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31 Tesi sulla Società della Miseria*

Message in a Bottle

Giuseppe sottile, Antonio pagliarone

La ricchezza della società nelle quali predomina il modo di produzione capitalistico
si presenta come una “immane raccolta di merci”.
(Karl Marx, Il Capitale)
L’intera esistenza delle società nelle quali predominano le moderne condizioni
di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di “spettacoli”.
(Guy Debord, La Società dello spettacolo)

I. Diversamente da quanto solitamente immaginato, la "politica" non ha mai avuto alcun ruolo rilevante nelle società capitalistiche, specie riguardo all’influenza da essa esercitata sulle fasi del trend economico. Essa ha goduto dei favori della crescita economica un tempo (Golden Age) come è caduta in disgrazia quando si è entrati in una fase di pronunciato declino economico.

Il tanto sbandierato "primato della politica" è stato un riflesso proprio dell’ingovernabilità dei processi economici - come la religione lo fu di quelli naturali - da quando l'economia è divenuta una dimensione sovra-determinante gli individui a tutti gli effetti, sicché quel "primato" nel contempo ha fatto da "visione del mondo" con cui gli apparati politico-istituzionali sorti col capitalismo hanno rappresentato e legittimato loro stessi, come un tempo, appunto, gli apparati religiosi.


II. A partire in specie dal secondo dopoguerra e relativamente ai Paesi industrializzati, il capitalismo ha intrapreso una notevole fase di crescita economica, caratterizzata da consistenti investimenti in capitale fisso e ampio incremento dell'occupazione in ogni settore dell'economia. La crescita dei primi si è accompagnata - come sempre nella storia di questo sistema sociale - alla crescita della seconda.

“Il mio punto di vista … concepisce lo sviluppo della formazione
economica della società come processo di storia naturale”.
(K. Marx, Il Capitale)



III. In questa fase il capitalismo in alcune aree del pianeta sembra aver portato a compimento la sua più essenziale natura, ossia trasformare la popolazione in una massa di lavoratori salariati.

Il sistema capitalistico non è altro così che il sistema del lavoro salariato; è attraverso questa forma del lavoro, infatti, che si producono beni e servizi, ossia quella parte del reddito monetario fatto di profitti e salari.

Se vogliamo, un sistema sociale si può misurare assumendo la capacità che possiede di ridurre il grado di lotta per l'esistenza tra gli uomini o meglio ancora di non incrementarlo, con il minor grado di impatto sull'ambiente naturale.


IV.   La crescita economica intrapresa nel secondo dopoguerra nel cosiddetto "primo mondo" ha avuto comunque alcune salienti conseguenze: un tasso di disoccupazione quasi irrilevante, una conseguente crescente forza rivendicativa dei salariati, ergo una riduzione del grado di concorrenza al loro interno, una crescita della componente lorda del salario e dulcis in fundo il consolidarsi del sistema del welfare state per come lo abbiamo conosciuto, sul modello pubblico europeo o prevalentemente privato degli Stati Uniti. Se si dovesse fare, come opportuno, una storia del movimento dei salariati come storia delle varie fasi e gradi di lotta di classe al loro interno più che "contro il capitale", nella storia del capitalismo il secondo dopoguerra è stato di gran lunga il periodo più favorevole a una riduzione nel grado di quella lotta.


V.   Sono queste le ragioni di fondo che hanno permesso a tutti i governi e di qualunque colore politico di porre in atto quelle riforme volte al miglioramento degli standard di vita nel capitalismo che poi politici e intellighenzia hanno propagandato come loro meriti. Si trattava di fornire di una veste legislativa e dunque “codificare” oggettive condizioni di incremento della ricchezza prodotta in forma capitalistica. Non è un caso che l'ideologia dominante del tempo fu il keynesismo, alla quale però a rigore non corrispose alcuna politica economica, poiché sino alla fine degli anni '60 non vi furono in pratica politiche economiche in deficit.


VI.
Tuttavia, il secondo dopoguerra non è stato altro che l'apice di una fase tendenzialmente espansiva del capitalismo empiricamente constatabile per tutti i secoli XVIII-XIX. Una fase di accumulazione capitalistica allargata che ha visto il valore di scambio diventare la forma generale della ricchezza ed il lavoro salariato la forma storica del processo di riproduzione della specie umana. Da ora, beni e servizi prodotti vengono identificati con la loro espressione monetaria; il valore d'uso risulta una semplice propaggine del valore di scambio con tutte le conseguenze che ciò ha sugli standard di vita e la loro “percezione sociale” per come li abbiamo conosciuti nel capitalismo. L'ideologia generale che ha accompagnato questa fase storica ("superba, sciocca" e criminale) è stata quella del "progresso" tout court.

VII. Il risvolto sociale di tutto ciò è stato correttamente definito integrazione dei salariati. D'altro canto, la “democrazia borghese” pienamente compiuta nel corso del '900 non è stata altro che la forma politica pienamente svelata di questa integrazione, costituita da un insieme di apparati che ne hanno fatto da cornice e in specie partiti, sindacati, sistemi di governo democratici, sistema dell'istruzione, struttura della previdenza, sanità ed assistenza. In sostanza e dalla sua origine, il capitalismo come compiutosi in alcune aree del pianeta ha ottenuto il massimo consenso non totalitario in "tempo di pace".

"Il vero limite della produzione capitalistica è il capitale stesso [...] la produzione è solo produzione per il capitale, e non al contrario i mezzi di produzione sono dei semplici mezzi per una continua estensione del processo vitale per la società dei produttori".
(Karl Marx, Il Capitale)

VIII. E tuttavia una serie di circostanze di natura economica manifestatesi negli anni '70, riconducibili al rallentamento della crescita per via di limiti intrinseci al processo capitalistico di produzione, invertono la fase tendenzialmente espansiva in una tendenzialmente regressiva, rilevabile osservando numerosi fondamentali indici economici quali, p.e., il saggio di accumulazione e del profitto. Col senno di poi, si constata come la "forza propulsiva" del capitalismo cessa e con essa le condizioni a cui la nostra specie si era abituata a riprodursi al suo interno in una certa area del pianeta. Questo punto di svolta superiore rappresenta anche l'incipit ad una necessità condizionata, a posteriori o relativa che dir si voglia, poiché spiega in larga parte tutto ciò che ne consegue nei decenni successivi.


IX. En passant possiamo rilevare come questa inversione di tendenza si sia per prima espressa distruttivamente negli "anelli deboli" del capitalismo (ex blocco sovietico), in quelle società cioè a proto-capitalismo di stato autodefinitesi "comuniste", poiché caratterizzate da mediocre sviluppo tecnico ed incapaci di realizzare l'integrazione dei lavoratori, per via di un welfare miserabile fondato su corruzione, nepotismo e pratiche clientelari. In effetti, il peggior incubo per le popolazioni sottoposte a quei regimi è stato nel contempo un fervido business per apparati politico-intellettuali dell'Occidente, che ivi hanno trovato un ottimo argomento per legittimare loro stessi a patto però, con buona partecipazione degli stessi, di falsificare avvenimenti storici e di presentare quei regimi come ragionevoli alternative al capitalismo. A ben vedere il marxismo e il comunismo novecenteschi sono stati una apologia e parodia tragi-comica del capitalismo.


X. Due sono i fenomeni veramente salienti di quella contrazione nella crescita economica, costellata da ben dieci, più o meno marcate, crisi economiche mondiali (contrazioni del prodotto netto): una metamorfosi in senso speculativo dell'economia capitalistica onde "ovviare" a una crisi di redditività del capitale produttivo di valore ed un graduale smantellamento del welfare state. Alcuni degli aspetti di questo processo sono state le ristrutturazioni, le privatizzazioni, l'outsourcing, il crescente incremento del debito etc. ed il resto ancora rappresenta la semplice cornice spettacolare di carattere politico-propagandistico.


XI.
Poiché il settore finanziario-speculativo ha iniziato a crescere considerevolmente al pari della "redditività nominale" degli investimenti da esso procurata, crescenti quote del reddito nazionale, a partire dagli anni '80, sono state sempre più subordinate ed utilizzate a fini speculativi. Il capitalismo ha cominciato ad assomigliare a un enorme Moloch che fagocita quote crescenti della ricchezza (monetaria e fisica) da esso prodotta mediante il lavoro salariato. Il settore della finanza speculativa infatti non solo sottrae ricchezza in forma capitalistica e non ne produce, ma a differenza di altri settori "non produttivi di valore" non svolge alcun ruolo necessario alla riproduzione del sistema capitalistico, bensì la blocca semplicemente.


XII. 
La dinamica speculativa tuttavia non va considerata affatto un "bubbone" alieno alla parte "sana" della società; al contrario essa è il percorso che il capitalismo segue (in questo ultimo trentennio in via pare definitiva) appena le condizioni di redditività degli investimenti nei settori non speculativi vengono riducendosi, come accaduto a cavallo tra gli anni ’60 e 70. Da adesso, il declino del sistema capitalistico si prefigura e svolge non tanto e non più come crisi di produzione e realizzazione di valore secondo meccanismi noti, bensì come usura “senza fine” di quanto rimasto per produrre valore a fini speculativi.


XIII.
    Sul piano del sistema sociale consegnatoci dal secondo dopoguerra assistiamo a sempre più vistose modificazioni del regime del welfare verso un suo ormai evidente smantellamento. Subentra l'era della de-integrazione dei salariati. Privatizzazioni, outsourcing, deregulation, precarizzazione, riduzione del valore del salario reale, incremento dell'orario di lavoro e della sua intensità, riduzione delle garanzie previdenziali e loro subordinazione alla dinamica speculativa, indebitamento e feroce concorrenza tra i lavoratori salariati per via dell’alta disoccupazione sono alcuni dei fenomeni conseguenti più manifesti.

La stampa quotidiana e il telegrafo, che ne dissemina le invenzioni in un attimo attraverso tutto il globo terrestre, fabbricano più miti [...] in un giorno, di quanto una volta se ne potevano costruire in un secolo.
(Marx a Kugelmann, 27 luglio 1871)



XIV. Tutto ciò ha avuto la sua propria ideologia, che ha propagandato questa fase come una "scelta" dei ceti dirigenti ed il frutto nel contempo di un nuovo paradigma economico che sarebbe scaturito dalle new technologies: il "neoliberismo postfordista". L'incremento della concorrenza tra i capitali a livello mondiale non è stato percepito come conseguenza di un declino in corso dagli anni '70 per via della redditività decrescente degli investimenti produttivi, bensì trasfigurato in veste ideologica come una nuova era di abbondanza in cui il problema è un problema di "gestione". Qui ancora una volta l'ingovernabilità di questa nuova fase ha fatto tutt'uno con la formazione di nuovi modelli sociologici e di formazioni politiche più adatte di altre a impersonare la "nuova era" del capitalismo, sino a quando tutte, all'unisono, si sono trovate a convergere verso lo stesso tipo di politiche economiche e sociali, il cosiddetto “neoliberismo”. Il "disordine" crescente si è riflesso con apparati politici in apparente competizione a cui si sono aggiunti, come sempre, quelli "a(nta)gonisti" che hanno assunto e teorizzato anch'essi l'idea di un "nuovo ordine e controllo sociali" onde competere nel teatrino della politica. Un tempo era, p.e., l'imperialismo, poi si è trattato di globalizzazione, post-fordismo, geopolitica con la solita minaccia di una guerra etc.


"Il termine “complessità”, riferito ai sistemi sociali, nasconde l’incomprensione che si ha dell'attuale periodo storico. Gli intellettuali, apologeti dello status quo, ossia del loro più o meno lauto business, sono dei maestri nel trasformare la loro colpevole ignoranza in una nuova, più profonda e illuminante comprensione dei fatti. Nelle loro menti, la decadenza penosa dell’attuale sistema sociale assume la forma d'una società più complessa. Questo è uno degli effetti del principio di relatività storico. (anonimo)



XV. In realtà, invece di questa a destra come a sinistra propagandata "modernità", il capitalismo è più prosaicamente entrato in una lunga fase di declino. Il sistema capitalistico o meglio ciò che ne resta non riesce più a riprodursi, il che significa che il regime del lavoro salariato e le strutture che ne esprimevano il consenso (partiti, sindacati e welfare anzitutto) vanno sgretolandosi. Ciò che residua è una massa di lavoratori servili, produttori di valore, nella forma di salari e profitti, costantemente risucchiato dalla finanza speculativa e dal debito che così viene a formarsi.

Ma non scoppiano forse tutte le rivolte, senza eccezione, nel disperato isolamento dell'uomo dalla comunità? Ogni rivolta non presuppone forse necessariamente questo isolamento?
(Il re di Prussia e la riforma sociale, firmato: un Prussiano, Marx, 1884)



XVI. Ciò che emerge è un regime del lavoro di tipo neoservile, tendenzialmente privo di tutele e garanzie, in cui vige una concorrenza spietata tra salariati su cui gioca il "dominio" del capitale. Ma ciò significa anche che gli apparati politico-istituzionali godono di sempre minor consenso, sono semplici appendici di un capitalismo parassitario e debbono inventarne di tutte per conservare un po' di credibilità (a principiare da guerre fasulle), nonché fungere in taluni casi da semplici contenitori del disagio sociale.


XVII.
In effetti l'Occidente capitalistico assomiglia sempre più ai Paesi dell'ex blocco sovietico e cosiddetti comunisti tutti. Così una critica radicale alla storia del capitalismo non può non passare per una critica feroce di quei regimi, in specie URSS e Cina. L'abominio sociale espresso da quei sistemi, con estesi settori di lavoro finanche schiavistico, è unico nella storia della industrializzazione capitalistica, ma anche di tutta la storia umana. Anche a quanto accaduto in quei Paesi è dovuto, probabilmente, il ritardo del processo di possibile emancipazione umana nell'Occidente capitalistico, contrariamente a quanto supposto dalle élites intellettuali interessate del passato.

Mi si indichi almeno una istituzione della nostra vita moderna, privata o pubblica, che non sia da condannare completamente, senza riserve
(Bazarov in Turgenev, Padri e figli)



XVIII. I salariati si trovano ora e si troveranno a dover fare i conti con un sistema sociale rispetto al quale non avranno più nulla da perdere. Ciò che finora è stato fonte della loro esistenza diverrà per essi una condizione insostenibile: il lavoro salariato stesso nelle forme che un capitalismo agonizzante sta consegnando loro. Una condizione storica d'esistenza sta semplicemente venendo meno e come ogni evento storico verrà sostituito da qualcos'altro, fosse anche una prolungata barbarie.

Se i democratici esigono la regolazione del debito pubblico, gli operai
devono esigere la bancarotta dello Stato
(Primo Indirizzo al Comitato della Lega dei Comunisti, Marx 1850)



XIX. Essi si trovano e troveranno tra l'incudine di un reddito alquanto precario e il martello dell'indebitamento. Di conseguenza risulterà inutile per essi rivolgersi alle autorità, ai partiti, ai sindacati. Dovranno sopprimere le strutture organizzative che fino ad ora si sono dati, in specie le variegate formazioni di sinistra che, come sempre, anche ora sono più realiste del re. Ciò che queste riescono ad esprimere oggi è al massimo l'esigenza alquanto idiota di un capitalismo senza neoliberismo, praticando infatti nel contempo draconiane politiche economiche considerate "necessarie", ossia coerenti alle compatibilità capitalistiche. C'è più vita oramai in un peto di quanta ne produca il capitalismo in qualunque anfratto della nostra tanto decantata vita sociale.


XX.
  I salariati manifestano al momento ancora la loro natura bifronte: essi sono socialmente sempre stati una classe conservatrice, per essi è sempre stato essenziale che il capitalismo "desse loro lavoro". Come capitale variabile produttivo o meno di plusvalore essi dipendono dall'accumulazione di capitale, ossia dall'espansione del capitale morto. In tutti i casi storici in cui questo processo si è interrotto, più che negarsi in quanto tali, hanno atteso che il meccanismo riprendesse.


XXI. 
  D'altronde, se sino ad un certo punto lo sviluppo e l’espansione del capitalismo hanno fatto tutt'uno con un’integrazione del movimento operaio e dei salariati, poiché quello sviluppo ed espansione lo furono allo stesso modo del capitale variabile in senso lato, la de-integrazione in corso fa tutt'uno con la cessazione di quello sviluppo ed espansione.


XXII.
Ciò rende assai ragionevole ed anche coerente con l'analisi economica di Marx l'eretica concezione secondo la quale la classe dei salariati non è e non sia mai stata una classe "naturalmente" rivoluzionaria, semmai pars specifica del modo di produzione capitalistico. A meno che non si voglia considerare la classe dei salariati una classe " parassita" nata in seno al capitalismo per sopprimerlo, è questo che si estingue con essa e non perché abbia sviluppato nel suo seno elementi di comunismo o l'estensione del lavoro salariato in quanto tale ciò indichi, ma perché esso nella fase presente non è più in grado di riprodursi e si limita ad usurare quanto rimasto.

Il lavoro salariato come forza produttiva è immagine e somiglianza dei rapporti di produzione capitalistici. Tra questi e le forze produttive non v'è in realtà alcuna "contraddizione". Secondo l’impostazione marxiana, l’'uso delle forze produttive prodotte dai rapporti di produzione capitalistici comporta un limite nella produzione di valore, come l'esistenza di lavoro improduttivo rappresenta un limite necessario alla riproduzione del sistema capitalistico. Solo la speculazione finanziaria sembra rappresentare un tipo di attività non solo improduttiva di valore ma anche ostacolante sic et simpliciter la riproduzione del sistema.


XXIII. L'idea che il movimento operaio fosse costituito da una classe rivoluzionaria non fu propria neppure delle strutture politico-sindacali che si diede quel movimento, spesso in teoria, ma certamente nella pratica. Lo fu di sezioni ultraminoritarie della divisione intellettuale del lavoro, che compensarono la loro mancanza di peso politico con l' idea che avessero un ruolo speciale nelle società. A ciò è riconducibile la genesi delle ideologie politiche “rivoluzionarie” che si sono prodotte in quegli ambiti.

Il mio ottimismo si fonda sulla certezza che questa civiltà crollerà. Il mio pessimismo su tutto ciò che essa farà per trascinarsi nella sua caduta (Guy Debord)



XXIV. Tuttavia, poiché parimenti rappresentano praticamente la quasi totalità della popolazione e la principale se non unica fonte della produzione di reddito monetario, solo dai salariati può provenire il superamento dell’attuale sistema sociale in via di disfacimento. La negazione del regime del lavoro salariato, oggi più che mai, non sarà una "opzione politica", bensì semmai una necessità economica collettiva. Ne va dell’esistenza di tutta la comunità umana. O la galera nella quale viviamo o una liberazione secondo le condizioni del nostro tempo. Va da sé in questa sede che questa “liberazione” non può concernere solo la specie umana, essa lo sarà parimenti delle altre, giacché con lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo deve cessare ogni forma di sfruttamento economico. E’ anche il nostro rapporto con l’ambiente naturale che dovrà essere rivoluzionato.

In una società futura, in cui l’antagonismo delle classi fosse cessato, l’uso non sarebbe più determinato dal minimo tempo di produzione; ma il tempo di produzione che si consacrerebbe a un oggetto sarebbe determinato dal suo grado di utilità (Karl Marx)


XXV. Come? Sperimentando forme di produzione e gestione delle risorse umane e materiali non mercantili, organizzate dagli stessi “lavoratori”, dunque non finalizzate al profitto ma rivolte all’abolizione di tutta una gamma di prodotti e servizi che si percepiranno come inutili o dannosi alla collettività e all’ambiente naturale. Tali sperimentazioni, se estese, saranno le uniche a poter ridurre il grado di lotta per l'esistenza adesso artificialmente incrementato dal capitalismo, il tempo necessario alla riproduzione e ad amplificare drasticamente il grado di libertà personale. La questione, dunque, non è affatto unicamente una questione di "gestione".


Non possono esistere, poi, come credono alcuni, degli interstizi nella società capitalista in cui sia possibile superare il modo di produzione esistente, una comunità di liberi produttori non può realizzarsi a livello locale o parziale in quanto sarebbe costretta a stabilire rapporti economici di tipo capitalistico con il resto della società.

Se il crimine fosse quotato in borsa, le sue azioni sarebbero il miglior possibile investimento. (Dal Corriere della Sera, 25/09/ 1972)



XXVI.......e che dire del resto del mondo consegnatoci da questo stadio finale del capitalismo? Vi possiamo vedere il nostro immediato futuro, ossia semplice barbarie: una fatiscente e nauseante caserma ricolma di monitor e telecamere. Politici che sono solo gangster e una umanità disfatta dedita ad ogni sorta di prostituzione.


XXVII.
In questi periodi gli elementi più dinamici non hanno altra scelta che quella fra l'inazione o la formazione di raggruppamenti che, non essendo rappresentativi della classe, non possono essere altro che aggregazioni di coloro che sono più sensibili alla degenerazione dello stato delle cose. Condannare in blocco questo tipo di raggruppamento come burocratico vuol dire rifiutare ogni possibilità di accelerare l'evoluzione storica e di ridurre eventualmente il rischio di una caduta della società nella barbarie. Ciò che deve caratterizzare un raggruppamento non è altro che lo sviluppo delle conoscenze relative allo stadio economico-sociale raggiunto e la diffusione delle stesse ad un numero, il più ampio possibile, di lavoratori comuni. In tale situazione si tratta di una corsa contro il tempo e tutti gli anni persi possono essere decisivi. Inizialmente l’unica cosa che può avere un senso è quella di mostrare ai lavoratori una realtà presente e futura decisamente diversa da quella che viene pronosticata, mettendo in evidenza che ormai non esiste più alcuna intermediazione politica, sindacale ed istituzionale tra loro e questo mostro derivato da una mutazione del vecchio capitalismo. Non solo è il re a essere nudo ma lo sono anche i lavoratori salariati.

Noi non ci presentiamo al mondo come dottrinari con un nuovo principio: ecco la verità, in ginocchio di fronte ad essa! Noi mostriamo al mondo dei principi che il mondo stesso ha sviluppato entro di sé. Noi non gli gridiamo: lascia le tue lotte, sono delle sciocchezze, le vere parole d'ordine sono quelle che ti diciamo noi. Noi mostriamo semplicemente ed esattamente al mondo il perché della sua lotta, e la sua coscienza sarà un risultato che dovrà acquisire, che lo voglia o no. (Karl Marx)



XXVIII. Dal momento che l'azione comune si rivela più efficace dell'attività individuale isolata e che, d'altra parte, esige un quadro in cui si possa elaborare e concretizzare, è al passo seguente che si presenta l'alternativa: o ci si riunisce per darsi il massimo delle possibilità di arrivare agli obiettivi prefissati, oppure ognuno resta nel suo angolino e si condanna a sprecare le sue risorse e a restare al di sotto dell'efficacia alla quale potrebbe arrivare. Dal punto di vista rivoluzionario non ci sono individui che pensano e altri che agiscono, ma individui che trasformano la realtà a partire da una analisi alimentata da questa. Di conseguenza non ha alcuna importanza il numero di aderenti a un raggruppamento, non è la quantità che lo valorizza ma la qualità dell’attività di coloro che sono impegnati a diffondere una attività pratica e teorica anticapitalista non come una delle tante ideologie, ma dimostrando la possibilità di sviluppare nuovi rapporti sociali che siano embrioni della nuova società.


XXIX.  
Tali rapporti sociali non si stabiliscono a priori, non possono essere teorizzati e non si possono accumulare. Essi emergono in occasione di crisi locali o generalizzate del modo di produzione capitalistico in virtù di un comportamento dei lavoratori sui luoghi di lavoro che li spinge alla coesione, al rifiuto di ogni rappresentanza formale e soprattutto tradizionale (come i partiti e i sindacati). Tali rapporti sociali scompaiono e ricompaiono periodicamente, poiché la tendenza alla riappropriazione da parte dei produttori della azione sociale è determinata esclusivamente dallo stato dei rapporti di produzione in un particolare momento, allorché il sistema capitalistico non è in grado di garantire la riproduzione della società.


XXX.
  In realtà per poter costituire un raggruppamento rivoluzionario occorrono i rivoluzionari. Possono essere considerati come rivoluzionari soltanto coloro che favoriscono sistematicamente lo sviluppo dei rapporti sociali “comunisti”. Un tale lavoro implica una lotta senza concessioni contro la burocrazia politico-sindacale, lotta che sarà tanto più efficace in quanto assumerà la forma non di denuncia astratta ma di proposte pratiche che tendano allo stabilirsi della democrazia diretta nella direzione delle lotte. Non si tratta di contrapporsi alla burocrazia reagendo ad ogni sua iniziativa, che è il modo migliore di mettersi a rimorchio e di modellarsi su di essa, ma di portare l'attacco, in teoria e in pratica, contro i rapporti sociali che tale burocrazia rappresenta. In altri termini, il ruolo dei rivoluzionari non è quello di dare delle direttive, o anche dei consigli, ai lavoratori sugli obbiettivi o sui modi di lotta, ma di insistere in tutte le circostanze per l'adozione di forme di organizzazione che permettano la partecipazione alla direzione di una lotta anticapitalista del maggior numero possibile di lavoratori. La necessaria continuità dell'azione rivoluzionaria implica certo un minimo di organizzazione. Se si prende sul serio il lavoro rivoluzionario è inconcepibile il rifiuto delle misure pratiche che permettono di portarlo avanti, impiegando nel miglior modo possibile il tempo e le energie a disposizione. Ma la natura stessa del progetto rivoluzionario esclude una organizzazione gerarchizzata.


XXXI.
Un raggruppamento rivoluzionario deve porsi ora il problema di avanzare delle ipotesi per la soluzione dei problemi che sorgeranno inevitabilmente in occasione di una rivoluzione dai connotati imprevedibili. Purtroppo, contrariamente a quanto credevano i marxisti del passato, il capitalismo non ci consegnerà una economia e una società matura per il socialismo; anzi nella sua fase di autodistruzione questo sistema di produzione, ormai morto, ha provveduto alla devastazione di quanto di buono è stato realizzato nel corso del tempo e continua imperterrito a provocare danni agli uomini e all’ambiente che saranno irreparabili se non si provvederà al suo superamento.


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Qui il ilnk al testo

*Qui una versione precedente di questo testo

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