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La rottamazione dell'intelligenza

Franco Berardi Bifo

Non bisogna pensare che quello italiano sia un caso isolato, o una controtendenza. La tendenza universale della fase finale della mutazione neoliberista era stata anticipata da Michel Foucault: nelle sue parole deve portare alla formazione del modello antropologico dell’homo oeconomicus. L’espansione delle competenze cognitive sociali per affrontare la crescente complessità del mondo tecnico e sociale, fondamentale nella storia della civiltà moderna, è stata invertita, bruscamente e drammaticamente.

«Tutti devono sapere» è lo slogan di una campagna di informazione e denuncia sulla riforma Gelmini che partirà a metà del mese di maggio nelle scuole di Bologna. Tutti devono sapere che in Italia si è avviato un processo di smantellamento del sistema di produzione e trasmissione del sapere, destinato a produrre effetti devastanti sulla vita sociale dei prossimi decenni.

Taglio di otto miliardi di finanziamenti per la scuola pubblica mentre il finanziamento alle scuole private viene triplicato. Gli effetti di questo intervento sono semplicissimi da prevedere.

La scuola pubblica viene messa in condizioni di agonia, ridotta a luogo di contenimento della popolazione giovanile svantaggiata, consegnata così a un destino di rapido imbarbarimento. Alle scuole private accederanno solo i figli delle classi agiate. Nel frattempo, per completare il quadro, la nuova intellettualità [nella fascia tra i venticinque e i quaranta anni] sta migrando massicciamente verso l’estero. I nuovi intellettuali italiani non sono italiani e soprattutto non vogliono esserlo. Si sta disegnando una situazione dalla quale il paese non si riprenderà né domani né dopodomani, perché la distruzione del sistema pubblico di istruzione e il soffocamento della ricerca non sono fenomeni passeggeri e non sono neppure rimediabili nell’arco di una generazione.

Come può accadere una cosa di questo genere? Per chi, come me, è abituato a ragionare nei termini marxisti dell’analisi di classe, per chi si è abituato a pensare che viviamo in una società capitalistica in cui c’è una classe – la borghesia proprietaria – che trae il suo profitto presente e quello futuro dallo sfruttamento delle energie fisiche e mentali della società, quello che sta accadendo è incomprensibile. Il capitalismo italiano sta distruggendo il suo stesso futuro, non soltanto il futuro della società. Ma forse proprio qui sta il punto che sfugge alla nostra analisi: la borghesia non esiste più, il capitalismo borghese non esiste più. La rendita finanziaria non fonda più le sue fortune sul rapporto referenziale con l’economia reale. Non vi è più alcun rapporto tra aumento della rendita e crescita del valore socialmente disponibile. Da quando la finanza si è autonomizzata dalla sua funzione referenziale, la distruzione è diventata l’affare più redditizio per il ceto post-borghese che si è impadronito delle leve del potere. Un ceto post-borghese che potremmo definire ceto criminale, dal momento che la genesi del suo potere è essenzialmente legata alla illegalità, alla violenza, alla manipolazione.

Quello italiano è senza dubbio un quadro estremo, se comparato al quadro europeo. Pur avendo umiliato il sistema educativo francese sul piano politico e culturale nel 2009, poi nel 2010 Nicholas Sarkozy ha investito una somma notevole sulla ricerca pubblica, mentre in Italia la ricerca pubblica viene avviata all’estinzione. A livello europeo stiamo assistendo a un’intensa lotta tra la borghesia capitalista, che permane dominante in gran parte del nord protestante, e la classe criminale che si sta impadronendo del potere nei paesi barocchi, anzitutto l’Italia. La crisi dell’Unione europea è anzitutto il segnale di questa guerra, il cui esito al momento non è scontato.
Ma non bisogna pensare che quello italiano sia un caso isolato, o una controtendenza. La distruzione del sistema pubblico di formazione è una tendenza universale della fase finale della mutazione neoliberista, quella che Michel Foucault ha anticipato nel seminario del 1979 [pubblicato col titolo «Naissance de la biopolitique»], quella che nelle sue parole deve portare alla formazione del modello antropologico dell’homo oeconomicus.

L’espansione delle competenze cognitive sociali per affrontare la crescente complessità del mondo tecnico e sociale, che è stata fondamentale nella storia della civiltà moderna, è stata invertita, bruscamente e drammaticamente. La nuova dinamica del capitalismo finanziario criminale non prevede il futuro, non lo immagina, non lo vuole e non lo prepara. Non a caso è un potere essenzialmente gerontocratico, anche se la sua ideologia è giovanilistica. Il fascismo futurista del Novecento era una forma di giovanilismo aggressivo di giovani che scalpitavano per raggiungere il potere. Il fascismo post-futurista di oggi è invece un regime giovanilista dei vecchi.

Il ceto nichilista che si è impadronito del potere in Italia [ma non solo in Italia naturalmente] si muove lungo le linee di una consapevolezza inconfessabile: la civiltà umana è destinata a finire con noi, entro le condizioni del capitalismo non esiste più la possibilità di vita civile. Dunque appropriamoci in maniera frenetica del valore che proviene dalla demolizione di ciò che le generazioni moderne di proletari e di borghesi hanno prodotto, a cominciare con la cultura, la scienza, il sapere. Negli anni ottanta e novanta la dinamica del capitalismo globale si accompagnava alla diffusione di nuove scuole, nuovi comparti della formazione, in gran parte legati allo sviluppo delle nuove tecnologie digitali. Impresa dinamica e lavoro cognitivo si trovarono alleati, fino all’esperienza culturale ed economica delle «dot.com», le piccole imprese ad altissimo investimento cognitivo sostenute dall’azionariato privato e dall’intervento pubblico. Negli anni novanta il cognitariato si formò come classe post-operaia, proprio nell’incrocio tra dinamiche finanziarie [venture capital], dinamiche culturali [net-culture] dinamiche tecnologiche [la rete].

Questa classe virtuale post-operaia, dai contorni labili e dall’esistenza precaria, nucleo sociale decisivo dell’insorgenza anticapitalista che ebbe inizio a Seattle, per alcuni anni attraversò la storia del mondo come ultimo appello alla coscienza etica del genere umano. Ma il movimento non riuscì mai a uscire dai confini dell’etica, per farsi trasformazione della vita sociale quotidiana, autonomia solidale capace di sottrarsi all’abbraccio mortifero dei media dominanti e del ricatto precario. Nel frattempo, infatti, nella sfera del lavoro cognitivo si era consolidata un’idea meritocratica del reddito, una percezione competitiva e non solidale del mercato del lavoro. Sta qui la debolezza del cognitariato, costretto alla condizione del lavoro precario, e incapace di produrre comportamenti collettivi di autonomizzazione nella vita quotidiana.

La Carta di Bologna, che nel 1999 venne approvata dai rappresentanti dei sistemi educativi dei paesi europei, segnò l’imposizione definitiva del modello aziendale alla scuola pubblica europea, e avviò un processo di immiserimento e di frammentazione dei saperi, che corre parallelo alla precarizzazione del lavoro scolastico e universitario, alla drastica riduzione del salario-docente, soprattutto nella sfera universitaria. Il crollo azionario della primavera 2000 segna l’inizio di un vero e proprio smantellamento della forza sociale del cognitariato, cui il cognitariato non seppe opporsi. Nel 2001 Christian Marazzi scrisse un articolo dal titolo «Non rottamiamo il general intellect». Proprio questo invece è accaduto: la rottamazione del «general intellect» è stato il processo che il ceto criminale post-borghese ha messo in moto fino dai primi anni del decennio 2000.

Un ceto criminale si impadronisce del mondo nel primo decennio del 2000 – Cheney e Bush ne sono i rappresentanti americani, Putin, il Kgb, Gazprom in Russia, Fininvest-Mediaset in Italia, per non citare che i più illustri esempi di questo ceto che non è più definibile borghese, perché non fonda più la sua ricchezza sullo sfruttamento regolato di una classe operaia territorializzata, ma sull’arbitrarietà di un comando che si esercita sull’aleatorio dello scambio linguistico, sul raggiro, sulla simulazione e infine sulla guerra. Questo ceto criminale persegue una politica di distruzione accelerata della civilizzazione sociale. La borghesia investiva sul lungo periodo, sul territorio, sulla continuità di una comunità laboriosa e consumatrice. La classe del capitale finanziario non ha alcun interesse al futuro della comunità, del territorio. Una delle attività finanziarie più lucrose diviene proprio quella dello smantellamento, della messa in fallimento, della smobilitazione di nuclei di intelligenza collettiva.

La distruzione del sapere sociale è un affare che rende bene al ceto criminale. Quegli otto miliardi che il governo Berlusconi ha risparmiato distruggendo il sistema della scuola pubblica finiranno nelle tasche capienti del ceto cadaverico, mentre il business della scuola privata si ingigantisce.

Esiste una via d’uscita dalla dittatura dell’ignoranza. Per il momento non la vediamo. Come dice Mark Fisher nel suo «Capitalist Realism»: «Gli studenti inglesi sembrano rassegnati al loro fato. Ma questo non è un problema di apatia, o di cinismo, ma di impotenza riflessiva. Sanno che le cose vanno male, ma soprattutto sanno che non possono farci niente. Questa loro consapevolezza non è una osservazione passiva di uno stato già esistente delle cose. È una profezia che si autorealizza».

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