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Gli ultimi giorni di Pompei

di Carlo Donolo

BrullovS3Gli ultimi giorni di Pompei sono sempre un grande spettacolo che ha il vantaggio di far coincidere attori e spettatori. Li abbiamo visti spesso al cinema in anni recenti, ma lo schermo è efficace solo nella misura in cui gli spettatori si identifichino con i protagonisti: si tratta di cose che ci riguardano. Pompei si presenta in varie forme: la guerra, il dissidio permanente e violento, la crisi ambientale e climatica, il disordine sociale endemico, la crisi economica, l’incidente puntuale ma sistemico a modo suo (come nel caso delle centrali atomiche). Inoltre e sempre di più la “catastrofe”, che poi è svolta, fatalità, metamorfosi, miscela di fine e inizio, si manifesta come incertezza oltre che come rischio. Questo lo conosciamo e ne stimiamo la probabilità, ce ne difendiamo con protezioni e assicurazioni. L’altra, invece, è un processo indefinito che si coagulerà in un indistinto futuro, in un tempo-spazio inconoscibili. Lo ignoriamo, però sappiamo solo che può avvenire. Questo getta un’ombra su tutta la vita sociale, che resta in attesa dell’evento improbabile, ignoto, ma certamente possibile. E, infine, solo per introdurre il tema “Pompei”, c’è anche tra i rischi percepiti e indefiniti quello del “declino”, letto come blocco del motore economico della crescita, come invecchiamento sociale, come necrosi culturale. Il declino riguarda non un tramonto dell’Occidente, ma un lungo processo che porta al decentramento dell’Europa, alla fine di questo baricentro politico e culturale, a favore dell’emergere di altre nazioni e di altre macroregioni.

A breve il declino sembra una crisi come le altre, ma a lungo termine si intravvede che in realtà ci siamo messi su un sentiero in discesa, non solo economico, ma anche geopolitico e culturale. Poco a poco lo scettro del principe passa ad altri, è già successo tante volte nella storia. Ma i singoli rischi e le piccole catastrofi quotidiane sembrano inserirsi in una tendenza ultradecennale, o secolare, che porta verso il basso speranze, illusioni, benessere. È una catastrofe al ralenti, non meno certa per il fatto di essere molto graduale e tortuosa.

Tra rischi e incertezze

I contemporanei devono difendersi da rischi, prepararsi all’evento x o “cigno nero”, e in generale vivere in un regime di inquietudine e incertezza, specie rispetto al futuro, molto elevato, molto più alto di quanto ci avesse abituato il benessere da poco raggiunto. Molti rischi ben definiti sono trattati come oggetto di strategie e politiche nazionali e sovranazionali. Altri restano abbandonati a se stessi. La prevenzione è sempre più ridotta anche a causa dei suoi costi finanziari, e perché si spera che i costi sociali vengano sopportati da qualcun altro. Per esempio le élite nazionali o le cricche globali ritengono di non essere coinvolte, si separano anche dai rischi che fanno correre agli altri, perfino la crisi climatica ritengono che non li riguardi, ottusi e miopi qual sono!

Ma la “gente comune” – the people, the common man, the commoners – che vive immersa nel mondo della vita principalmente locale, anche se ormai frastornato dalla globalizzazione, sviluppa atteggiamenti specifici per far fronte all’insicurezza percepita. Non parlo qui della cosiddetta sicurezza urbana, e dello scarto tra statistiche che magari rivelano un declino della criminalità e però un aumento del rischio percepito. Sono processi psico-culturali complessi e spesso anche artatamente manipolati perché politica, e anche affari, ormai vivono del governo e della manipolazione delle paure. Si sviluppano due possibili sindromi, che ora cerco di illustrare:

– the last days in senso proprio,

– la rinuncia al godimento per una nuova frugalità.

Nella prima – percependo la fine del tempo e quindi delle occasioni, delle opportunità e l’esaurimento delle fonti di piacere, con atteggiamento edonistico sfacciato e disinibito si tenta di procurarsi tutti i piaceri possibili e al massimo grado, tanto poi non ci sarà più tempo e luogo. Da qui tossico-dipendenze, arraffamenti, avidità diffuse, egoismi e egocentrismi paranoici, la pursuit of happiness spinta all’estremo ormai fuori da ogni moral sentiment, che solo la giustifica. Questa è l’area dei neo-ricchi, e delle spinte belluine per diventarlo. Tutti vorremmo essere neo-ricchi, perché così si potrebbe godere ed esibire, accumulare e sperperare, e soprattutto farlo alla faccia dei miseri, degli umili e degli offesi, che ovviamente si meritano il castigo che spetta ai fessi. La diffusione dei Suv, e per certi aspetti anche del cane come pet nelle nostre società, è indice di un atteggiamento del genere, che unisce strafottenza, voglia di dominio sociale, la felicità intesa come piacere e piacersi, e soprattutto come demarcazione netta tra il mondo dei felici e quello degli infelici. Questo atteggiamento implica numerose esternalità negative, sulle risorse, l’ambiente naturale e sociale, sui sistemi di regole, sui diritti dell’uomo... ma appunto, il fatto che ci siano questi costi per altri è un valore aggiunto del proprio piacere, che in ideale configurazione ha forti tratti sadici. All’interno di questi gruppi, ristretti sì, ma a livello globale stiamo iniziando a parlare di molti milioni, la competizione è forte, astuta e violenta, devono cercare di fregarsi l’uno con l’altro, come avviene nello star system più estremo. Qui vige il confronto invidioso, come recentemente si è visto in materia di lunghezza e stazza di yacht. Tutto il resto del mondo viene scotomizzato, perché l’asservimento è l’unico rapporto possibile, e tutto questo processo di spremere il limone avviene là fuori da qualche parte, lontano dagli occhi, come nel dato che gli splendidi ipad siano prodotti in condizioni schiavistiche, laggiù in quelle terre un tempo esotiche, tanto loro non soffrono come noi...

Illusioni

Ma “Pompei” si manifesta anche in piccolo, dato che il mimetismo invidioso dei ceti medi ripete su scala minore i comportamenti dei nuovi ricchi. Pompei per le masse, questo è l’attuale oppio dei popoli, cioè convincerle che il tempo stringe, che ogni lasciata è persa, che devi piazzarti tra i furbi e schizzare i fessi, e che questo processo è senza tregua e che i giochi si fanno oggi. Riuscire a inoculare il virus Pompei, che mette fretta e quindi ansia e quindi adrenalina per l’iperconsumo, perfino in tempi di crisi si fanno code per gli smartphone, non certo per il pane, in una società dove il 10% dei minori è a rischio povertà e già oggi probabilmente soffre di malnutrizione, di anomia e di degrado sociale e ambientale. Ma nel piacere si è soli, perché ciascuno sta per sé e contro tutti, la rescissione del contratto sociale è il presupposto di Pompei ma anche il suo esito necessario. Ma appunto vedi i vantaggi: intanto avrai tanti postulanti al regno della felicità (che deve stare dentro qualche super-ipermercato-outlet)  intesi a conquistare l’oro e non la libertà, non a costruire società ma a scioglierla. E questo per chi deve dominare è un bel guadagno. Il carattere illusorio di questa corsa non le toglie nulla in veemenza, anzi alla fine delle illusioni sociali (le famose ideologie) corrisponde la creazione di un mondo del tutto illusorio. E questo lo si sa da tempo, ma ora tutto si svolge nel tempo globale dell’incertezza, e quindi rende tenebrosi i bagliori di Pompei, il che accresce il piacere last minute, fa accelerare ancora di più, tiene in piedi l’economia del lusso e della griffe, rende i gruppi sociali schiavi delle proprie illusioni e preda prelibata e poco costosa per i venditori di illusioni. Pompei poi si vendicherà, con la sua insostenibilità e la sua crescente fatica. Ma nessuno vorrà risvegliarsi dalle illusioni, per questo Berlusconi può riscendere in campo.

Stili alternativi

Intanto ai margini, nelle pieghe dei mondi vitali si aggregano anche altre formazioni reattive al clima pompeiano e all’insicurezza globale. Piccoli gruppi, spesso iniziati da individui, tentano altre strade, che sono opposte a quelle degli orgasmi e ai falò delle vanità dei pompeiani. Si cerca la pratica di valori opposti: semplicità, frugalità, sostenibilità, km zero, fai da te, orti urbani, bici, una mini-austerità familiare che dà soddisfazioni tangibili, non fa soffrire troppo, anzi riduce i costi, la fretta, allunga i tempi, fa inserire l’individuo in modo più armonioso nei cicli vitali e sociali. Si pensi all’uso sistematico della bicicletta in città al posto dell’auto, come sta sviluppandosi in diversi paesi europei e con grande difficoltà anche in Italia. Questo atteggiamento in realtà è molto composito e le motivazioni sono le più varie, come del resto le pratiche “alternative”. Ma in ogni caso “Pompei”, ovvero il cigno nero, viene vissuto come un cathekon, nel senso che le pratiche buone rallentano il momento della catastrofe. Guadagnare tempo lottando contro il tempo, che definisce bene anche la maggior parte dei problemi ambientali. Questo rallentamento per alcuni migliora la qualità della vita ora, e inoltre è più fattibile in tempi di crisi, per altri è solo la preparazione a un evento apocalittico. Un sottile elemento sacrale, cioè specificamente di risacralizzazione della natura, anche inconsapevole, è comune a tutti. E proprio come reazione al materialismo becero e alla totale Entzauberung di Max Weber (la desacralizzazione) praticata e necessaria ai ricchi. Ma in una variante il neo-frugale esige più direttamente il rifiorire di una religiosità, per lo più fuori o al margine delle chiese storiche. Si tratti di neo-pagani o di druidi, di animisti di ogni genere, e del recupero di vari elementi ormai ritenuti superstiziosi, ma anche della ripresa di pratiche cultuali esoteriche, e di preferenza con qualche componente orientale. L’elemento religioso dovrebbe aiutare a ridefinire il nostro rapporto con la natura e poi con il mondo e con il tempo. In qualche modo è un antidoto allo spirito prometeico o mefistofelico eccessivo sviluppato in Occidente. Del resto in molte società come la nostra non è difficile recuperare legami con il passato rurale e paesano, da cui ci eravamo appena staccati. L’Italia è un paese di città se mai ce n’è stato uno, ma si intende la piccola città (si ricordino qui le ricerche pionieristiche di Ferrarotti e Pizzorno, oltre che la scuola olivettiana). Da qui un movimento verso la campagna, in forma di seconda casa, verso la casetta nel paesello di origine degli avi, verso i borghi, come dice de Rita. In quei luoghi infatti si pensa di poter vivere in maggiore equilibrio e meno stress e più soddisfazione, ricavata dalle piccole cose.

È inevitabile che si sviluppino poi mercati di nicchia per soddisfare i neo-frugali come già appare tra i banconi dei supermercati: il bio, il verde, oltre all’esotico. Cresce anche molto il fai da te tra bricolage e piccolo artigianato, e piccolo è bello non riguarda più l’impresa quanto piuttosto il luogo del vivere, in cui ci si senta più raccolti e più protetti dall’immensa onda del globale, davvero degna di Hokusai o di Turner.

Con lo sviluppo di un ampio e diversificato settore di green economy è inevitabile che le pratiche alternative producano mercati dedicati e per questa via rientrino nell’economia globale. Salvo forme marginali di baratto, del resto, il denaro è destinato a restare il grande numerario. Questi atteggiamenti in parte sono commisti ad atteggiamenti anti-tecnica, antimoderni, e  oscillano tra un postmodernismo facilone e una nostalgia di età appena passate e ritenute più semplici. Del resto è vero che nelle grandi città l’ansia, l’insicurezza e la precarietà di ogni esistenza sono portati al punto di massima intensità.

Un altro mondo?

Come valutare la neo-frugalità che è anche risposta adattiva alle politiche di austerità: promessa di un mondo ricostruito pazientemente da una decrescita felice (ma felice solo in quanto scelta deliberatamente), o rifugio per disperati, emarginati o auto-emarginati dal mondo imperante delle merci, rinunziatari nella corsa alla ricchezza, post-materialisti che cercano la felicità e le soddisfazioni in cose meno mercantili e meno materiali? Non importa ora rispondere, registriamo solo che nelle società ci sono queste forze, dei potenziali di mutamento, ma anche qui non si intravvede il senso di una lotta tra ricchi e poveri, ovvero tra magnati e neo-frugali, che poi sono soprattutto ceti medi in declino. Certo come dimenticare le lotte tra il popolo grasso e il popolo magro? Ma la sfida ancora un volta è antropologica e culturale: queste pratiche valgono per ora in quanto segnale che un altro mondo sarebbe possibile, se...

Da sottolineare il diverso senso del tempo. Quello dei supericchi è un tempo immortale, e magari qualcuno di loro si fa davvero imbalsamare criogenicamente, un tempo indefinitamente sospeso, come se l’attimo immediato fosse prolungato in eterno, perché come diceva con tutt’altre intenzioni Nietzsche, ogni piacere vuole eternità! Per i neo-frugali il tempo invece è un passato che s’infutura, nel senso che elementi idealizzati di un passato (non del tutto scomparso dalla memoria, per esempio in Europa) vengono riproiettati in uno scenario futuribile che oscilla tra neo-arcadia e fantascienza buona, tra san Francesco e Naomi Klein, o tra Vandana e qualche guru di internet. Da qui due diverse escatologie della catastrofe, da intendere come visioni “ultraterrene” di “come andrà a finire”. I ricchi pensano che la sospensione del tempo ottenuta con il denaro elimini il rischio di un futuro che potrebbe esser molto diverso e disastroso, mentre il passato è del tutto tramontato, esiliato, o riutilizzato solo come decoro (così il passato russo e sovietico nella visione di Putin e dei suoi oligarchi). I neo-frugali per contro attendono un tempo che trascenda il reale esistente, che è ancora una valle di lacrime. Si tratta di ridurre il dolore, di gestire l’ansia, di lenire la sofferenza. Le “pratiche” socievoli aiutano, così come le vie all’interiorità spesso anche implicitamente tentate.

C’è da chiedersi: ma queste pratiche che nascono quasi spontaneamente come reazione difensiva di fronte alla faticosa complessità del nuovo mondo, sono o possono diventare risorse per la costruzione di una visione alternativa del futuro? Nei blog ci si accapiglia su queste cose, ma nella sfera pubblica più prossima alla politica non arriva quasi nulla. Qui forse ci vuole ancora tutto un percorso di mediazione e trasmissione. Certo, con questo, siamo molto distanti dalle vecchie culture progressiste di stampo positivistico e piuttosto siamo a una rigenerazione della vecchia matrice romantica di filosofia della natura. Che percorsi!

Trasformazioni e transizioni

Abbiamo descritto due movimenti abreattivi rispetto alla catastrofe. Ma se la prendessimo sul serio cosa dovremmo fare e pensare?

Il globale è intimamente catastrofico, se non altro per le scale dei suoi processi. Ma la catastrofe è anche svolta, grande trasformazione. Mentalmente sentiamo che deve cambiare il nostro senso del tempo storico, più curvilineo e meno lineare, il rapporto con i fattori di rischio, che richiedono molta prudenza, previdenza e preveggenza, e insieme un forte incremento della flessibilità adattiva all’evento imprevisto, mentre abbiamo ereditato strutture sociotecniche eminentemente rigide, anche se qualche mutamento è iniziato: smart grid, aumento della ridondanza nei sistemi complessi, multimedialità generale e così via. Ma ce ne vuole ancora! Qualche saggezza dal passato potrà pure essere ricavata, ma non dalle forme di vita del passato che sono tramontate, casomai dai “residui” culturali che esse ci hanno lasciato in eredità. Già un nostro più accorto rapporto con i beni culturali ci aiuterebbe a far fronte alla catastrofe, o comunque alla svolta. Meglio ancora investire sui futuri possibili, con scenari alternativi, e mossi quanto lo è diventato il tempo storico. Il futuro passato nel senso di Blumenberg può essere contrastato solo con rinnovati progetti di futuro, comprese quelle loro parti che devono essere davvero riservate al futuro, perché non possiamo avere tutto oggi in questa generazione, ma molto di problemi e soluzioni deve essere distribuito sul tempo lungo. In questo senso non ci sono più rivoluzioni, ma solo trasformazioni e transizioni.



Nota
I saggi che ho tenuto presenti sono: H. Blumenberg, Futuro passato, Clueb, 2007; J. Casti, Eventi x, il Saggiatore, 2012; N.N. Taleb, Il cigno nero, il Saggiatore, 2008; N.N. Taleb, Antifragile, Random House, 2012.

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