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casadellacultura

Il sapere come metodo

Sulla riduzione del percorso liceale a soli quattro anni

Giovanni Carosotti

giovanni carosotti liceo breveÈ un luogo comune affermare che i docenti italiani godano di ben due mesi di ferie consecutive[1]. Non è così; ma se anche fosse, il mese di agosto non è stato mai poco significativo per il loro lavoro. È prassi consueta quella di far passare provvedimenti importanti durante il periodo estivo, quando gli insegnanti hanno poche possibilità di organizzare e rendere noto il loro eventuale dissenso. Ciò conferma quanto da lungo tempo in molti hanno fatto notare; e cioè che, al di là della retorica, gli insegnanti non sono oggetto di particolare considerazione né consultati in maniera significativa quando si decidono provvedimenti rilevanti per la qualità della loro professione. In coerenza con un assunto teorico continuamente ribadito dai diversi documenti ministeriali: i docenti, dalla scuola primaria alla secondaria superiore, non sono più considerati depositari di positive capacità professionali, sulle quali la comunità deve investire per la formazione culturale e civile delle nuove generazioni; bensì lavoratori la cui preparazione risulta ormai inadeguata rispetto alle grandiose trasformazioni epocali verificatesi negli ultimi decenni. Essi devono dunque accettare il principio di dover rimettere totalmente in discussione la propria professionalità[2] . Ovvero, sottoponendosi a continui corsi di aggiornamento e di formazione, gestiti da professionisti esterni al mondo della scuola i quali, ritenuti più capaci di cogliere le necessità cognitive richieste dalla nuova fase storica, avrebbero il compito di ripensare le modalità d'insegnamento, sacrificando l'autonomia decisionale (rispetto ai metodi adottati e ai contenuti scelti) che ancora la Costituzione riconosce a chi si dedica alla trasmissione del sapere.

In questo caldo agosto 2017, il provvedimento sulla scuola che più ha fatto discutere è stata la firma, da parte della ministra Fedeli, di un Decreto che amplia la sperimentazione -in realtà già in atto- di una riduzione del percorso della Secondaria superiore a soli quattro anni.

Prima di entrare nel merito, è bene ricordare come questo decreto non sia né l'unica né la più significativa iniziativa di questa estate, destinata a incidere in modo significativo sula scuola italiana. Più in sordina -sfuggito spesso all'attenzione anche di molti docenti- è stato pubblicato a fine luglio sul sito del MIUR un documento intitolato "Ecco la nuova vita del Piano Scuola Digitale"[3], che intende rilanciare e sviluppare ulteriormente una didattica, di carattere sostanzialmente ingegneristico, impostata in modo esclusivo sulla tecnologia digitale, quale strumento non solo più congeniale per la comunicazione del sapere, bensì paradigma cognitivo che deve piegare alla sua logica la trasmissione di qualsiasi contenuto disciplinare.

Questa ampia considerazione introduttiva è indispensabile per comprendere il senso della proposta di riduzione di un anno del percorso liceale. A un osservatore non attento le numerose e contestate innovazioni che la scuola italiana ha conosciuto da più di un ventennio possono apparire frutto di improvvisazione. In realtà esiste un progetto di trasformazione sistemica assolutamente coerente, che peraltro è facile scorgere -in maniera sempre più esplicita- nelle diverse dichiarazione dei vari tecnici che hanno progettato questi cambiamenti. Lo ribadiamo perché, se non si assume questa prospettiva olistica, non è possibile comprendere le motivazioni attribuite dal Ministero a questo nuovo decreto. Un decreto, probabilmente, non di facile applicabilità; si tratta in effetti di ampliare laddove è possibile il numero di scuole che accettano, per una loro singola sezione, questo percorso sperimentale (si fa riferimento a cento istituti). I numeri saranno ancora relativamente poco significativi, tanto più che la sperimentazione dovrà passare l'approvazione dei diversi Collegi dei Docenti. E sarà interessante valutare l'autonomia che essi sapranno dimostrare, in una fase in cui i poteri del Dirigente Scolastico sono stati concepiti anche per esercitare in modo più efficace pressioni sui vari organi collegiali, cercando di piegarli alle direttive che giungono dagli Uffici Scolastici Regionali o direttamente dal MIUR, e sulla cui applicabilità si gioca la valutazione degli stessi Dirigenti Scolastici. La FLC (Federazione Italiana della Conoscenza, la sezione scuola della CGIL), le cui strategie e prese di posizione in questi anni non sempre sono apparse coerenti e condivise al suo interno, ha immediatamente emesso un comunicato con cui chiede il ritiro del decreto[4], affermando tra l'altro che la sperimentazione sarà poco significativa. In alcuni casi portata avanti da scuole paritarie le cui famiglie sono in grado poi di finanziare all'estero un'ulteriore acculturazione dei loro figli[5]. Osservazioni che posseggono una discreta plausibilità, ma forse ancora insufficienti.

Conviene ricordare come l'idea di ridurre di un anno il ciclo scolastico complessivo degli studenti italiani sia proposta vecchia, la cui data è invero molto significativa, in quanto coincide con l'inizio di quelle proposte di riforma tese a scardinare la scuola impostata sui contenuti disciplinari. Tale riduzione era infatti parte significativa del progetto di riordino dei cicli pensato dal ministro Luigi Berlinguer: si trattava di abolire la scuola secondaria di primo grado, sottraendo un anno di corso a quel periodo intermedio, per sostituirlo con due cicli di studio, uno primario di sette anni, e uno liceale di cinque anni. Fallito quel progetto, l'idea venne ripresentata dal successivo ministero Moratti, con una significativa variante: la decurtazione di un anno riguardava il percorso liceale. Anche in questo caso le proteste, peraltro in alcuni casi nella stessa area del centro-destra, non permisero l'attuazione della riforma. All'inizio del processo riformatore, dunque, il principio che bisognasse tagliare di un anno il ciclo di studi complessivo era già stato acquisito. Fu in quel periodo, dunque, che si iniziò a considerare eccessivo il bagaglio di conoscenza trasmesso dalla scuola italiana, ma, soprattutto, superfluo rispetto a quanto richiederebbe il mondo produttivo. I contenuti di cultura, l'approfondimento delle tematiche umanistiche, l'approccio storicistico e interpretativo al sapere, una riflessione di carattere scientifico che non si piega all'istante alle esigenze di una immediata operatività sono state ritenute quasi un lusso che in qualche modo distraeva la mente del discente dall'acquisizione di quelle capacità invece indispensabili per progettare sul piano economico la propria vita futura.

È stata l'opposizione manifestata dalla categoria dei docenti a impedirne un'immediata attuazione. Con l'approvazione della Legge 107, attraverso un voto di fiducia e nonostante lo sciopero della categoria degli insegnanti che aveva fatto registrare quasi l'ottanta per cento di adesioni, il MIUR ha ritenuto di avere dalla sua dei rapporti di forza tali da imporre ai docenti continue, significative e definitive modifiche nell'organizzazione della didattica. E questo principio dello scardinamento e della semplificazione dei contenuti disciplinari si è imposto in modo definitivo. La riduzione di un anno del ciclo di istruzione renderebbe tale mutamento inevitabile.

Le motivazioni che vengono presentate a favore del percorso quadriennale sono invero diverse e già note: l'obbligo dell'Italia di conformarsi a una prassi diffusa in Europa (in realtà solo sette Paesi in Europa prevedono un ciclo scolastico complessivo ridotto di un anno rispetto all'Italia[6]); di conseguenza, come ha fatto notare recentemente Alberto Asor Rosa, non ha senso parlare della necessità di un "allineamento", che rappresenterebbe "una pericolosa frattura con bisogni e tradizioni della cultura italiana, sia scientifica sia umanistica[7]" ; una opportunità economica, in quanto dal provvedimento scaturirebbero due vantaggi: una significativa riduzione della spesa pubblica[8], e una possibilità per gli studenti diplomati di accedere in anticipo al mercato del lavoro. Anche quest'ultima giustificazione presenta evidenti punti deboli, che sono stati ampliamente sottolineati: i giovani si troverebbero inseriti in un mercato del lavoro che li respinge, poiché il tasso di disoccupazione nel nostro paese rimane elevato. Di conseguenza, la rinuncia a un più alto livello di sapere e di acculturazione non sarebbe bilanciata dal vantaggio di trovarsi in posizione competitiva rispetto alle possibilità d'impiego. Per quanto riguarda il risparmio della spesa pubblica, si tratta certamente di un argomento di forte sensibilità per l'opinione pubblica, ma che di per sé non può giustificare la rinuncia del paese a un dignitoso grado di acculturazione dei suoi cittadini.

Il provvedimento appare molto più motivato se letto in continuità -come abbiamo già suggerito- con l'intero impianto della "Buona Scuola" e con i documenti programmatici pubblicati successivamente dal Ministero. Con l'approvazione della Legge 107, si è effettivamente realizzata la possibilità di concretizzare quanto non era riuscito ai ministri Berlinguer e Moratti: ovvero sostituire la didattica fondata sulle discipline a quella mirata alla realizzazione delle "competenze". Una didattica che considera sacrificabili i contenuti disciplinari, se non possono essere immediatamente tradotti in un contesto operativo, tenendo presente in particolare la loro applicabilità alla sfera produttiva. E la cui aleatorietà è stata più volte -anche qui alla Casa della Cultura[9] - messa in evidenza.

Va da sé che risulta impossibile trasmettere i contenuti degli attuali programmi in soli quattro anni; affrontare cioè in modo ragionato e non nozionistico le principali tematiche della storia della letteratura, del pensiero filosofico o delle problematiche storiografich[10]. Ma anche sviluppare al massimo grado il potenziale critico-cognitivo implicito nello studio delle scienze, che nella logica ingegneristica prevalente oggi, sembra doversi limitare al piano tecnico-operativo, tralasciando l'elemento logico-teorico. Come è facile comprendere, tutto ciò non è possibile.

La riduzione a quattro anni del percorso liceale non può che realizzarsi smantellando definitivamente la didattica per discipline; didattica che, nonostante la continua invasività di attività esterne proposte dalla Legge 107, continua a essere praticata da buona parte dei docenti, con la consapevolezza di esercitare una sorta di "resistenza passiva" rispetto alle prescrizioni ministeriali, e con il consenso di studenti e di famiglie, che toccano con mano la vacuità e la pretestuosità di molte iniziative fondate sulle competenze[11].

Estremamente chiaro, in un'intervista al Corriere della Sera, il Dirigente Scolastico Salvatore Giuliano, già tra i collaboratori della ministra Giannini, il quale, a proposito della riduzione dei Licei a un percorso quadriennale, dichiara: "[…] può essere il trampolino di lancio per una didattica innovativa: per introdurre il lavoro di gruppo, la compattazione (lo studio di quattro discipline nel primo quadrimestre e altrettante nel secondo, ndr), dire addio alla vecchia lezione frontale e optare per le classi capovolte dove tutti gli studenti partecipano attivamente"[12]. Come si vede, si tratta di una trasformazione radicale, che in questo modo diventa obbligata, della professionalità docente. A fondamento vi è la presunzione che queste pratiche didattiche siano in qualche modo irrinunciabili, poiché corrispondono a un presupposto scientifico ormai condiviso e impostosi alla comunità dei ricercatori[13]. Sulla base di una letteratura critica numerosa e autorevole, proveniente da diversi ambiti disciplinari, tanto umanistico quanto scientifico[14], è possibile affermare che le cose non stiano affatto in questo modo; le voci di dissenso in proposito sono quanto mai significative, e le fondamenta epistemologiche di questa nuova e presunta "didattica innovativa" sono assolutamente deboli, se non inesistenti. E, in molti casi, fanno più uso di una superficiale retorica che non di un'analisi rigorosa, tanto da dover preoccupare l'ambiente della cultura scientifica, così strumentalizzato per della finalità così palesemente ideologiche. Rispetto alle quali, però, si stanno investendo notevoli risorse.

Non solo le dichiarazioni del Dirigente Scolastico Salvatore Giuliano, ma soprattutto una lettura congiunta con il documento che abbiano citato all'inizio, dedicato alla didattica digitale, risulta illuminante su questo punto. Vi si afferma che, per realizzare in modo definitivo l'innovazione della didattica, "verranno finanziati ben 18 centri di competenze sui vari temi, fra cui emerge la centralità del "pensiero computazionale", per la cui diffusione saranno stanziati milioni di Euro[15]. Dal 15 settembre, in particolare, inizierà a lavorare un gruppo di lavoro sulle "competenze digitali". Tra le finalità di questi gruppi di lavoro -si legge sempre nel documento- c'è quello di promuovere "l'utilizzo di dispositivi personali dello studente in classe", e, più in generale, innovare metodologicamente la didattica. L'uso dello smartphone[16], la digitalizzazione dell'insegnamento, il pensiero computazionale non diventano possibili opzioni, metodologie scelte dall'insegnante se ritenute più opportune per i suoi contenuti e per il contesto classe in cui opera, ma pratiche che devono obbligatoriamente essere applicate da tutti ("il punto è far succedere tutto questo in ogni classe"[17]). La constatazione più sorprendente, ma invero assai significativa, è quanto gli estensori del documento abbiano volutamente ignorato -come se non fossero contributi scientifici significativi con i quali vi è l'obbligo di confrontarsi per affermare la validità delle proprie posizioni- tutta la letteratura di alto profilo pubblicata negli ultimi venti mesi, che mette in guardia, proprio dal punto di vista intellettuale e cognitivo, su una estensione totalizzante della digitalizzazione[18].

Senza tenere conto di tutto ciò, gli autori, con un tono che dovrebbe preoccupare i docenti, sostengono di volere "cambiare la narrativa". Quella precedente, a nostro parere, aveva come obiettivo la formazione di una personalità critica adatta a partecipare al dibattito pluralistico proprio di una società democratica. Incoerenza con l'autentico fine della scuola pubblica, ben indicato da Henry Giroux: "consentire ai giovani di sviluppare i valori, le capacità e le conoscenze necessari per entrare nella vita adulta da cittadini critici in grado di mettere in dubbio il senso comune, la cultura ufficiale, l'opinione pubblica e i media dominanti. […] rendere gli studenti capaci sia di dare forma sia di ampliare le istituzioni democratiche[19]". Al posto di questa visione progressista dell'educazione, Giroux denuncia al suo posto "un'oscura forma di spietato fondamentalismo di mercato che confonde gli studenti con i prodotti ed equipara l'apprendimento a una pratica di conformità e di disciplina meccanica […] vogliono mettere a tacere le forme critiche della pedagogia ed eliminare quei docenti per i quali vale di più il pensiero libero rispetto al conformismo"[20]. Che cosa prevede la nuova scuola, nel documento sul rilancio della didattica digitale? Vi è scritto: "La Ministra Fedeli ha chiarito questa inversione di narrativa con un messaggio forte "L'educazione non è un settore: è la condizione abilitante di un Paese". Dall'innovazione digitale della scuola non passano solo la qualità del capitale umano e le competenze degli studenti. Passa la crescita delle imprese che lavorano nell'ICT e nel settore dell'educazione. Passa l'attrazione di investimenti delle grandi imprese ICT in Italia, che sta ritornando ad essere significativo nell'educazione soprattutto grazie agli investimenti del Piano. Passano le spese e gli investimenti in innovazione, ma anche i comportamenti delle famiglie e crescita e consapevolezza nell'utilizzo di Internet e dei servizi digitali[21]".

La nuova narrativa vuole fortemente legare l'educazione all'impresa, la scuola al mercato. Superflue risultano allora le conoscenze di carattere culturale che fino a poco tempo fa erano considerate fondamentali per integrare positivamente la personalità del discente nel contesto della società civile, in quanto non immediatamente applicabili alla realtà produttiva.

Alla luce di queste considerazioni, risultano evidenti le ragioni del decreto appena firmato dalla ministra Fedeli. Costringere gli insegnanti ancora legati al sapere disciplinare a piegarsi alle nuove inconsistenti metodologie, chiamate "innovative" solo dai loro teorici; mutare obiettivi e modalità della didattica, secondo criteri che non saranno più fissati dagli insegnanti, ma dagli operatori esterni e protagonisti del mondo produttivo che cercheranno di piegare la scuola alle loro esigenze[22]. Si comprende dunque il consueto attacco alla "lezione frontale", autentico momento di trasmissione di cultura e, nello stesso tempo, di vero confronto intellettuale, per cui ogni lezione è sempre diversa e non prevedibile pur di fronte a identiche tematiche[23]. Risulta significativa anche la dichiarazione della ministra Fedeli, quando nega che l'insegnamento sia una missione[24]; esso va invece a coincidere con l'applicazione di una tecnica, quella delle competenze, che si vogliono alla professionalità docente. Anche la dichiarazione più recente, relativa al fatto di dover allontanare dalla scuola i "docenti incapaci", suona quanto meno ambigua e pericolosa per la libertà d'insegnamento, se la capacità non sarà valutata sulle preparazione disciplinare e sulle capacità comunicative, bensì sulla disponibilità ad insegnare secondo i discutibili parametri della didattica innovativa . Le conseguenze per gli studenti saranno gravi, in quanto è facile scorgere la miopia di una simile strategia: piegare l'istruzione a fini produttivistici necessariamente di breve respiro, rinunciare a un patrimonio di cultura pedagogica che ancora oggi è oggetto di riflessione e apprezzamento internazionali, ritenere la capacità critica - senza la quale è impossibile qualsiasi atteggiamento interculturale - come secondaria rispetto alle abilità applicative, considerare superfluo l'amore disinteressato per l'arte, la cultura e il pensiero in genere.


NOTE
1 Recentemente anche la sociologa Chiara Saraceno ha sostenuto questa tesi, invero non supportata da dati. Cfr. qui.
2 Il titolo del prossimo convegno della Flipnet (Associazione per la promozione della didattica capovolta) è il seguente "Chi ama la scuola la ribalta". Pur riconoscendo che si tratta di un gioco di parole con il nome dell'Associazione, non c'è dubbio che la stessa lavori per una radicale trasformazione della professione docente. http://flipnet.it/roma-20-ottobre-chi-ama-la-scuola-la-ribalta/
3 Cfr. https://www.agendadigitale.eu/scuola-digitale/miur-rilancio-e-prossimi-passi-del-piano-scuola-digitale-insieme-al-paese/ . Il documento fa seguito a un altro dedicato allo stesso argomento, pubblicato circa venti mesi fa, a ridosso dell'approvazione della Legge 107. Ne parlammo proprio su questo sito (http://www.casadellacultura.it/187/il-prezzo-della-scuola-digitale-pagato-dalla-cultura). Sarà doveroso ritornarci per verificare se le valutazioni critiche di allora hanno retto alla prova del tempo.
4 Cfr. http://www.flcgil.it/comunicati-stampa/flc/licei-sperimentazione-del-percorso-quadriennale-ritirare-immediatamente-il-decreto.flc.
5 Sulla scarsa affidabilità della metodologia scelta per selezionare le scuole cfr. I.Cervesato, Delle Superiori quadriennali, pp.3-4, in http://www.edscuola.eu/wordpress/wp-content/uploads/2017/08/SUPERIORI-QUADRIENNALI.pdf . Tali criteri impediranno, al termine della sperimentazione, un'adeguata e affidabile valutazione conclusiva della stessa.
6 I dati possono essere facilmente verificati sulla pubblicazione, a cura dell'Unione Europea, intitolata Struttura dei sistemi educativi europei: diagrammi 2016/2017, I quaderni di Eurydice Italia, al seguente link: http://eurydice.indire.it/pubblicazioni/strutture-dei-sistemi-educativi-europei-diagrammi-20162017/. Risulta quindi incomprensibile affermare che tale riduzione realizzi un'internazionalizzazione del sistema di istruzione italiana. Anche i dati sono utilizzati in modo diverso: cfr. http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2017-08-08/con-maturita-4-anni-come-mezza-europa-risparmi-14-miliardi--120217.shtml?uuid=AE0j6MAC laddove la Finlandia viene citata come nazione il cui sistema scolastico terminerebbe a diciassette anni, senza però precisare che si tratta solo di un'opzione, affiancata da un'altra, che punta a una maggiore preparazione, la quale prevede invece la conclusione del ciclo di studi a diciannove anni. Rispetto alla Germania, il cui ciclo di studi termina a diciannove anni, si sottolinea invece l'opzione dei diciassette anni. Tra i Dirigenti Scolastici di Milano, i pareri sono discordanti; stupisce però quando alcuni fra questi fanno propria la tesi della necessità di adeguarsi a parametri europei, quando questa condizione, nel nostro continente, non è affatto maggioritaria. Cfr. qui.
7 Alberto Asor Rosa, La scuola nelle mani dei barbari, La Repubblica, 26 agosto 2017. Un'attenzione, quella alle tradizioni e ai bisogni della cultura italiana, che nel campo dell'istruzione non viene affatto praticata dal MIUR.
8 Cfr. in proposito l'articolo del Sole 24 Ore citato nella nota precedente. La deputata del Partito democratico Mila Spicola, in un intervento intitolato Liceo breve, tempo pieno, tempo scuola  sostiene, per contrastare l'idea che i motivi di questa decisione siano legati a criteri economici di risparmio, che il Liceo quadriennale, per la mole di risorse che sarà costretto a mettere in campo, costerà addirittura di più. Argomentazioni presentate senza fornire alcun dato.
9 I riferimenti bibliografici dedicati alla critica della didattica delle competenze sono numerosi, e fanno riferimento ormai a due decenni di ricerca. Non potendo qui offrire una bibliografia completa, rimandiamo all'incontro tenuto da Giulio Ferroni proprio su questo tema alla Casa della Cultura. Recentissimamente è stato anche pubblicato un interessante e condivisibile intervento su Orizzonte Scuola, che riassume in sé molte delle perplessità avanzate in questi anni.
10 Su questo aspetto il testo del decreto, al comma 5, è esplicito, nel ribadire che il percorso quadriennale dovrà condurre lo studente, alla fine del percorso, a raggiungere gli stessi obiettivi formativi del percorso quinquennale: "il corso di studi garantisce l'insegnamento di tutte le discipline previsto dall'indirizzo di studi di riferimento attraverso il ricorso alla flessibilità didattica e organizzativa consentita dall'autonomia scolastica, alla didattica laboratoriale e all'utilizzo di tutte le risorse professionali e strumentali disponibili". Il Decreto nella sua interezza è leggibile qui.
11 Anche le famiglie sono in grado di valutare le problematiche legate a una didattica semplificata, che fa un uso eccessivo di strumenti multimediali. Il rapporto con le famiglie è in realtà un momento decisivo con cui i docenti possono giustificare all'esterno il senso del loro lavoro, anche quando questo sembra sottrarsi ad urgenze di ordine pratico. Lo storico Alessandro Barbero, in un recente durissimo intervento sulle politiche scolastiche, ha proprio auspicato questa capacità comunicativa degli insegnanti verso genitori e studenti per opporsi alla deriva tecnocratica e ostile alla cultura della nuova scuola. Si tratta di uno degli interventi più lucidi ed espliciti sul tema provenienti dall'ambito universitario. Uno dei pochi però, laddove anche in quell'ambiente tali convinzioni sono piuttosto diffuse.
12 http://www.corriere.it/scuola/secondaria/16_novembre_09/sui-banchi-anno-meno-ecco-come-sara-nuovo-liceo-66ac2704-a6bf-11e6-b4bd-3133b17595f4.shtml
13 Nel volumetto di Maurizio Maglioni e di Fabio Biscaro La classe capovolta, Erikson edizioni, 2014, si parla frequentemente, rispetto alla "didattica innovativa" di risultati raggiunti dalla "ricerca pedagogica", di approccci "auspicati da decenni da tutto il mondo pedagogico", di "basi teoriche della pedagogia", di "anni di ricerche pedagogiche sulla didattica", facendo riferimento a teorie invece continuamente discusse e criticate. A tali critiche, peraltro, non si fa mai riferimento, come se non esistessero. Già Silvano Tagliagambe e Roberto Campioni, poco meno di un decennio fa, parlavano di una "rivoluzione scientifica compiuta", di cui però la comunità scientifica nel suo complesso non sembra essersi accorta; cfr. S.Tagliagambe, R. Campione, Saper fare scuola. Il triangolo che non c'è, Einaudi, Torino 2008, pag.216, "Mentre la rivoluzione descritta nelle pagine precedenti aveva luogo…"..
14 A tale sguardo critico nei confronti delle trasformazioni cui è oggetto la scuola italiana è stata proprio dedicata la serie di incontri alla Casa della Cultura intitolata A difesa della scuola italiana, tra il 2014 e il 2015.
15 Invitiamo a riflettere su un'osservazione a riguardo di Giulio Ferroni, resa durante l'incontro alla "Casa della Cultura", cit., dal minuto 33'.
16 Cfr. http://www.orizzontescuolaforum.net/t145006-scuola-il-ministero-apre-allutilizzo-degli-smartphone-in-classe-uso-consapevole-in-linea-con-la-didattica
17 Ecco la nuova vita del Piano Scuola digitale, citato in nota 3, paragrafo 6.
18 Da ricordare innanzitutto la pubblicazione di Adolfo Scotto di Luzio Senza educazione, Il Mulino, Bologna 2015. Spesso si fanno riferimenti a numerosi studi di ambito anglosassone per sostenere gli effetti negativi, sul piano cognitivo e didattico, di una digitalizzazione integrale del processo di istruzione. Il volume di Di Luzio, nelle pagine iniziali, dà conto però di una sperimentazione già attuata in Italia (Cl@ssi 2.0, del 2009), i cui esiti sono stati palesemente insoddisfacenti, senza che ciò conducesse le autorità ministeriali a mutare strategia. Cfr. anche, tra le novità di questi anni non tenute in considerazione dagli estensori del documento Susan Greenfield, Cambiamento mentale. Come le nuove tecnologie stanno lasciano un'impronta sui nostri cervelli, Roma, Giovanni fioriti editore, 2016, nonché la bella recensione di Anna Angelucci al seguente link (http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/?p=22350#more-22350 ) che ha il merito di fare anche un punto generale sulla situazione.
19 Henry Giroux, Education and the Crisis of Public Values: Challenging the Assault on Teachers, Students and Public Education, Peter Lang Publishing, New York 2012; trad. it. Educazione e crisi dei valori pubblici, Editrice La Scuola, Brescia 2014, pag.28.
20 Ibid., pag.30.
21 Ecco la nuova vita del Piano Scuola digitale, cit., par.6.
22 In un'intervista rilasciata a Tuttoscuola, n° 558, Gennaio 2016, pag.54, Federico Visentin, Vice Presidente di Federmeccanica, afferma la necessità di ripensare totalmente la didattica alla luce delle esigenze delle aziende. Si legge fra l'altro: "La "Buona Scuola" del futuro, quella dove istituzioni formative e imprese sono partner, non potrà prevedere l'identificazione della didattica con le sole materie, il nozionismo, la considerazione della classe come un unicum inscindibile, ma piuttosto l'interdisciplinarietà, la flessibilità applicata ai programmi e agli orari didattici". Sul modo di intendere la partnership tra impresa e istituti formativi, leggere più avanti (grassetto nostro): "Con la riforma "La Buona Scuola" viene riconosciuto il ruolo formativo dell'azienda, che dovrà partecipare a tutte le fasi del percorso formativo: progettazione delle competenze, formazione on the job, valutazione".
23 Questa peculiarità dovuta alla comunicazione diretta e continuativa tra due soggettività protagoniste, pur in modo asimmetrico, del processo di istruzione e formazione, si perde definitivamente nella concezione di M.Maglioni -F.Biscaro, La classe capovolta, cit.: "[…] i docenti non sono più i depositari del Sapere [notare l'uso ironico della maiuscola, n.d'A.]. Chiunque, equipaggiato di un collegamento a Internet può improvvisarsi sapiente e destituire l'insegnante della sua caratteristica più evidente: essere la fonte delle informazioni". Al di della discutibile considerazione dell'insegnante esclusivamente quale fonte di "informazioni", quanto riportato confligge con l'esperienza personale dei docenti consapevoli. Rispetto alla pluralità delle fonti informative, l'autorevolezza e l'insostituibilità dell'insegnante nella sua azione comunicativa in classe emerge con ancora maggiore evidenza, perché sa offrire quei criteri per orientarsi nel mare disordinato della rete, e rende più urgente negli studenti il bisogno di avere una personalità intellettuale di riferimento nell'apprendere una disciplina.
24 http://www.tecnicadellascuola.it/item/31363-fedeli-insegnare-e-una-professione-non-una-missione,-sbaglia-chi-pensa-che-e-solo-per-donne.html
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