solo nell’ambito del realismo fisico e del materialismo ontologico classici. È qui che un mondo esterno indipendente traccia dei limiti rispetto al soggetto. Nondimeno, se questa rappresentazione non ha alcun riscontro né prove a favore, possiamo ben credere che sia falsa. Questa constatazione, tra l’altro, è convalidata ora anche dalla comprensione delle dirimenti ragioni (per loro!) che hanno spinto quelle scuole a postularne l’esistenza.

Al colmo del paradosso, poi, è la stessa argomentazione della scienza che confuta quel presupposto. Vi insisto, a dispetto di quanto già documentato, giusto per dissipare ogni dubbio in merito. Vorrei provare a farlo usando una fitta ed incalzante serie di enunciati di Gregory Bateson  (a suo tempo uno dei pensatori più illustri del mondo accademico occidentale ed esponente di punta dell’allora emergente “cultura della complessità” in seno alla comunità scientifica). I seguenti in particolare:

►<<l’epistemologia è una metascienza indivisibile e integrata il cui oggetto è il mondo del pensiero: la scienza della mente nel senso più ampio del termine>>,

►<<Viviamo, com’è inevitabile per tutti gli esseri umani, in una rete estremamente complessa di presupposti che si sostengono a vicenda>>.

►<<L’individuo pensante [vive] in un universo astratto e, a mio parere, tautologico>>.

►<<Il mondo in parte diviene – viene ad essere – come è immaginato>>.

►Ergo: <<Le idee sono ciò che noi possiamo conoscere, e al di fuori di esse non possiamo conoscere nulla>>.

►Per questa ragione: <<Gli oggetti sono mie creazioni e l’esperienza che ho di essi è soggettiva, non oggettiva.

La nostra civiltà è profondamente basata sulla illusione che i dati sensoriali o le immagini visive [siano caratteristiche] del mondo esterno>>.

►Oltretutto: <<La mente è vuota; essa è niente, un non ente. Esiste solo nelle sue idee, che sono anch’esse non-enti. Solo le idee sono immanenti, incarnate nei loro esempi, e gli esempi a loro volta sono non-enti>>.

         È letteralmente impossibile non prendere sul serio l’interpretazione di Bateson, visto che essa è una epitome della scienza contemporanea. Ricalca, in altri termini, le opinioni della fisica. Infatti una teoria scientifica, oltre ad essere <<un modello dell’universo>>, come ci fa sapere Stephen Hawking, <<esiste sono nella nostra mente e non ha alcun’altra realtà>>. Si noti bene: <<qualsiasi cosa questa affermazione possa significare>>.

Se inoltre prendiamo atto, anche con Wittgenstein, del fatto che le tautologie sono la logica del mondo, questa semplice constatazione, insieme alle altre due, riduce in cenere tutti e tre i principi fondamentali del pensiero razionale delle società occidentali: il principio d’identità, il principio del terzo escluso e infine – vale a dire, sopraatutto – il principio di non contraddizione. Questi tre capisaldi del retto ragionare, infatti, presuppongono la loro essenziale distinzione di specie dai circoli viziosi dell’argomentazione incoerente e presumono di rappresentarne l’antitesi. La cultura occidentale, sulla scia di Aristotele, li ha sempre definiti addirittura <<le leggi del pensiero>> a cui ogni dimostrazione doveva conformarsi, pena il suo nonsenso e la sua irricevibilità. La spiegazione attraverso quei tre criteri, insomma, postula l’esistenza delle tautologie come impasse e anticamera, da evitare come la peste, della banalità semantica. Ma se tutto è tautologia, status e funzioni di quei tre principi vengono meno e spariscono nel nulla. È la fine dell’intero e celebrato logos dell’Occidente, lo sprofondare in un abisso senza fine e il dissolversi in questa caduta nel vuoto della sua tanto decantata natura geometrica! Per questa ragione concetti dirompenti come quelli in causa dovevano essere maneggiati con cura e incorporati nella logica versatile (Love), così come si miscela la nitroglicerina con sostanze stabilizzanti per evitare ogni detonazione indesiderata. La Love è la sabbia di diatomee del pensiero onirico!

Ovviamente, lo spinto platonismo scientifico di Bateson, come ormai ci è noto, è il solvente intellettuale che avrebbe voluto cancellare per sempre le origini del pensiero scientifico dalla società del capitale. Nondimeno, a modo suo, come tante altre tendenze invero della scienza, rappresenta anche una confutazione radicale degli stereotipi odierni. A modo loro, anche gli argomenti del biologo statunitense sono un’altra esemplare incarnazione di quei <<tenui ed eterni interstizi di assurdo>> borgesiani che ci rivelano la falsa natura in questo caso della sua architettura e della logica che l’ha disegnata. Proprio per questo Bateson ci permette di passare alla seconda questione, credo, con una migliore cognizione di causa.

Lungi dal confinarci in un angolo, la scoperta del fatto che tutto, nell’orizzonte contemporaneo, <<risulta essere falso e inattendibile>> rappresenta invece la chiave di volta di una differente interpretazione del mondo. Invece di chiuderci in faccia tutte le porte, al contrario ci obbliga a spalancarne di nuove e quindi a percorrere altre vie del pensiero, mai calcate in precedenza. Per forza di cose, se abbiamo appreso che tutte le precedenti c’infilavano in tunnel senza fine e senza alcuna via d’uscita. Nella misura in cui voltiamo le spalle a quel mondo artefatto, volgiamo il nostro sguardo verso il nuovo e l’innovazione originale. E dobbiamo fare così. Necessariamente, per le ragioni suddette.

Oltre a mettere sotto i nostri occhi la natura dell’inganno perpetrato a nostri danni, quella constatazione insomma ci impone anche di sperimentare alternative concettuali diverse, ci obbliga a far nascere, come aveva intuito Musil, nuovi fiori del pensiero, per definizione distinti da tutti i cliché precedenti. Da questo punto di vista, la nostra apparente impasse promette di essere prima o poi (speriamo quanto prima) il canto del cigno della vecchia cultura. Se si vuole, siamo pressappoco nelle stesse condizioni degli umanisti di Borges, <<i veri intellettuali>> di questo mondo a suo avviso. Se per questi ultimi è la realtà ad essere <<sempre anacronistica>> a raffronto dell’eternità, per noi outo surannée sono piuttosto tutti i barocchi attributi del presente universo del sapere, la fonte prima del nostro pensiero pregresso. Da un altro punto di vista, del resto, si potrebbe anche dire – ancora con Novalis: <<più nomi sono sempre vantaggiosi per una nuova idea>> – che siamo noi a dover essere anacronistici – non convenzionali e dunque potenzialmente estranei – nei confronti di una potente macchina dell’ideologia che vorrebbe plasmarci a sua immagine e somiglianza. Per questo dirimente motivo dobbiamo disfarne gli stereotipi, fare piazza pulita delle loro macerie e provare a far emergere una diversa forma di conoscenza. Per quanto questo sia possibile, ovviamente, per degli individui confrontati con una intera civiltà.

Muniti di questa consapevolezza, e in parte anche di un dato set di nuovi concetti, giusto per ripartire perlomeno da tre e non da zero, come diceva Troisi, si può forse ora guardare in maniera differente alla sua ultima perplessità. Se infatti non esiste nessuna “realtà” fisica in senso tradizionale, vale a dire nel significato altamente doppio e ambiguo dell’oggetto coniato dalla scienza, possiamo allora fare economia di ogni presunta immersione nelle sue acque. Non c’è nessuna acqua che aspetti il suo tuffista. Avrebbe senso tuffarsi in una piscina vuota? Se la metafora in causa ha un suo certo charme per il realismo ordinario del senso comune (ed è questa forse la sua forza), non dovrebbe più averne per chi ne ha scoperto l’inganno. In tali questioni, conviene sempre tenere bene a mente Novalis: <<il realista è quell’idealista che non sa nulla di se stesso>>.

D’altro canto, a maggior ragione il divieto in causa vale anche per la cosiddetta “realtà” sociale, per la storia fatta emergere dagli individui attraverso i loro disegni e i loro contegni. In primo luogo, in questo dominio d’esistenza tutto è stato intimamente preformato dalle sofisticate mediazioni del capitale e il suolo che calchiamo vivendo al suo interno non può certamente essere considerato un presupposto, magari materiale, dei nostri passi. Questo, stante la sua natura derivata, è impossibile. In secondo luogo, poi, in questa sfera di realtà indotta e di secondo livello rispetto alla sua fonte, i soggetti dominanti, servendosi di una quantità di grandi mezzi, fanno nascere ulteriori mondi fittizi nei quali far vivere tendenzialmente per sempre le moltitudini sociali. Le agenzie di intelligence, in questo contesto, hanno sempre svolto una funzione cruciale nell’assicurare la stabilità dell’ordine costituito e dunque la struttura del sistema, come ci hanno spiegato i loro storici (si vedano solo a titolo d’esempio ServizisegretiinRomaantica e l’ampio studio in più volumi di Pietro De Francisci, Arcana imperii). Affiancati oggi dai MeMe sono divenuti pressoché una potenza.

Probabilmente, una vera “riforma dell’intelletto” in senso anacronistico, sarà obbligata a passare anche attraverso l’archiviazione definitiva nel museo del nostro passato remoto anche di tutte le allegorie, linguistiche e intellettuali, con le quali il nostro pensiero è stato modellato a suo tempo e per così lungo tempo dal capitale. Anche per questo è importante forgiarsi un nuovo lessico della mente che sia in grado tanto di additare gli inganni insiti nella vecchia cultura, quanto di distinguersi dai suoi stereotipi, quanto infine di sviluppare differenti interpretazioni del nostro universo di vita. Prima lo facciamo, meglio è.



DD
: La sua risposta è certo esauriente, tuttavia da parte mia mantengo delle riserve su alcuni aspetti di quanto detto. Torniamo però al discorso “politico”: più precisamente, come interpreta Lei le operazioni geopolitiche dell’Occidente degli ultimi dieci anni (anche a partire da quello che ha già scritto in diversi articoli, da me segnalati qui su
Sitosophia, apparsi sul sito Faremondo, di cui è attivo collaboratore, e su Sinistrainrete)? E cosa è cambiato, se qualcosa è cambiato, rispetto agli assetti geopolitici prima della Guerra Fredda? Ovvero quando, se un momento c’è stato, il rapporto tra politici e scienziati è stato di natura diversa da quella attuale?


FS
:

A mio avviso, per le molte ragioni prima spiegate, il mondo scientifico occidentale nasce in simbiosi con il mdpc e i funzionari della DAP, e persino con il personale istituzionale nel suo complesso della “politica”. Quello che nel tempo si evolve sono precisamente le forme (sempre più complesse, intime e segrete) e le dimensioni (in costante aumento tramite i grandi mezzi del potere politico: Big Science, grandi laboratori, grandi Centri di ricerca somiglianti a vere e proprie fabbriche del sapere, gestione delle risorse e dei progetti tramite management, ecc.) di questa simbiosi.
L’Ottocento e il Novecento ci hanno offerto numerosi esempi di questa alleanza permanente tra i due domini. E d’altra parte, il mdpc non sarebbe probabilmente mai nato senza il ruolo della scienza, sin dai suoi esordi, nell’organizzazione delle attività industriali.

Il processo in questione si sviluppa insieme del resto ad una crescita esponenziale della produzione manifatturiera in direzione della industria degli armamenti che negli USA ha dimensioni colossali, probabilmente perché è un settore in cui il mercato e il consumo degli articoli vengono creati dalle stesse imprese produttrici e questi ultimi, insieme al portafoglio, ovvero bilancio dello Stato, che fornisce i mezzi finanziari indispensabili all’operazione, hanno dimensioni virtualmente planetarie e in continua espansione: mille basi USA in giro per il pianeta,  ben 6 Stratcom che abbracciano l’intero globo, lo standing army o esercito come maggior consumatore di petrolio del mondo, ecc. Ho documentato questi fatti, con l’ausilio anche di qualche carta topografica, nel mio Il pensieroermafroditadella scienza.

Tutto ciò è del resto funzionale anche allo sviluppo crescente delle megabanche (MeBa) e dell’imperialismo militarmente aggressivo che contraddistingue l’attuale condotta delle amministrazioni USA, che debbono comunque implementare delle decisioni funzionali agli interessi del capitale interno (della testa nazionale e del corpo internazionale, della mente locale e dell’organismo globale, un moderno Mazzarò con le membra adagiate su tutta la terra e sprofondate nel suo seno come nella novella di Verga). Da questo punto di vista, il 911 doveva essere realizzato e la Costituzione ridotta a carta straccia: il crimine doveva essere commesso, perché i dominanti ragionano come la Mother dell’astronave Nostromo nel famoso film Alien, non a caso programmata dall’Azienda: in caso di necessità, l’equipaggio è spendibile e può essere sacrificato ai superiori interessi dell’impresa. Punto e basta. Vale la pena rischiare la forca, con tutte le dovute precauzioni del caso del resto, se l’impunità è pressoché garantita e il profitto raggiunge il 300%!



DD: Come definirebbe Lei i media?


FS:

Penso che la definizione più corretta oggi sia MeMe. Questa infatti tiene conto perlomeno di due novità. Per un verso, delle colossali trasformazioni di scala che hanno segnato la loro evoluzione in particolare nel Novecento, parallela si noti la cosa alla trasformazione della vecchia azienda in GiantCorporation di tipo monopolistico (scomparsa del vecchio imprenditore, del cd capitano d’industria, ed emergere delle società per azioni, degli staff manageriali, ecc.). Per l’altro verso, delle nuove funzioni che tali MeMe hanno assunto nel corso del mutamento, proprio come nel caso della metamorfosi di una specie vivente, assunzione del resto resa più facile dalla contestuale scomparsa di ogni fonte alternativa d’informazione (anche se un ruolo simile lo avevano con la warpropagandagià nei primi anni del secolo scorso, perlomeno all’interno dei singoli paesi: GB, Francia e Germania sono esemplari a questo proposito). Tutto ciò ha determinato ovviamente un profondo cambiamento del concetto di egemonia. Diciamo che i nuovi apparati della propaganda di sistema, con il loro monopolio della informazione, ne hanno definitivamente preso il posto modificando in profondità i suoi connotati e sostituendoli con nuovi significati.

L’ultimo scatto in avanti è oggi rappresentato dall’uso diretto dei MeMe in funzione bellica, per suscitare e creare tutte le condizioni al contorno necessarie per un’aggressione militare contro paesi sovrani. Basti qui ricordare il ruolo dei Network e della presse nelle recente aggressione internazionale contro la Libia. I funzionari dei MeMe (i famosi giornalisti!) devono essere ritenuti responsabili dei crimini di guerra commessi dalla potenze occidentali contro la popolazione civile e noi di tutte le nazioni aggredite. Punto e basta. D’altro canto, non bisogna dimenticare il ruolo avuto dai Meme nel terrorismo di Stato del dopoguerra e in Italia in particolare durante gli anni di piombo (per noi, non per loro): c’è stato e c’è un terrorismo armato anche contro la popolazione civile dell’Occidente culminato da noi con l’affaire Moro, un caso da manuale dei SeSe!



DD
: Qual è il confine tra una severa critica del sistema capitalistico e la visione ‘cospirazionista’ del mondo? Lei attribuirebbe al Suo modo di intendere la storia della cultura occidentale questa espressione? Che rapporto c’è tra ‘dietrologia’ e ‘cospirazionismo’? Come intende queste espressioni?


FS
:

Benché siano esistite ben prima del mdpc, le macchinazioni del potere assumono nel dominio del capitale tanto un nuovo, dirimente significato, quanto vengono chiamate a svolgere nuove funzioni con ben altri mezzi tra l’altro rispetto al passato, quanto infine hanno luogo in quel livello di realtà della società che per comodità definirei ancora sovrastrutturale. Viste da questa angolazione, le cospirazioni sono un sofisticato strumento di azione delle classi al potere, sono il braccio politico forse più importante, in quanto coperto dal segreto e quindi ignoto ai più (sottostante alle istituzioni ufficiali e quindi invisibile), delle loro decisioni. In questo senso, hanno ben poco a che fare, oggi, con le congiure di individui, sette, gruppi, ecc. del passato. Al contrario. Se prima la guerra proseguiva con altri mezzi la  DAP, oggi la macchinazione è divenuta una forma professionale, altrettanto letale, di quest’ultima e un ingrediente indispensabile del suo esercizio, come sanno bene gli addetti ai lavori.

Seguendo la spiegazione di Michael Parenti, prendiamo atto allora di un fatto: <<lecospirazioni daparte delleagenzie nazionalidi sicurezzasono componentidella nostrastruttura politica,non deviazionidalla norma>>. Accertato questo, vi è anche da constatare che sono attualmente almeno cinque (dicesi 5) i volti funzionali della cospirazione ufficiale (militare, politico-economica e finanziaria) che sono ormai di dominio pubblico, ognuna del resto articolata al proprio interno e con specifici modus operandi (ad es. le BR in Italia). Essenziali si sono rivelati qui, di nuovo, MeMe e i SeSe o intelligence o arcanaimperii ancora. Questo è il loro profilo:

A)  contro ogni eventuale nemico esterno (definito in genere prima opportunamente rogueState, outlawcountry, ecc.: eg Libia, l’ultimo infelice paese della serie) o presunto tale (l’URSS prima la Russia poi, oggi i paesi Bric, ieri l’Iran ecc.);

B)   contro gli amici interni ad una coalizione come quella Atlantica ad es.: Francia e Germania contro gli interessi dell’Italia oppure Gran Bretagna e USA contro gli altri paesi europei alleati;

C) contro la popolazione civile di una singola nazione o di più nazioni tramite il terrorismo di Stato mediato dai gruppi eversivi e dai SeSe: si veda ad es. la monografia di Ganser: Natossecretstay-behindarmies in Europa;

D) contro un dato partito di opposizione mediante agenti esterni e interni allo stesso organismo (eg il Pci in Italia minato dal di dentro e dal di fuori ad opera di agenti dei SeSe) oppure l’eliminazione fisica dei suoi vertici e dei suoi militanti mediante appositi colpi di stato, azioni cruente, interposto fiduciario locale come Israele ad es. (vedi anche il Cile, Cuba, l’America latina nel suo complesso, l’Africa ecc.);

E)  persino contro un dato partito al potere tramite la fronda interna, l’appoggio a date frazioni contro altre e anche l’eliminazione fisica di dirigenti sgraditi: eg eminente Moro da noi oppure ben prima ancora Kennedy negli USA.

Si tratta di un altro salto d’epoca spiegato bene da Rove e Blankfein, due funzionari di rango attualmente del mdpc: prevedere il futuro, renderlo oggi in un “qui ed ora” programmabile e pianificabile in anticipo, in modo da poter predire i possibili esiti dei disegni e lavorare con migliore razionalità alla loro realizzazione. Insomma, le condizioni al contorno più favorevoli debbono essere create in precedenza dagli attori del gioco e non attese né tanto meno subite né ancor meno usate a posteriori da questi ultimi.

Da tale punto di vista, come ho documentato nel mio Il portodellenebbie, lo stesso temine “dietrologia” è stato appositamente fabbricato dai MeMe nel nostro paese proprio al fine di poter bollare come insane le spiegazioni alternative a quella ufficiale del rapimento Moro! Esattamente come la clinica diagnosi di <<paranoia>>, partita originariamente dagli USA, è stata in seguito – sulla scia di cotanta fonte – usata come deterrente da tutto l’Occidente e da tutte le sue tendenze e scuole ideologiche (marxisti inclusi, ed anzi in testa al coro) per screditare e marginalizzare il “movimento per la verità” nato dopo il 911.

Oltretutto, gli arcana imperii, mediante i MeMe e i loro zelanti subalterni a contratto, hanno tentato di capovolgere ulteriormente le cose almeno in tre modi consecutivi: sia cancellando dalla scena il ruolo dei SeSe e relegandoli nel cono d’ombra più scuro della notte, sia presentando le istituzioni ufficiali visibili come i soli luoghi della società in cui la storia nasce e gli eventi prendono forma, sia liquidando il potere invisibile di rango superiore che sovrintende al funzionamento della macchina statale e alle condotte dei suoi agenti, dettando a questi ultimi la loro agenda politica.

Da questo punto di vista, le macchinazioni ad opera della DAP rappresentano un arsenale altrettanto potente di quello militare. Non solo fabbricano i mezzi del proprio successo e dunque per la riuscita dei loro disegni a nostro danno, non solo tramite i MeMe si creano da sole il consenso preventivo delle masse, la loro opposizione fittizia e il loro dissenso fabbricato, ma contemporaneamente sono capaci anche di additare come psicotici, e dunque da sottoporre a trattamento farmacologico coatto in appositi centri di cura (come negli Stati Uniti ha esplicitamente proposto a suo tempo Christopher Farrell, ex ufficiale dei servizi militari di intelligence USA), tutti coloro che eventualmente fossero riusciti a scoprirne le imprese criminali.

In questa logica infernale, in pratica le vittime che denunciano all’opinione pubblica il delitto di cui sono state oggetto dovrebbero scontare una pena per aver osato farlo! E tutto questo in via preventiva, prima ancora che si arrivi ad un qualche verdetto, che così viene persino pronunciato addirittura in anticipo rispetto alla corte che dovrebbe istruire l’eventuale processo (che stando le cose come stanno non avrà mai luogo). Chi ha detto che al potere manca la fantasia?



DD
: Oltre che parlarne, qual è il modo migliore, secondo Lei, per ‘superare’ questo sistema o per conviverci?


FS
:

Penso che nel ponderare le nostre possibili alternative si debba tener conto anche qui di una circostanza dirimente. Tutti coloro che avrebbero voluto trasformare la società del capitale a partire da alcuni presupposti derivati da una certa interpretazione di Marx, sono andati incontro al fallimento della loro impresa, certo titanica al suo debutto. Il grande pensiero marxista del Novecento, quello che ha nutrito la concezione di Lenin, della III internazionale e del gruppo dirigente cinese, Mao in testa, ha dimostrato tutti i suoi limiti. Se l’esperienza storica insegna ancora qualcosa, essa ha confutato drasticamente quella tradizione del passato. Tutto il suo folto armamentario concettuale – forze produttive, rapporti di potere, sviluppo oggettivo in direzione del socialismo, crollo necessario del capitalismo, scienza come conoscenza neutrale della natura, ecc. – si è rivelato del tutto fuorviante e ha scritto, invece del futuro, il suo stesso tramonto. Questo è un fatto.

Ben diversamente stanno le cose nel caso dei partiti comunisti dell’Occidente che son fioriti nell’epoca dell’URSS e son sopravvissuti fino alla sua dissoluzione. Questi, infatti, han finito col diventare complici della logica del mdpc e dei giochi di potere interni all’establishment del tempo, spesso, ma non sempre, senza saperlo. Il che nei due casi spalma solo sale sulla ferita. Se infatti erano consapevoli dell’alleanza, si sono rivelati soltanto delle canaglie conniventi coi dominanti,e a maggior ragione avrebbero dovuto essere spazzati via. Viceversa, se non lo erano si sono dimostrati essere solo degli “utili idioti” al servizio di altri padroni (riuscendo a capovolgere così, ironia della storia, il significato originariamente coniato dall’Occidente per quella etichetta). Scelga chi può tra le due alternative.

Se si tengono presenti alla mente questi approdi complementari della storia del Novecento, bisogna allora dire che tuttoapattochenonabbianienteincomuneconesse – è meglio delle vecchie ideologie e delle vecchie impostazioni politiche, storiografiche, prasseologiche, l’appello al “concreto”, ecc. ecc. del nostro passato remoto. Tutta questa cultura è ormai desueta e fuori gioco rispetto alla natura odierna del mdpc. Le sue spoglie, al massimo, possono ancora tornare utili come cartina di tornasole, per sapere che cosa non dover fare e come non dover pensare quando si ragiona intorno al capitale e alle sue società. Ogni volta che una nostra idea collide con una creatura concettuale qualsiasi di quella numerosa famiglia (la volontà di dominio, le decisioni del potere, l’appello al popolo, la democrazia, ecc.), si può esser certi che siamo sulla strada giusta. Invece di fare la fine, per l’ennesima volta, dei personaggi di Ceravamotantoamati – <<Volevamo cambiare il mondo e il mondo ha cambiato noi>> –, sembra davvero più saggio cambiare rotta e sperimentare nuove vie per le Indie. Come diceva von Schiller? <<Cercate lungo sentieri diversi, perché è così che la verità viene alla luce>>.

Come si è visto, a differenza di quanto ancora oggi si pensa, già fare ricerca e sviluppare analisi alternative del mondo in cui viviamo significa modificare in qualche modo la cornice del quadro e far emergere una ben diversa “realtà”. Somiglia molto all’invenzione di un nuovo linguaggio. Significa alterare a nostro vantaggio gli equilibri interni delle ideologie che proteggono il sistema (e quasi sempre sonoil sistema). La scommessa è poter diventare una sorta di granello nell’ingranaggio, un virus nel software, un insignificante verme nella gigantesca mela. Purtroppo, come ci è stato fatto notare da Thom, aver ragione troppo presto, molto spesso significa aver torto nell’immediato. Le forze, poi, sono quello che sono.

Il nemico, diceva Brecht, ci sta innanzi più potente che mai, mentre noi siamo sempre meno. Molte delle nostre parole sono state stravolte fino a divenire irriconoscibili. Le nostre condizioni sono diventate insostenibili:

Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto?

Qualcosa o tutto?

Su chi contiamo ancora?

Siamo dei sopravvissuti, respinti dalla corrente?

Resteremo indietro, senza comprendere più nessuno e da nessuno compresi?

O contare sulla buona sorte?

Questo chiediamo.

Nonaspettiamoci nessunarisposta oltrela nostra.

Se compito dell’arspoetica, come diceva Novalis, è quello di rappresentarci l’irrappresentabile e di dirci l’indicibile, allora Brecht è per noi, penso, un buon viatico su questa strada. Dobbiamo solo, penso, prendere il coraggio a due mani e avventurarci per vie che probabilmente cresceranno unicamente sotto i nostri piedi via via che le calchiamo. Sta soltanto a noi scegliere di farlo.

È con questo scopo in mente, tra l’altro, che con Emanuele Montagna, Roberto Di Marco ed altre persone interessate al progetto abbiamo deciso di dar vita, a Bologna, al Centro studi “Juan de Mairena”. Si tratta di un’impresa tutta a nostro rischio e pericolo. Nasce senza sponsor di nessun tipo, ovviamente, e si basa esclusivamente sul lavoro e la dedizione dei singoli che ne fanno parte. Suo unico interesse è provare a far nascere, per le nuove generazioni, una diversa forma di pensiero, un nuovo modo di ragionare e di guardare con altri occhi al mondo che ci circonda.

Si tratta, se si vuole, di un’opera da coltivatori della mente, sulla scia di certi processi che avvengono nel regno vivente, in specie con le angiosperme e le gimnosperme. Vorremmo infatti provare a mettere a dimora alcuni semi di conoscenza in grado magari un domani non troppo lontano di germogliare più rigogliosi di quanto oggi le condizioni attuali non lo consentano. Non siamo certo in grado di potere vedere, come avrebbe voluto Macbeth, intotheseedoftime. Un compito davvero troppo gravoso per noi. Non avremmo avuto comunque lephysiquedurole intellettuale.  Molto meglio accontentarsi di poter seminare in società alcuni seedofanewmind, se possibile. Un cimento decisamente più alla nostra portata e in grado di suscitare, così speriamo almeno, la partecipazione anche di altri soggetti con convinzioni simili alle nostre. Questa è la posta in gioco.


* Il testo che segue è la versione integrale dell’intervista a Franco Soldani realizzata da Davide Dell’Ombra e da questi pubblicata quasi integralmente sulla sua pagina web Sitosophia. Senza peli sulla lingua e chiamando le cose col loro nome, Franco Soldani smaschera una serie di stereotipi che ancora oggi continuano a secernere guasti a nostro danno. Marx e la scienza, la teologia e la scienza, gli inganni del potere e gli eventi dell’11 settembre 2001, le nuove funzioni del Megamedia e dell’elite accademica occidentale, filosofia e conoscenza, insieme ad una differente interpretazione del rapporto uomo-natura, sono solo alcuni degli argomenti affrontati dai i due studiosi nel corso della discussione.

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Nota biografica
Franco Soldani vive a Forlì. Il suo lavoro tende a rileggere la società del capitale tramite una diversa interpretazione della scienza e il pensiero scientifico mediante una nuova analisi del modo di produzione capitalistico. Insieme a Emanuele Montagna e Roberto Di Marco nel 2006 ha organizzato a Bologna la prima conferenza internazionale sull’11 settembre. Tutti e tre hanno dato vita al sito Faremondo. Recentemente hanno fondato sempre a Bologna il Centro studi “Juan de Mairena”.
Piccola bibliografia più recente
11 Settembre e <<full spectrum dominance>>. Potere e conoscenza nell’epoca del neoimperialismo (saggio 2006)
Gli inganni della propaganda intellettuale moderna (saggio 2010)
Orwell reloaded (saggio 2011)
Le lezioni del capitale (saggio 2011)

Monografie
R. Di Marco, E. Montagna, F. Soldani, Scrivere il domani. Logica del capitale, intelletto scientifico e riproduzione di società, Pendragon, Bologna, 2003.
F. Soldani, Le relazioni virtuose. L’epistemologia scientifica contemporanea e la logica del capitale, 2 voll., Uniservice, Trento, 2007.
Id., Il porto delle nebbie. 11 settembre 2001: perché gli ideologi “di sinistra” e i marxisti di tutte le latitudini condividono la storia ufficiale, Faremondo, Bologna, 2008.
Id., Il pensiero ermafrodita della scienza. La rivoluzione cognitiva prossima ventura, Faremondo, Bologna, 2009.
Id., Colonialismo cognitivo. Come e perché tutto quello che pensiamo e che non possiamo pensare è preformato dal capitale, dalla scienza e dalla teologia (perfino quando siamo convinti di ragionare con mente indipendente da tutti e tre), Faremondo, Bologna, 2011.
Chiunque fosse intenzionato a leggere uno qualsiasi di questi materiali, può richiederlo direttamente all’autore. Lo si può contattare qui: This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.

 

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