Uscire dall’economia. Prove di dialogo fra Decrescita e Critica del Valore
di Massimo Maggini
Nel novembre 2014 è uscito per le edizioni Mimesis il libro Uscire dall’economia – un dialogo fra decrescita e critica del valore: letture della crisi e percorsi di liberazione, tratto da un incontro avvenuto in Francia nel 2011 fra Serge Latouche e Anselm Jappe.
Il libro ha avuto un buon successo, tanto da meritarsi anche un’edizione francese ampliata, uscita nel 2015 per le edizioni Libre & Solidaire, dal titolo Pour en finir avec l’économie – Décroissance et critique de la valeur.
Qui presentiamo l’introduzione all’edizione italiana, introduzione che ha avuto uno strano destino: elaborata seguendo anche le indicazioni degli autori, non ha incontrato i favori di Anselm Jappe per quanto riguarda l’edizione francese. Non essendoci né i tempi né le basi per modificarla senza aprire un lungo dibattito, l’introduzione che trovate qui sotto è apparsa, tradotta, praticamente in versione integrale, solo grazie ad un “sotterfugio” di Serge Latouche, che ha proposto di pubblicarla facendola anticipare da una avvertenza dove si dice che l’autore si prende interamente la responsabilità di quello che è scritto.
Sembra che in Francia questa introduzione abbia ricevuto qualche apprezzamento e raccolto un certo interesse, per cui alla fine qualche utilità l’ha avuta.
Per quanto mi riguarda, la cosa che mi ha fatto più male è stata la successiva rottura, spero non definitiva, fra Anselm Jappe e Serge Latouche, promossa da Anselm e Clément Homs a seguito di frequentazioni “equivoche” da parte di Serge Latouche (vedi il nostro articolo “L’Anatra fa scandalo in Francia”).
Non voglio entrare nel merito della cosa: chi vuol farsene un’idea per conto proprio può leggere l’“accusa” portata a Serge da Anselm e Clément, un testo con cui si sancisce la frattura, andando qui: http://www.palim-psao.fr/2015/12/rupture-inaugurale-par-anselm-jappe-clement-homs.html.
Per chi conosce il pensiero di Latouche, definire Serge vicino alla destra è sbagliato, e comunque significa non cogliere appieno il senso della sua meditazione. Ma quel che è peggio, l’interruzione di un dialogo così promettente, ed appena cominciato, fra due delle correnti di pensiero tra le poche capaci di cogliere lo Zeit-Geist e dare importanti indicazioni per avviare percorsi di emancipazione, è stata per me un’autentica sventura, come credo per tutti coloro che mirano a liberarsi dal criminale sistema del capitale. Il mio augurio dunque è che questo dialogo riprenda presto, e che i due autori – a cui va comunque la mia riconoscenza e per i cui rispettivi pensieri resta immutata l’ammirazione – tornino a colloquiare in modo proficuo come hanno fatto in passato. [Massimo Maggini]
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Decrescita e critica del valore: un incontro fecondo
Appare qui in traduzione italiana il testo di una conferenza tenuta da Serge Latouche e Anselm Jappe il 25 maggio 2011 al “café des décroisseurs berrichons” di Bourges, nella Francia centrale. Agli organizzatori va il merito, più volte giustamente ribadito nella conferenza dagli stessi interlocutori, di saper organizzare eventi “rari” e all’altezza dei tempi, quali appunto quello tradotto nella presente occasione.
Riguardo agli autori, è forse qui superflua l’ennesima presentazione dei loro profili. Sia Jappe che Latouche hanno oramai una certa eco a livello mondiale, probabilmente sufficiente ad evitare note biografiche. Può essere comunque utile un breve cenno, senza entrare in troppi particolari. Anselm Jappe è uno dei massimi teorici esistenti di quella corrente di pensiero che legge in modo rigoroso quanto inusuale l’opera di Marx, che ha origine in Germania ed è nota con il nome di Wertkritik (Critica del valore), i cui più noti esponenti sono Robert Kurz, prematuramente scomparso nel 2012, e Roswitha Scholz (gruppo Exit), Norbert Trenkle ed Ernst Lohoff (gruppo Krisis), Lorenz Glatz e Franz Schandl (gruppo Streifzüge, con sede in Austria). Serge Latouche, conosciuto anche più di Jappe, è invece il padre putativo e massimo teorico della Decrescita, movimento di pensiero che si oppone allo sviluppo e alla crescita economica, diffuso ormai nell’intero globo e sempre più anche ispiratore di movimenti e resistenze contro la dittatura dell’economicismo.
Il testo qui presentato ha sicuramente molte qualità: innanzitutto, mette a confronto per la prima volta – sia pur focalizzando l’attenzione solo su un aspetto comunque per niente marginale che coinvolge entrambe, cioè la critica al dominio dell’“economico” 1 – due fra le correnti di pensiero più interessanti in circolazione, ripercorrendone per di più brevemente le tappe, sia cronologiche che teoretiche. Poi, è la trascrizione di un incontro tenuto “dal vivo” dai due intellettuali, quindi senza testi preconfezionati o posture accademiche 2 che, se per certi versi possono chiarire i concetti (anche se non sempre), per altri spesso appesantiscono il discorso. Ho cercato dunque nella traduzione, 3 peraltro rivista e rielaborata insieme ai due protagonisti, di mantenere il vigore e la resa del parlato, forse penalizzando in alcuni passaggi l’approfondimento concettuale, ma guadagnandoci sicuramente in immediatezza comunicativa e coinvolgimento emotivo. Ad arricchire il testo contribuisce inoltre il dibattito che segue la conferenza, anch’esso tradotto mantenendo la vitalità del “parlato”. Esso può essere letto quasi come una FAQ su decrescita e critica del valore, un momento grazie al quale emergono questioni e problematiche quanto mai reali e pragmatiche con cui i due pensieri sono costretti a confrontarsi. Infine, chiude il libro il bel saggio di Anselm Jappe, Decrescenti ancora uno sforzo, pubblicato in Francia nel 2011 nella sua collezione di testi Crédit à mort. 4 Questo testo puntualizza in modo chiaro e preciso il punto di vista della critica del valore a proposito della teoria della decrescita – e può quindi supplire ad eventuali mancanze proprie della conferenza.
Le questioni discusse in occasione di questo incontro sono sicuramente all’ordine del giorno: il passaggio storico che stiamo vivendo, o forse sarebbe meglio dire subendo, con la crisi economica, ecologica, sociale ed umana in corso, richiede un approfondimento deciso e non illusorio riguardo alle sue origini. Come è noto, le risposte generalmente date a questo evento riflettono lo spaesamento in cui versano la ricerca delle cause e l’analisi degli aspetti fondamentali della crisi stessa.
Come dice Robert Kurz, di fronte alle difficoltà di capire con una certa chiarezza il disastro che stiamo vivendo, anche la maggior parte dei marxisti contemporanei è regredita “indietro fino alle teorie precedenti della crisi e si è limitata ad assumere il classico punto di vista piccolo borghese di una critica al ‘capitale finanziario’”.5 È dunque quanto mai urgente affinare lo sguardo e provare a penetrare le ragioni profonde del dissesto in corso.
Il dialogo fra decrescita e critica del valore può sicuramente dare un aiuto consistente in questa direzione.6
A questo proposito, può essere utile un brevissimo excursus fra i principali temi che interessano entrambi i pensieri, temi sui quali non sempre vi è concordanza di vedute e rispetto ai quali il dibattito resta aperto.
Lavoro
Sia la decrescita che la critica del valore fanno della riflessione sul (o forse dovremmo dire “contro”) il lavoro uno dei cavalli di battaglia, anche se partendo da punti di vista piuttosto diversi.7 Parlare contro il lavoro oggi può apparire se non assurdo, quanto meno controproducente per qualsiasi pensiero voglia candidarsi come “guida” per l’uscita dal sistema barbarico e “desensualizzato”8 nel quale ci troviamo. Se, infatti, l’assenza di crescita economica è una disgrazia in un sistema che si fonda sulla crescita dell’economia (ma in questo caso questo fenomeno si chiama “recessione”, non decrescita), altrettanto lo è trovarsi senza lavoro in un sistema in cui solo il lavoro ti dà diritto di esistere (ma in questo caso si chiama “disoccupazione”, non liberazione dal lavoro).
Tuttavia, in modo più chiaro per la critica del valore, ma in modo sostanziale anche secondo la decrescita, il lavoro non è la vittima designata del sistema capitalistico, ma suo complice e motore interno, sostegno sul quale l’intero sistema fa perno. Superarlo, è uno dei compiti più urgenti e indispensabili per qualsiasi autentico progetto di trasformazione. Naturalmente non si intende qui per “lavoro” l’opera umana, gratificante e insieme necessaria, che permette di vivere e “abitare” la terra in modo non distruttivo ma anzi armonioso, ma quell’attività alienante che è apparsa nella storia umana con la cosiddetta “modernità” e in particolar modo con la rivoluzione industriale del XVIII secolo. Le due correnti di pensiero insistono sull’importanza di tenere presente questa distinzione, tanto da chiamare appunto “lavoro” solo la seconda.9
Moneta
Vi è qui sicuramente meno concordanza di opinioni fra le due correnti: la moneta per Latouche non rappresenta semplicemente la forma che prende il valore, “lavoro morto reificato”, ma uno strumento utile e significativo anche dal punto di vista simbolico. Riappropriarsene, quindi toglierla agli organismi preposti ad emetterla e garantirla (Stati, banche…), e riportarla al suo senso iniziale di “mezzo” e non di “fine” fa parte, secondo la decrescita, di quel passaggio di liberazione dal capitalismo oggi sempre più necessario. Che siano le comunità e le popolazioni a gestire la moneta e il suo valore sarebbe dunque un passo, verso la trasformazione sociale, di grande levatura. La cosa ovviamente pone grossi problemi, ma ci sono tracce che possono aiutarci a districarli, ed alcuni esperimenti sono già stati fatti: per citarne solo un paio, le monete locali in Argentina dopo la crisi del 2001, o la moneta a scadenza – che quindi non permetterebbe l’accumulo di interessi – di Silvio Gesell.10 La critica del valore non la pensa allo stesso modo: proprio Jappe è fra quelli che più ha indagato questo aspetto. Il suo libro, dal significativo titolo Contro il denaro,11 riassume piuttosto bene le motivazioni di fondo di queste perplessità. In estrema sintesi, il denaro risponde ad esigenze capitalistiche, non “umane” tout court. Lo dimostra il fatto che esso, come il mercato, fosse praticamente inesistente nelle società pre-capitalistiche, e solo quando un nuovo paradigma sociale si è imposto (ma sarebbe più corretto dire “è stato imposto”), anche il denaro abbia cominciato a diventare centrale, il “mediatore universale”, rappresentante lavoro astratto, ovvero il lavoro svolto per raggiungere profitto monetario e non risultati concreti per il benessere personale o collettivo. Nel sistema capitalistico il denaro rappresenta il fine, e la produzione il mezzo per arrivare a questo fine: in pratica il mondo alla rovescia. Ma nella crisi fondamentale della valorizzazione, il denaro perde valore sostanziale, ed è sempre più risultato di speculazioni finanziarie e non dell’economia reale. In questo senso, il suo valore fittizio potrebbe trasformarsi repentinamente in ciò che è, cioè “aria calda”, e disastrare velocemente il corpo sociale. Uscire dal suo dominio, in favore di un’organizzazione sociale “altra”, non dominata dall’“economico”, diventa così urgente e necessario. Per la critica del valore la moneta, in questo nuovo contesto, non avrebbe più ragione di esistere, e sarebbe del tutto assurdo promuoverne surrogati o simulacri, per quanto “alternativi” possano essere.12
Rivoluzione culturale e immaginario
Un altro punto fondamentale è quello della rivoluzione culturale e della trasformazione dell’immaginario. Un aspetto forse più indagato dalla decrescita che dalla critica del valore, esso viene tuttavia ripetutamente analizzato da entrambe con una certa attenzione proprio nella conferenza qui proposta. La decrescita è nota per basare gran parte del suo appeal su una proposta di rivoluzione culturale – senza la quale a suo avviso nessun’altra vera rivoluzione è possibile –, dichiarandosi più ancora essa stessa già culturalmente rivoluzionaria.13
La critica del valore non nega la necessità di prestare la massima attenzione a questo elemento, tuttavia – come sottolinea Jappe proprio nell’incontro – non può essere sufficiente pensare che basti un mero “capovolgimento” del pensiero per abbattere il capitalismo e uscire dalle sue forche caudine.14
Nel “non detto” di questi pensieri, e non solo in occasione di questa conferenza, resta tuttavia aperta la questione sul “come” veicolare un nuovo paradigma, che resti veramente tale e non si faccia sussumere dai dispositivi del potere, specie mediatico, una volta che assurge agli onori della cronaca. Un esempio interessante (e incoraggiante) a cui guardare, può forse essere il pensiero situazionista francese degli anni ‘60 – di cui peraltro Jappe è uno dei massimi esperti –, pensiero che, pur senza passare attraverso canali mediatici di grande diffusione, ha sicuramente influenzato in modo decisivo il maggio francese ma più in generale il ‘68 nel suo complesso. Ha ragione quindi Latouche, ribadendo che certe volte persino occasioni minime (come la stessa conferenza di Bourges) possono avere grandi risultati, in date circostanze e a determinate condizioni (per esempio, in tempo di crisi). In questo senso, anche la “pedagogia delle catastrofi ” di cui parla la decrescita, teoria qui comunque contestata con cognizione di causa da Jappe, può forse in qualche modo aiutare.
Modernità
Una “rivoluzione culturale” presuppone comunque di avere un’idea chiara riguardo alla cultura che si vuole combattere, e alle sue origini. In questo senso, sia la decrescita che la critica del valore si schierano apertamente contro la modernità, la prima a partire da un’analisi della storia della nascita dell’idea di crescita e sviluppo, la seconda concentrando la propria critica sull’illuminismo (e al soggetto di “diritto” con esso nato), inteso come pater patrum del movimento culturale che ha fatto da sponda all’imporsi del capitalismo – secondo la lettura della Scuola di Francoforte, in particolare la famosa Dialettica dell’illuminismo di Adorno e Horkheimer.15
Può essere curioso annotare come, proprio riguardo all’illuminismo, pur partendo da presupposti critici affini, le due correnti di pensiero approdino ad esiti praticamente opposti, l’una appunto indicandolo come responsabile, o quantomeno corresponsabile, della nascita del capitalismo, l’altra (la decrescita) immaginandolo come un movimento tradito i cui obiettivi restano ancora da realizzare, e che sono fra i compiti che la stessa decrescita si pone.
Stato e organizzazione sociale
Infine, un punctum dolens per entrambe le teorie, cioè la questione dell’organizzazione sociale che dovrebbe sostituirsi a quella esistente. Lo Stato viene giustamente criticato, in modo aperto e diretto dalla critica del valore – che non ne vede qualcosa di diverso dall’apparato necessario al buon funzionamento del sistema capitalistico –, in modo più mediato dalla decrescita, la quale non dispera che sia in qualche maniera, al pari della moneta, utilizzabile in modo efficiente e più consono alle reali esigenze dell’essere umano. La questione è scottante, perché se si può essere d’accordo che lo Stato non è niente di più del funzionario più importante, anzi indispensabile, per il capitale, tuttavia resta aperta la questione di quale possa essere la forma sociale che dovrebbe prendere una società post-capitalistica, tenendo conto che ci troviamo all’interno di una società comunque complessa e sicuramente non riconducibile a forme sociali del passato, almeno non nel modo in cui esse si sono presentate nel momento storico in cui vigevano.16 Jappe prova, nel dibattito che segue la conferenza, ad abbozzare una risposta, parlando di “federazione” fra le esperienze di riappropriazione fuoriuscite dal giogo economicista, ma la cosa resta appunto a livello di “bozza” e richiede approfondimenti e momenti di sperimentazione sul campo che aiutino a trovare, attraverso la pratica nutrita dalla critica serrata alle categorie fondamentali del sistema capitalistico, la via per dare corpo a quella che per ora resta solo una possibilità.
Questa piccola incursione, lungi dall’esaurire le potenzialità di questi due pensieri, ben altrimenti ricchi di spunti e già ora comunque in grado di abbozzare risposte importanti a problematiche sempre più urgenti, può dunque servire come prima guida per orientarsi all’interno di questo inedito dialogo, che è auspicabile sia solo agli inizi. Invitiamo a questo punto ad una lettura attenta e non pregiudiziale della conferenza e del testo che segue, affinché sia da stimolo ad una elaborazione creativa e fattiva dei molti spunti che queste due correnti di pensiero sono in grado di darci. Anche questo può essere considerato infatti un compito che l’epoca che stiamo attraversando richiede a tutti e a ciascuno singolarmente, senza quindi credere ancora una volta che sia sufficiente “delegare” qualcuno che dovrebbe pensarci al posto nostro. Solo così anche raccoglieremmo, nel modo migliore, il messaggio che la decrescita e la critica del valore ci lanciano, ovvero la richiesta di quella presa di coscienza e insieme assunzione di responsabilità a cui non possiamo più sottrarci ed a cui siamo, in modo sempre più pressante, chiamati.17 Un compito che solo apparentemente può sembrare fastidioso e ingombrante: si tratta invece di avviare un percorso di liberazione, che può anche essere già di per sé molto piacevole e ricco, in fondo al quale potrebbe apparire non la fine, spesso predicata dalle cassandre di regime, ma l’inizio della storia, quella più vera ed autentica dell’umanità.
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Comments
Quanto al fatto che sappia difendersi da solo, questo forse e' vero, ma diciamo solo in parte. L'attacco piu' "feroce" l'ha dovuto sopportare, direi, proprio dai suoi epigoni, che molto spesso ne hanno snaturato e avvilito il messaggio, al punto che il buon Karl e' arrivato a dire, immagino sapendo piu' a fondo di quanto siamo capaci di intuire normalmente noi, "ich bin kein Marxist", cioe' "non sono assolutamente marxista", e se le parole hanno un senso, queste dovrebbero farci riflettere un bel po' :-)
Un caro saluto
Max
Be' credo che dovremo riparlarne - e non intendo certo tu ed io qui ed ora ;-)
un saluto
Quella tragica storia, che ha tagliato le gambe al comunismo, ed anche le varie “teorie innovative” che nei decenni si sono susseguite, mi rendono particolarmente ostile agli esperimenti. Il fatto quindi che “lo stesso Jappe lo tema” penso che dovrebbe mettere in guardia. Credo pertanto che non si tratti di dare “una lettura del pensiero di Marx all'altezza dei tempi”, ma piuttosto di sviluppare la teoria classica marxiana (senza nessun’altra strana lettura), che tenga conto dello sviluppo imperialistico avvenuto negli ultimi settantenni. Si dovrebbero cioè trattare, veramente approfonditamente, alcune grandi questioni come per es.: la liberalizzazione dei capitali e dei commerci; l’imperialismo della grande finanza che domina il mondo e che ha lanciato la guerra al salario; la nuova rivoluzione industriale, dal nucleare all’elettronica/informatica alle biotecnologie; la globalizzazione e lo sviluppo delle multinazionali, col loro potere economico/politico spesso superiore alle organizzazioni statuali; il consumo a credito; la globalizzazione della forza-lavoro che lo svaluta e lo precarizza e che ha innescato le migrazioni di massa; analisi dell’attuale crisi economica considerandola non come una crisi sistemica, ma come crisi dell’attuale modello sociale.
E’ partendo dalle necessità dei grandi temi che andrebbero affrontati, per poter dare una base teorico/politica di consapevolezza, ai vari movimenti di lotta antisistema che si sviluppano nei vari paesi del mondo, che mi fanno ritenere le teorie per così dire sperimentali più che un contributo una vera e propria perdita di tempo, ed un consapevole o meno portar fuori rotta.
Un caro saluto e grazie.
un saluto