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manifesto

Parole scomode

Rossana Rossanda

Ci pesa chiedere soldi ogni due o tre anni a chi ci legge, ma siamo soffocati non soltanto dalla abolizione da parte del governo di ogni diritto della stampa scritta e dai nostri probabili errori (perché anche i poveracci ne fanno, per quanto stringano la cinghia). Da venti anni in qua siamo soffocati dal fastidio che provano i più nell'ascoltare una voce fuori dal coro. Fa impressione oggi sentir dire da Tremonti in Italia e da Sarkozy in Francia quel che fievolmente non abbiamo smesso di dire mai e cioè che deregulation e finanziarizzazione dell'economia avrebbero portato la medesima allo sfascio. A scriverlo, l'epiteto più gentile che si riceveva era: «siete arcaici». Simpatici ma fuori dal mondo. Il mondo, dicevano quelli che se ne intendono, era globalmente capitalistico, finalmente fuori dal controllo dell'inaffidabile politica, finalmente consegnata alla mano invisibile e giusta del mercato. Meno stato più mercato è stata la parola d'ordine della destra, della sinitra detta riformista, e della sinistra radicale, magari per opposte ragioni ma con il medesimo risultato. Persino uno Scalfari, che all'inizio metteva in guardia dall'economia del farwest s'è azzittito, per non dire della sufficienza con cui sono stati trattati gli Stiglitz e i Fitoussi o i Krugman che osavano aprir bocca davanti al monetarismo delle banche centrali e ai prodigiosi disastri del Fondo monetario internazionale. E il lavoro? Le imprese avevano giurato che, con il progresso della tecnologia era ormai una voce insignificante del loro bilancio. E invece da vent'anni è diventato il terreno della caccia più feroce dei padroni per strozzarlo ai minimi, e quando non ci sta, delocalizzano. L'Europa, solo continente in cui esso aveva conquistato dei diritti, s'è andata formando dando addosso alla sua «rigidità» e avanti con flessibilità e precariato, e basta con i contratti nazionali, negli applausi non dico dei Fassino, Veltroni, Epifani ma fin del meno azzardoso D'Alema. E noi, ne siamo usciti indenni?

Povero manifesto , Cassandra miserabilista, con la fissa dell'operaio che invece non c'è più. No. Più avanzava il berlusconismo meno ci hanno comprato. Mentiremmo se dicessimo che non siamo stati sfiorati dal dubbio di perdere il polso delle cose, di sbagliare, che non siamo stati sfiorati dal fascino dell'impresa privata. Tantopiù che venivamo, i vecchi, da una storia del socialismo reale con la quale non si sono mai fatti i conti. Adesso, essendo stati incerti sull'Europa, neanche osiamo strepitare che i Barroso, gli Almunia e l'onesto Prodi sono gli ultimi ad accorgersi del terremoto al cui rischio hanno portato l'Europa privandola della sola virtù che aveva avuto, l'attenzione all'acuità del conflitto sociale, per lanciarla nella concorrenza e nella competitività senza regole. Isolati e stretti siamo stati i soli a dire che si andava allo sfascio e senza alcuna visibile forza alternativa, anzi nella rivalutazione del fascismo. Se il manifesto fosse costretto a chiudere, chi direbbe queste verità?

Nessuno. Tremonti ammette la crisi ma propone misure che neppur si possono definire protezioniste, se si guarda alla vergognosa vicenda dell'Alitalia, regalata a un gruppo di privati amici del governo. Anche Bush la ammette ma non fa che salvare banche e assicurazioni irresponsabili con miliardi di dollari, che dovrà chiedere ai contribuenti o far stampare dalla Fed. Sarkozy parla più chiaro ma razzola altrettanto male, grida che è finita con la deregulation, che è finita col capitalismo senza controllo, che deve essere la politica a decidere, ma intanto la sola cosa che fa decidere al suo governo è di tagliare trentaseimila posti nella funzione pubblica. Perfino il nostro molto rispettato amico Guido Rossi affida a Repubblica un pensoso scritto, dal quale io non capisco se consiglia di cambiare le regole del diritto per seguire una globalizzazione sregolata o se finirla con la sua sregolatezza per conservare qualche norma di diritto.

La verità è che le magnifiche sorti e progressive del neoliberismo sono per il momento a terra. Ma lo ammettono solo coloro che ne sono stati gli araldi. La cosiddetta sinistra non sa che dire né fare, né come mobilitare, neppure che cosa proporre, anzi esigere davanti a quella che dovrebbe essere una sia pur pericolosa occasione. Da tempo ha segato il ramo su cui stava.

Gli anticapitalisti, se ancora ci sono, tacciono su un crack che gli fa spavento. Si dovrà chiudere la sola voce che almeno ha detto fin dall'inizio: cari miei qui va a finire male? E periodicamente aggiunge, ma senza grande successo: diamoci una mossa, che diavolo!

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