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Gli squilibri dell’eurozona e le guerre commerciali globali

di Stefan Kawalec

1o19krs48k file 1024x500È passato più di un anno dalla pubblicazione di European House of Cards, ma tutte le cause strutturali del fallimento dell’eurozona e le previsioni descritte in questo articolo di Stefan Kawalec rimangono tutt’ora in piedi, ugualmente inascoltate dai decisori politici europei. Sicché, mentre si materializzano le paventate guerre valutarie e commerciali causate dagli squilibri globali innescati dall’euro, e il dollaro americano continua a svalutarsi sulla moneta unica, l’eurozona rimane intrappolata nelle sue false speranze, di volta in volta artatamente rinvigorite o sgonfiate nel dibattito pubblico con l’intento strumentale di portare avanti le politiche deflazionarie che favoriscono i paesi più forti, quelli creditori, e le classi sociali vincenti, i rentier della finanza con i loro sostenitori. Fino a che il gioco potrà andare avanti. 

Kawalec si sofferma anche sulla inevitabilità della riduzione del surplus commerciale tedesco, e sulla necessità che ciò avvenga in modo graduale. Come dimostrano precedenti storici, un surplus di questo tipo è segno di debolezza anziché di solidità: l’economia tedesca non è in grado di sfruttare le proprie risorse senza attingere alla domanda estera, e quando questa dovesse venire a mancare sarà inevitabile un periodo di recessione e alta disoccupazione.

 

* * * * *

L’euro è un problema non solo per l’Europa, ma anche per i suoi partner commerciali e per l’intera economia mondiale. L’incapacità dell’eurozona di risolvere gli squilibri interni, insieme a una situazione sociale e politica molto tesa nei paesi colpiti dalla crisi, la costringe a cercare disperatamente di generare surplus commerciali e di partite correnti. Si tratta probabilmente di una situazione permanente che, data la posizione leader dell’area dell’euro nell’economia mondiale, avrà un impatto negativo sugli altri paesi e potrà quindi scatenare guerre valutarie mondiali e inibire il commercio internazionale.

Uno smantellamento controllato dell’eurozona sarebbe vantaggioso per i paesi membri colpiti dalla crisi e per i partner commerciali dell’Europa e – contrariamente alle apparenze – anche per la Germania.[1]

 

La stagnazione prolungata nei paesi membri del Sud dell’eurozona e il pericolo di guerre valutarie globali

Le disastrose conseguenze delle politiche di svalutazione interna

Nel 2010, quando è esplosa la crisi della zona euro, è stato stimato che, per far sì che i paesi del sud dell’UE (come la Grecia, l’Italia, il Portogallo e la Spagna) riconquistassero la competitività e riequilibrassero le loro bilance commerciali e le partite correnti, questi dovessero abbattere i salari del 20-30% rispetto ai loro partner commerciali.  Purtroppo, i paesi in crisi della zona euro non possono migliorare la loro competitività attraverso il deprezzamento delle valute. Invece, hanno cercato di attuare una cosiddetta “svalutazione interna”, che è l’equivalente contemporaneo della politica di deflazione applicata durante la Grande Depressione negli anni Trenta per difendere il sistema del gold standard. La dimensione e la durata del crollo economico nei paesi dell’eurozona colpiti dalla crisi sono paragonabili e, in alcuni casi, anche più profondi rispetto a quanto accaduto durante la Grande Depressione.

 

Confidiamo nell’indebolimento dell’euro

Molti osservatori hanno sottolineato che un indebolimento dell’euro potrebbe essere lo strumento macroeconomico più efficace attraverso cui la Banca centrale europea (BCE) potrebbe aiutare i paesi membri in difficoltà della zona euro. In molte occasioni, gli economisti e i politici hanno invitato la BCE a indebolire l’euro per migliorare la situazione nei paesi in crisi. In definitiva, a metà del 2014, una combinazione di fattori, quali l’alleggerimento quantitativo (QE) europeo, l’introduzione di tassi di interesse negativi sui depositi da parte della BCE, il rallentamento (tapering) del QE negli USA, il prolungarsi della crisi dell’area euro e la ripresa dell’economia statunitense, hanno dato il via al deprezzamento dell’euro. Il tasso di cambio dell’euro è diminuito dalla media mensile di 1,37 dollari nel maggio 2014 a 1,08 dollari nel mese di marzo 2015, e nei mesi successivi ha oscillato vicino a questo livello più basso.

 

Il surplus delle partite correnti è più alto che in Cina

Nel 2010, quando è scoppiata la crisi dell’eurozona, la Francia e i paesi meridionali della zona euro come la Grecia, l’Italia, il Portogallo e la Spagna avevano un disavanzo cumulato delle partite correnti di 159 miliardi di euro. Questo deficit era controbilanciato da un avanzo di 145 miliardi di euro in Germania, nonché da eccedenze nei Paesi Bassi e in Irlanda. Complessivamente, la zona euro registrava un surplus di partite corrente di 36 miliardi di euro (48 miliardi di dollari) pari allo 0,4% del suo PIL. Negli anni successivi, i disavanzi delle partite correnti nei paesi meridionali della zona euro sono diminuiti o scomparsi a seguito della recessione economica e di un euro più debole. Allo stesso tempo, i surplus delle partite correnti in paesi come la Germania sono aumentati, facendo crescere il surplus complessivo dell’area euro. Nel 2015, l’eccedenza di partite correnti della zona euro, pari a 330 miliardi di euro (366 miliardi di dollari) ed equivalente al 3,6% del suo PIL, è stata la più grande tra le economie mondiali, compresa la Cina, per il terzo anno consecutivo. La zona euro è diventata una fonte importante di squilibri globali.

 

Il pericolo di conflitti commerciali globali

Nell’intera economia globale, sia le partite correnti che gli scambi commerciali sono per definizione equilibrati. Pertanto, mantenere enormi surplus nell’area euro significa che le altre economie del mondo devono avere notevoli deficit di partite correnti e commerciali, il che comporta una crescita economica più lenta e una maggiore disoccupazione. Tenuto conto della grande dimensione dell’economia dell’eurozona e della scala delle sue eccedenze internazionali, i partner commerciali dell’Europa non possono tollerare a lungo tale situazione. Se i surplus della zona euro continueranno, prima o poi i suoi partner scateneranno una guerra commerciale internazionale con conseguenze terribili per l’Europa, per loro stessi e per l’intera economia globale.

 

Le false speranze di risolvere gli squilibri interni dell’eurozona

È improbabile che la Germania distrugga volontariamente la sua sudata competitività

Un problema irrisolvibile per la BCE è che l’euro rimanga troppo forte per i paesi del Sud e troppo debole per la Germania. Anche se consentire all’euro di apprezzarsi contribuirebbe a ridurre i surplus di partite correnti, ciò aggraverebbe anche lo stress economico nei paesi del Sud. Questo, a sua volta, rafforzerebbe ulteriormente i movimenti politici populisti e anti-europei che hanno capitalizzato sulle difficoltà sociali per ottenere consensi.

Alcuni osservatori ritengono che gli squilibri interni della zona euro possono essere ridotti se la Germania aumenta la spesa in infrastrutture e permette che i suoi salari crescano più velocemente. Ma per molti tedeschi, che hanno subito le difficili riforme sociali e del mercato del lavoro nel 2003-2005, uno sforzo deliberato per ridurre gli incrementi di competitività così  duramente guadagnati non è un’opzione. Il fatto che il 63% delle esportazioni tedesche vada in paesi al di fuori della zona euro – vale a dire che le imprese tedesche devono essere in grado di competere con le loro omologhe in tutto il mondo, non solo nell’unione monetaria – rende la questione ancora più delicata.

 

I progressi verso l’unione fiscale non aiuterebbero

Altri osservatori sostengono che un’ulteriore integrazione, in particolare dei passi avanti verso un’unione fiscale e politica, fornirebbe all’eurozona strumenti alternativi – cioè trasferimenti di ricchezza – per migliorare la competitività dei paesi depressi. Ma, come hanno imparato l’Italia e la Germania nei loro sforzi in gran parte falliti (ed estremamente costosi) per stimolare regioni non competitive, tali aspettative sono ingiustificate. Infatti, nonostante l’enorme spesa di denaro dei contribuenti – che equivale annualmente al 16% del PIL regionale dell’Italia meridionale e al 25% del PIL regionale della Germania orientale – le economie italiana e tedesca ne hanno guadagnato ben poco.

Infatti, il tentativo di migliorare la competitività delle aree depresse all’interno di un’unione monetaria attraverso i trasferimenti fiscali è una contraddizione in termini. L’afflusso di fondi verso i paesi che cercano di riconquistare competitività attraverso una politica di svalutazione interna pregiudica questa stessa politica. Mentre una politica di svalutazione interna si pone l’obiettivo di diminuire la domanda interna al fine di ridurre i prezzi e i salari, i trasferimenti fiscali in entrata aumentano la domanda interna e contribuiscono ad aumentare i salari e i prezzi, rendendo quindi più difficile riconquistare la competitività.

 

Nemmeno l’esperienza americana infonde speranza

I sostenitori dell’euro spesso menzionano gli Stati Uniti, simili all’Unione europea (UE) in termini di superficie totale, popolazione e livello di sviluppo economico. Concludono che, poiché l’economia statunitense può operare con successo con una sola moneta, la stessa cosa potrebbe succedere in Europa, a condizione che l’architettura della zona euro sia adeguatamente migliorata.

Tuttavia, il modo americano di trattare gli squilibri regionali sarebbe difficilmente accettabile per i paesi europei. Alcuni stati e territori USA sono destinatari permanenti di trasferimenti federali netti che superano annualmente il 10% del PIL locale. Questi trasferimenti non aiutano a risolvere i problemi di non-competitività degli Stati e dei territori beneficiari, ma semplicemente forniscono risorse per finanziare i disavanzi derivanti da tali problemi. Come dimostrato nello studio classico di Olivier Jean Blanchard e Lawrence F. Katz [2], il fattore che risolve il problema della disoccupazione più elevata nelle regioni sottosviluppate dell’America non è la “svalutazione interna”, cioè l’aggiustamento salariale locale, ma l’emigrazione delle persone in età lavorativa in altre parti del paese. I punti di forza del meccanismo di aggiustamento americano (nonché alcuni dei suoi effetti estremi) si possono vedere nei casi di Detroit e Puerto Rico, come descritto da “The Economist” [3].

Detroit, l’ex capitale dell’industria automobilistica americana, ha perso migliaia di posti di lavoro. Tuttavia il livello di disoccupazione in città (5,7% nel 2015) è solo leggermente superiore alla media americana e sostanzialmente inferiore a quello dell’area euro (10,9% nel 2015). Questo perché gli abitanti hanno lasciato la città. La popolazione di Detroit è diminuita del 62%, da 1.850.000 abitanti nel 1950 a 700.000 nel 2013. Il problema della città non è la disoccupazione, ma un basso numero di abitanti, che non è in grado di finanziare le infrastrutture locali. Di conseguenza, nel 2013 Detroit ha dichiarato fallimento.

A Puerto Rico, un territorio dipendente dagli Stati Uniti, la disoccupazione è da lungo tempo limitata dall’emigrazione. Il territorio è ora abitato da 3,5 milioni di persone, mentre 5 milioni di portoricani, cioè il 59% del totale, vivono in altre parti degli Stati Uniti. Tuttavia, l’economia in contrazione e la popolazione in calo non sono più in grado di finanziare gli impegni di spesa di Puerto Rico. “The Economist” sostiene che prima o poi il governo federale dovrà assumersi alcuni dei debiti dell’isola.

 

All’interno dell’Unione Europea, l’area valutaria ottimale è al livello degli stati membri

Né la stagnazione di lungo periodo né l’emigrazione di massa sono soluzioni accettabili per gli Stati nazionali europei

L’Europa è costituita da paesi con lingue diverse, caratterizzati da diverse tradizioni storiche e culturali. Gli Stati nazionali costituiscono la principale fonte di identità dei cittadini; fungono anche da fonte di legittimità democratica dei governi. Per la coesione dell’Unione europea e dei suoi Stati membri, è importante che i cittadini europei dispongano delle migliori opportunità possibili per lo sviluppo personale e il benessere all’interno dei propri paesi. Né la stagnazione a lungo termine né l’emigrazione di massa sono soluzioni accettabili per le nazioni europee. Inoltre, nemmeno dei trasferimenti fiscali permanenti che finanzino i disavanzi di alcuni stati nazionali possono rappresentare una soluzione accettabile per la zona euro, come testimonia una relazione dei presidenti delle cinque principali istituzioni europee. [4]

Nelle emergenze, il tasso di cambio è un meccanismo di regolazione efficace e sostanzialmente insostituibile che migliora la competitività di una data area valutaria. Pertanto, è razionale che il potere di utilizzare questo strumento dovrebbe essere localizzato al livello comunitario, con il quale i cittadini si identificano maggiormente e al quale sono disposti a delegare la responsabilità del loro destino. Nel caso dell’Unione europea, il livello di comunità ottimale per un’area valutaria è lo Stato membro. All’interno di uno Stato nazionale, sia la migrazione che i trasferimenti fiscali permanenti non sono politicamente distruttivi e potrebbero essere accettabili.

Privare i paesi membri delle loro valute può, contrariamente alle intenzioni, minacciare il futuro dell’UE invece che promuovere un’ulteriore integrazione europea.

 

Lo smantellamento dell’eurozona potrebbe essere positivo non solo per i membri dell’eurozona in crisi, ma anche per i partner commerciali europei, e per la Germania

Uno smantellamento controllato dell’eurozona potrebbe migliorare la situazione dei Paesi del Sud

Per poter salvare l’Unione Europea e il mercato unico, bisognerebbe smantellare l’eurozona in maniera ordinata. La segmentazione dell’eurozona condotta attraverso la via più in voga, ossia l’uscita dei Paesi meno competitivi, potrebbe causare fallimenti delle banche e il collasso dei settori bancari in questi paesi. Di conseguenza, alcuni economisti propongono uno scenario differente, secondo cui l’eurozona viene smantellata in maniera opposta, con un’uscita graduale dei paesi più competitivi. (5). In parallelo alla segmentazione dell’eurozona, un nuovo meccanismo di coordinamento tra valute dovrebbe essere messo in atto in Europa, con l’obiettivo di prevenire guerre valutarie e un apprezzamento eccessivo della nuova valuta tedesca.

Questa proposta di segmentazione dell’eurozona aumenterebbe la competitività dei paesi del Sud attraverso una svalutazione monetaria. Alcuni paesi potrebbero avere comunque bisogno di una ristrutturazione del debito.

La dimensione e il costo di questa ristrutturazione sarebbero comunque inferiori rispetto allo scenario in cui questi paesi rimanessero nell’attuale eurozona e le loro economie soffrissero di un livello di attività economica inferiore al loro potenziale e un alto livello di disoccupazione.

 

Un’Europa con valute nazionali potrebbe avere migliori relazioni commerciali con il resto del mondo

Secondo una visione parecchio diffusa, l’UE ha necessità di avere una moneta unica per operare con successo all’interno dell’economia mondiale tra i grandi protagonisti come gli USA, la Cina e l’India. Tuttavia, la moneta unica costringe l’eurozona a sforzarsi disperatamente di generare un surplus commerciale e di partite correnti con il resto del mondo, cosa che potrebbe innescare una guerra valutaria con i principali partner commerciali.

Se i Paesi dell’eurozona tornassero alle loro valute nazionali, legate tra loro con bande di oscillazione flessibili, i deficit commerciali e di partite correnti dei paesi in crisi potrebbero venire eliminati. Si potrebbe ottenere questo risultato bilanciando gli squilibri tra gli attuali membri dell’eurozona, senza generare un grosso surplus dell’eurozona intera, e quindi senza causare un effetto globale negativo sui partner commerciali dell’Europa. Questo meccanismo sarebbe più vantaggioso per i partner commerciali europei rispetto alla “difesa dell’euro a tutti i costi”, nella quale è probabile che l’eurozona crei un surplus commerciale notevole, deprimendo il valore dell’euro.

 

La Germania eviterebbe di sbattere contro un muro

Secondo una visione diffusa, lo smantellamento dell’euro e il ritorno alle valute nazionali avrebbero conseguenze negative per la Germania, perché la nuova valuta tedesca si apprezzerebbe, facendo precipitare il surplus commerciale tedesco o trasformandolo persino in un deficit.  Michel Pettis (6) sostiene tuttavia che l’enorme surplus commerciale e di partite correnti della Germania è insostenibile. Prima o poi la Germania dovrà ricorrere a un processo di riaggiustamento, che ridurrebbe il suo surplus al prezzo di una crescita economica più lenta. La gravità di questo aggiustamento dipenderà dalle circostanze. Se l’aggiustamento dovesse essere imposto da una recessione globale, potrebbe essere molto grave.

Pettis fa riferimento all’esempio della Francia, che nel 1930 aveva un alto surplus commerciale e basso debito. Si pensava quindi che avrebbe resistito bene a una successiva recessione mondiale. Ma le cose andarono in maniera diversa, e la Francia soffrì durante la Grande Depressione degli anni ’30 molto più di altri Paesi.

Un surplus commerciale stabile non è un cuscinetto di protezione per le economie dagli effetti dei peggioramenti delle condizioni economiche. Un surplus permanente è segnale di mancata flessibilità, che riflette l’incapacità dell’economia di dare lavoro ai suoi lavoratori in una situazione di commercio estero bilanciato. Questo stato di cose espone il Paese a un grande rischio. Una grande economia non può contare indefinitamente su un surplus commerciale. Se l’economia stessa non è in grado di auto-ridurre il suo surplus, prima o poi la riduzione avverrà come risultato dei cambiamenti delle politiche dei suoi partner commerciali o dei cambiamenti nella situazione economica mondiale.

Un’economia rigida, troppo dipendente dagli avanzi commerciali, in casi del genere è quella che più facilmente subirà un duro impatto, che si tradurrà in una recessione e in un aumento della disoccupazione. In questo momento, il rischio di un duro risveglio minaccia l’economia cinese, cosa che produce preoccupazioni e ansietà nel resto del mondo. Un giorno, la possibilità di un duro risveglio minaccerà anche la Germania, se non riuscirà a ridurre da sola il proprio avanzo commerciale.

Vale la pena di analizzare dalla prospettiva tedesca la differenza tra due modi di ridurre il surplus commerciale e di partite correnti: (a) bilanciare gli squilibri tra gli attuali membri dell’eurozona ritornando alle valute nazionali e permettendo aggiustamenti di cambio all’interno di bande di oscillazione (opzione qui sostenuta), rispetto a (b) ridurre gli squilibri attraverso l’espansione fiscale e l’aumento degli stipendi tedeschi (opzione che verrà confutata nella seconda parte di questo articolo).

Entrambi i metodi hanno come risultato atteso l’aumento dei salari tedeschi, se considerati nella valuta dei loro partner commerciali esteri. Tuttavia, nell’opzione (a) questo avverrebbe con l’apprezzamento della nuova valuta tedesca, mentre in (b) avverrebbe tramite l’aumento nominale dei salari tedeschi.

Una grossa differenza tra questi due approcci risulterebbe evidente se, in futuro, i salari tedeschi dovessero diventare non competitivi (cosa che potrebbe essere causata da vari fattori e processi che potrebbero avvenire in Germania o nelle economie dei partner commerciali tedeschi).

In questo caso, nello scenario (a) l’eccessivo aumento dei salari tedeschi rispetto a quelli dei partner commerciali verrebbe automaticamente compensato da un aggiustamento del tasso di cambio. Nello scenario (b), che prevede la permanenza nell’eurozona con salari non competitivi, la Germania sarebbe costretta a una dolorosa terapia di “svalutazione interna”, che potrebbe comportare anni di stagnazione economica e alta disoccupazione.

L’esperienza storica mostra che l’economia tedesca è riuscita a svilupparsi con grande successo, aumentando la produttività e i salari e mantenendo la propria competitività, durante il continuo processo di apprezzamento della moneta.

L’economia tedesca ha dimostrato di saper gestire bene l’apprezzamento della propria moneta, a patto naturalmente che questo avvenga all’interno dei limiti delle differenze di aumenti di produttività rispetto ai suoi partner commerciali. Tuttavia, negli ultimi 60 anni, a dispetto di un trend molto forte di apprezzamento della valuta tedesca rispetto a quella statunitense, ci sono stati anche episodi di deprezzamento. Gli aggiustamenti valutari in entrambe le direzioni hanno quindi giocato un ruolo importante nel proteggere la competitività dell’economia tedesca. Lo smantellamento controllato dell’eurozona consentirebbe alla Germania di risolvere il problema dell’attuale, persistente surplus commerciale in una maniera più sicura e graduale rispetto agli altri possibili sistemi. La relativa tranquillità di questo processo sarebbe data dalla combinazione di due fattori.

In primis, il processo avverrebbe in una condizione di crescita economica della Germania, grazie alla crescita economica europea causata dalla segmentazione dell’eurozona. In condizioni di crescita economica, una diminuzione del surplus commerciale sarebbe molto meno dolorosa rispetto allo stesso fenomeno in una situazione di recessione globale e collasso del commercio internazionale (come avvenne in Francia negli anni ’30).

In secondo luogo, la rivalutazione della nuova valuta tedesca verrebbe controllata con bande di oscillazione valutarie all’interno di un nuovo sistema di coordinamento delle valute europee.

La sicurezza di questo processo deriva dal fatto che la Germania riotterrebbe una valuta flessibile, cosa che aiuterebbe il paese a rimanere competitivo indipendentemente dai futuri cambiamenti nei costi relativi e nelle fluttuazioni della situazione internazionale. Perciò – come abbiamo spiegato sopra – la riduzione del surplus commerciale attraverso gli aggiustamenti del cambio della nuova valuta tedesca è più sicura rispetto a ottenere lo stesso risultato attraverso la crescita nominale dei salari tedeschi all’interno dell’attuale struttura dell’eurozona.


Note
[1] Questo articolo si basa sui seguenti testi:
•  S. Kawalec and E. Pytlarczyk, Controlled Dismantlement of the Eurozone: A Strategy to Save the European Union and the Single European Market, “German Economic Review”, 14 (1), February 2013, p. 31-49.
•  S. Kawalec and E. Pytlarczyk, Controlled Dismantlement of the Eurozone: A Proposal for a New European Monetary System and a New Role for the European Central Bank, National Bank of Poland Working Paper No 155, Warsaw 2013. http://www.nbp.pl/publikacje/materialy_i_studia/155_en.pdf.
• S. Kawalec, Europe’s Currency Manipulation, „Project Syndicate”, http://www.project-syndicate.org/commentary/euro-currency-manipulation-by-stefan-kawalec-2015-04, 2 April 2015.
•  S. Kawalec, The permanent necessity to undervalue the euro endangers Europe’s trade relations, Paper for 12th EUROFRAME Conference on Economic Policy Issues in the European Union „Challenges for Europe 2050”, organized by the EUROFRAME group of research institutes, Vienna, Austria, 12 June 2015.
•  S. Kawalec, The Euro as a Threat to European Integration, “That Sinking Feeling”, New Direction – the foundation for European reform, Autumn 2015, p. 6-9.
•  S. Kawalec and E. Pytlarczyk, Paradoks euro. Jak wyjść z pułapki wspólnej waluty (The Euro Paradox: How to Break Out of the Trap of a Common Currency?), Poltext, Warszawa 2016.
[2] O. J. Blanchard, L. F. Katz, Regional Evolutions, “Brookings Papers on Economic Activity”, 1:1992.
[3] “The Economist”, For richer, for poorer: One way or another, America’s government will end up bailing out Puerto Rico, November 28, 2015.
[4] I presidenti della Commissione Europea, del Summit Europeo, dell’Eurogruppo, della Banca Centrale Europea, e del Parlamento Europeo, hanno presentato idee preliminari su un bilancio comune dell’eurozona sotto il termine eufemistico di “funzione di stabilizzazione fiscale dell’eurozona”. In ogni caso, hanno affermato che: “non dovrebbe condurre a trasferimenti permanenti tra paesi o a trasferimenti in un’unica direzione… non dovrebbe essere nemmeno concepito come un mezzo per bilanciare i redditi tra i paesi membri”. Si veda: The Five Presidents’ Report: Completing Europe’s Economic and Monetary Union, report by: Jean-Claude Juncker in close cooperation with Donald Tusk, Jeroen Dijsselbloem, Mario Draghi, and Martin Schulz, The European Commission, 22 June 2015, p. 15.
[5] European Solidarity Manifesto, Bruxelles, 24 gennaio 2013, http://www.european-solidarity.eu/.
[6] Michael Pettis, Il grande riequilibrio: commercio, conflitto e il pericoloso futuro dell’economia mondiale, Princeton University Press, Princeton and Oxford 2013.

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