Il primato della relazione
Giso Amendola
Un percorso di lettura a partire dall’ambizioso volume «Il transindividuale» curato da Vittorio Morfino e Etienne Balibar. Si indaga il rapporto fra individuo e comunità e sul loro «dualismo» che ha inciso sui modi di interpretare e di vivere la sfera pubblica. Esiste un filo rosso nella filosofia in cui ogni singolo è espressione dei rapporti sociali, ma irriducibile al tutto. Nonostante ciò, la possibilità di una politica del comune
Individuo e comunità, singolo e collettivo. Il rapporto tra i due poli può essere declinato in modi molto differenti, dall’ordinata partecipazione della parte al «Tutto», fino al conflitto irriducibile: resta fermo che questo schema ha funzionato come fondamento dell’idea di ordine che il pensiero occidentale si è dato, ha descritto la sua ontologia portante. All’individuo come realtà stabile, autofondata, trasparente a se stessa, dai confini sicuri e ben tracciati, si è contrapposto un soggetto collettivo che, in fondo, ne replica i tratti fondamentali: un Soggetto dai confini più ampi, semmai un macroantropo che ricomprende in sè gli «individui», come nel frontespizio del Leviatano di Thomas Hobbes, ma che dell’individuo riproduce in pieno le fattezze ontologiche, a cominciare dalla pretesa di autofondazione e di autosussistenza.
Questo dualismo di fondo ha inciso evidentemente sui modi di interpretare e di vivere la sfera pubblica: l’ontologia qui è più che mai questione politica. A partire dall’ingenua alternativa tra individuo è collettivo, la sfera pubblica o è stata assorbita all’interno di un soggetto collettivo ipercompatto, destinato a fagocitare ogni singolarità, o, simmetricamente , è impallidita all’interno di una semplice visione «intersoggettiva», frutto di un contratto o comunque parto trascendentale di un supposto e fittizio accordo tra gli individui, confermati come mattoni primi metafisici di qualsiasi costruzione pubblica.
Organicismo e individualismo si sono perciò a lungo inseguiti, senza che i presupposti ontologici di fondo, la metafisica del «soggetto» che sta alla base dell’uno o dell’altro, fosse minimamente scalfita. Oggi i due termini della contesa, l’individuo e il collettivo, mostrano ambedue la corda. La trasformazione delle condizioni della produzione spingono sempre più in primo piano modalità di connessione, di comunicazione e di cooperazione che confondono i confini tradizionali tra il «proprio» e lo sfondo linguistico e affettivo «comune» che attraversa ogni singolarità: si produce così una topografia politica e sociale che disloca potentemente le mappe concettuali tradizionali, e che mette a nudo l’insufficienza di quella coppia oppositiva. E queste trasformazioni sociali, a loro volta, spingono a ricominciare ad affrontare la questione ontologica, e fanno emergere genealogie altre rispetto alle tradizioni consolidate.
Centralità del processo sociale
Così, è importante poter trovare oggi, in questo densissimo volume collettaneo a cura di Etienne Balibar e Vittorio Morfino, Il transindividuale. Soggetti, relazioni, mutazioni (Mimesis, pp. 379, euro 28. Il volume sarà presentato da Vittorio Morfino e Augusto Illuminati domani alla facoltà di Filosofia dell’Università La Sapienza di Roma, Villa Mirafiori, ore 16), una mappa che restituisce le varie risonanze di una prospettiva di ricerca che, facendo appunto leva sul concetto di transindividuale, ha potentemente decostruito la coppia concettuale individuo/collettivo. Centrale, in questo approccio, è la riflessione di Gilbert Simondon, dalla quale i due curatori muovono nella loro introduzione e che è approfondita da Muriel Combes. Il concetto di individuazione psichica e collettiva in Simondon ribalta la priorità ontologica che la tradizione concede all’individuo, per affermare due svolte fondamentali rispetto a quella concezione. La prima consiste nell’affermare la priorità del processo di individuazione sull’individuo; la seconda – spiegano ancora Morfino e Balibar – nel sostenere «il primato della relazione sui termini della relazione stessa». In altri termini, nella prospettiva dell’individuazione, l’individuo non è una sostanza o un fondamento: è piuttosto il risultato di un processo. Un processo – insegna Simondon – che non può darsi mai compiuto una volta per tutte: i suoi prodotti sono soltanto il momentaneo consolidamento di un «equilibrio metastabile».
Nel processo di individuazione, un individuo emerge da tutto ciò che lo precede, lo attraversa e lo rende possibile: ma, al tempo stesso, anche quando raggiunge un equilibrio, continua a conservare in sé una permanente attività di individuazione. Il transindividuale è appunto il nome che tiene insieme il preindividuale, da cui ogni individuo emerge processualmente, e ciò che attraversa in permanenza l’individuo stesso, ne destabilizza le individuazioni di volta in volta raggiunte e riapre costantemente la possibilità di trasformazione. Mentre nelle immagini consuete dell’intersoggettività, prevale la priorità ontologica dei soggetti, che costituiscono la loro relazione a partire da quella priorità, il transindividuale è esso stesso il processo costitutivo, la relazione che produce i propri termini. Non è l’intersoggettività a essere concepita come relazione tra soggetti dati a priori, ma è il transindividuale la relazione entro la quale è possibile, e solo in modo sempre provvisorio, parlare di individui.
Da Averroè a Marx
A partire da Simondon, il libro costruisce diversi percorsi. Una prima pista seguita è quella genealogica: si tratta di mostrare come il transindividuale interroghi la tradizione filosofica rovesciando approcci consolidati e permettendo di rompere qualsiasi linearità nella storia del pensiero. Questa genealogia segue a sua volta strade differenti: l’intelletto materiale unico, nella cui storia da Averroè in poi scava Augusto illuminati, il rapporto tra modi e sostanza in Spinoza (al centro dei saggi di de Gainza, Montag e Lordon) , e, nodo centrale nell’intera ricerca, Marx, e soprattutto il Marx della sesta Tesi su Feuerbach, che è al centro dell’intervento di Etienne Balibar, ma torna in vari modi in tutto il volume. È il Marx che critica l’astrazione insita nel concetto di essenza umana e la scioglie nell’«insieme dei rapporti sociali». Balibar insiste qui particolarmente su un aspetto dell’argomentazione marxiana: quello per cui questo «insieme» conserva sempre una connotazione di orizzontalità (le relazioni sociali «interagiscono o interferiscono l’un l’altra, ma non devono venire gerarchizzate verticalmente») e di indefinitezza (la rete di relazioni che forma l’essenza umana resta sempre aperta, senza che sia possibile stabilire alcuna demarcazione a priori tra ciò che umano e ciò che non può esserlo). In sintesi, Marx qui è letto come critico di qualsiasi idea dell’essenza umana che trascenda la molteplicità e l’eterogeneità costitutiva dei rapporti sociali.
Oltre questa genealogia del transindividuale da Averroè a Marx, il libro segue anche un’altra importante prospettiva: quella della presenza del transindividuale nelle scienze sociali, nelle scienze umane e nelle scienze della vita. Anche in questi altri sondaggi, si insiste, in vario modo, sia su una radicale «de-essenzializzazione» dell’individuo, in nome della priorità del processo di individuazione su qualsiasi assunzione aprioristicamente data dell’individualità, sia sui caratteri di finitezza, di contingenza e di apertura di tale processualità. Come l’analisi genealogica portava al centro della riflessione sul transindividuale la sua resistenza a qualsiasi totalizzazione, ad ogni rischio che il processo si richiuda su se stesso e venga riacciuffato in una qualche forma di essenzialismo, così l’individuazione nelle scienze biologiche viene letta da Andrea Cavazzini precisamente come il processo che impedisce alla vita di totalizzarsi e di trasformarsi in un Fine in sé. Felice Cimatti legge nella psicologia di Vygotskij una «carica dinamica» che può condurre oltre l’opposizione sterile tra cognitivismo e comportamentismo, verso un rapporto più ricco tra potenzialità sociali e singole realizzazioni individuali, proprio esaltando l’elemento di continua apertura insito nei processi di individuazione.
Persino nella tradizione sociologica che tradizionalmente sembrerebbe più estranea al transindividuale, quella durkheimiana, che si richiama ad un’idea piuttosto compatta e apparentemente senza striature di rappresentazione collettiva, è possibile scorgere tracce importanti del transindividuale, come mette in luce Bruno Karsenti nella sua analisi del simbolismo totemico, del sacro e della pratica religiosa. Morfino insiste sulle scienze sociali, analizzando le critiche mosse ad Althusser da Lucien Goldmann, in nome di uno «strutturalismo genetico», che recuperi, contro l’apparente «staticità» dello strutturalismo di Louis Althusser, almeno parte della lezione dialettica di Lukács.
L’incontro aleatorio
E qui, facendo retroagire i temi dell’individuazione e del transindividuale sulle problematiche althusseriane del primato dell’incontro sulla forma e della contingenza su ogni finalismo, Morfino esplicita il senso complessivo di questo incontro tra filoni di ricerca post-althusseriani e simondoniani che dà il tono teorico complessivo al libro: il transindividuale «non è garanzia di ordine o di stabilità, ma intreccio complessivo di incontri, il venir meno o l’aver luogo di ognuno dei quali può ridisegnare l’intera trama». Va affermato, allo stesso tempo, il primato della relazione e la contingenza di questa stessa relazione, e, contro qualsiasi logica della totalizzazione, la struttura va riletta come «incontro aleatorio, temporalità differenziata, logica combinatoria».
La carica antiessenzialistia di questo approccio è evidente. È molto interessante notare, però, come questa insistenza sui caratteri processuali, differenziati, molteplici del transindividuale venga messa alla prova nel saggio di Jason Read, nell’intervento che sembra muoversi più direttamente verso un confronto tra transindividuale e capitalismo contemporaneo. Sulla scorta delle analisi postoperaiste (e di Paolo Virno in particolare), Read interpreta il transindividuale come quella cooperazione di menti, corpi, linguaggi che conosce, oggi, la più alta intensità di sfruttamento nella sussunzione reale, nel mondo in cui l’intera società viene messa a valore dal capitale. Se leggiamo il «comune» come produzione di soggettività, il paradosso si chiarisce in questi termini: quanto più cresce la centralità del comune, cioè del transindividuale nel suo aspetto di cooperazione sociale, linguistica, affettiva, tanto più il capitalismo contemporaneo cattura, mercifica proprio quel comune, e produce feticisticamente l’individuo isolato. Il problema, perciò, si sposta: non si tratta soltanto di riconoscere il transindividuale sotto la tradizione essenzialista che lo intrappola nella coppia concettuale individuo/collettivo, di affermare la processualità del divenire-individuo e la contingenza radicale di questo processo.
Un problema produttivo
Nella sussunzione reale, il transindividuale è, in realtà, già abbondantemente fatto emergere e valorizzato in quanto tale. Piuttosto, si tratterebbe di tematizzare una politicizzazione del transindividuale come comune, un esercizio, in altri termini, di soggettivazione politica del tema del transindividuale. Problema effettivamente centrale: e dal punto di vista teorico, sarebbe proficuo approfondire ancora il confronto tra letture in termini di «transindividuale» e letture in termini di «comune» proprio dal punto di vista di un confronto tra priorità della relazione o della produzione (come, da altra prospettiva, un problema simile è evidenziato anche nel nodo stretto da Guillaume Sibertin-Blanc, in un denso confronto con la linea deleuziano-guattariana, tra transindividuale, concatenazioni collettive d’enunciazione e soggettivazione). Se infatti porre il problema in termini di priorità della relazione e del processo ha indubbiamente una carica antiessenzialista, di liberazione dalle teleologie e di rivendicazione della contingenza, resta il fatto che la relazione reimposta il problema sul piano della struttura, per quanto si tratti di una struttura fratta, discontinua, molteplice, e della scienza, sia pure della scienza dell’aleatorio e del contingente, piuttosto che sul piano della soggettivazione della struttura stessa e delle pratiche trasformative.
L’analisi in termini di produzione di soggettività coglie, dal canto suo, la partita grossa che si apre comunque sul campo dei soggetti: quella asimmetria tra il “soggetto produttivo” messo in forma e assoggettato dai dispositivi della valorizzazione capitalistica e il potenziale di trasformazione e di innovazione che risiede negli stessi processi di soggettivazione. Ed è in questa dissimmetria tra potere e resistenza, tra assoggettamento e soggettivazione che si può cogliere lo spazio certamente per quella conoscenza non essenzialistica e non teleologica dei processi di individuazione, per la quale questo volume offre un contributo fondamentale, ma anche per una pratica di trasformazione delle potenzialità transindividuali in una politica del comune.
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