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A che punto è la notte?

Marx come bussola nel caos capitalistico

Claudio Valerio Vettraino

Il problema drammatico del marxismo degli ultimi trent’anni riguarda il fatto che il marxismo è stato sempre più considerato come un semplice punto di vista, un’ideale, o peggio un’idea, una Welthanschauung soggettiva, un’etica sociale personale avulsa dalla storia e delle necessità della trasformazione pratica, un’opinione tra le altre mille che affollano, anzi affossano, il dibattito pubblico; una pia volontà di cambiamento, di benessere auspicabile per tutta l’umanità, fumosa nostalgia di un glorioso passato di lotta.

In questo modo, venendo meno la sistematicità scientifica del marxismo come modello, “cassetta degli attrezzi”, universo complesso e contraddittorio di categorie e linguaggio, di epistemologia ed ermeneutica applicata alla realtà concreta, di grammatica strategica delle forze in campo, della lotta tra le classi, analisi critica delle leggi di funzionamento della formazione economico-sociale capitalistica, riducendosi cioè a mera opinione, a mera volontà, a intelletto senza azione, concetto senza strategia, interpretazione senza organizzazione, esso può essere dichiarato – idealisticamente, senza un’attenta e concreta dimostrazione scientifica – morto e sepolto da chiunque abbia l’interesse a insudiciare e demolire una storia, una tradizione, le conquiste sociali, politiche ed economiche che il marxismo ha permesso.

Se il marxismo dunque viene fruito e rappresentato come un’idea tra idee, opinione tra opinioni, pura e semplice gnoseologia astratta, accademico-letteraria, pedante filologia, è già morto.

Se viceversa, viene interpretato, giustamente, come sistema (sempre aperto e critico di se stesso) scientifico in quanto produttore di senso e sapere, unità dialettica di contraddizione e non-contraddizione, di verifica sperimentale dell’ipotesi astratta di lavoro (come direbbe Della Volpe) e fluida criticità dialettica, allora e solo allora potrà difendersi dalle triviali opinioni nichilistiche e pessimistiche dei teorici borghesi e della pigra, miope accademia. Dobbiamo riconsiderare il marxismo come scienza critica dell’esistente, lontano anni luce da qualsiasi forma di dogmatismo althusseriano e di scientismo positivista. Il marxismo ha una superiorità intellettuale, scientifica, teorica indiscutibile, una superiorità però che deve sapersi realizzare come concreta alternativa politica, concreto progetto di trasformazione.

Il problema dell’attualità del marxismo si delinea su un doppio binario: il primo è quello comunicativo, della capacità di ricreare un linguaggio e una grammatica aderente alla fase storica attuale: quella famosa “analisi concreta della situazione concreta” di cui parlava Lenin. Connesso dialetticamente a questo, vi è il problema della capacità organizzativa e politica nel costituirsi come reale alternativa di potere e d’egemonia, per dirla con Gramsci. Due questioni, intrinsecamente connesse l’una all’altra: il deficit linguistico e d’analisi scientifica del capitale finanziario globale, con la proposta alternativa di gestione sociale, economica e politica che propone. Ed è precisamente questa la sfida che il marxismo ha oggi di fronte. Quella cioè di dimostrare di essere una vera ed autentica alternativa utopica, strategico-organizzativa alla crisi radicale e sempre più strutturale del mercato mondiale, nel suo endemico sviluppo ineguale.

Se la ripresa del marxismo [1] è fin dall’inizio una stagnante ripresa nostalgica, meramente intellettuale, romantica ed accademica, è una battaglia di retroguardia persa in partenza. Se viceversa, si presenta come un’inedita attualizzazione storico-materiale delle sue necessità politiche, delle sue indiscutibili spinte rivoluzionarie, della sua visione totalizzante, nel cogliere le contraddizioni e gli sviluppi, le tendenze della nostra società, i ruoli e le funzioni che gli uomini storici hanno all’interno del suo divenire concreto, allora diventa una lotta d’avanguardia, una battaglia non solo scientifica o prettamente politica (di presa e di gestione del potere politico), ma morale, civile, potremmo dire parafrasando Agnes Heller, valoriale.

Ordinare la nostra azione speculativa e politica all’interno dell’orizzonte concreto del marxismo, non significa ossificarlo, istituzionalizzarlo come scienza panlogistica dell’esistente, una sorta di scientismo assoluto. Al contrario, tutti i nostri sforzi sono indirizzati a recuperare – per quanto possibile – tutta la sua inesauribile fluidità dialettica, le sue potenzialità dinamiche e d’analisi mai chiusa, capace di evolversi, progredire nell’autocritica in quanto riformulazione, ricostruzione, rieducazione integrale del presente, con lo sguardo rivolto alle tendenze future.

Ed è precisamente in questa direzione che diviene sempre più necessario un processo di centralizzazione della ricerca e dell’”intellettualità”marxista, per combattere la spinta (ormai in atto da tre decenni) all’isolamento e alla parcellizzazione individualista degli studiosi, di chi coglie nel pensiero e nei testi di Marx, preziose indicazioni per analizzare, sviscerare, riportare alla luce, l’intricata complessità della fase attuale.

L’obiettivo è quello di istituire una sorta di osservatorio marxista sulla realtà odierna, un centro studi perennemente attivo in grado di connettere e rafforzare, diffondere e criticare, le attuali interpretazioni del pensiero marxiano; un laboratorio aperto a tutte le tendenze e le scuole di pensiero.

E’ urgente oggi capire a che punto sia la ricerca e lo studio del marxismo, proprio in relazione all’urgenza di elaborare quella che Lenin chiamava “una scienza all’altezza dei tempi”. Parafrasando Gramsci, il nostro compito è duplice: da una parte tentare di ricostruire quell’intellettuale collettivo, una coscienza marxista comune (seppur con tante differenze e contrasti) venuto meno con la fine del partito comunista (che ha caratterizzato e forgiato non solo la cultura politica ma sociale e culturale italiana degli ultimi sessant’anni), ricostruire quella egemonia cultural-pedagogica che sembrava obsoleta ed inattuale, a partire dagli anni Ottanta, e che invece è sempre più urgente ripristinare. Dall’altra, tentare di connettere questa operazione di risanamento e di centralizzazione teorica, con le lotte economiche e politiche d’emancipazione e di difesa dei lavoratori, del movimento operaio. A mio avviso, non può esserci marxismo senza movimento operaio. Il marxismo è e deve continuare ad essere la bussola teorica dell’agire pratico, quotidiano dei lavoratori, l’unica possibilità per dargli un’autonomia intellettuale e politica, contro ogni visione interclassi sita e di collaborazione con le forze padronali e le istituzioni borghesi.

Ha perfettamente ragione Lucio Colletti, quando disse nella sua famosa Intervista politico-filosofica del 1974 [2] , che se il marxismo non fosse stato più in grado di produrre opere come Il capitale finanziario di Hilferding o L’accumulazione capitalistica di Rosa Luxemburg, si sarebbe avvitato su se stesso, schiavo della sua gnoseologia accademica e di un miope filologismo; avrebbe con ciò svenduto la sua epistemologia critica all’ermeneutica astratta e a-storica dei testi “sacri”, senza riuscire più a produrre materiali d’analisi economica e storica degni di questo nome, con un vero e concreto valore scientifico. Mai profezia fu più vera. Se il pensiero di Marx, come quello dei “maestri del socialismo”, vuole avere ancora un ruolo e una funzione storica generalizzante, di rapporto diretto e proficuo con le masse (soprattutto giovanili), deve sapersi ricostruire come scienza complessiva della società, sguardo totalizzante sul mondo (per dirla con G. Lukàcs), come ebbe a dire Asor Rosa, “punto di vista operaio sulla realtà”, centralizzazione politica di una strategia avvenire dinamica e creativa, altrimenti è vuota retorica, archiviazione nostalgica di un passato che non passa mai.


[1] Ammettendo che si possa parlare di ripresa tout court o piuttosto di una ricollocazione, ridefinizione concettuale, epistemologica alle esigenze contemporanee del movimento reale.
[2] Lucio Colletti, Intervista politica-filosofica, Laterza, Bari 1975.

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