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Le prossime vittime del crack: tre milioni di pensionati USA

di Monica Semprini

Il rischio di una crisi finanziaria di drammatiche dimensioni non è un’invenzione. E’ uno spettro che si aggira e che sta prendendo sempre più corpo nelle menti degli analisti e degli operatori finanziari.

«La questione dei mutui sub-prime - sostiene una recentissima ricerca di Business Intelligence Research, un centro studi indipendente di analisi dei cicli economici e degli investimenti - potrebbe essere solo la prima tappa di una escalation dai contorni non meglio definiti ma dagli esiti drammatici» (BIR Report, aprile 2008).

Nella cornice delle previsioni sul futuro ci sono immagini chiare, dettate dalla solidità dei numeri e dalla precisione delle cifre.

In sintesi, tutte le tendenze in atto confluiscono verso un vulnus che potrebbe avere dimensioni epocali. Si tratta dei Fondi Pensione americani. E qui comincia una storia nella storia. Ma andiamo per passi graduali.

La crisi finanziaria scatenata dal dissesto dei mutui sub-prime ha portato - come è stato peraltro stimato nell’ultima riunione del Fondo Monetario Internazionale (aprile 2008) e dalla stessa Casa Bianca nello scorso marzo - ad una perdita di oltre 900 miliardi di dollari per le istituzioni finanziarie di tutto il mondo. Ma non è finita.


La BaFin, l’Autorità tedesca di controllo del settore bancario, nel suo bollettino di aprile sottolinea che a questa cifra si dovranno aggiungere anche le voci dei riscatti dai fondi di investimento e dai fondi pensione.

Il settimanale Der Spiegel, da sempre attento alla questione, sta monitorando il problema da vicino, anche perché il 15% delle massa di denari investiti in fondi pensione a livello mondiale è amministrato direttamente da banche e istituzioni tedesche. In sostanza nei prossimi mesi si potrebbero scatenare due fenomeni tra loro congiunti.

Da una parte chi può cercherà di ridurre le quote di investimento nei fondi pensionistici integrativi così come è accaduto, ad esempio, in Italia e in Francia nei primi mesi dell’anno nel settore dei fondi comuni di investimento.

Nel nostro Paese - così ha informato Assogestioni, l’associazione delle società che gestiscono i fondi e il risparmio degli italiani attraverso le SGR, le società del risparmio gestito - nel mese di gennaio il saldo tra raccolta e dismissione dai fondi è stato negativo per 19 miliardi di euro. Nel mese di febbraio il saldo è stato ancora negativo per altri 9 miliardi e così ancora in marzo.

In soli tre mesi sono fuggiti dall’ovile dei fondi di investimento oltre 30 miliardi di euro!

Questa tendenza - accentuata molto in Italia - è tuttavia globale. Ne sanno qualcosa gli uffici studi di banche come Merrill Lynch e soprattutto di Deutsche Bank. In particolare è in allarme il capo economista per l’Europa di Deutsche Bank, Thomas Mayer il quale già in passato aveva chiesto alla Banca Centrale Europea di essere più morbida nella sua politica di controllo e di vigilanza.

Nello scorso settembre 2007 la Deutsche Bank  aveva infatti esortato la Banca Centrale Europea (BCE) ad alleggerire i criteri di sicurezza che le banche d’affari sono tenute a presentare per ottenere il denaro dalla Banca Centrale.

«Io credo che occorre fare qualcosa. La FED ha dato l’esempio» aveva dichiarato al Financial Times Deutschland lo stesso Thomas Mayer (5 settembre 2007). A suo avviso la BCE, con tali misure, potrebbe combattere la crisi sui mercati finanziari.

Nello stesso periodo la Federal Riserve statunitense di Ben Bernanke aveva deciso di accettare come garanzia anche titoli che poggiano su crediti ipotecari. In tal modo ha facilitato l’accesso ai crediti delle banche e, al tempo stesso, ha sostenuto il prezzo dei titoli che gli istituti finanziari hanno al momento difficoltà a piazzare sul mercato.

Perché questo è potuto accadere? Per una sola e semplice ragione. Ed è qui il nocciolo del problema. Andiamo ancora per gradi e poi il vulnus apparirà in tutto il suo macabro splendore.

Negli Stati Uniti i fondi pensione hanno investito tra i 6 mila e gli 8 mila miliardi di dollari in titoli di scarsa - se non scarsissima o nulla - affidabilità (stima del Centro Studi Europe2020, aprile 2008).

Sono poco meno o poco più dei titoli «spazzatura» con cui ci siamo già scontrati in passato: azioni di banche e società finanziarie esposte anche indirettamente con i sub-prime e/o obbligazioni legate ad architetture finanziarie sofisticate, come anche le cosiddette polizze unit linked, le polizze vita agganciate ad obbligazioni strutturate il cui valore è sua volta ancora parametrato ad una serie di variabili complesse.

Insomma, il sistema americano ha messo in involucri quotati sui mercati gli stracci che non vuole lavare in casa, cercando di spalmare sugli investitori in giro per il mondo il marcio delle sue intenzioni e delle sue attività.

Su questi titoli sono però incappati gli stessi fondi pensione statunitensi e in parte anche quelli tedeschi. E da qui si spiega il forte interesse e la comunanza di vedute tra certe istituzioni germaniche e la scuola monetarista che ancor oggi detta legge negli Stati Uniti e alla Federal Reserve.

I fondi pensione sono intrappolati nella palude dell’inganno e non sanno come uscirne. O meglio, lo sanno: per uscire indenni si devono scaricare i bubboni sui conti pubblici o sugli  investitori esteri. Una strategia che non fa una grinza.

I fondi pensione che hanno raccolto le quote dei loro sottoscrittori e delle loro categorie hanno investito su molti prodotti finanziari. Alcune banche d’affari hanno premuto e spinto perché i fondi investissero anche in altri strumenti, con la scusa di diversificare i rischi. E così alcuni fondi hanno messo quote di capitali su azioni e obbligazioni ad altissimo rischio. Nel frattempo è scoppiata la crisi dei mutui sub-prime.

Il governatore della FED, Ben Bernanke, è corso ai ripari iniettando il sistema di liquidità e abbattendo i tassi. Non è un caso ma una necessità: deve tenere alta la fiducia sul circuito degli investimenti, pena in prima battuta la bancarotta di grandi gruppi come Bear Stearns & Co. Un fallimento che potrebbe riversarsi a cascata sui fondi pensione che hanno investito su azioni di società e di banche come appunto la Bear Stearns & Co.

Ecco il vulnus: sono i Fondi pensione americani, che potrebbero esplodere a breve. Perché?

Ci informa ancora l’analisi indipendente dell’Europe 2020, il cui bollettino di aprile mette in rilievo la questione demografica americana: «tra settembre e novembre di quest’anno andranno in pensione i figli del primo baby boom, quello degli anni 1945-1948». Almeno tre milioni di statunitensi usciranno dal panorama lavorativo perché ormai in età di pensione.

Faranno domanda di riscatto di capitale ai fondi pensione o accetteranno assegni mensili dalla prospettiva magra? E con che cosa pagano questi assegni i gestori dei fondi? Con quale denaro, visto che hanno in pancia una buona dose di carta straccia?

Questo argomento - che non è ancora uscito pubblicamente ma che è oggetto di riflessione negli uffici strategici di enti politici e di grandi banche - tra qualche mese diventerà di grande attualità e  avrà titoli sulle prime pagine dei quotidiani.

Qualcuno ha già dato un nome a questi spettri, chiamandoli ghost assets, gli investimenti fantasma. I soldi investiti sono veri, le rendite che dovrebbero garantire, invece, potrebbero esistere solo sulla carta.

Non voglio essere profetessa del malaugurio, ma quando in autunno i nuovi pensionati americani cercheranno soddisfazione allo sportello dei fondi pensione potrebbero restare molto delusi. E il mercato come reagirà?

La risposta è in un’immagine presente nei racconti di Lovecraft, secondo il quale «gli spettri vivono là dove esistono le rovine». Dopo i sub-prime la catena della crisi si concentrerà su altri anelli.

E un’altra tappa della macabra danza potrebbe essere proprio quella dei fondi pensione, troppo esposti sui mercati finanziari e facili prede degli speculatori e dei giocatori d’azzardo che non guardano in faccia a nessuno.

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